L’amore malato, ovvero, La coppia che scoppia
i rimedi; la ricostruzione; l’abbandono; la consolazione della vicinanza
coniugi no ma genitori sì
10 marzo 2007
Intervengono:
Vincenzo Orefice: mediatore familiare
Don Giovanni Sansone: sacerdote
Rino Ventriglia: psicoterapeuta
Conduce il dibattito: Diana Pezza Borrelli
n.d.r. Questa trasposizione, dovuta alla disponibilità e cortesia di Maria Spagnuolo che ha pazientemente trascritto dalla registrazione effettuata con sapienza tecnica da Carlo De Cesare, vuole intenzionalmente essere più fedele possibile a quanto espresso nell’incontro del 10 marzo, anche nel tentativo di rendere e rivivere il sereno e amichevole clima di dialogo e di confronto che c’è stato quella sera. Ciò comporta anche degli svantaggi, come ad esempio la non scorrevolezza del testo, e qualche disagio nella lettura, poiché si tratta molto spesso di linguaggio verbale arricchito anche da gesti ed espressioni, certamente non riportabili (si è tentato di sopperire, inserendo le note “ndr” in corsivo). In ogni caso c’è il vantaggio dell’immediatezza e della corrispondenza con quanto scaturito quella sera.
Come al solito, chi riuscirà ad andare oltre le prime difficoltà, potrà godere dei valori e delle grandi positività. Ringraziando ancora gli amici che hanno reso possibile questa documentazione, e ringraziando anche voi che ci dimostrate attenzione ed interesse, vi auguriamo buona lettura: che ne possiate trarre profitto, come è capitato a chi c’era all’incontro e a chi ha curato questa trascrizione.
INTRODUZIONE (LINDA)
Benvenuti a tutti. A nome di Famiglie Insieme, iniziativa parrocchiale rivolta agli sposi e alle famiglie, presente qui a Piedigrotta da 11 anni ormai, ringrazio tutti i presenti ed in particolare gli amici che abbiamo di fronte, che poi saranno presentati dal moderatore. Tra le proposte di Famiglie Insieme, oltre gli incontri del secondo sabato di ogni mese, legati da una tematica scelta anno per anno (quest’anno è: “la famiglia: custode della vita”), spicca l’incontro-dibattito con esperti, come quello di stasera. Occasioni come questa esprimono il desiderio di Famiglie Insieme di uscire dall’ambito strettamente parrocchiale per aprirsi a tutto il territorio. Agli esperti abbiamo chiesto di donarci oltre alla loro competenza professionale, soprattutto la loro esperienza di vita. Lo scopo di questo incontro è di favorire una crescita nella consapevolezza personale e nella coscienza sociale, poiché siamo convinti che questo ci aiuti, personalmente, nella coppia, nella famiglia e nella società a progredire nella comprensione, nella misericordia, in una parola, nell’amore. Siamo ormai al IV incontro-dibattito: dopo aver trattato l’adolescenza dei nostri figli, l’attenzione al territorio, nel dicembre 2005 abbiamo già affrontato il tema della crisi coniugale di cui si sono sottolineati principalmente due aspetti: le cause e le modalità. Ma l’argomento è vasto, nella sua drammaticità, e per questo, ci è sembrato opportuno proporre un ulteriore incontro, che prendesse in considerazione altre tematiche legate allo scoppio della coppia. Già il titolo dell’incontro di stasera dà delle indicazioni: “la coppia che scoppia: i rimedi, la ricostruzione, l’abbandono, la vicinanza, la genitorialità”. Gli aspetti da considerare sono molti e difficili, e saremmo illusi e presuntuosi se ci aspettassimo delle risposte certe o delle ricette; chiediamo delle indicazioni, dei suggerimenti, degli stimoli che ci aiutino ad accogliere, a curare, ad accompagnare, e se possibile a prevenire. Siamo certi che i nostri amici “ esperti ” ci daranno una mano. Dopo il loro intervento inizieremo un dibattito che, ci auguriamo sia il più possibile aperto, franco e sereno. Del dramma delle separazioni si parla e si legge tanto, ma secondo noi non se ne coglie abbastanza il rischio, a livello personale e comunitario: la rinuncia al rapporto stabile e all’unità di coppia e familiare può indurre la rinuncia ai rapporti sociali stabili e alla solidarietà; per non parlare delle conseguenze sulla formazione dei giovani e sulle future generazioni. La tematica è assai delicata: ne è dimostrazione l’enorme numero di separazioni e il calo precipitoso dei matrimoni; ci rendiamo conto che c’è il rischio di affrontarla in modo polemico. Per questo, il patto tra di noi stasera è di mettere in pratica i valori che rendono possibile la durata di tante coppie: ascolto, attenzione, pazienza, comprensione, disponibilità e chi più ne ha più ne metta. La parola passa a Diana: è la terza volta che è con noi nei panni di moderatore; le chiediamo di presentarci gli amici esperti ed introdurre gli interventi. Grazie e buon incontro.
DIANA
Grazie a Linda, ma grazie a tutti, anzitutto a voi che siete qui, ma a quelli che fanno un percorso insieme, in questo gruppo di FAMIGLIE INSIEME.
Oggi pomeriggio ho riposato e ho fatto un bellissimo sogno, e ve lo voglio raccontare, perché mi pareva che è quello che mi ha dato la pace rispetto a questo impegno, che mi viene chiesto e ogni volta mi dico: “ma come mai?”
Ho sognato che ero in una specie di piccolo e antico borgo, ero con Antonio mio marito, eravamo seduti su due sedie, così su queste scale di questo borgo e passavano e si avvicinavano a salutare Antonio e me tante famiglie, tante coppie di cui ce ne era una in particolare con un uomo grosso grosso e questa donna piccolina, anziana, che non riuscivano a salutarci tanto litigavano. Allora ci siamo fermati insieme e a un certo punto ho detto: “Sentite, venite vi voglio fare vedere una cosa bellissima” e, attraverso una serie di piccole strade, da questo borgo ci siamo inoltrati su un sentiero, che diventava improvvisamente come una passeggiata, che da una montagna arrivava su tutta la costiera amalfitana e io dicevo: “guardate come è bello! Guardate come è bella!” Ho detto, ma guarda ho sognato quello che io ho in cuore che vuole essere questa serata insieme, nel segno della bellezza, da indicare anche..
Io non sono esperta, sono una donna che fa una fatica, insieme a suo marito da 35 anni, per vivere un impegno matrimoniale, un rapporto che vuole essere ecco: vero, costruttivo, che ricomincia ogni giorno. E anche agli esperti io vorrei domandare, faremo una sfilza di domande, ma non vorrei chiedere tanto delle relazioni, vorrei essere aiutata a penetrare le strade, le vie, le forme, che oggi, in questo terzo millennio, possiamo offrirci l’un l’altro, per fare di questa vita di coppia una realtà sempre più bella, perché è questo quello che mi pare che possiamo offrire a questa umanità anche così in difficoltà.
Ad aiutarci ci sono Rino Ventriglia, che è psicoterapeuta e c’è la moglie Rita, che è qui di fronte, e Vincenzo Orefice, che è mediatore familiare, e anche c’è la moglie Teresa, e Don Giovanni Sansone, che è sacerdote, cioè colui che accoglie i dolori, le titubanze, le angosce e offre speranza.
Ecco, quindi a loro tre noi rivolgiamo una serie di domande, perché le rivolgo io in primis, per essere aiutati a scoprire quali possono essere le strade, le vie, gli strumenti, le modalità per continuare questo cammino con un senso compiuto.
Allora la prima che abbiamo, perché poi abbiamo cercato anche di farlo insieme, ci siamo anche confrontati; come diceva Linda. Questa realtà della crisi è una realtà, noi tutti la viviamo non solo in prima persona quotidianamente, ma nelle nostre famiglie, nelle nostre relazioni: la crisi nella coppia.
Come sostenere una famiglia in crisi? Ma come fare di questa crisi, che inevitabilmente arriva all’interno della coppia, un trampolino di lancio, per poter ricominciare, con una nuova maturità, questo rapporto e questo dialogo e non solo all’interno della coppia, ma con i figli, che tante volte possono essere di ostacolo, (tutti sperimentiamo come alle volte i figli si incuneano nel rapporto tra padre e madre, quasi per conquistarsi un rapporto del singolo), oppure possono essere strumenti e catalizzatori di unità e di dialogo.
Ci sono delle separazioni provvisorie: sono salutari, possono aiutare? Oppure delle separazioni che non sono dichiarate. Quante volte nella famiglia si vive, di fatto, una presenza che però denuncia, è radicata in una assenza di partecipazione, in un’assenza di attenzione all’altro. Siamo tutti ripiegati sui nostri problemi, sui nostri malesseri individuali, sul nostro lavoro e l’altro non è più il compagno o la compagna con la quale vogliamo fare un cammino. Questa è una separazione non dichiarata, ma di fatto è vissuta in tante coppie.
Ci può essere in questa crisi un punto di non ritorno? E poi c’è un problema, siamo nella società della comunicazione, abbiamo tutto dalla televisione, che ci affligge dalla mattina alla sera, il telefono, il telefonino, gli sms, internet, via mail, tutto. Ma io mi domando e ci domandiamo e domandiamo a voi: noi sappiamo comunicare? E che cosa bisogna comunicare quando c’è una crisi? Come si può comunicare con chi, chi è che ci può aiutare? Ecco questa è solo la prima delle domande che Vi faremo. Cominciamo da Rino.
RINO
Giusto qualche spunto perché sono tante domande, ma io inizierei dalla comunicazione.
C’è una realtà da tener presente, che la comunicazione è quella che può accompagnare la coppia nei vari momenti, nei vari passaggi da una fase all’altra.
La coppia la possiamo guardare come un bambino che cresce, che diventa adulto, che vive varie fasi. Allora, il poter comunicare è sicuramente lo strumento fondamentale e tante difficoltà si rivelano come difficoltà di comunicazione; infatti uno dei segnali che qualcosa non va nella coppia e che si vive un malessere è una difficoltà nella comunicazione.
