La Storia di Piedigrotta
Sommario
Origini tra tradizione, storia e leggenda
L’atto di nascita del nostro santuario non è nei manoscritti e nelle stampe antiche ma fonda sulle ali della tradizione popolare che, quando ha i giusti caratteri, è anch’essa una delle fonti della storia.
La tradizione assegna le origini del santuario ai primi tempi apostolici e, quindi, con la nascita del Cristianesimo.
Da Petronio Arbitro (nel “Quo vadis”) siamo venuti a conoscenza che ai piedi della grotta, nelle vicinanze della tomba di Virgilio, esisteva un tempio dedicato a Lampsaco, dove di notte si celebravano lubrici riti pagani al ritmo di canti fescennini. (Tali canti costituirebbero i primordi di quella che poi diventerà la canzone napoletana).
Dopo che S. Pietro, nel 44 d.c., portò a Napoli i valori spirituali del Cristianesimo questi, dai primi convertiti dalle sue predicazioni, vennero posti sotto la protezione di Maria nella sua espressione biblica: la Donna che schiaccia la testa del serpente. Il tempio di Lampsaco venne abbattuto e sulle sue rovine venne costruita una cappella dedicata a S. Maria dell’Idria (o del serpente).
La prima pagina di storia dell’esistenza della cappella di Piedigrotta è del 1207 quando vennero trasportati a Napoli dalla distrutta Cuma, i resti dei corpi di S. Giuliana e S. Massimo per essere collocati nella chiesa di Donnaromita e nel duomo rispettivamente.
In quell’occasione viene esplicitamente riportato in un documento, ancora conservato nel Monastero di Donnaromita, che durante il viaggio, il corteo fece tappa alla Chiesa di S. M. di Piedigrotta per passarvi la notte e proseguire l’indomani.
Dopo questo, numerosi altri documenti testimoniano la presenza di una chiesa dedicata a S. M. di Piedigrotta (Petrarca, Boccaccio, antichi registri angioini, antiche cronache,…) come pure che tale chiesa veniva anche chiamata di S. M. dell’Idria in quanto la si riconosceva originata dalla primitiva cappella.
In merito a quest’ultimo appellativo (Idria) qualcuno lo spiega come provenire da “Odigitria” che nella chiesa ortodossa, per motivi diversi, è il nome di una icona rappresentante la madonna (la tradizione vuole sia stata dipinta dallo stesso evangelista S. Luca) che indica il Bambino che porta in braccio e che quindi significa colei che “indica la via” in quanto Cristo è Via, Verità e Vita.
Tale spiegazione, molto bella e suggestiva, e calzante all’immagine della Madonna di Piedigrotta che, infatti, con una mano indica il Bambino che ha sulle sue ginocchia, induce a pensare che la presenza della edicola è da far ascendere all’VIII secolo in quanto l’esistenza di tale icona della Madonna è stata resa nota in occidente solo dopo il 727 cioè durante la persecuzione iconoclastica ad opera dell’imperatore d’oriente Leone III Isaurico. In quell’occasione molte icone sacre furono portate in occidente per salvarle dalla distruzione.
In base a tali notizie si può far datare la presenza di un “sacello” (un’edicola appena) all’uscita della grotta di Pozzuoli dopo il 727, e la costruzione di una cappella, ad opera dei pescatori di Mergellina, per soddisfare le esigenze di un culto crescente tra tale data e il 1207 di cui s’è già detto.
Come si sa le leggende fioriscono in margine alla storia, ma non sono la storia.
Anche il nostro santuario ha una leggenda, ed essa vuole che la Vergine nel 1356, l’8 settembre, apparve in sogno a tre persone contemporaneamente: a un tal Benedetto, prete di S. M. a Cappella, a Maria di Durazzo monaca di Castel dell’Ovo e a un tal Pietro, un eremita, chiedendo loro di costruirLe un tempio ai piedi dell’antica grotta in onore di Dio e suo. Si vuole ancora che proprio durante gli scavi per l’erezione di tale tempio venisse ritrovata la statua della Madre di Dio che ancor oggi veneriamo.
Questa leggenda può ritenersi essere in margine alla storia in quanto essa narra del desiderio della Vergine di avere un tempio degno della gloria di Dio invece di una umile cappellina e di una immagine, forse addirittura murale. Essa però non può essere storia perché è documentalmente certa la preesistenza della cappella.
Boccaccio riporta nel 1349 che la “Madonna de Pede rotto” era a Napoli popolarmente invocata come giuramento.
Tale leggenda deve perciò considerarsi nei termini suddetti e quindi come fiorita sul tronco stesso della storia.
Il primo atto certo, come si è già detto parlando delle origini, che testimonia la presenza di una chiesa dedicata a S. M. di Piedigrotta è del 1207.
In quel periodo storico, Cuma era diventata un ricettacolo di pirati e avventurieri che vi si rifugiavano tra una scorreria e l’altra effettuate lungo tutto il litorale della regione.
Ciò fece decidere ai Napoletani di intervenire militarmente e di distruggerla per mettere fine alle azioni proditorie che subivano da molto tempo.
