Anno 1981-82
I domenica d’Avvento – Anno B
(Is 63,16-17.19; 64,2-7; Sal.79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37)
In tempo di Avvento le letture del Vecchio Testamento ci richiamano alla storia, del popolo ebreo che attendeva Gesù che doveva venire; una speranza alla quale doveva essere richiamato con forza dai Profeti.
La chiesa non ci chiede di entrare in una speranza di questo tipo, se non avessimo visto, come se non avessimo toccato con mano, come se non avessimo la certezza. Se la Chiesa ci richiama ogni anno il tempo della venuta è per farci fare memoria della misericordia di Dio. È il fatto. Il fatto di cui il è testimone, il fatto di cui la Chiesa stessa è testimonianza con i suoi 2000 anni di storia che è tutta filtrata dalla presenze di Gesù che è rimasto con noi; un fatto che è detto vero dalla vita della Chiesa.
Se fratelli e sorelle diventano santi, se donano la vita per Gesù nelle missioni, nelle famiglie, nel servizio dei poveri, se ci seno le mani tese nel nome di Gesù a tutti gli emarginati, a tutti i poveri della terra è perché Gesù veramente è venuto e veramente è rimasto con noi.
Allora la Chiesa ci richiama a un fare memoria bontà del Signore e anche con le parole del Signore stesso ci ammonisce ad avere attenzione alle continue visite di Lui che sempre ci porta più avanti nel cammino verso di lui, senza badare ai riflussi nostri, ai limiti nostri.
Certo nel momento in cui Isaia annunziava quelle parole in nome di Dio al popolo ebreo che era in esilio e diceva: “Tu, Signore, sei nostro Padre, da sempre ti chiami nostro redentore, ritorna per amore dei tuoi servi”. Queste invocazioni avevano un carattere tanto attuale, tanto drammatico per il popolo di Dio che desiderava tornare in patria.
Ma quanti di noi oggi hanno questo anelito, questa ansietà, questa preghiera dentro, nella coscienza di una vita umana che forse non si può più dire umana, di una vita che è sempre meno vita.
Allora c’è questo desiderio della venuta di Dio, e c’è l’affermazione grande che Dio viene incontro a noi anche quando siamo avvizziti come foglie, quando la nostra saccenteria, la nostra presunzione ci porta a dire “farò a meno di Dio” anche se non con la mente almeno però con i fatti della vita: sappiamo quanto materialismo pratico esiste anche nella comunità cristiana.
Ci dice la parola di Dio che Dio ritorna perché è fedele, e questa è la radice della nostra speranza al di là di tutti i nostri fallimenti. Allora il Natale non dovrà essere solo una commemorazione, ma l’accoglienza di questa fedeltà. Ma cos’è la fedeltà di Dio? Cos’è l’accoglienza di questa fedeltà?
Dice S.Paolo: “Io ringrazio continuamente il mio Dio per voi, perché Lui che è fedele mi chiama ad essere nella comunione del Figlio. Fedele è Dio dal quale siete stati chiamati alla comunione del figlio Gesù.”
Cos’è la comunione dei Figlio con il Padre, con Dio?
Cos’è questa parola: comunione?
Comunione vuoi dire diversità e unità, vuoi dire compiti distinti e tuttavia continuo riferimento all’altro, vuol dire un amore forte fino ad essere tenerezza, fino ad essere coscienza di essere una cosa sola. “Il Padre ed io siamo una cosa sola”.
La fedeltà di Dio, la sua venuta, la sua preposta è perché noi entriamo in questa comunione.
La chiesa, sente di dover essere annunziatrice in mezzo al mondo che l’umanità è chiamata ad essere in questa comunione, ad essere questa comunione.
Sembra un’assurdità per quanto l’umanità è divisa e tuttavia questo Gesù ci chiede.
La chiesa sente di dover essere essa stessa, al di dentro della propria vita di comunità di discepoli di Gesù. A guardare la Trinità. Dice un decreto del Concilio che “la Trinità è il supremo modello ed il principio dell’unità della Chiesa”.
Allora non è vero quello che purtroppo invece succede che noi della Trinità facciamo solo una definizione arida, intellettuale, catechistica, quando pure ce la ricordiamo; diciamo che noi crediamo in un Dio solo, in tre persone uguali e distinte: Padre, Figlio e Spirito Santo: una definizione arida!
La Chiesa ci dice che quella unità, quella divinità in tre persone è una comunione d’amore ed il modello della vita di uomo. Tu sei uomo, sei più uomo quando entri in quella comunione, quanto più quella comunione diventa il modello della tua vita.
Come il Padre ama il Figlio così io devo amare mio marito, mio figlio; come il Padre ama il Figlio così io devo amare i miei figli e i miei vicini; come il Padre ama il Figlio così io devo amare colui che sta nel mio palazzo e che è solo; come il Padre ama il Figlio io devo amare colui che secondo una mentalità mondana viene definito inetto, incapace, malato e perciò viene escluso colui che non mi piace; colui che mi fa fatica, colui che diventa l’oggetto della separazione istintiva perché non corrisponde a certi canoni di simpatia, di facilità di collaborazione; colui che ha le idee diverse dalle mie; colui che mi è nemico; colui che si pone di fronte a me come uno che vuole distruggere Dio in me.
Ognuno di questi è un candidato alla comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Ed io sono chiamato a vivere con ciascuno di loro se quello ha la Trinità come modello, se quello ha Dio fedele che mi vuole portare nella comunione sua; sono chiamato a porre gesti di comunione.
Allora quando la chiesa ci propone un Avvento di fraternità non ci propone soltanto di porre mano alla tasca per pensare a questa o a quella micro realizzazione. È vero, ci sono anche i fatti concreti che si risolvono mettendo anche la mano alla tasca, anche donando la 13ma o l’1% del nostro guadagno mensile in favore di qualche cosa, per es. di una popolazione dell’Africa, per es. della popolazione di un milione di persone del Mali in cui 400.000 sono malati di una malattia agli occhi che porta alla cecità e per la quale, per curare tutti in un anno, basterebbero 3 milioni e mezzo. Stiamo pensando a fare questo. Ma la ragione non è solo e troppe cose di questo tipo; la ragione è pensare e stare nella comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo senza escludere nessuno.
Gesù sarà tra noi nella misura in cui avremo accoglienza per questo invito alla comunione. Gesù sarà venuto tra noi nella misura in cui veramente tra uomo e uomo non vi sarà più quel senso di separazione, di esclusione, di definizione che ci fa uno diviso dall’altro. Nell’invito Suo alla comunione c’è la scoperta della divinità profonda, della grandezza di ogni persona, anche quando questa persona’ si presenta a noi con il volto non degno santità di uomo, e anche quando questa persona si presenta, davanti a me con il volto ripugnante di colui che mi fa contrasto.