Che tipo di comunicazione è importante avere? Io credo che sia fondamentale una comunicazione intima, cioè una comunicazione che ha due livelli: un’intimità con noi stessi, quindi un’intimità di ogni persona della coppia con se stesso, quindi la possibilità di capire da dove nasce il disagio, da dove nasce il dolore, da dove nasce quella sensazione che qualcosa non va, e poi la capacità, la possibilità di poter comunicare all’altro in profondità.
Io ho visto che molto spesso un atteggiamento frequente delle coppie è: “ è tutta colpa tua”, quindi “è colpa tua se le cose non vanno bene, sei tu che fai così” e quando proprio di recente ho visto una coppia, che, quando hanno cominciato a parlare dei loro problemi: “ma sei tu che fai così, sei tu che non mi capisci, sei tu che quando parlo non mi ascolti, sei tu che pensi ad altro”. Questo tipo di comunicazione, che denota per esempio un braccio di ferro, che denota quindi una competizione, non è una comunicazione che aiuta.
Quand’è che la comunicazione può diventare costruttiva? Quando possiamo comunicare ciò che viviamo rispetto all’altro Allora la possibilità di comunicare la sofferenza: “io soffro perché tu mi privi di qualcosa”, la possibilità di comunicare la paura, la possibilità di comunicare i vissuti emotivi più profondi, permette all’altro di rendersi conto di ciò che noi viviamo.
È diverso dire: “è colpa tua se io sto male” dal poter dire: “io soffro quando tu torni tardi, non ti preoccupi di casa, quando mi privi di qualcosa, perché mi manchi quando non ci sei”. È diverso dal dire: “tu pensi solo a te stesso”. In genere la comunicazione di questo tipo porta a una difesa, perché, quando accusiamo, la risposta è una difesa. Una comunicazione in cui ci apriamo e apriamo il cuore all’altro, aiuta l’altro a comprendere. Questo è importante nella coppia, perché siamo diversi e voi tutti lo sapete, siete diversi, è diverso il modo di vedere la vita, è diverso il modo di sentire. Allora come possiamo. in questa diversità. incontrarci? Lo possiamo fare se comunichiamo all’altro ciò che viviamo, così l’altro lo comprende, perché altrimenti nel suo quadro di riferimento non c’è. Certe cose l’altro le può comprendere nella misura in cui noi le diciamo, poi che cosa succede, che anche quando le abbiamo dette, voi mi direte: “si Rino io le dico, ma poi l’altro continua però in un certo comportamento”, perché non è facile. Una persona mi diceva: “ma io gli ho detto tante volte che vorrei da lui un pensiero nelle ricorrenze, ma lui puntualmente se lo dimentica e non lo fa, significa che di fatto lui non pensa assolutamente a me”. Quando poi questa persona ha capito e loro insieme hanno capito che di fatto il ripeterlo è importante, perché nel modo di voler bene dell’altro non c’è fare un pensiero, c’è preoccuparsi della macchina, di cambiare l’olio, magari il bene viene manifestato in un modo diverso, allora è importante quindi questo livello di comunicazione: poter comunicare ciò che si vive e non accusare. Questo richiede una comunicazione in cui ci sbilanciamo di più. Direi che è più semplice dire: “è colpa tua”, rispetto a manifestare le emozioni, i sentimenti, diciamo la nostra parte più intima, perché quella ci mette in gioco un po’ di più, però questo costruisce.
Poi rispetto al come fare della crisi un trampolino di lancio, credo che la crisi, qualsiasi crisi, si accompagni a qualcosa, si accompagni a un vissuto emotivo profondo: dolore, paure, angoscia, cioè la crisi è la perdita di un equilibrio. Questo può significare: cerchiamo un equilibrio diverso, però è la perdita di un equilibrio Allora io credo che un atteggiamento costruttivo è quello di potersi fermare e guardare in faccia questo e guardare in faccia questo dolore, e guardare in faccia le angosce, guardare in faccia le cose che non vanno, cioè il senso di disagio che si vive e quindi insieme poter parlare di noi.
Allora questo richiede un fermarsi e dare un nome a quello che non va. Proprio come succede in una casa: voi tutti sapete che se si apre una crepa in un muro e viene trascurata, la crepa va avanti, se la crepa va avanti e viene trascurata quella parete a un certo punto minaccia di crollare. Se si riesce a guardare subito quella piccola crepa, si può evitare il crollo. Questa non è una cosa semplice, voi tutti lo sapete. Non è semplice guardare in faccia quello che non va. A volte cosa succede, che scappiamo da questo, allora: “lavorare molto”, “stare molto tempo fuori casa”, può essere una fuga, non sempre lo è, chiaramente è frutto anche di una passione, però può essere una fuga L’altro mi dice, mi diceva una persona, “senti, ma io sento che tu sei cambiato, non sei più affettuoso come prima”. La risposta può essere: “sono un po’ stanco”. Non è una risposta. “Sono un po’ stanco” è una ridefinizione, come viene chiamata, cioè quando non rispondiamo significa che quella domanda costituisce una minaccia, quando noi percepiamo che una risposta è minacciosa automaticamente, inconsapevolmente, non è una cosa volontaria, tendiamo a non rispondere, perché a volte è più semplice far questo, ci sembra più semplice. Però poi la crepa va avanti.
Allora credo che quando l’altro ci dice qualcosa, quando avvertiamo un nostro disagio, penso che possiamo fermarci e dare un nome a ciò che viviamo e poterne parlare, cioè il parlare di noi, che non è come parlare della spesa, dell’affitto, della casa da comprare, di cosa fare con i figli, ma “parliamo di noi, di me e di te”. Che ne dite è semplice o difficile questa comunicazione? Parliamo di te e di me. Voi come la vedete? E’ più semplice parlare della spesa, o parlare della casa da comprare, o parlare di me e di Te. Voi che mi dite?
Allora è proprio difficile questo, però se riusciamo a parlare di me e di te, quella crepa la possiamo curare.
C’è un punto di non ritorno. Il punto di non ritorno è quando abbiamo la percezione, cioè quando dentro di noi abbiamo chiuso. Cioè il punto di non ritorno è quando dentro di noi non c’è più la speranza. Punto di non ritorno, che non significa soltanto un punto, che ci porta alla separazione legale, il punto di non ritorno è anche quello che ci porta a una rassegnazione alla incomunicabilità, rassegnazione a quella situazione. Possiamo anche continuare a vivere insieme tutta la vita, ma un livello di comunicazione si ferma, non riusciamo più a parlare, sentiamo che l’altro non capisce delle cose, la nostra vita deve andare così. Allora il punto di non ritorno io lo definirei come il punto in cui viene meno la speranza; e guardate questa è la cosa, penso, che è opportuno superare, cioè l’importante è che noi abbiamo la speranza, perché noi siamo fatti per la gioia, noi siamo fatti per la vita, la vita è gioia, non siamo fatti per la rassegnazione, non siamo fatti per subire. Certamente lo sappiamo che questo percorso insieme, io vedo coppie di varie età qui, vedo coppie giovani, vedo coppie di mezza età. Allora voglio dire, è un viaggio e sappiamo, dopo 30 anni di viaggio, che questo viaggio ha dei momenti difficili, si incontrano i tunnel, certi momenti sembra che non ci si capisce più, perdiamo a volte il senso, ma come è possibile? Certe cose le viviamo, ma rientrano nel viaggio. Qual è veramente la cosa micidiale per una coppia? È perdere la speranza, perché noi non possiamo rassegnarci a una situazione di sofferenza, se ci rassegniamo a quello e pensiamo: “la mia vita deve essere così”, quello è il punto di non ritorno. Abbiamo chiuso con la gioia, abbiamo chiuso con la ricerca della gioia con l’altro. Questo si può manifestare in tanti modi, nella coppia si può accumulare, accumulare e scoppiare;. quindi voglio dire ci sono certe frasi che denotano uno scoppio:“questa è l’ultima volta, ora basta. Non ne posso più”
Le dite qualche volta queste frasi? Vi vengono? Queste frasi cosa denotano? Ho accumulato tanto dolore, tanta rabbia, un disagio tale per cui sono pronto allo scoppio. Allora dobbiamo evitare di arrivare a quello scoppio. In genere questo avviene quando non ci diamo il permesso di esprimerci per delle paure, per una nostra inibizione, non per una scelta, ma per delle paure. Allora che succede? emotivamente noi siamo fatti così, accumuliamo accumuliamo come un bicchiere, possiamo accumulare dolore, possiamo accumulare rabbia e poi sapete che succede che riscuotiamo, come nei supermercati, come i bollini.100 bollini di rabbia un urlo che sente tutto il condominio. 1000 bollini di rabbia scasso qualche piatto. 10000 bollini di rabbia posso chiudere la porta e andarmene.
Questo è qualcosa da evitare e si può evitare, perché questo è quando la crepa minaccia, minaccia proprio la parete; per evitare questo è importante darsi la possibilità di credere, credere che le cose possono cambiare, credere che insieme ce la facciamo, perché poi è così, cioè voglio dire ce la si può fare; se ci siamo scelti è perché c’è quella scintilla, se ci siamo scelti è perché c’è quella perla, io la chiamo perla, che nell’altro noi abbiamo visto e che l’altro ha visto in noi. Ora, in questo viaggio, a volte può succedere che questa perla si opaca o che proprio questa perla a volte può diventare qualcosa che ci divide, ma quella perla l’abbiamo vista, noi. Quella perla in Rita l’ho vista io, quella perla mia l’ha vista Rita nessun altro e penso che se ragioniamo così, allora la speranza la conserviamo e quella speranza ci indirizza verso la gioia, non ci fa fermare, ma ci porta in quella direzione; noi siamo fatti per arrivare lì.
DIANA Grazie. Passiamo direttamente senza interruzione a Vincenzo
VINCENZO
Potremmo dire in principio era la lite. Siete d’accordo? Già Adamo ed Eva litigavano, quindi il conflitto ci accompagna per tutta la vita. Dove sta praticamente la differenza tra conflitto e conflitto? c’è chi la vede come una risorsa e chi invece vive il conflitto come un momento di distruzione, come un momento negativo, momento per fare del male. Invece il conflitto, la lite è una risorsa sociale. Uno dei segnali, per il mio punto di vista, è quando incominciamo a dire: “io sto zitto perché lo offro al Signore, io non parlo e lo tengo dentro, perché voglio fare un fioretto”. Non è questo il modo di affrontare un conflitto.