Fu allora che l’arcivescovo di Napoli, Anselmo, e il vescovo di Cuma decisero di trasferire a Napoli le reliquie di S. Massimo (cui era dedicato il duomo di Cuma) e di S. Giuliana chi vi si trovavano.
Nel 1207 dette reliquie dopo aver fatto tappa alla chiesa di Piedigrotta per trascorrervi la notte, partirono all’indomani in imponente corteo insieme alla badessa e alle altre monache del monastero di Donnaromita, che lì avevano atteso, per dare degna sepoltura, nel duomo, ai resti di S. Massimo e, nella chiesa del monastero di Donnaromita, ai resti di S. Giuliana.
Alla ricognizione delle reliquie presiedette l’abate di Piedigrotta Giovanni Filinga.
Essendo questi fatti suffragati da documenti certi, ne consegue che la chiesa di Piedigrotta doveva esistere già da abbastanza tempo da avere in quell’epoca un clero stabile con a capo un “abate”.
Per altre fonti si sa che nei secoli XI – XIII ci fu il nascere di società e congreghe di sacerdoti che si riunivano in una determinata chiesa a scopo di culto e assistenziale.
Queste associazioni o fraternità facevano capo al rettore della chiesa che li accoglieva, che sovente era un laico, e che spesso aveva il titolo di “abate”. Quindi, nel periodo di cui si parla il titolo di “abate” è da considerarsi un titolo solo beneficiario. Naturalmente, quando si trattava di monasteri, lo stesso titolo di “abate” spettava al capo religioso degli stessi che era un sacerdote.
Essendo in definitiva tutte le chiese soggette all’autorità del vescovo si può affermare che gli “abati” secolari (come cominciarono a chiamarsi per distinguerli da quelli che erano sacerdoti) erano considerati dignitari minori del clero cattedrale e tra questi c’era “l’abate” di Piedigrotta.
La chiesa di Piedigrotta nei tempi di cui si è detto non doveva essere una chiesuola da nulla sia per il fatto di cronaca religiosa svoltosi, sia perché la presenza di un abate presuppone una comunità religiosa addetta al culto e anche all’assistenza di poveri. Si sa, infatti, della presenza di un ospedale, probabilmente dovuto alla generosità di Federico II, di cui si ha notizia in altri documenti.
Tali documenti (essenzialmente strumenti notarili), ci dicono che nel 1276, ai tempi di Carlo I d’Angiò, la chiesa era sotto la giurisdizione di un abate secolare il quale era anche il rettore dell’annesso ospedale. In registri angioini si legge ancora che nel 1316 nella chiesa di Piedigrotta si celebrava la festività dell’Annunziata e che in essa vi era un ospedale di poveri.
Nel tempo si parla sempre meno dell’ospedale e viene a darsi sempre maggior importanza alla chiesa come santuario mariano per i pescatori e il popolo di Mergellina.
Con la fine della casa sveva, avvenuta nel 1268 con la decapitazione di Corradino in piazza mercato, comincia un periodo in cui viene individuata una crisi nel culto nella chiesa di Piedigrotta.
La munificenza del “grande” Federico aveva avviato opere di assistenza (l’ospedale) che avevano contribuito alla conoscenza della chiesa e al diffondersi del culto, mentre l’avvento dei primi re angioini, essenzialmente soldatacci preoccupati solo a controllare un regno che avevano acquisito con la forza, non fanno registrare interventi di alcun genere.
Bisogna attendere la morte di Carlo II lo zoppo, avvenuta nel 1309, per vedere un nuovo rifiorire ad opera del suo successore Roberto il saggio.
A differenza dei suoi antenati questi era una persona amante, più che degli affari di stato, delle lettere ed arti e sotto di lui il regno godrà di un periodo di pace, sviluppo e rinomanza. Insieme alla moglie (Sancia di Maiorca) si diede ad opere assistenziali di cui c’è ancor oggi memoria.
In questo periodo le cronache fanno numerosi riferimenti alla chiesa in quanto sulla strada che portava fino ad essa, e che i sovrani percorrevano di sovente, vi erano delle scuderie di cui si servivano.
Il Villani nella “Cronaca di Partenope”, redatta dopo il 1326, parlando della morte di Virgilio dice che fu sepolto nel luogo chiamato “Sancta Maria dell’Itria, al presente Sancta Maria de pedegrotta”.
Risulta da ciò chiaro che alla località nota come S. M. dell’Itria si era sostituito il nome di S. M. di Piedigrotta.
Il mecenatismo di re Roberto richiamò alla corte angioina i più grandi artisti del tempo che non mancarono di fare riferimento alla chiesa di Piedigrotta a testimonianza di qualcosa notissimo in città.
Fra questi vi furono Petrarca e Boccaccio.
Petrarca venne a Napoli perché prima di essere coronato poeta in Campidoglio ci teneva ad essere esaminato da re Roberto avendone in gran stima la sua fama di letterato.
Fu un esame durato tre giorni. Dopo l’esame si fermò a parlare col re della grotta di Pozzuoli e del fatto che si riteneva che la stessa fosse stata costruita grazie ai poteri magici attribuiti a Virgilio dalla leggenda popolare.