Natale è quando io mi metto umilmente, silenziosamente, pazientemente, con misericordia, con coscienza di avere tantissimi limiti che molte volte oscurano anche per l’altro il cammino della comunione.
Tante volte sono io che mi pongo come ostacolo all’altro più che l’altro si ponga come ostacolo a me. In questa coscienza, facendo tacere sentimenti e risentimenti, ideologie, definizioni, schemi, programmi; imparando a “perdere” tempo con 1’altro e per l’altro; in questo modo forse meglio si prolungano i ponti su cui passa la venuta di Gesù.
Per questo il nostro Avvento in Parrocchia sarà vissuto in tre momenti: momento di preghiera, particolarmente con la Novena alla Madonna e la novena di Natale. Momento di penitenza in cui vi sarà la possibilità a Gesù di venire sul niente di noi, sul silenzio di noi. Cos’è la penitenza se non il far tacere il nostro IO ? Anche la nostra fame, la nostra gola, ma non solo questo. Sul silenzio delle nostre parole, sul silenzio delle nostre idee, sul silenzio della nostra sensibilità, dei nostri pregiudizi Gesù potrà farsi una strada. Un tempo di penitenza in cui vi sarà più spazio per la parola di Dio. Ed infine un momento di annunzio e di incontro tra le famiglie di cui saranno portatori e protagonisti gli stessi laici.
II domenica di Avvento – Anno B
(Ne 8,2-4.5-6.8-10; Sal. 18; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21)
La parola di Dio nella liturgia di oggi ci dice una cosa molto importante: la comunione che Dio vuole fare con l’uomo. Ed ecco Giovanni, Isaia ci dicono con accenti ‘diversi “preparate la via del Signore, raddrizzate le strade, assumete una condotta degna dei figli di Dio.
C’è dunque un legame fonte tra la venuta del Signore E la responsabilità dell’uomo. E questi verbi “preparare”, “raddrizzare”, “togliere”, “appianare” sono verbi che significano impegno, laboriosità; sono verbi che significano che la comunione si costruisce.
Bisogna togliere gli ostacoli, bisogna favorire, promuovere l’incontro. E qui veramente vien fatto di riflettere subito e concretamente come l’accoglienza del Signore Gesù non può essere vissuta se non a livello profondo, del cuore e che non vi può essere venuta del Signore se non in questa accoglienza profonda che toglie dalla nostra vita ogni ostacolo secondo le esigenze della comunione con Dio.
E come si riempie di contenuto, allora, quella espressione che diciamo, nella preghiera: “sia fatta la Tua volontà”. Perché Gesù sia presente nella mia vita io devo sempre essere convertito alla volontà di Dio. Dobbiamo sempre raddrizzare appianare, togliere tutto quello che è come un ostacolo a questa comunione: credo che questo significhino il deserto e la nudità di Giovanni. È una comunione che Dio vuole fare tra ciascuno di noi e Lui stesso, nell’intimo del cuore di ciascuno; è una comunione che Dio vuole fare con l’umanità: questo è il senso dell’incarnazione. Viene perché .. .. .., viene perché questa comunione che sarà vissuta pienamente nella Trinità alla fine dei tempi sia già annunziata e vissute a sperimentata nella fraternità degli uomini.
Allora questa accoglienza del Signore che viene non può essere uno spiritualismo, non può essere uno starsene al chiuso della propria privatezza, sotto il calore della propria campana di vetro, magari spirituale. Se le vie del Signore si preparano, si costruisco, allora la comunione che vogliamo fare con Dio deve diventare comunione con gli uomini.
Il Concilio ci ha rico1riato recentemente che chi trascura i propri doveri sociali trascura i doveri verso il prossimo anzi, dice la G.S. al no.43, trascura i doveri verso Dio stesso e mette in pericolo la propria salvezza eterna.
È una frase dura, quasi che volesse ammonire tutte le nostre tentazioni, che sempre ci toccano, di voler vivere l’incontro con Dio da soli, in uno spiritualismo che può essere tanto in buona fede, che può assomigliare a certe espressioni di spiritualità orientale, ma che non è cristianesimo. Il cristianesimo è certamente il tramite della fatica che Cristo ha assunto per sé, che Maria ha fatta propria, che la Chiesa sempre ha vissuto anche nella fatica della costruzione della fraternità umana.
Bisogna essere molto convinti di questo perché essenzialmente spiritualisti come siamo per cultura, per temperamento, per abitudine e anche per le sconfitte che viviamo tutte le volte che vogliamo costruire una collaborazione, una comunione, una fraternità.
Ecco, per questa tentazione per lo spiritualismo noi siamo portati tante volte a metterci da soli e a dire: “ecco, il mio Dio è per me, io sono per Lui e gli altri per gli affari loro”, Non è così. Preparate le via del Signore vuol dire portare nella propria vita quei gesti, quelle scelte che preparano, che costruiscono la comunione. E in questo senso io credo che tutti abbiamo il dovere di riflettere in questo tempo di Avvento, di preparazione al Natale, come viviamo questa fatica.
Gesù che ha detto “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo” ha legato questa sua presenza, questa sua luce, questa sua parola proprio alla comunione.
Basta leggere gli scritti del N.T., basta vedere la tensione dei primi cristiani per capire come il loro rapporto era un rapporto che tendeva sempre a istituire la comunione; S. Paolo, per es. ai fedeli di Roma, ai fedeli di Corinto, ai fedeli di Colosso, ai fedeli di Efeso; S. Pietro: prima di tutto la mutua, scambievole carità. Perché in questa comunione profonda, in questo rapporto di servizio reciproco c’è l’annunzio della presenza del Signore.
Ecco, il mondo capisce che Dio c’è, e Gesù l’ha detto, da questo: da questo crederanno, da questo vi riconosceranno, se c’è un rapporto di comunione; Bisogna assoggettarsi alla fatica della comunione; prima di tutto al di dentro dell’esperienza cristiana e poi anche nel rapporto con il mondo.
Allora, in questo senso, tutti siamo chiamati ad essere responsabili, ad essere persone che assumono l’iniziativa, il compito di costruire la comunione.
Penso a questa cosa che abbiamo proposto: l’incontro nelle case per pregare insieme, per riconoscersi come fratelli, per far circolare le cose che riguardano la vita dell’uno perché possano diventare le cose che riguardano la vita dell’altro. Le gioie le fatiche i dolori, gli impegni, le delusioni: tutto quello che è di uno deve diventare degli altri e l’Eucarestia della domenica dovrebbe essere sempre la comunione di tutte queste comunioni fatte e dovrebbe sempre arrivare come espressione di tutto il palazzo, di tutto il posto del nostro lavoro, di tutti i luoghi dove si conduce la propria tensione, la propria, fatica quotidiana.