Il conflitto va affrontato confrontandosi, ascoltando per primo l’altro, perché parte fondamentale della comunicazione è l’ascolto.
L’ascolto non soltanto di quanto sta dicendo la persona da un punto di vista cognitivo, quindi assicurandoci che abbiamo veramente capito quello che ci vuole dire l’altro dal suo punto di vista, ma anche cercare di cogliere le emozioni che stanno dietro a quanto l’altra persona ci dice; allora è utile anche ripetere quanto sta dicendo l’altro, prima di esporre il proprio punto di vista.
Io parlerò per flash, anche per provocarvi, perché stasera voglio provocarvi, dovete intervenire, dovete essere voi i protagonisti, noi soltanto delle persone che vi fanno riflettere.
Un altro segnale: Lui dice o lei: “io mi arrabbio, perché tu non parli”, l’altro risponde “io non parlo perché tu ti arrabbi ”. E quindi stiamo in un circolo vizioso, dal quale non riusciamo a venirne fuori e poi quando ci accorgiamo che c’è disagio nella relazione, c’è sofferenza, da parte anche di uno solo dei due, è quando ci rendiamo conto che la comunicazione si sta interrompendo. È una comunicazione fatta di lettura del pensiero, “io so quello che lui vuole dire” e poi continuando nella lettura del pensiero aumenta il fraintendimento, l’altro è cattivo, che lo fa per dispetto, per farci del male, e man mano ci convinciamo che l’altro si sta comportando così, perché non ci vuole bene.
Nella comunicazione non è importante soltanto la parola, anzi gli esperti della comunicazione dicono che la parola incide per il 7%. Il 93% della comunicazione è fatta di comunicazione del corpo e di comunicazione paraverbale: “vai pure al cinema” Questa espressione può significare tantissime cose per esempio: “vai pure al cinema vai” (ndr con tono ironico di sfida) oppure “vai pure al cinema vai” (ndr con tono conciliante) oppure detta con un altro tono può significare qualche altra cosa. Avete visto che in un caso dice Vai, però sappi che poi questo mi dispiace, oppure me la pagherai, e nell’altro tono, effettivamente diceva vai, perché mi fa piacere; quindi l’importanza del tono, del timbro di voce, dell’intensità, del linguaggio. Se io dico “Cara dimmi pure” (ndr con il dito puntato) che significa questo, come lo intendete con il dito puntato e con il mio farmi avanti con un’aria aggressiva? Voi non leggete, cioè non sentite quello che io ho detto, “parla pure”, ma vedete il dito puntato e allora dite: il messaggio che mi sta mandando è: “adesso voglio vedere che dici, che ti permetti di dire nei miei confronti”. E’ un messaggio aggressivo e a volte vengono coppie che dicono: “non è vero, questo non l’hai mai detto”. In effetti perché è successo questo, l’altra persona non ha guardato alle parole, ma ha guardato al linguaggio del corpo e ha letto un altro messaggio, quindi quel “parla pure” non l’hanno proprio colto, quindi non è che sono bugiardi, è che non l’hanno percepito.
E, andando sempre per flash: quando si comunica, abbiamo detto, bisogna ascoltare e bisogna distinguere il comportamento dalla persona. Tempo fa, purtroppo non riuscendo a gestire la mia emozionalità, al contrario di quello che dovrebbe fare un buon mediatore, ho detto ad un magistrato: “lei non si può permettere di giudicare le persone anche se fossero i più grandi delinquenti, perché lei può giudicare i comportamenti, le persone le giudicherà Colui che giudicherà me e lei”. Ecco perché dobbiamo stare attenti nel comunicare a non esprimere i giudizi sulla persona, c’è squalifica della persona, dobbiamo limitarci a parlare di quell’atteggiamento e di quel comportamento. Mentre noi invece di soffermarci, (lo facciamo pure con i nostri figli, “…ah, ma tu sei proprio insopportabile” cioè diamo una qualifica negativa a una persona, mentre dovremmo delimitare il campo alle azioni). E’ chiaro: quando parliamo di rapporti coniugali andiamo a finire alla famiglia di origine, l’allarghiamo e quindi parlando appunto, come diceva Rino, si può essere intimi e non conoscersi. E quando c’è una situazione poi di rottura incominciamo a parlare con i nostri figli con l’io e il tu. Dissi una volta a una coppia separata, provate a parlare ai vostri figli col noi e lei rispose: “oh che idea geniale, col noi, non ci avevo pensato”.
Ora qualche concetto ve lo devo dire della mediazione, anche perché io sono innamorato della mediazione, ma a buon conto, perché vedo la differenza tra i percorsi giudiziali in tribunale e la mediazione, e vedo i risultati della mediazione.
La mediazione è un luogo dove non si giudica la persona, la si accetta per quello che è, si guarda alla relazione, si cercano i bisogni delle parti e non le posizioni, dietro alle posizioni si va a cercare i bisogni, e non quelli che si esprimono caso mai così per principio, ma quelli reali, non si cercano torti ragioni, colpe, non c’è possibilità di accusarsi.
Il mediatore trasforma un’espressione, che può sembrare di accusa, riformulando quella espressione in un’espressione che può essere accettata dall’altro; per esempio: “Tu mi fai impazzire”. Questa è un’accusa, cioè noi accusiamo spesso gli altri delle emozioni che noi proviamo, un po’ per scaricarci delle responsabilità e per non dire che non riusciamo a gestire le nostre emozioni, perché di fronte a un atteggiamento c’è chi si arrabbia, chi è felice, chi è contento, chi sorride, chi ride ecc. ecc. Siamo noi responsabili delle nostre emozioni, quindi non possiamo fare questi giochi nella comunicazione di causa-effetto. Allora il mediatore dice “lei sta dicendo che in quel momento lei si sente confuso. Cioè: quando c’è questo atteggiamento, lei si sente confuso; non è questo atteggiamento che la fa confondere”. Allora questo già è più accettabile dall’altra parte. Quindi il mediatore va dietro alle parole, cercando le emozioni, i sentimenti che ci sono dietro e mai cercando torti o ragioni andandosene troppo nel profondo della personalità, ma andando nel presente e nel futuro. Si è vero: lui andava sempre a giocare fuori di sera con gli amici. Tu dici che non è vero che vai tre giorni, come dice tua moglie, ci vai appena una volta alla settimana; bene: ma questo che significa? Che per le prossime settimane, per il futuro tu saresti disponibile anche ad andare una volta alla settimana come dice tua moglie? Alla fine che ci interessa di trovare le verità? Sono punti di vista, sono percezioni di entrambi.
Un esempio che si porta in mediazione è questo, rispetto al percorso legale, attenzione, l’aveva detto già Gesù, se state andando dal giudice mettetevi d’accordo, perché vi conviene a entrambi. Voltaire disse: “due volte nella mia vita stavo per rovinarmi: la prima volta quando ho perso una causa, la seconda volta quando l’ho vinta.”
Il punto di non ritorno è quando noi vogliamo delegare le nostre scelte a una terza persona, quale può essere l’avvocato, chiedo scusa per gli avvocati presenti, per altro ci sono ottimi avvocati questa sera presenti, ma loro mi danno ragione perché è così, io vedo in tribunale persone che si metterebbero pure d’accordo, ma non lo possono fare più, perché litigano gli avvocati e non consentono loro di mettersi d’accordo e tutto questo con danni inenarrabili per i figli, perché i figli non vorrebbero mai essere coinvolti nel conflitto dei genitori, ma lo sono prima perché assistono ai litigi, secondo perché c’è questa alleanza, ricerca di alleanza da parte di entrambi quando non è proprio cattiva nel senso che utilizzano i figli come armi improprie contro l’altro. Alleanza è dire: con chi stai? Sei andato da tuo padre? Non lo si dice con le parole, abbiamo detto che la comunicazione si esprime con il 93% con il linguaggio non verbale, ma la persona, il soggetto, la mamma o il papà, in certo senso esprimendo la propria sofferenza e dando la responsabilità all’altro, chiaramente dice: “a me dispiace se tu stai bene con tuo padre”. Questo è il messaggio che passa. I figli non vorrebbero mai prendere le parti dell’uno o dell’altro e questo è il dramma maggiore.
Un caso in particolare
Noi assistiamo a casi di riconciliazione, anche a volte, tra soggetti, che erano separati da un anno. E’ chiaro che non siamo noi che li spingiamo, noi li aiutiamo a trovare in sè quelle risorse necessarie per ritrovare il rispetto della dignità dell’altro.
Dicevo ad una coppia: “allora adesso qual è la vostra situazione?” “Noi abbiamo deciso di ricominciare e di ricostruire un nuovo rapporto, abbiamo capito che stavamo su una strada sbagliata, vogliamo riprovare, anche se c’erano della situazioni abbastanza serie. Adesso sappiamo litigare, sappiamo comunicare.” “E per i vostri figli qual è stato il vantaggio secondo voi?” e loro hanno detto: “per entrambi il primo vantaggio è che noi non litighiamo più davanti a loro in modo anche acceso, forte, violento; per la bambina, che ha 4 anni, è stato inconsapevole, questo beneficio, vede una maggiore serenità e questo è il vantaggio che prova senza forse esserne cosciente. Invece il bambino di 9 anni ci diceva:”papà, mamma, ma questa settimana non andate in mediazione?”. Eppure il bambino non sapeva nulla, non capiva nemmeno la parola mediazione. Questo era il segnale che il bambino vedeva in questi genitori un modo diverso di rapportarsi, una maggiore serenità e quindi alla fine sono segnali importanti.
Come pure una coppia che venne in mediazione e poi a un certo punto abbandona la mediazione, la ritrovo dopo qualche annetto e mi dice: “guardi dottore noi poi non siamo venuti più, perché abbiamo imparato a litigare, abbiamo capito che quando avevamo due punti di vista opposti non dovevamo fare come prima che ci interrompevamo reciprocamente, ci accavallavamo, ognuno pensava alla risposta che doveva dare, ma per prima cosa abbiamo imparato ad ascoltare, quindi adesso sappiamo litigare, perché il mediatore è prima un facilitatore della comunicazione”. Allora il primo obiettivo è quello: aiutare le parti a ben comunicare, a non parlar per lettura di pensiero, a non parlare per causa ed effetto ecc ecc con altri tipi di distorsioni che ci sono presenti.