Racconta che all’uscita della grotta su un terrapieno c’era la tomba di Virgilio e sullo stesso terrapieno un “breve ma molto devoto sacello. E subito alle falde del monte, sulla riva, il tempio della Vergine Madre. Cosicché accade che grande è l’affluenza dei naviganti”.
Boccaccio venne a Napoli richiamato dalla fama di Roberto e vi rimase dal 1327 al 1340. Pare che prediligesse la zona di Mergellina e, visitando la tomba di Virgilio, ricevesse la “chiamata alle Muse”.
Scrivendo una lettera in napoletano, nel riportare un giuramento, nomina la “Donna de pederocto”, a segno di un’abitudine locale abbastanza in uso.
Anche per testimonianza di due delle maggiori glorie letterarie nazionali si può quindi affermare come fatto storicamente accertato che tra il 1326 e il 1343 la devozione popolare alla Madonna di Piedigrotta era fiorente ed a maggior ragione più tardi, quando, costruito il nuovo santuario, il Petrarca nel 1358 può alludere alla grande “affluenza giornaliera” di popolo e marinai.
Sotto la protezione di Roberto d’Angiò prendono nuovo impulso tutte le opere assistenziali e religiose.
Anche a Piedigrotta si riscontra in questo periodo la presenza di un clero ufficiante e la presenza di abati che hanno lasciato traccia delle loro capacità di cui beneficiò anche lo stesso santuario.
Nel 1340 fu abate e rettore Marino Brancaccio molto noto alla corte angioina in quanto consigliere di Luigi di Taranto.
Gli successe il fratello Nicola Brancaccio che fu anche segretario della regina Giovanna. Fu poi chiamato da Urbano V alla cattedra arcivescovile di Bari per i suoi meriti politici. Passò poi ad occupare la sede arcivescovile di Cosenza.
Aderì allo scisma di Avignone e seguì l’antipapa Clemente VII divenendo anche vescovo. Ritornò all’osservanza romana alla morte di Clemente.
Ai fratelli Brancaccio si deve la costruzione del nuovo tempio, perché grazie alle loro conoscenze e ai loro meriti a corte avevano influito sulla pietà, la devozione e la munificenza dei reali.
Dai tempi di re Roberto la chiesa di Piedigrotta veniva visitata spesso dai reali che lasciavano segno della loro generosità.
Ai tempi, però della regina Giovanna I d’Angiò ciò avveniva abbastanza frequentemente. La regina, forse sollecitata dagli abati Brancaccio che frequentavano la sua corte, si dimostrò molto devota alla Vergine di Piedigrotta anche perché l’incontro col popolo lungo la strada e le abbondanti elemosine che lasciava affinché fossero distribuite agli accorrenti, le permettevano di svolgere la sua politica di controllo della piazza.
Viene riportato che nel solo mese di giugno 1343 vi si recò, con il re Andrea suo marito, ben sei volte.
Accadde che il 25 novembre 1343 la città di Napoli venisse colpita da un maremoto che venne descritto dai cronisti del tempo come apocalittico. Onde altissime si abbatterono sugli edifici prospicienti il mare e molti furono abbattuti.
Petrarca, che si trovava in quel periodo a Napoli come ambasciatore del papa, racconta che la stessa regina Giovanna si recò, “scalzi i piedi e discinta la chioma”, ad impetrare pietà al tempio della Regina del cielo.
Anche la chiesa di Piedigrotta, trovandosi in pratica sulla spiaggia, subì danni irreparabili e ne conseguì, in quella occasione, la promessa reale della sua ricostruzione.
Questa dovette aspettare per realizzarsi il 1352, perché nel frattempo la regina, che svolgeva una vita viziosa, era incorsa in numerosi incidenti che la portarono ad ordinare la morte del suo stesso marito suscitando il conseguente risentimento del fratello di lui, il re Luigi d’Ungheria che invase il regno, la costrinse a fuggire in Provenza, e solo lo scoppio di un’epidemia di peste che colpì la città lo convinse a ritornarsene in Ungheria.
Nel 1350 la morte in circostanze sospette del primo figlio Carlo Martello, nipote del re d’Ungheria, causò una nuova invasione da parte di quest’ultimo e che la costrinse a subire un processo da cui uscì assolta e si potè poi finalmente dedicare al regno.
Nel 1352 ebbero inizio i lavori per la ricostruzione della chiesa e la regina ricominciò a frequentarla anche perché provata dalla morte, avvenuta nello stesso anno, della figlia Francesca.
Il 1353 viene considerato l’anno in cui terminarono i lavori. Con questa data si ritiene che la chiesa venisse dedicata alla natività di Maria, festeggiata l’8 settembre (giorno presunto dell’apparizione), e si iniziasse a venerare la statua lignea arrivata fino a noi e che la leggenda volle miracolosamente trovata durante lo scavo per la costruzione. Precedentemente si ritiene che la chiesa fosse dedicata all’Annunciazione di Maria.
Dopo la ricostruzione fu chiamata: “Real Chiesa di S. Maria di Piedigrotta”.