E quando noi siamo qui e nella preghiera eucaristica Diciamo: Signore Ti ringraziamo perché ci dai la possibilità di compiere il servizio sacerdotale, dobbiamo essere consapevoli che questa espressione non spetta solo al sacerdote ma è di tutta l’assemblea: pensateci.
Compiere il servizio sacerdotale: cosa significa se non che voi siete chiamati in questo momento a mettere nel calice di Gesù, del Suo sangue, tutta la fatica del vostro vivere il rapporto con le persone dell’appartamento accanto,tutta la fatica di entrare nel dolore della persona sola, della persona anziana, della persona ferita, per amarla, per aiutarla.
Tutta l’agonia, tutta la sofferenza presente nell’esistenza della persona colpita dalla sventura, dai mali della vita; tutto quello che la ragazza madre non sa dire; tutto quello che la vedova non sa esprimere; tutto quello che chi è senza lavoro, senza casa non riesce più a comprendere, per aiutare a portare, a portare non come una notizia intellettuale ma a portare come la conseguenza di questo sforzo che si è fatto per incontrare.
E la Chiesa deve essere sempre l’annuncio vissuto, l’esperienza vissuta di questo incontro, perché è qui in questo incontro che è preparato nella preghiera e nella tensione quotidiana che viene a nascere Gesù.
IMMACOLATA CONCEZIONE
(Gen 3,9-15.20; Lc 1; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38)
La prima realtà che siamo chiamati a contemplare è l’Amore di Dio. Quest’amore gratuito che non è come il nostro che dipende sempre dal suo oggetto, cioè: io ti amo perché trovo qualche cosa in te. Penso che questo sia presente in tutte le esperienze dell’amore umano, dall’amicizia alla fraternità, al più intimo degli amori umani che è quello del fidanzamento e del matrimonio.
L’amore umano dipende dal suo oggetto, è un fatto umano. Ma in Dio vediamo un’altra cosa: l’amore è gratuito, l’amore crea l’oggetto amato: lo crea, lo prepara.
E oggi questo fatto lo vediamo in Maria.
È Dio che prepara una creatura che Lui possa amare e che ella possa chiamare Dio. Questo senso di preparazione, di gratuità che viene dall’Immacolata Concezione di Maria tutta grazia, tutta gratuità, tutto amore.
Ecco il primo atteggiamento oggi è quello di poter riflettere con profonda convinzione: O Dio, abbiamo contemplato le meraviglie del tuo amore che ama gratuitamente e non è come il nostro.
Poi c è un altro aspetto molto importante: guardando Maria ci si accorge che le creature più piene di Dio sono quelle più assetate di Lui. Quelle a cui Dio ha fatto il dono di un rapporto profondo, di una grazia che permette a queste creature di conoscerlo intimamente, di far esperienza della sua presenza, della sua paternità, della sua misericordia, non soltanto nella gratuità della grazia, ma anche nella misericordia del perdono. Chi ha fatto esperienza del perdono veramente, chi veramente si è sentito perdonato fino in fondo all’anima (e pensate a quei personaggi del vangelo: Zaccheo, la peccatrice: molta ha amato perché molto le è stato perdonato in modo che questa legge non esclude nessuno) allora le creature più piene di Dio sono quelle più assetate di Lui. Allora qui capiamo una cosa molto bella e molto importante: la capiamo in Maria e dopo la capiamo anche in noi. In Maria capiamo che l’espressione “piena di grazia” che sta nel vangelo di oggi significa: rallegrati tu che sei stata riempita di grazia, ricolmata dalla grazia, gratuitamente. Però significa anche: rallegrati perché sei stata fedele a questa grazia.
Sicché, e la Chiesa canta sempre questa cosa di Maria, nel momento della tua nascita alla vita di Dio, alla vita eterna, sei trovata piena di grazia, sei pronta per Dio, e Dio ti può dire, nel momento in cui ti viene a visitare nella circostanza della tua morte fisica, Iddio ti può dire: vieni tutta bella, tu sei amica mia, in te non c’è alcuna macchia, vieni, vieni, ti condurrò con me. Sono le parole del Cantico. Dio prende con sé la sua creatura perché la sua creatura è stata fedele nella grazia.
Piena di grazia vuol dire, dunque, che Maria ha vissuto tutta una tensione, tutto un itinerario, tutto un piano verso la santità di Dio, dal momento della sua immacolatezza iniziale fino al momento della sua immacolatezza definitiva, nel momento dell’assunzione al Cielo.
Ed è per questa fedeltà, per questa perseveranza che è detta la vergine fedele, la vergine forte, la vergine che rimane di Dio per sempre.
Ieri sera dicevamo che noi la contempliamo in questa forza, in questa decisione per Dio, in questo essere consacrata in tutte le invocazioni delle litanie che ci fanno guardare la profondità della sua anima e, nello stesso tempo, ci fanno guardare anche la forza, la fermezza, la perseveranza della sua virtù, di tutte le sue virtù. Quelle virtù che noi invochiamo: vergine, prudente, sapiente, fedele. Questi aggettivi che ci dicono come lei ha custodito e ha costruito giorno per giorno la fedeltà al Signore.
L’immacolato concepimento di Maria non é dunque qualcosa che riguarda solo il suo momento iniziale, ma è qualcosa che riguarda tutta la sua vita, tutta la risposta a Dio, tutta la sua consacrazione a Dio. E la Chiesa ci fa pregare, in una delle sue invocazioni: “fa che cercandoti ti troviamo e che trovandoti ti cerchiamo ancora”
È il senso della vita.
Dunque una gratuità di Dio, una risposta di Maria; la terza cosa che volevo dirvi è modello per noi, perché la Chiesa ci fa pregare, lo avete sentito nella prima implorazione, che noi troviamo qui tra noi Maria Immacolata come modello della nostra vocazione alla santità.
San Paolo dice che la santità è la nostra vocazione; lui dice addirittura un espressione che forse noi non siamo abituati a pronunciare, forse siamo come timorosi; lui dice che la nostra vocazione è ad essere immacolati, non nel senso che noi possiamo nascere senza peccato originale, lo sapete bene, ma nel senso che per i meriti infiniti di Gesù morto e risorto per noi, la grazia del battesimo ci mette nella stessa condizione in cui Maria fu messa prima della nascita, dalla grazia di Dio. È la stessa grazia, solo che a Maria fu data prima, perché non fosse toccata dal peccato originale.
A noi viene data nel momento del battesimo.
Il fatto certamente di aver conosciuto Maria ci dice: guardate quella risposta, quella fedeltà, quell’itinerario alla santità quella consacrazione sono anche per voi, per tutti i cristiani.
Maria e la Chiesa sono un’unica realtà.
Maria e la Chiesa sono come una sorella che deve far da strada per gli altri, per dei fratelli che sanno di poterla seguire su quella strada perché .. .. ..