DON GIOVANNI
Solo un momento breve, quasi giustificativo: chi mi dà il diritto di parlare a un gruppo così di persone che vivono, nella propria esperienza personale, la realtà della vita di coppia, della famiglia, del matrimonio? Mi veniva un po’ in mente una volta che Paolo VI è andato alle Nazioni Unite, ha guardato l’assemblea e poi ha detto che andava lì a parlare, perché esperto di umanità. In fondo il sacerdote, senza presunzione, può avere un po’ questa definizione di essere un po’ esperto di quello che sta nel cuore dell’umanità.
Parlo da sacerdote, quindi parlo da credente, parlo a nome dell’esperienza, della dottrina, della grande esperienza spirituale e umana della Chiesa.
Una cosa volevo dirvi quasi come premessa: è che mi ha sempre molto colpito nella mia lunga vita, (galoppo quasi verso gli 80 anni): quando si apre il vangelo e San Luca racconta l’inizio della missione di Gesù Cristo, lui nella sinagoga di Nazaret si fece dare il rotolo, la pergamena del profeta Isaia e lesse queste parole: “lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione, mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati”.
E mi sembra che la vostra presenza qui stasera e l’opportunità che ci viene data di pensare a questa realtà della coppia che scoppia sia un po’ la continuazione e l’attualizzazione di quell’ “oggi si compie questa parola” che il Signore Gesù disse chiudendo il rotolo e restituendolo. “Oggi con me si è compiuta questa parola”. Oggi si compie nel presente della nostra storia, come si compiva nel presente di Nazaret tanti anni fa.
Ogni sacerdote sa, per l’esperienza del compito che vive e per l’ascolto della persone che gli si rivolgono, per l’amicizia con le famiglie, ogni sacerdote sa quanto quella dei cuori spezzati sia una folla. Il cuore spezzato certamente si può riferire anche ad altre espressioni dell’immenso dolore umano, però in modo particolarissimo si riferisce a questo tipo di dolore, che è l’amore che finisce, che si ammala, che intristisce, che immalinconisce, sono stati già usati verbi molteplici per indicare questa cosa.
Certo, come diceva Rino, noi siamo fatti per la gioia e quando l’esperienza della fine della gioia entra nella nostra vita, allora lì incomincia una condizione di esistenza in cui c’è l’opposto della gioia, quindi la solitudine, quindi la mancanza di senso della vita, quel trascinarsi, quel buttarsi a capo fitto in qualcosa che dia l’illusione di poter sopravvivere, quel convivere. E’ stato citato Voltaire, ma lui parlava anche di certe convivenze, in cui si può stare l’uno accanto all’altro senza conoscersi, senza amarsi e senza rimpiangersi.
Allora, proprio perché c’è questa sofferenza così diffusa a me sembra molto importante prendere atto della necessità di assumere, come il Signore ha dato l’esempio in se stesso, questa sofferenza per farsene carico e, per quanto è possibile, senza presunzioni nella riconoscenza del sapere che amarsi è possibile grazie a Dio, grazie alla Provvidenza, grazie alla buona volontà di tanti, amarsi è accessibile nell’esperienza umana. Guai se pensassimo che tutti i cuori sono spezzati.. Grazie a Dio ci sono tanti cuori pieni di gioia e tante esperienze positive, felici. Però certamente è compito, io credo, della comunità cristiana, ma anche della comunità umana, cioè di ognuno che abbia a cuore veramente il bene dell’umanità in quanto tale, farsi carico, come è stato detto, senza giudizio, senza condanne, sapendo che le situazioni di sofferenza nella relazione d’amore portano tante volte a solitudini terribili, se mi permettete l’espressione: a volte anche nella stessa comunità cristiana, una persona che ha difficoltà di vita di relazione nella coppia non si sente guardata bene. A volte si incontrano sguardi un po’ diffidenti, a volte si incontrano anche delle espressioni un po’ grossolane, a volte si incontra anche il sacerdote un po’ frettoloso, che non sa dire al separato “assumi la tua sofferenza e vivila davanti a Dio” e magari frettolosamente e grossolanamente contro lo stesso pensiero della Chiesa dice: “non puoi fare la Comunione perché sei separato”.
Allora bisogna pensare veramente a tutto quello che accresce l’angoscia dei cuori spezzati e farla nostra, questa angoscia, per cercare di lenirla, perché poi, se il Signore è venuto per fasciare queste piaghe, adesso lo fa attraverso la Comunità cristiana, lo fa attraverso di noi.
DIANA
Siamo fatti per la gioia. Questa è una cosa che mi ha colpito molto e poi mi ha colpito anche questa essenzialità, questa importanza di saper comunicare. Forse dobbiamo anche imparare a comunicare, dobbiamo aiutarci e Rino è psicoterapeuta e Vincenzo è mediatore.
Ma mi domando: “dove le coppie, che hanno difficoltà e che sono in crisi, possono andare per essere aiutate? e noi come comunità, come diceva Don Giovanni, non solo cristiana, ecclesiale, ma anche civile, come possiamo essere di aiuto a queste coppie che sono in crisi e sono tante?”. Sono tante per varie ragioni, si chiudono in se stesse oppure come ancora veniva detto, cercano di evadere con un eccesso d’impegno, di lavoro, senza andare a fondo e senza cercare di risolvere. Con chi una coppia, che va in crisi, può aprirsi? con quali strumenti? Chiedo questo perché, ascoltando Rino, mi pareva di dover riimparare a comunicare, di dover rimettere a fuoco quali sono i punti di questo mio guardarmi., lui ha detto: intimità con se stesso e intimità con l’altro. Ecco mi domandavo quanto noi riusciamo ad essere in intimità con noi stessi e con l’altro per non lasciare che queste crisi crescano, crescano, crescano, come dicevi tu in 1000 bollini di rabbia e poi esplodono, perché: noi ci aiutiamo con i parenti, con gli amici, con i conoscenti; ma sono i luoghi, le persone più adatte? Per non arrivare proprio poi alla separazione e quello poi è un capitolo e sarà l’ultimo aspetto del nostro incontro, perché anche il giudizio, che diceva Don Giovanni, ci blocca: quante volte anche tra di noi abbiamo difficoltà ad aprirci con libertà e comunicare i nostri fallimenti, perché abbiamo il timore del giudizio dell’altro, abbiamo il timore che i nostri limiti, le nostre incapacità creino un muro.
Io farei un giro brevissimo su questo. Cominciamo con Vincenzo questa volta
VINCENZO
Intanto ci vuole una grande umiltà. Il mediatore, la persona che avvicina questi coniugi, deve avere una grande umiltà e quindi deve stare molto attento a dare consigli.. Io sento persone che vengono da me e che dicono che si sono rivolti o ad amici, o a parenti o anche a volte ad avvocati ecc e di tanto in tanto sento dire: “mi hanno detto: guarda che tu devi lasciare questa persona, tuo marito, tua moglie”, con una grande facilità, ma oserei dire irresponsabilità..
Il mediatore non dà consigli, il mediatore, dicevo prima, aiuta le parti a trovare in sé quelle risorse positive che ci sono, per far emergere di nuovo la dignità della persona e quindi non dà assolutamente consigli, perché già sono pieni di consigli.
Io mi permetterei, rubando a Don Giovanni un po’ il suo ruolo di sacerdote, anche di portare un esempio particolare. Intanto vi faccio una domanda: con una signora dei quartieri spagnoli che è pluridivorziata e che adesso convive con un altro uomo, come vi comportereste voi per aiutarla, è in una situazione comunque non di gioia, non di soddisfazione. Cosa fareste? Come vi comportereste? Ebbene, noi abbiamo un esempio bellissimo di comunicazione, dal quale io ho imparato tanto: l’esempio di Gesù con la samaritana. Ve lo ricordate, una donna disprezzata dai giudei, una donna che nessuno avrebbe avvicinato come giudeo, alla quale invece Gesù si avvicina e, con un grande atto di umiltà, le chiede da bere. Gesù si sta mettendo sullo stesso piano di questa donna, ma senza rinunciare alla propria identità, perché dopo lo dice, le fa la domanda con molta delicatezza: “dov’è tuo marito?” e lei si apre subito, perché capisce che è accolta e parla dei cinque mariti, parla del convivente attuale e Gesù dopo, con molta delicatezza, ma dicendo, come dice anche il nostro Santo Padre: “attenzione: per aiutare gli altri non dobbiamo perdere la nostra identità. Ciò non significa aiutare gli altri e fare del bene agli altri.” Dobbiamo, anzi, mantenere la nostra identità, quelli che hanno paura dei diversi o di quelli che hanno altri principi, altre religioni hanno paura del nostro vuoto, della nostra ambiguità, ma hanno un grande rispetto della nostra dignità. Diceva Musharaf quando andò a fare le condoglianze al nunzio apostolico che adesso sta in Iugoslavia, ma all’epoca stava in Pakistan, Mons. d’Errico: “io ho conosciuto il Santo padre Giovanni Paolo II, non lo capivo bene perché erano gli ultimi mesi di vita, ma era una persona diversa emanava una luce”. Detto da un mussulmano convinto.
Ecco, noi dobbiamo essere queste persone diverse, queste persone, che emanano questa luce e la luce si emana avendo un grande rispetto dell’altro, ma senza rinunciare alla nostra identità e ad esprimerla. E Gesù lo dice: “guarda che verranno giorni in cui né su questo monte, né a Gerusalemme si adorerà Dio, ma in Spirito e verità”. Cioè dice tutto quello che doveva dire, ma con un grande rispetto della persona, con grande umiltà. E questa persona se ne va entusiasta, non l’ha ferita, non l’ha umiliata, la poteva anche mortificare, non l’ha fatto. Il risultato è che la samaritana si sente accolta come persona, capisce che è chiaro che non sono condivisibili i suoi comportamenti, se ne va. Se ne va entusiasta, addirittura lascia la brocca lì vicino al pozzo
Quindi è questo lo spirito con il quale bisogna aiutare le persone, aiutare le coppie, anche quando lo facciamo in modo amicale o parentale. Prima si andava dalla persona autorevole della famiglia, l’avvocato, il notaio, il farmacista o chi per esso e quella era l’ultima parola. Oggi non c’è più la famiglia allargata e quindi c’è bisogno di queste nuove figure.
Disse una coppia, un architetto e un’ insegnante, che vennero da me. Lei alla fine del percorso disse: “io sono stata; all’epoca cercavo degli amici per essere aiutata, mamma mia, trovai tante persone che avevano gli stessi problemi miei, quanti conflitti, di cui non me ne ero accorta.”
Tra parentesi mi ha detto un avvocato collega, perché è mediatrice, di Brescia, che a Brescia ogni giorno nel tribunale ci sono trenta separazioni, ogni giorno fino al sabato; sono sei giorni alla settimana. Quindi veramente è un dato che deve far riflettere noi cristiani, sia per quanto riguarda noi in prima persona, sia per quanto riguarda la nostra comunità, sia per quanto riguarda questa sofferenza.
Non possiamo chiudere gli occhi e io perciò ringrazio veramente Don Giovanni in primis, ringrazio FAMIGLIE INSIEME, ringrazio tutti voi, perché siete sensibili. Si ha timore di parlare di questo, ma perché? Noi dobbiamo mantenere la nostra identità, noi crediamo nel valore del sacramento, ma abbiamo quella umiltà di aspettare i tempi, di dare questa manifestazione soltanto col nostro esempio, con la nostra vita e con la nostra disponibilità verso il prossimo. Non siamo persone che giudicano, siamo persone che accolgono e che pregano il Signore perché queste persone arrivino a trovare la gioia piena, perché non ne sono consapevoli.
DON GIOVANNI
Dall’esperienza di ascolto, volevo dire qualcosa sulle cause dello scoppio, sulla possibilità di aiuto. Mi pare che sia condivisibile da credenti e non credenti una riflessione da fare personalmente per i problemi del nostro tempo e da proporre anche quando ci si incontra con persone che vivono situazioni di cui stiamo parlando. C’è bisogno forse di riscoprire il valore di una unità interiore della persona. A volte di fronte alle difficoltà ci troviamo di fronte a una fragilità, non so se si può dire questo, una fragilità dell’io profondo della persona, per cui la persona non ha come capacità di resistenza alla sofferenza. Anche quello che stiamo sentendo e vivendo in questi giorni dice veramente che la nostra società non sa affrontare la sofferenza, non sa affrontarla. La vuole esorcizzare, ma nessuno è disponibile a tenere un sasso nella propria scarpa. L’idea del sasso nella scarpa fa ripugnanza, per cui o la situazione funziona a pieno giro, a tutto campo, altrimenti la si butta via.
Ci sono forme così di intolleranza verso l’altro, che sono espressione della incapacità di tolleranza, allora l’amore all’umanità deve diventare forse (questo è un sevizio, forse quello profetico della Chiesa, per i credenti,) aiutare l’uomo a ritrovare il proprio io, perché senza io non c’è relazione, non c’è neanche la possibilità di riconoscere l’altro come tu a cui dare qualcosa.
La seconda cosa, che mi sembra importante per aiutare, è che il singolo e anche la coppia non vivano la presunzione di risolvere da soli i propri problemi. In questo senso mi sembra molto importante avere un’intelligenza di questo nostro tempo, segnato dal cadere delle certezze strutturali, che segnavano la società e anche la Chiesa, la comunità cristiana nei secoli precedenti, e allora bisogna trovare come degli altri punti, in cui si possa respirare in profondità, per ossigenarsi l’esistenza.
In questo senso nella nostra società così complessa anche dal punto di vista della sicurezza soggettiva della fede, della partecipazione alla vita della Chiesa, poi anche in campo civile, in questo distacco dal bene comune, in questa disaffezione dalla politica, in questa mediocrità culturale che ci avvolge tutti, io credo che è molto importante trovare la dimensione dell’insieme. Cominciare a scoprire le persone che hanno magari la nostalgia di qualche cosa che hanno dentro sepolto sotto tanta cenere, che però è ancora quella scintilla di chiamata a qualcosa di grande, di bello a cui non si dovrebbe rinunciare, perché se si rinuncia si resta viventi sì, però nella rassegnazione e non pienamente viventi.
Io credo che anche nella Chiesa stessa si sta facendo l’esperienza di questa appartenenza appoggiata meno sulle rassicurazioni strutturali e più sull’esperienza del costruire insieme.
Questo coinvolge anche le persone, prende dentro anche le persone che hanno un’esperienza di sofferenza nella vita di coppia: Pensiamo per esempio al problema dei credenti che sono divorziati-risposati: Può darsi che dopo venga qualche domanda su questo, però al di là del fatto giuridico, quando la Chiesa dice: questa situazione può essere soggettivamente pulita in te, però oggettivamente non corrisponde al pensiero di Cristo, perciò: tu sei credente, perché sei figlio di Dio, perché sei cristiano, perché sei battezzato; questi sono doni che nessuno ti toglie; tu però non sei in una comunione pienissima con la Chiesa. Allora quando ti trovi alla partecipazione, se senti di partecipare all’Eucaristia della domenica, ti trovi in questa privazione dell’Eucaristia, perché non essendo in una comunione piena, la Chiesa ti dice: è bene che tu non partecipi all’Eucaristia.
Ma se uno va in un gruppo di famiglie che vivono insieme questa sofferenza, e qui andrebbe notata anche una cosa a proposito di quel non giudicare che diceva Vincenzo prima, e che poi è ritornato diverse volte, come veramente le persone che hanno questa sofferenza preferiscono trovarsi più tra di loro, che condividono questa sofferenza, piuttosto che con persone, che magari ti buttano in faccia la loro felicità e loro magari nella loro sofferenza si sentono come un po’ invase dalla felicità dell’altro, quasi fosse un giudizio. Bisogna essere attentissimi quando si incontrano le persone, essere in punta di piedi per il rispetto che è sempre, come diceva Vincenzo, il primo passo da fare (e mi ha proprio rubato l’episodio della samaritana. Però Gesù l’ha vissuto non solo in quel momento, anche quella che era stata presa in flagrante adulterio, in quel momento il Signore l’ha presa per mano, l’ha accarezzata: “vai non ti preoccupare”. Mai togliere la stima, la fiducia nelle persone.) E dicevo: quando le persone si trovano insieme e magari cercano insieme la via del bene, la via della verità, lo cercano anche nel Vangelo. ma non è vero che Gesù ha detto quando due o più sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro? Quella presenza di Gesù nel gruppo non è uguale alla presenza nell’Eucaristia?. Come è importante allora non fermarsi a dire: questo ti è lecito e questo non ti è lecito, perché questo è già un linguaggio da giudice, mentre invece il linguaggio deve essere quello dei fratelli che aiutano a vivere nel positivo la propria situazione negativa. Questo è nell’esperienza della Chiesa e volevo dirvelo, spero di non aver scandalizzato.
RINO
Io volevo aggiungere, a quello che è stato detto, alcune cose. Una domanda che ci può venire: “Quando rivolgersi, a chi rivolgersi?”
Io penso che dobbiamo tener presente che ci sono delle cose che fisiologicamente si vivono nella coppia e ci sono delle cose che possiamo guardare come una malattia.
Quando pensiamo a una coppia e a una coppia in crisi, pensiamo che c’è una malattia in quel rapporto. Non che c’è uno che è malato e l’altro che sta bene, ma guardiamo al rapporto, guardiamo a questa relazione e diciamo c’è qualcosa che non va. Ora questo qualcosa può essere come una malattia fisica: un’influenza, una bronchite, una broncopolmonite, un tumore.
Ci sono per esempio delle situazioni in cui io penso che sia molto importante quello che si diceva prima, dell’insieme; cioè credo che il fatto di poter condividere con altre persone, con altre famiglie quello che si vive, è un aiuto molto importante; cioè proprio la condivisione, perché spesso pensiamo che certe cose le viviamo solo noi, e ci sentiamo sempre più soli. Era molto interessante quello che si diceva prima, il rischio di questa società: è una società in cui viviamo come dissociati tante volte, ci si richiede un’efficienza, una efficacia costante all’esterno, ma il dolore non è consentito, perché il dolore è un freno, perché il dolore richiede un fermarsi con se stessi e non va bene con una società in movimento, in cui è richiesta l’efficienza. Allora poter condividere con delle famiglie quello che si vive, penso che sia condividere il dolore, condividere ciò che non va, credo che costituisca una rete di aiuto. Già il fatto di poterne parlare, di non sentirci soli, sapere che l’altro vive delle cose e sentire che quelle cose le viviamo anche noi e che in fondo appartengono alla fisiologicità della relazione.
Poi ci sono dei segnali (io li elenco soltanto, che secondo me richiedono l’attenzione e conviene rivolgersi poi alla persona competente, al mediatore, allo psicoterapeuta): una rigidità, un conflitto continuo: il conflitto abbiamo visto che è qualcosa di fisiologico, va bene anche il confrontarsi e litigare, ma certe coppie sono strutturate soltanto sul litigio, si sta insieme soltanto per litigare e non si arriva mai a nulla, cioè c’è una sensazione di non arrivare a qualcosa, oppure in una coppia c’è una rigidità di ruoli, c’è chi fa da genitore e magari c’è chi fa da bisognoso. Nella coppia è normale chi dà, ma è reciproco; lo sappiamo tutti, in certi momenti abbiamo bisogno del sostegno, dell’aiuto, in altri momenti è l’altro, lo facciamo insieme. A volte accade che invece questo diventa una modalità rigida. Questo può portare allo scoppio. A volte bisogna stare attenti anche a dei sintomi sessuali, per esempio la mancanza di desiderio, la riduzione del desiderio.