E quindi oggi è la festa della vocazione alla santità. Il giorno in cui contempliamo Maria che vive tutta la sua consacrazione, ma la contempliamo, Maria, che rivive anche in Chiara d’Assisi, in Caterina da Siena, in Francesca Carlini, in Rosa da Lima, in Maria Goretti. E non solo in queste persone che hanno detto il loro “Si” a Dio in un modo talmente pieno, talmente eroico da poter essere considerate dalla Chiesa ufficialmente sante, quasi che la Chiesa dicesse a loro: rallegrati Chiara d’Assisi; rallegrati, Caterina da Siena; rallegrati, Rosa da Lima; rallegrati, Maria Goretti perché il Signore è con te, tu sei benedetta tra le donne; hai generato Gesù per l’umanità. Non solo a loro, ma a tutti quelli che sentono che per essere stati amati da Dio devono rispondere con la consacrazione della loro esistenza.
Più sono amato più devo amare: più sono amata più devo dare a Dio la mia esistenza gratuitamente.
Più sai di essere amato più vuoi amare: una vocazione artefice.
L’ultima cosa che vorrei dirvi, ma proprio brevemente: che noi oggi dobbiamo ringraziare il Signore anche per il fatto che, certamente tramite di Maria, lo vediamo in tutte queste vocazioni alla santità, in modo particolarissimo in queste vocazioni della verginità cristiana così poco capita nel mondo e tuttavia perla preziosa nella comunità della Chiesa.
III DOMENICA DI AVVENTO – Anno B
(Is 61,1-2.10-11; Lc 1; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28)
Giovanni Battista ha un significato tanto particolare nella liturgia dell’Avvento.
Questo Battista certamente è la figura storica, certamente è quella persona di cui Gesù ha detto che era fra i nati da donna nessuno è più grande di G. Battista. Certamente c’è nell’intenzione della Chiesa, nella liturgia di questo tempo, di far rileggere anche i personaggi dell’incarnazione.
Domenica prossima saremo invitati a contemplare Maria, nell’ultima domenica di avvento immediatamente precedente il Natale.
Però voi sapete, e la Chiesa non si stanca di dircelo, che quello che è detto nella sacra scrittura è mistero di Dio anche per noi, per la Chiesa. Allora se quello che è detto di Maria è detto per la Chiesa, quello che è detto di Giovanni è detto anche per il discepolo, cioè ritorna questa riflessione (non voglio dire questo concetto perché sa di intellettuale mentre invece siamo subito invitati alla vita), allora quello che è detto di Giovanni come precursore, colui che prepara la via al Signore che viene, è detto anche per noi.
E ogni cristiano è chiamato costantemente a preparare, la strada al Signore. Qual è la missione del profeta?
La Chiesa ci fa leggere, oggi, nella lettura, un brano famoso di Isaia, un brano che Gesù fa proprio quando con un gesto sacerdotale, solennemente, si reca nella Sinagoga di Nazareth, di sabato, e davanti all’assemblea prende la pergamena e legge questi versetti di Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, mi ha mandato per sanare le piaghe, per annunziare la liberazione degli oppressi” e Gesù, guardando se stesso, come sull’eucarestia, con gesto solenne dice “questo è il mio corpo”, per se stesso dice: oggi in me, nella mia persona si è avverata questa profezia.
Allora il profeta dice che la via del Signore giunge attraverso questi gesti di pace e di liberazione, e subito dobbiamo fare una riflessione molto importante; questa vocazione di Gesù è dunque ad annunziare che Dio è padre, che è Padre di misericordia attraverso gesti di liberazione, gesti di pace.
Voi lo sapete come Gesù compie questi gesti, come il suo passaggio tra l’umanità è un passaggio di perdono, di misericordia, di amore all’uomo, in qualunque condizione l’uomo si venga a trovare: “Zaccheo scendi dall’albero, voglio venire a pranzo a casa tua; Simone ho una cosa da dirti; donna, dammi da bere”.
Chi sono queste persone secondo la nostra mentalità?
Dunque Gesù vive l’annuncio del Padre Suo attraverso questa missione di pace, di misericordia, di perdono. Allora oggi la riflessione è che la Chiesa porta Gesù, quindi vive il Natale, se prende la sua missione e la vive. Perché la Chiesa è il Corpo di Gesù.
Voglio dirvi una cosa che i Padri della Chiesa hanno colto tanto chiaramente e che annunciavano con semplicità alle loro comunità: vi siete chiesti perché oggi, subito dopo la prima lettura, la liturgia ci ha fatto leggere il Magnificat? Uno potrebbe dire: che c’entra il Magnificat che è il canto il canto della Madonna con la profezia di Isaia e con il vangelo di Giovanni Battista? Ma invece io penso che la liturgia ci fa leggere il Magnificat per farci fare questo collegamento diretto tra la persona di Gesù, la Sua missione e Maria, cioè la Chiesa. Tutto quello che è nella persona di Maria è della Chiesa; non c’è dubbio su questo. L’insegnamento della comunità cristiana, l’insegnamento del magistero è costante, fino al Concilio Vaticano II a cominciare dai Padri: sempre questa visione unitaria. Gesù è uno, è l’unico; è un unico grande Corpo disteso lungo il corso dei secoli, fino alla fine dei tempi. Maria dà il capo a questo corpo e la Chiesa dà un corpo a questo capo. E tutti insieme Gesù. Nel battesimo, ecco quei bambini diventeranno corpo di questo capo che è Gesù. Ma se si diventa corpo dì questo capo che à Gesù avranno la stessa vocazione di Gesù.
Allora se Gesù rivela il Padre nella liberazione nella pace é nella misericordia, quel Gesù che siamo noi come discepoli uniti nel suo nome, che siamo Chiesa, per conseguenza di questa unione che facciamo con Lui, e il segno reale è l’Eucarestia, per cui il sangue di Gesù diventa il mio sangue, il tuo sangue, il vostro sangue nel momento della comunione, allora quel Gesù che vive in noi per l’Eucarestia porta l’annunzio della realizzazione di questa pace, di questa liberazione e di questa misericordia.
Guardate Maria come fa da testimone tra le promesse di Dio e la nostra esistenza, guardate Maria come ci fa da esempio: lei va da Elisabetta, porta questa gioia, porta questa realtà; non va da Elisabetta per cantare se stessa, va da Elisabetta per vivere quello che Dio le ha portato dentro: il regno di Dio è venuto in te; il regno di Dio è dunque venuto in me, allora io lo devo annunciare; come lo annuncio? Aiutando la parente che ha bisogno. Subito il regno di Dio in lei diventa partecipazione, diventa comunione.
Quando lei va da Elisabetta, quando lei accetta di essere la madre di tutti noi ai piedi della Croce lei ci fa vedere come il regno di Dio si porta nel farsi uno con i fratelli.
E quando lei é rimasta nella Chiesa come madre, e lungo il corso dei secoli ha suscitato nel suo nome tutte le opere di redenzione e di sollievo… Pensate quante, opere! Si parla tanto male del passato, del Medio Evo, ma guardando con animo sereno a quello che è stata la storia dell”Europa e anche di oltre Europa prima del tempo della industrializzazione, del sindacalismo e delle opere sociali, non è forse nel nome della Madonna che sono nate le opere di misericordia? Quelli che si sono dati come i mercedari sé stessi, per riscattare i cristiani; non è forse nel nome della Madonna che sono stati allevati anche tra di noi i più poveri, i più abbandonati, i figli del l’Annunziata, non venivano chiamati i figli della Madonna? Nel nome della Madonna gli emigranti sono stati assistiti da Francesca Carlini; nel nome di Maria, Teresa di Calcutta si piega tuttora sui miserabili e sui moribondi. Allora Maria ci insegna che nel tempo della Chiesa la venuta del Signora è nel portare questa rivoluzione dell’amore e la Chiesa oggi ci dice che questo, se vuole portare veramente il Signore, deve essere un avvento di fraternità.
La fraternità non è un concetto, è una relazione, un rapporto che nasce in uno spazio, che nasce in un momento. Allora non c’è incarnazione se non in uno spazio, per un modo di vita.
Sentiremo nei prossimi giorni: …regnava Tiberio Cesare, era Procuratore a Betlemme… “ci voleva un luogo”. Non c’è incarnazione senza luogo.
E questo ci fa riflettere con tremenda responsabilità sulla vacuità, sulla inutilità di certe affermazioni religiose in sé, ma che se non sono incarnate, rimangono come delle utopie a volte fanno bestemmiare il Vangelo.
Non è certo per accusare, ma per prendere coscienza. Domandiamoci per esempio: abbiamo con compassione con emotività, don impegno firmato contro l’aborto, votato contro l’aborto; ma oggi chi è che fa, nella comunità cristiana, l’accoglienza alle ragazze madri? Quelle persone che si occupano delle ragazze madri, in quello che abbiamo voluto chiamare il Centro di accoglienza alla vita, e si contano in meno di dieci persone, fanno fatica per trovare non solo le case, ma anche l’aiuto economico. Diciamoci la verità: e che significa votare contro l’aborto?
Facciamo la religione dei princìpi?
Gesù non ha portato la misericordia soltanto con l’annuncio della bontà, ma è venuto a fare misericordia. Così, credo che un Avvento di fraternità nel momento in cui stiamo per entrare nella fase del Sinodo che riguarderà la zona, il territorio, richiede gesti concreti di giustizia.
Ma guardate un momento negli occhi lo sguardo veramente sperduto, lo sguardo smarrito, a volte irato, dei giovani che non si possono sposare perché non si trovano case. E guardate questa ingiustizia assurda dei nostri bambini che ancora non possono andare a scuola perché, ad un anno passato dal terremoto, le scuole sono ancora occupate.
Il territorio dovrebbe essere il luogo di dove si vede l’incarnazione del Signore, ma molto spesso il territorio è il luogo delle nostre paure, delle nostre meschinità, dello nostre chiusure, dei nostri: “che cosa ci posso fare”.
Tante volte sono fratelli e sorelle che pensano che portare una novità significhi entrare anche una volta in una rivoluzione anche violenta, lo sappiamo, non solo tra i giovani.
Stamattina ci viene ricordato solennemente, perché questa è la liturgia della domenica, che la via della forza non è la via di Maria. Che la via di Maria (perciò Maria è la Chiesa, tutto ciò che è di Maria è Chiesa) è la via di prendersi personalmente, in prima persona tutti i pesi, tutte le fatiche, le gioie, gli sgomenti, le sofferenze, le tensioni, gli interrogativi, le angosce dell’umanità.
Il Papa ci ha detto, nel suo documento sulla misericordia, che non si può pretendere di risolvere i problemi della giustizia solo con le tecniche della giustizia, che bisogna entrare nella logica della misericordia.
E la logica della misericordia è l’unica che riesce a portare un rapporto vero tra gli uomini, é l’unica che riesce a far fiorire in coloro che sono rimasti schiacciati nella loro più profonda dignità quella possibilità di esprimersi e a far rifiorire in chi ha sbagliato la possibilità di esprimersi di nuovo. Allora, questa misericordia di Dio annunciata dal profeta, cantata da Maria e preparata da Giovanni oggi ci viene consegnata.
Ecco, durante la settimana proviamo a pensarci, proviamo a compiere piccoli gesti di misericordia concreta. Anche verso una sola persona se ci vien data la grazia di incontrarla nel nostro cammino. Questo sarà come preparare la strada al Signore che viene.
Liturgia di riconoscenza – Anno B
(Nm 6, 22-27; Sal.66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)
Due cose vorrei dirvi stasera fraternamente, pensando che queste due cose sono molto vere in mezzo a noi anche nell’esperienza di quest’anno.
Prima di tutto la riconoscenza, per l’amore di Dio, sempre nuovo, sempre capace di raggiungerci, sempre nascosto dietro gli angoli anche i più bui, i più inspiegabili, i più misteriosi, i più dolorosi della nostra vita.
“Ecco sto alla porta e busso”; é proprio vero!
“Io lo guardo il mio amato da dietro i cancelli, da dietro i dirupi della roccia, io lo cerco, vado in cerca dell’amato dell’anima mia”. Le parole del Cantico dei Cantici hanno una profondissima verità, una grande attualità nell’esperienza di ciascuno di noi. Vogliamo ringraziare il Signore perché quest’amore ci mette nella possibilità, con la grazia dello Spirito Santo.
Questo Spirito Santo che nella Pentecoste invochiamo perché ci mandi la luce “Vieni luce dei cuori”, perché questa grazia ci permette, almeno nei momenti di preghiera, di non farci frastornare dal rumore degli avvenimenti, ma ci permette di discernere, e il discernimento è ancora un frutto dello Spirito Santo, negli avvenimenti l’azione del Signore che è Padre ed è Padre in tutti gli avvenimenti.
Allora vogliamo dire grazie per tutto quello che nella vita personale ci ha portati più dentro a Lui, più vicini a Lui.
E se certe volte questi avvenimenti erano vestiti di dolore vogliamo ringraziare per il dolore che è venuto nella nostra vita.
E se queste volte questo richiamo passava attraverso momenti di fallimento e anche di peccato che ci facevano apprendere la lezione dell’umiltà, della povertà, del bisogno di Lui come salvezza, vogliamo dire grazie, senza arrossire, anche nella nostra condizione di peccatori.