Vi dico questo perché sono come la spia che si accende, c’è qualcosa che non va nel motore, cioè c’è una spia che si accende, c’è qualcosa che non va nella relazione; allora l’aspetto della sessualità può essere quella spia che si accende; il problema è da un’altra parte, non è lì; però, se avvertiamo una mancanza di desiderio, conviene, che ci chiediamo, che ci fermiamo con noi stessi; una difficoltà nell’intimità, parlare in profondità. Ci sono dei segnali, ancora: la paura di esprimersi costante, ho paura di dirgli certe cose, ma che diventa una modalità
Se non riusciamo a superarle, queste difficoltà, anche se ci fermiamo con noi stessi, allora ci rivolgiamo a un terapeuta, ci rivolgiamo a una persona competente che ci possa aiutare.
Si apre il dibattito
LILLY
Rispetto a una cosa che ha detto Rino, io penso che ci sia una via di mezzo tra la speranza e la rassegnazione: c’è una terza strada, secondo me. Quando ci si sposa, evidentemente ci si vuole bene. Quella perla, noi pensiamo di aver trovato la perla, però non c’è una conoscenza profonda, cioè: con gli anni aumenta naturalmente la conoscenza. Io penso che la conoscenza fino in fondo dell’altro fa sì che noi limitiamo quelli che erano i nostri desideri, i nostri sogni di un rapporto di coppia ideale, rispetto a quella che è la vera realtà che viviamo; cioè l’altro ha dei limiti; non è un non volere soddisfare quelle che sono le tue attese. Io penso che ognuno di noi ha dei limiti; quindi bisogna salvare nell’altro la buona fede, cioè: se io penso che l’altro mi dà tutto quello che lui può, anche se non è quello che io desideravo, va bene. Ecco, allora non è un non avere la speranza, no, è un rendersi conto che quello che era il tuo desiderio deve essere confrontato con quello che l’altro ti può dare.
FULVIO
Mi fa piacere che Rino e Rita stiano qui, perché ci possono aiutare a portare il positivo, che abbiamo ascoltato insieme a settembre. Insieme abbiamo partecipato a un bellissimo incontro di famiglie, dove tra l’altro sono state dette delle cose molto importanti, tipo per esempio, la speranza che non finisce di cui Rino parlava.
Io credo che la coppia si costituisce, come ci è stato detto anche a settembre, quando c’è un progetto e la coppia si regge finché c’è un progetto da portare insieme; quando si è fidanzati, quando si è sposati, quando si è in crisi. Se si ricostruisce o si riconosce il progetto comune e si è capaci di portarlo insieme, è una coppia che regge. Questo mi ha molto colpito, è un messaggio che vale per tutti. Un’altra cosa che abbiamo sentito insieme, quando siamo stati a settembre, è la testimonianza di separati. Io spero che stasera venga fuori anche qualche testimonianza del genere, perché mi ha colpito molto sentire che c’è un grande dolore dopo ogni separazione, dietro ogni separazione. Non scopro l’acqua calda, o affermo banalità: denuncio quello che si vuol far passare per normalità. Non è una normalità lo scoppio: c’è un dolore nell’abbandono, c’è un dolore per chi subisce l’abbandono, per chi lo fa e per i figli.
I figli soffrono sempre, forse stasera non è ancora venuto fuori questo discorso, tranne per qualche bella testimonianza che ci ha portato Enzo. Allora io credo che occorra anche riscoprire le priorità. Che cosa significa? Significa che la coppia ha delle priorità e le deve riscoprire. Se la priorità è quella dell’unità, che noi scegliamo nel momento in cui scegliamo il matrimonio, sia civile che religioso, nella separazione, si riesce a fare a meno di questa priorità? Si riesce a fare a meno. Bene, ma nel momento in cui ci sono dei figli, c’è una priorità da riscoprire, che è il bene dei figli. Mi chiedo e vi chiedo: in quel momento c’è un bene superiore al bene personale: è curare i figli; cioè i figli devono soffrire il meno possibile di questa separazione, e ci è stato detto quanto i figli soffrono a seconda delle fasce d’età ed è devastante sapere che nei primi tre anni, questo l’ho imparato con voi, quando il bambino dipende completamente dai genitori, la separazione ha un effetto devastante; e non solo allora.
Però io questo voglio chiederci, chiedervi: c’è qualcosa che può attutire questo scoppio soprattutto per i suoi effetti nei riguardi dei figli, cioè riscoprire questa nuova priorità, il bene dei figli, non farne un’arma nei confronti del coniuge, per quanto possa essere colpevole, riscoprire questa priorità che degli innocenti hanno di crescere serenamente.
Infine, e poi finisco, sono stati delineati i segnali della crisi, i campanelli di allarme. Ci sono, ma, molto spesso, non so perché, Rino forse ce lo può spiegare, noi non li sappiamo vedere, non lo so se abbiamo le fette di prosciutto davanti agli occhi e molto spesso noi non riconosciamo queste cose. Dici “a me non capita”, come in un campo a me più vicino, quello della Medicina, si dice: “ io non riconosco il sintomo, perché ho paura del sintomo, perché se vado dal medico quello mi scopre la malattia”. Ma scoprire presto la malattia può essere il modo migliore per guarire dalla malattia, come ci insegna qualcuno.
Allora bisognerebbe avere anche questa intelligenza di scoprire questo sintomo al più presto per poterlo evidenziare, probabilmente a una persona competente, anche quella è una cosa importante; si parlava di umiltà, ma l’umiltà nasce da chi sa fare il passo di dire: io scopro il sintomo, non ce la faccio da sola, da solo, vado dalla persona competente. Questo ti può aiutare, come può aiutare lo stare insieme; questa è un’altra cosa che abbiamo imparato a Loppiano, dove siamo stati: lo stare insieme oltre alle famiglie, oltre alle coppie, come è nella nostra testimonianza, aiuta moltissimo anche i separati; magari stasera ci viene qualche testimonianza in questo senso, come noi abbiamo avuto e ci ha colpito molto; l’amico che doveva venire qui da Milano, ma purtroppo non è riuscito a venire, ed è il presidente dell’Associazione separati cristiani, ci ha detto proprio questa ricchezza dello stare insieme.
MAURIZIO
Da quello che avete detto, mi pare di aver capito che diamo per scontato che una coppia va in crisi quando la scoppio già c’era. Adesso con i tempi che certamente sono cambiati, anche Don Giovanni richiamava certe solidità precedenti: adesso sono meno radicate, che cosa fare in questo momento per fare in modo che prima che la coppia vada in crisi, la coppia effettivamente esista, perché io ho la sensazione, il timore che si arrivi molto spesso a celebrare matrimoni sia cristiani sia civili,( non è questione della scelta, religiosa o meno), di qualcosa di già temporaneo al momento. Allora non dobbiamo parlare, penso, di una coppia che è andata in crisi, ma di una coppia che non è mai esistita. Ecco, di fronte a queste situazioni, che, secondo me, incominciano ad avere un significativo numero, come poi ci si pone? costruire questa coppia che non è mai esistita o prendere atto che questa coppia non c’era stata mai?
GABRIELLA
Allora io voglio fare una prima parte di intervento e una seconda di domande.
Quello che mi ha colpito e mi è piaciuto molto, è il senso del conflitto come vita, cioè fino a che c’è conflitto all’interno della coppia c’è vita, per cui anche la crisi di fatto è vita, un momento nel quale la coppia sta esprimendo una forte tensione vitale verso qualcosa che è un nuovo accomodamento. Nel momento in cui il conflitto non c’è più, c’è il momento di collasso e possiamo avere varie forme di collasso, più o meno mi vengono in mente, di cui una è la separazione e quindi l’energia della coppia viene dissipata con l’allontanamento dei due coniugi e quindi c’è una nuova direzionalità all’esterno della coppia; un altro è l’implosione, per cui c’è una sorta di anestesia, per cui c’è quello che adesso in linguaggio si dice separati in casa o comunque delle forme di comunicazione-non comunicazione, che si stabilizzano su dei canoni e che di fatto poi dopo non hanno conflittualità ed hanno il collasso della relazione; oppure la comunicazione si interrompe per un motivo qualsiasi, possono essere tanti i motivi e quindi il conflitto diventa interno; nel momento in cui il conflitto diventa interno di uno dei due coniugi o di tutti e due, si scatena una malattia, sia su un piano fisico che su un piano psichico, per cui la coppia si ritrova in un equilibrio, che però è un equilibrio di morte, dove l’uno porta la malattia e l’altro diventa quello che accudisce in qualche modo e quindi si creano queste cose qua. E questi sono alcuni dei casi, ce ne sono tantissimi, possono prendere varie forme: questo collasso e quindi questo conflitto interno, la non comunicazione, magari l’anestesia dell’altro e del prendersi cura in questa stabilità.
In una situazione del genere, che sono tante, come intervenite?
RINO
Hai fatto una suddivisione che è interessante. Io, riflettendo sulla suddivisione, pensavo che la separazione la vedo molto legata alla malattia interna, anche come la conclusione, cioè non la vedo distinta proprio dal conflitto interno, perché di fatto c’è tutta una circolarità e quindi c’è.…
Ma guarda, io penso che quando ci sono dei livelli di conflitto, il conflitto sicuramente va considerato, i momenti conflittuali come momenti di potenziale crescita. Credo che però sia importante guardare quei segnali che richiedono l’intervento di un aiuto esterno, perché ci sono dei segnali in cui da soli non ce la si fa. E nel rispondere a te, tieni presente quello che diceva Fulvio, a volte questi segnali non li vediamo. Credo che bisogna tener presente una cosa: in genere, uno della coppia li vede di più. Nella mia esperienza c’è chi li vede di più, c’ è chi li vede e chi non li vede o chi dà un’importanza relativa. Noi possiamo svalutare degli stimoli e delle situazioni a quattro livelli: o possiamo non vederne proprio l’esistenza, quindi svalutiamo che esiste, o ne riconosciamo l’esistenza, ma ne svalutiamo l’importanza, o riconosciamo l’esistenza e l’importanza, ma svalutiamo la risolvibilità, quindi cominciamo non è risolvibile o svalutiamo la nostra capacità personale a risolvere.