Non dimenticherò l’esperienza semplice di una dì voi che mi raccontava, al confessionale: “Erano giorni che ero distratta, non riuscivo a trovare il Signore, me ne ero quasi dimenticata. Un giorno, mentre camminavo, mi era caduta una bottiglia dalle braccia e mi si è rotta; e ho pensato: che significa? E in quel momento mi sono accorta che il Signore, attraverso la bottiglia rotta, mi stava chiamando ad avere più attenzione in Lui”
Allora grazie per tutto, per questo tutto che è additato dall’Amore di Dio che ci cerca.
Poi volevo suggerirvi il grazie per la speranza. L’amore e la speranza non sono due termini astratti, ma sembrano la cosa più difficile nel mondo di oggi.
Eppure l’amore di Dio, appena appena ci riflettiamo, lo scopriamo dentro di noi.
E con tanti quest’anno abbiamo sperimentato la verità di quello che diceva S.Agostino in una bellissima paginetta in cui parlava della certezza dell’amore di Dio e della difficoltà di capirlo, di intuirlo, di sentirlo vero nei fatti della vita.
Diceva, con una di quelle espressioni che venivano dalla sua grande genialità quando tu non riesci a vedere l’amore dì Dio nel presente fermati un istante e lascia che la tua anima vada nei vasti pascoli della memoria, perché là certamente troverai qualche momento in cui Dio si è manifestato come amore. E allora cercalo lì, e se lo ritrovi lo troverai per sempre.
Anche la speranza è difficile negli avvenimenti che siamo chiamati a vivere.
La radice della nostra speranza non è negli avvenimenti, non è nelle cose, non è nella capacità degli uomini di costruire qualcosa che ci dà la gioia; la speranza per noi è Gesù, Gesù crocifisso e risorto.
E anche per questa presenza di Gesù crocifisso e risorto nel suo mistero d’amore per l’uomo noi vogliamo ringraziare il Signore stasera perché quest’anno sembra che il Signore ci ha dato una prova così grande della sua presenza di sacrificio per noi, di un sacrificio per la salvezza.
Per quanto ci abbia pensato io non trovo segno più grande del sangue del Papa in piazza S.Pietro il 13 maggio.
Il segno più grande di speranza è quel sangue versato, perché è la sofferenza dell’uomo innocente che rivela il valore di tutta la sofferenza unitiva a quella di Gesù, per il bene dell’umanità.
Quel sangue versato in mozzo alla moltitudine dell’uomo dice il sangue Gesù versato per la moltitudine degli uomini; dice la verità della Eucarestia che non è segno, simbolismo, ma realtà: sangue versato perché gli uomini abbiano la redenzione.
Quel sangue, che è mescolato con l’amore forte che viveva il perdono, che pregava, che offriva, ha spinto tanti nel mondo intero, credenti e non credenti, a domandarsi, come la folla intorno a Gesù: chi è costui? e a risalire a qualcuno che gli sta dietro, perché un perdono così non si spiega se non spiega se non con il Vangelo se non con Gesù.
Allora vogliamo ringraziare per questa realtà che non soltanto sì è posta come un interrogativo per tanti fratelli, ma ha spinto moltissimi uomini ad andare avanti, a ricostruire, a resistere
Si, andare avanti per tanti che, hanno difficoltà di vita, di situazioni nelle famiglie, nelle professioni nell’impegno sociale e politico.
A ricostruire, come a Torella, come in tutto il cratere del terremoto dove ci si è rimboccate le maniche per dire: nonostante le difficoltà bisogna fare un mondo migliore.
A resistere, come in Polonia, come nel Sud America, come dovunque la dignità dell’uomo è calpestata; e bisogna pur cercarla sempre nuova la dignità dell’uomo.
Perché Dio è dalla parte della vita.
Ecco, per tutta questa speranza così concreta che si è rivelata così presente nel sangue del Papa noi vogliamo ringraziare il Signore questa sera, e venire fuori da questa liturgia con la gioia riconoscente nel cuore perché se Dio è per noi chi più essere contro di noi?
MARIA MADRE DI DIO – Anno B
(Nm 6, 22-27; Sal.66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)
In questo primo giorno dell’anno la Chiesa, secondo un’antichissima tradizione, ci fa vivere il ricordo di Maria.
C’è come un collegamento tra Natale e la fedeltà. di Maria, un collegamento non soltanto fisico, di ordine fisiologico nel senso che Maria è la. Madre di Gesù, ma proprio nella fede della Chiesa il compito Maria assume una dimensione talmente grande nel senso che se Maria è la Madre di Dio qui a Betlemme, allora, e la Chiesa sempre lo ha saputo e sempre lo ha asserito, Maria è la madre di Dio in ciascuno di noi.
Questo mette ogni credente in un rapporto tanto forte con Maria proprio come da figlio a madre e difatti chiamandola madre di Dio noi la chiamiamo anche madre della Chiesa come il Concilio ha solennemente espresso in questi ultimi tempi e come la Chiesa ha sempre creduto: Maria è la madre della Chiesa.
Allora la Chiesa oggi, nella liturgia, ci vuole dire: voi avete festeggiato il Natale, ricordatevi che la nascita di Gesù in voi è possibile se Maria è madre.
Poi il rapporto della maternità non si deve insegnare; se une riconosce una donna per propria madre dopo sa quale sarà il modo per esprimerle il proprio affetto.
Ci sarà chi lo dirà con molte parole, chi con poche parole; chi lo farà con molti gesti, chi con pochi gesti. L’importante è riconoscerla e riconoscerla significa essere profondamente convinti, cioè avere la fede e credere che Gesù nasce e cresce e viene in me nella misura in cui io sono figlio di Maria.
Poi questo mio rapporto con lei si può manifestare in molti modi: nella devozione, nella preghiera, nel rosario, nell’adorazione silenziosa; questo appartiene alla ricchezza dell’espressione dello Spirito Santo nella Chiesa.
Vorrei dirvi un’altra cosa; la Chiesa, il papa, da alcuni anni desidera che in questo primo giorno dell’anno sia vissuto nella preghiera con l’intenzione della pace. È tanto importante che noi ricordiamo nella preghiera di oggi questa supplica per la pace.
Il Papa lo ha manifestato in un messaggio a tutta l’umanità, a tutti i Capi di Stato, ma anche a tutti i popoli, quindi anche noi.
Il messaggio di quest’anno ha come un titolo: la pace è un dono di Dio la cui responsabilità è nelle nostre mani.
Da una parte sentiamo tutta la responsabilità di pregare per la pace perché se è un dono di Dio,non possiamo aspettarcela da altre parti se non da Dio, come dono suo. Dono vuol dire che gli uomini devono accoglierla, con umiltà, come una realtà sacra, come un bene che viene, dal cielo e quindi non può essere sottovalutata. Da un’altra parte la parola del Papa ci dice che la pace è nelle nostre mani, è affidata alla responsabilità delle nostre mani; quindi vien fuori tutta la lucidità, l’intelligenza dei cristiani i quali sanno che se la pace è nelle nostre mani bisogna impegnarsi per continuare a costruirla non soltanto come qualcosa che riguarda i grandi, i potenti della terra, i capi dei governi e degli eserciti, ma come un qualcosa che Gesù ci ha affidato, come un impegno di vita per tutti: beati gli operatori della pace.
Forse proprio perché noi viviamo un periodo di tante ingiustizie, di tante disarmonie, di tante disunità, di tante cose che non funzionano non solo ai grandi livelli (perché abbiamo avuto paura, l’abbiamo avuto così forte nel mese di dicembre per una guerra imminente); dopo anche ai piccoli livelli: nella città, nel lavoro, nelle scuole, nelle famiglie; tante cose mettono in tensione, tante cose ci fanno dire: ecco, così non si va più avanti.
E sempre più frequente ci viene la tentazione di dire: ci vuole uno che metta le cose a posto; ci vuole uno forte.
La tentazione della risoluzione sbrigativa.
Gesù però ci dice: beati gli operatori della pace.
Certamente la pace che Gesù porta non è la pace delle carceri, la pace dei cimiteri di guerra; non è la pace del più forte che fa piegare il debole: è la pace che è nella dignità di figli di Dio e significa fatica di spiegazioni, di comprensione, di accordi; significa costruzione. Gesù dice: beati coloro che costruiscono la pace.
Allora ci deve essere il contributo di fare delle nostre piccole esperienze familiari, professionali, sociali delle esperienze di pace.
Questo oggi vogliamo chiedere a Gesù nella messa del primo dell’anno.
EPIFANIA DEL SIGNORE – Anno B
(Is 60,1-6; Sal.71; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12)
Ecco, questo racconto è molto bello e colpisce la nostra fantasia fin da quando eravamo bambini, fin da quando eravamo abituati a costruire, il presepe e, magari, a mettere i tre re magi sui loro cammelli e farli camminare piano piano, giorno dopo giorno, fino al momento in cui, alla sera della vigilia, li facevamo arrivare alla grotta dove c’era il Bambino.
Però noi che siamo la comunità cristiana che celebra l’Epifania dobbiamo domandarci che cosa significa per noi questa festa. Ed io voglio cercare di aiutarvi, il più semplicemente possibile (oggi abbiamo anche un po’ di bambini con noi, allora bisogna che siamo tanto tanto semplici.)
Quando abbiamo celebrato il Natale noi abbiamo messo l’immagine del bambino Gesù sull’altare e abbiamo detto: Iddio ci ha visitato. E come ci ha visitato? si è fatto bambino.
Bambino non vuole dire soltanto piccolo, ma vuole dire anche tanto povero, tanto bisognoso di tutto, che dipende da altri. Allora, quando noi abbiamo visto il bambino Gesù sull’altare abbiamo detto: ecco, l’amore di Dio è arrivato a tutte le nostre piccolezze.
Ogni uomo, anche il più insignificante. anche il più debole, anche colui che dipende completamente da altri, come può essere uno che non ha autonomia, uno che non ha cultura, uno che non ha salute, tutte le forme di povertà che esistono nella vita, ecco tutte queste persone Dio le ama, e per farci capire che le ama manda un bambino, un bambino che è figlio suo, un bambino povero e freddoloso, indifeso, un bambino per il quale non c’era spazio neanche nell’albergo.
Abbiamo meditato questa apparizione di Dio nel. Bambino Gesù.
Oggi, per capire che cosa noi stiamo facendo nella festa dell’Epifania, dovremmo togliere il bambino Gesù e mettere il cero pasquale; cioè dovremmo mettere una luce e dire: ecco, noi oggi stiamo dicendo, perché è la Chiesa che ce lo dice, è la liturgia che ce lo dice, che Gesù è la nostra luce.
Cioè Gesù ci illumina, ci fa capire; Gesù toglie le tenebre dalla nostra vita.
Allora si capisce perché nel racconto del Vangelo c’è questa stella, questa stella che diventa come una luce, che illumina il buio che c’ era non soltanto nel cielo della notte ma, che c’era nella mente, nel cuore, nella coscienza di queste persone che sono nel mondo e che non hanno una speranza, allora vedono questa stella, vedono questa luce, vanno dietro a questa luce e trovano Gesù.
Allora noi oggi facciamo la festa della manifestazione di Gesù come luce del mondo. Perciò praticamente è la stessa festa del Natale, soltanto che è vista da un altro punto di vista, dal punto di vista della luce, mentre otto giorni fa era vista dal punto di vista della debolezza, dell’amore di Dio che si fa uno come noi, un bambino come noi, una carne come noi; adesso lo vediamo dal punto di vista della luce.
Allora ci possiamo fare una domanda: ma oggi c’è bisogno di questa luce? questa specie di contrasto tra tenebre e luce che c’era anche nel Vangelo di Natale, se vi ricordate, lo abbiamo letto nel prologo del Vangelo di Giovanni ‘la luce è venuta dal cielo nel mondo, ma le tenebre non l’hanno voluta accogliere’. Allora questo contrasto che ci fu ai tempi di Gesù c’è anche oggi? Cosa significa per noi oggi questa contraddizione, questo contrasto tra le tenebre e la luce?
Ecco, io penso che senza fare tanti esempi noi sappiamo quante persone, oggi, nell’umanità, e anche tra noi sono come nella ricerca di un significato della propria vita, alla ricerca di una fede, alla ricerca li una speranza, di una ragione di essere, di vivere.
E quanto facilmente si incontrano persone che dicono: quasi non vale la pena di vivere, che senso ha la vita?; di persone che dicono, quasi con dispetto: la butto, questa vita, tanto non ha significato.
E allora si sente come l’urgenza della venuta di Gesù, della sua manifestazione, perché Gesù ci dice: “Io sono la via, io sono la verità, io sono la vita”.
E qui voglio dirci una cosa che mi sembra tanto importante: Gesù viene apposta, lo dice Lui nel Vangelo, perché gli uomini abbiano la luce, perché credendo si salvino.
Allora quando lui e apparso sulla terra, in mezzo a noi ha predicato, ha portato la sua buona notizia, ha portato il Vangelo, lo ha lasciato alla Chiesa, alla Chiesa ha detto: tu devi essere la luce del mondo, devi essere come la città costruita sul monte, in modo che tutti quelli che la vedono dicano: ecco come si dovrebbe vivere!.
Ad alcuni della Chiesa, a cominciare dai dodici ha detto: andate, predicate, dite il Vangelo che io vi ho insegnato a tutte le genti; portatelo, questo Vangelo, perché chi l’ascolterà, vivrà e chi non l’ascolterà, resterà nelle tenebre, sarà come una morte.