Allora noi possiamo fare una svalutazione a uno di questi quattro livelli. Credo che sia importante aiutarsi e qui è importante un ascolto. C’è qualcuno nella coppia che ha l’antenna, per avvertire che qualcosa non va, ce l’ha di più, l’importante è ascoltare quello che ci dice l’altro. Allora se una persona dice: “io sento che tu non sei più come prima”, la persona che risponde: “sono solo stanco” sta svalutando che esiste un qualcosa. Se ci si ascolta, in quel caso, si comincia a guardare a me, a riconoscere che c’è una verità, c’è una diversità di comportamento rispetto a prima, quindi c’è un diverso sentire. Quando si riesce ad affrontare presto questa situazione, insieme si può trovare la strada; quando però non ci si fa io credo che sia importante, subito al più presto possibile, cercare aiuto, condividere e cercare l’aiuto, cercare l’aiuto di uno specialista.
Tu dici il momento in cui già la situazione è avanzata. Quelle sono situazioni molto delicate. Lì ci vuole un intervento di urgenza, perché le situazioni a quel livello richiedono uno specialista competente e quando si arriva lì non è detto che si riesca, perché siamo vicini allo scoppio, cioè quando si va in quella direzione e si è vicini allo scoppio, magari anche andare da un terapeuta può diventare non fruttuoso, è opportuno comunque andarci, però sono quelle situazioni più delicate. Allora io credo che sia importante aiutarsi a cercare di riparare la crepa sul muro quando c’è piuttosto che arrivare a quei livelli.
Ne approfitto, volevo dire una cosa rispetto al rimanere insieme. E’ interessante quello che diceva Fulvio sui figli. Ora è vero farsi una domanda, in fondo i figli sono quelli più bisognosi. Credo che sia importante una cosa, noi per i figli siamo dei modelli. Modelli, allora io credo che si può scegliere anche di rimanere insieme per i figli, però credo che se non si cerca una risoluzione al problema, questo può diventare una scappatoia e diventa inefficace. Allora credo che i figli di che cosa hanno bisogno? non di genitori perfetti, hanno bisogno di genitori autentici, hanno bisogno di vedere genitori che sanno litigare e sanno far pace. Non di genitori che non litigano mai, o che non parlano. Hanno bisogno di vedere che è normale affrontare le cose nel modo che è tipico dei genitori, che ci si può arrabbiare, che si può essere tristi, che si può aver paura, però che si può poi superare. Questo dà speranza ai figli e loro hanno bisogno di questa chiarezza. Allora credo che anche nei momenti di crisi, il fatto che vedono dei genitori che ne parlano, i genitori che comunque anche litigano, che però sono alla ricerca insieme di qualcosa, è un modello molto valido. Vedi, credo che questo sia molto importante: cercare la risoluzione del problema, tenendo presente la responsabilità di essere genitori, che è importante, però di cercarla.
FULVIO
Il problema è la gestione della genitorialità anche dopo la separazione.
Credo che nessuno di noi abbia in testa il fatto che i figli devono essere il collante per un matrimonio in crisi. Assolutamente no. Io penso che il figlio deve essere oggetto di amore in ogni caso e ha bisogno di tutti e due i genitori. Io di questo sono convinto, ma non succede; si sente parlare anche di affido congiunto, è anche una forma legale che sta venendo fuori. In fondo riconosce questa importanza di tutti e due i genitori, in fondo riconosce che il padre, come spesso non succede perché viene escluso, deve essere presente per l’educazione del figlio, per la presenza, ecc. ecc.
VINCENZO
Quando si parla di normalizzazione del dolore in questi soggetti, non si vuole sminuire il dolore atroce, che provano, ma si vuole semplicemente dire che di questo dolore non ci si deve vergognare, nè è un dolore che deve essere nascosto, e che è normale che questa persona provi il dolore. Da questo poi chiaramente a dire che le separazioni sono normali, solo perché sono in notevole aumento, oppure che addirittura i figli dei soggetti separati praticamente sono soggetti che addirittura hanno più capacità di problem-solving, hanno capacità di rapportarsi con gli altri, questo poi andiamo nello sciocco, perché io vi posso raccontare il caso di una ragazza di 28 anni, avvocato figlia di due soggetti separati. All’inizio si presentano insieme, e io vedo che, mentre il padre, che convive con una donna extracomunitaria, parlava alla moglie chiaramente in termini di accusa, in termini negativi e l’altra rispondeva con altrettanta aggressività, la ragazza si commuoveva; a un certo punto io ho interrotto l’incontro e ho invitato prima la ragazza a venire a un incontro personale, individuale e poi ho invitato la coppia.
Ricordo che questa ragazza si commuoveva sempre quando parlava dei genitori. Praticamente lei si trovava con una mamma che, per formazione, non aveva ricevuto un tipo di comunicazione molto espressiva, cioè che è fatta di carezze, di contatti, di coccole, infatti quando abbracciava la mamma, la mamma si ritraeva, perché non era abituata lei stessa alle carezze e quindi siccome stava in affidamento alla mamma, viveva con la mamma, non riusciva a comunicare con lei e nello stesso tempo la comunicazione forte era col padre.
Io cercavo di confortarla dicendo: “però so che il papà appena lo chiama viene subito e lei praticamente lo vede spesso e c’è un bel rapporto anche adesso etc.” E lei mi diceva, sempre nella commozione: “ma non è la stessa cosa, perché quando io torno a casa e voglio comunicare i miei sentimenti, le mie emozioni della giornata, i miei progetti, ecc., non è la stessa cosa quando si ha il papà fuori di casa e poi andarlo a rintracciare in un altro momento per comunicarglieli”.
E mi raccontò: “io una sera sentivo forte il bisogno di comunicare questa mia emozionalità a papà e allora gli mandai un messaggio: “papà vuoi venire a dormire con me nel letto?” Papà non mi rispose e io ci rimasi male; però dopo un po’ suonò il campanello, era mio padre che venne, mi ascoltò, mi aiutò ad addormentarmi”. Questa persona, di 28 anni, era un avvocato, quindi anche a quella ragazza, di quella fascia di età, la separazione produce molto dolore.
Un’altra cosa. Attenzione al cambiamento. La nostra coppia non è mai la stessa, cambia e se noi abbiamo 3, 4, 5 figli, ogni figlio racconta la nostra storia. Non facciamo che la nostra mente sia come una galleria dove ci sono questi quadri dell’altro coniuge e di altri parenti ecc che noi riteniamo sempre uguali. Noi cambiamo continuamente, con l’esperienza della vita, con la nostra relazione, con le relazioni, con la nostra crescita personale; quindi attenzione anche a questo cambiamento dell’altro, a questa diversità.
Le coppie in crisi che si rivolgono al mediatore spesso vengono quando già c’è una situazione di rottura e di non comunicazione cronicizzata, quindi di conflitti cronicizzati, È questa la causa poi delle patologie, schizofrenie e quanto altro, gravi depressioni etc.: la cronicizzazione della conflittualità. Si arriva ad affermare: “io non riconosco più mia moglie, mio marito per la sua diversità, non è più come una volta”.
Però quando vado a fare domande sul perché si sono scelti, quali qualità hanno trovato nell’altro, quali risorse ecc.. noto che loro sottolineano proprio quelle diversità. Quello che all’inizio era una ricchezza, la diversità come ricchezza, diventa un ostacolo, una barriera, non è più una ricchezza.
Non so se mi sono espresso bene e quindi attenzione anche a questo, come pure al senso di appartenenza, che è fondamentale, che molte volte noi cristiani non manifestiamo ai diversi, a coloro che vivono altre religioni, hanno un’altra identità religiosa. Vedo che in noi sta mancando questo senso di appartenenza, che, come anche diceva Rino, Don Giovanni, è fondamentale, perché ci aiuta tantissimo.
DON GIOVANNI
Il recupero della dignità e della unità interiore delle persone è certamente un’urgenza, penso di ogni tempo, ma del nostro tempo certamente. Quando una persona è ben identificata e sa quello che vuole può comprendere una realtà che non mi sembra strettamente religiosa, ma che riguarda l’uomo, cioè la persona vale più della situazione.
Se io scelgo una persona, la scelgo prima e al di là dei suoi comportamenti, che possono essere motivi di difficoltà, di dissonanza, tutto quello che tante volte è la situazione che poi arriva a quei punti di rottura.
Se la persona vale più, allora si può capire, (e qui è il valore religioso, certo, non lo impongo naturalmente, però lo ricordo) il valore del perdono, perché Dio vive il perdono, perché davanti a Lui la persona vale più dei suoi errori. Da questo sentire concretamente che la persona vale più dei suoi errori, nasce la possibilità di ricominciare sempre, in una speranza.
La speranza è un atteggiamento vivo, dinamico, che coglie le scintille anche sotto la cenere, là dove si penserebbe che non esiste più fuoco, invece c’è magari quella scintilla che ha fatto sì che le persone si siano conosciute, riconosciute, scelte, predilette nel momento iniziale.
A me pare che questa è una strada che dobbiamo percorrere: ritorna a quella suggestione di voler risolvere subito, mentre invece delle volte bisogna saper vivere la speranza, anche aiutarci a viverla in tempi lunghi, in tempi pazienti, in tempi perseveranti della speranza.
In questo senso a me sembra che il Signore, da parte sua, ci dà costantemente lezioni di questo suo amore paziente, sapendo aspettare anche le circostanze, magari le ultime circostanze della nostra vita. Proprio recentemente, lo raccontavo qualche giorno fa, ho avuto l’occasione di entrare in una casa dove due persone molto anziane vivevano una convivenza da sessanta anni, senza matrimonio civile, senza matrimonio religioso, perché oppressi un poco della loro situazione, non avevano mai maturato questa scelta. Ho trovato tutti e due credenti e disponibili per l’atto di fede, per cui in casa loro è stata una festa poter, dopo sessanta anni, ritornare alla confessione, alla comunione. Ci siamo anche potuti dire: appena sarà possibile, magari prima di Pasqua, vediamo, celebreremo anche il vostro matrimonio; sennonché dopo una settimana, nella gioia più grande, il Signore ha chiamato lei, che è morta a 94 anni dopo questa vita così lunga. Però: come Dio sa accogliere, sa aspettare.
Io vedo che quando la Chiesa ci dice che anche nel separato cristiano rimane una grazia del sacramento per cui uno è consacrato alla persona dell’altro. Questa grazia di propensione per la persona dell’altro, rimane anche nella condizione di separato e delle volte si vede come un riflesso: a me è capitato anche recentemente, di una signora che mi ha parlato del marito ammalato di cancro, separati da una quindicina di anni e lei mi ha detto “adesso ho capito che è mio dovere di moglie tornare da lui”.
Allora questo vuol dire che c’è qualche cosa. Noi a volte pensiamo ai ricongiungimenti con le gite sul lago, col cuore che fa bum bum, quel sentimento, ma non è in questo senso.
Veramente è scoprire che uno ha ricevuto dal Signore e dalla vita una chiamata ad essere uno che vive per l’altro. Certo, questo nel desiderio deve essere per la reciprocità, però è qualcosa che ci viene proposto come un dover essere. Lo dico, sempre a livello di esperienze fatte, non di teorie da annunciare, perché altrimenti ci sembra, anche all’interno della Chiesa che la parola può diventare un po’ astratta, un po’ giuridica.
Mi viene da aggiungere che in questo senso la separazione è quasi più grave del divorzio, perché è la fine di un sogno, la fine di qualcosa che si è costruiti insieme, la fine di un progetto per il quale si è vissuti. Il divorzio è soltanto la sanzione giuridica di questa cosa che già è avvenuta, ma quello che distrugge tutto è proprio la separazione. Quindi cercare gli elementi per aiutare è importante.
INTERVENTO
Io faccio parte di un gruppo di famiglie in una chiesa del centro storico. Mi complimento con voi per questo interesse per le storie familiari, che vuol essere segno, un po’, della funzione della comunità ecclesiale all’interno della famiglia.
Devo dire la verità, mi confesso, noi non è che abbiamo molto interesse per le famiglie, nel senso che è un gruppo abbastanza chiuso. Praticamente si parla un po’ di servizio, si parla del catechismo, si parla della funzione liturgica, ma non c’è un’attenzione alle giovani coppie, ma vedo intanto che almeno in questa realtà c’è un’attenzione addirittura ai separati. Allora mi chiedo, per rispondere anche alla domanda: Che cosa fare? Perché non ci preoccupiamo delle coppie prima che si sposino, quando si sposano o anche quando iniziano questo percorso di cambiamento, quando iniziano ad avere i primi figli, quando il sistema familiare continua a crescere e continua ad evolversi? Allora spesso anche noi cristiani, diciamo: “come faccio io ad essere testimone per gli altri, come faccio io ad essere uno che ascolta e mette in pratica il Vangelo?”
Spesso noi non ci sporchiamo le mani, perché ascoltare gli altri, accogliere le giovani coppie, se noi siamo delle famiglie, accogliere altre giovani famiglie nella nostra famiglia, questo diventa faticoso, questo diventa difficile, però imparare queste modalità ha un’importanza. Perché, come diceva il terapeuta, spesso parlare con qualcuno può significare combattere la solitudine. Spesso le famiglie in questo tempo sono delle famiglie sole, perché non c’è più la famiglia patriarcale, non c’è più la famiglia che svolge questo ruolo mediativo, che oggi deve svolgere la mediazione familiare.
Non tutte le coppie che vanno in mediazione familiare hanno problemi patologici; spesso non lo sanno, quindi vanno dal terapeuta, già sono stati, come diceva il prof. Orefice, dal terapeuta, dallo psicologo dall’assistente sociale, hanno fatto la terapia di coppia, però poi spesso hanno solo un problema di comunicazione, quindi un problema relazionale.
Quindi credo che noi come famiglie cristiane, non come le famiglie della domenica, (perché poi spesso all’interno delle Parrocchie siamo abituati a vederci come diceva Claudio Lolli la domenica andando alla Messa, con i capi famiglia in testa. ) dovremmo svolgere questa funzione di accogliere le giovani famiglie, accogliere gli altri; sicuramente arriverebbero meno persone in mediazione, meno persone dal terapeuta. Grazie
DIANA
Io ringrazio, concludendo. Non c’è più la famiglia patriarcale, che, abbiamo sentito, a più riprese, era il luogo in cui i giovani venivano accolti, ma anche gli anziani avevano il loro ruolo e anche le coppie anziane. Io su questo batto sempre, tante volte noi prestiamo molta attenzione alle coppie giovani e non curiamo il malessere delle coppie anziane, che ne hanno tanto: non hanno saputo comunicare, sono malate, sono sole. Quando c’è un confronto vero, io sento che non è che l’altro mi dice che cosa devo fare, è dentro che sento amplificata un’intuizione, una risposta, una vocazione, lasciatemi passare questa parola. Penso che noi dobbiamo riscoprire a livello ecclesiale, ma anche civile, forse, questa dimensione di dialogo più allargato e di sostegno alla realizzazione di questo difficile cammino della coppia.
Lì sarà più facile aiutare i giovani, prepararsi, anche come diceva l’ultimo intervenuto, ma anche gli anziani a sentirsi utili, perché diventano un modello, i soli, e non dimentichiamo la vedovanza: una volta ho sentito dire una trinità spaccata, la solitudine della vedovanza, il separato, il divorziato, colui che subisce; in una famiglia se c’è questa relazione, tutti abbiamo la forza di rispondere a quella vocazione, che riscopriamo dentro di noi grazie a questo clima di umiltà, di ascolto, di condivisione e non di giudizio e non di superficialità.
Io sono contenta che sia stato detto con tanta franchezza, possa essere anche tra realtà parrocchiali questo aiuto, questo scambio; perché no, una realtà che ha avuto un dono di più presenze di coppie di famiglie, quindi un’esperienza, come ce l’hanno loro da decenni per la famiglia. Magari nel centro storico ci capita di avere un’esperienza più sul sociale, sul doposcuola, sull’assistenza e aiutarci per fare anche della Chiesa una famiglia allargata, perché credo che questo sia il nostro desiderio, il nostro sogno, il nostro dover essere. Io penso che qui noi finiamo, ringraziamo tutti e ascoltiamo il commiato
LINDA (CONGEDO)
A nome di Famiglie Insieme, ringrazio ancora tutti quelli che sono intervenuti nel dibattito, e particolarmente gli amici che ci siedono di fronte, ai quali vogliamo lasciare un piccolo segno tangibile della partecipazione a questo incontro e della nostra riconoscenza: l’oggetto che doniamo è una piccola scultura che rappresenta l’unità della coppia, quella che propone il Matrimonio; la sua origine è piena di significato: viene dall’Africa, ed è frutto del lavoro dell’uomo, che scolpisce la pietra, e della donna, che la leviga fino a darle quella perfetta superficie che contraddistingue l’oggetto, quindi segno dell’impegno e della collaborazione nella coppia, che dà frutto, ed è fecondo. Abbiamo scelto questi oggetti, anche perchè parte di ciò che si ricava dalla loro vendita è destinato alla costruzione di un ospedale in Tanzania.
Vi devo confessare che mai finora un incontro-dibattito è stato preparato da tanti incontri preliminari come è accaduto per questo; è un ulteriore segno dell’attenzione e della delicatezza dell’argomento. Ci ha colpito molto quanto ci ha rivelato un amico separato di Milano (che avrebbe voluto esser qui stasera, ma ci ha assicurato la sua presenza spirituale): egli, oltre ad invitarci caldamente a non parlare di separati, ma a far parlare i separati, ci ha detto che proprio nella separazione ha scoperto tutta la bellezza, la grazia e la ricchezza del sacramento del Matrimonio, quasi come Adamo ed Eva quando scoprono quanto hanno perduto rinunciando al Paradiso. Le sue parole ci hanno confermato quanto sia necessario comunicare queste cose soprattutto a chi si sta apprestando alla scelta matrimoniale, e a chi sta cominciando a scivolare nel pendio della crisi. Crediamo che la migliore cura sia la prevenzione. E allora, oltre che nei corsi di preparazione al matrimonio, quando i giochi son già fatti, stiamo tentando da 3 anni di testimoniare specialmente a coloro che hanno ancora tutta la possibilità di operare una scelta consapevole e libera da condizionamenti, ai fidanzati ancora lontani dal Matrimonio, gli innamorati come li chiamiamo, la bellezza e la grazia dell’amore fedele, unico e forte. Questi sono i valori e la testimonianza che ci danno, ringraziando Dio, tante coppie di sposi, e la sensibilità della Chiesa in questo senso è grande, se recentemente ha voluto riconoscere la santità di una coppia, i coniugi Quattrocchi.
Ma oltre i riconoscimenti ufficiali, c’è tanta santità diffusa e nascosta, e probabilmente anche per questo più gradita a Dio. Dovremmo sforzarci di saper riconoscere il tanto bene vicino, silenzioso come una foresta che cresce, e non rimanere invece scoraggiati dagli ancora pochi alberi che cadono. E’ un impegno per tutti, che vogliamo custodire nel cuore, insieme con quello che abbiamo condiviso stasera.
Infine, anche per l’ambiente che ci ospita, lasciateci proclamare ancora la Buona Novella: Gesù è venuto sulla Terra per tutti, ma specialmente per chi è nel dolore e nella separazione: E allora, anche per aiutarci a riconoscerlo e a testimoniare la sua vicinanza in quel particolare dolore della crisi matrimoniale, vorremmo proporre a tutti le parole di una preghiera composta da un caro amico, don Sandro Canton che ha scelto di vivere la sua vita in missione; questo anche per ricordarci che la missione di noi tutti è stare vicini al prossimo in difficoltà.
Signore, davanti a noi tante persone deluse, sfiduciate,
per un amore finito, una famiglia divisa, un progetto di vita insieme svanito.
Non permettere che in noi il giudizio prenda il sopravvento.
Rendici prossimo a questi fratelli e sorelle che hanno creduto nella fedeltà,
che hanno creduto nella comunione malgrado tutti i limiti, e ci credono ancora.
Fa’ che almeno noi, cristiani, noi Chiesa, riusciamo a
sostenerli ed incoraggiarli verso un nuovo futuro.
Allontana da noi la tentazione di essere severi ed incoraggiaci ad aprir loro le porte delle
nostre case. Signore, c’è forse un dolore più grande del non sentirsi
amati o non essere capaci di dare amore?
Se volete, agli ingressi della chiesa trovate dei fogli dove sono riportate le parole di questa preghiera, anche per mantenere vivo nella memoria e far fruttificare quanto stasera è scaturito da qui. GRAZIE A TUTTI!