Allora c’è come una drammaticità nelle parole di Gesù, anche dopo la sua resurrezione, quando benedice gli apostoli. e li manda in tutto il mondo e in tutti i continenti. Devono essere state talmente forti le parole di Gesù, talmente di fuoco le parole di Gesù che mandava gli apostoli, che loro, piccoli uomini come erano, hanno trovato il coraggio di cominciare a fare .. .. .. di affrontare tutte lo culture, tutte le popolazioni per portare il Vangelo di Gesù.
Così in alcuni secoli tutto il mondo allora conosciuto è stato evangelizzato. Noi, la nostra terra è stata evangelizzata forse 20 anni, forse 30 anni dopo che Gesù era salito al cielo. Si racconta che fosse S. Pietro; S. Paolo è passato da Pozzuoli
Certamente nel primo secolo la nostra terra già aveva conosciuto il Vangelo.
E in questa conoscenza di Gesù, del Vangelo, noi ci siamo abituati a pensare: noi siamo cristiani; siamo cristiani perché ci sono gli apostoli, i vescovi, i sacerdoti che ci annunziano il Vangelo.
Dopo ci sono quelli che ancora non sono cristiani, e questi che ancora non sono cristiani anche loro devono conoscere il Vangelo e allora noi mandiamo i missionari, le suore. Sono passati tanti secoli ed è successo che ad un certo tratto abbiamo, cominciato ad accorgerci che anche quei popoli che dicevano: noi conosciamo il Vangelo, noi siamo cristiani, il Vangelo di Gesù, invece non lo conoscevano tanto.
E ci siamo accorti che le nostre terre sono cristiane come territorio (quante Chiese, quante cappelle, quante croci per strade, quante edicole della Madonna!), ma poi quando bussi al cuore di una persona e gli dici: cosa c’è nel tuo cuore, che cosa speri? … ; quando bussi alla porta della famiglia: ma per cosa vivi … – lavoriamo, guadagniamo, ci compriamo la casa in montagna, la barca …
Ci diciamo cristiani, certe volte, però, come se non avessimo la luce di Gesù, e nei fatti della vita sopratutto quando vengono le malattie, le morti, le grandi scelte dell’operare, noi ci troviamo senza speranza, tante volte ci troviamo disperati.
Sono cose che vediamo, che sono anche tra noi che pure ci diciamo cristiani, e credo che sentimmo il bisogne grande di Gesù che ci dia la sua luce.
E adesso in quest’ultimo periodo nella Chiesa lo Spirito Santo fa venire una coscienza più forte di come Gesù porta la sua luce.
Prima si pensava: i sacerdoti, i missionari oltre che i vescovi e i parroci portano la luce di Gesù. Ora lo Spirito Santo fa capire, che tutti i battezzati devono portare la luce di Gesù.
Prima si diceva: in quella parrocchia non si fa niente perché il parroco non fa la predica, non fa il catechismo. Poi la coscienza che nasce dallo Spirito
Santo ci fa capire che quella parrocchia sarà viva se i cristiani di quella parrocchia vivono in modo tale da portare la luce di Gesù.
Oggi sappiamo che nessuno può portare la luce di Gesù sul matrimonio cristiano come gli sposi cristiani; che sono quasi inutili le prediche del parroco sul matrimonio se non ci sono gli sposi cristiani a portarlo con la vita.
Oggi sappiamo che è quasi inutile (vorrei chiamare uno dei catechisti, Tonino, e farglielo dire a lui) che è quasi inutile il catechismo fatto in parrocchia se non sono i genitori ad essere catechisti.
Oggi sappiamo che questa è la vocazione dei cristiani: di essere ciascuno nel proprio posto, e con le forze che Dio gli ha dato, con la grazia che Dio gli dà, la vita che Dio gli dà, ciascuno deve essere il portatore di Gesù.
Gesù parla e porta la sua luce attraverso .. .. ..
Il vescovo gli ha domandato (me l’ha raccontato ieri il Vescovo questa cosa, quindi io non sapevo proprio niente) e il Vescovo gli ha domandato: ma come ti sei accorto che vuoi essere sacerdote? E lui ha risposto — perché nella mia parrocchia ho visto i sacerdoti contenti di essere sacerdoti.
Allora, il Vangelo passa per la vita, vedete?
Anche a livello dei grandi.
Se io parlo alle bambine, per esempio, della inutilità di comprarsi un paio di stivali in più perché può essere più utile dare l’equivalente di quegli stivali ad una famiglia bisognosa, se glielo faccio io questo discorso, sembra un discorso da vecchio, un discorso da prete : Uffà!. Ma se è una bambina che dice ad un’altra bambina: papà e mamma volevano donarmi un paio di stivali nuovi, io ho detto che vanno bene quelli dell’anno scorso, diamo qualcosa a chi non ne ha, allora l’altro resta colpito, perché Gesù parla in quella bambina.
Ed è in questo senso che dobbiamo prendere con tanta riconoscenza il fatto che oggi Vincenzo Caramia riceve il ministero del lettorato, Lui, padre di famiglia, lavoratore, impegnato dal mattino fino a sera tardi nel suo lavoro alle Ferrovie dello Stato, padre di cinque figli … ne avrebbe di che fare! E tuttavia chiamato da Gesù a diventare uno che nella comunità dice il Vangelo.
Si fa una scoperta. Perché sei nelle Ferrovie dello Stato, per guadagnare uno stipendio? No, Gesù ti ha messo lì per dire il Vangelo.
Perché sei sposato e sei padre di figli, per avere una sicurezza e per avere una discendenza? No, per insegnare alla comunità il Vangelo di Gesù.
Allora ogni battezzato ha dentro di sé questa chiamata ad essere Gesù che dice il Vangelo al mondo di oggi che tante volte .. .. ..
Il segno di Vincenzo Caramia noi dobbiamo leggerlo bene. Non dobbiamo fare l’errore che facevano i cristiani nel passato: quella parrocchia funziona bene perché c’è un parroco che fa bene la predica. No, sarebbe, un errore cattivo, sarebbe come una distorsione, sarebbe come un dire: adesso sappiamo che in parrocchia c’è l’evangelizzazione perché c’è il lettore, perché c’è Vincenzo Caramia. No.
Il Signore ci dà questa grazia di avere un laico che riceve il ministero del lettorato per farci capire che tutti, tutti siamo chiamati ad essere evangelizzatori.
Ecco, questa è una cosa molto importante.
Allora, la luce di Gesù che splende oggi nella festa dell’Epifania deve diventare nostra.
Io penso che questo è quello che la Chiesa ci propone di accogliere nella Messa di oggi e la ragione per cui dobbiamo pregare.