31° SINODO DELLA CHIESA DI NAPOLI
“La chiameranno via santa:
avventura di Vangelo, frontiera di carità”
Non tutti sanno che il 28 aprile c’è stata l’apertura del XXXI SINODO DELLA CHIESA DI NAPOLI: tre cortei giunti da punti diversi della nostra città, e guidati dai tre nuovi vescovi ausiliari, sono convenuti in piazza Garibaldi, dove li attendevano il nostro Arcivescovo Don Mimmo Battaglia e il pro-vicario generale del Sinodo Don Gennaro Matino: più di mille persone hanno preso parte all’incontro, di cui 300 erano padri sinodali.
Il cammino della Chiesa di Napoli durerà tre anni. Dopo il giuramento fatto, in quel giorno dai padri sinodali, partiranno assemblee ed incontri in alcuni luoghi significativi del nostro territorio, previste per la seconda settimana di ogni mese, e si concluderanno a dicembre del 2024, con la verifica dei decreti emanati.
È’ il versetto tratto dal profeta Isaia (capitolo 38,8) il tema scelto per questo sinodo: “La chiameranno via santa: avventura di Vangelo, frontiera di carità”, in cui l’immagine del deserto che rifiorisce al passaggio degli esuli, dà l’idea di un rinnovamento che, partendo dal cuore umano, si estende a tutto il creato.
Per l’occasione è stato IDEATO UN LOGO che raffigura la teca del sangue di san Gennaro con all’interno l’immagine del popolo, illuminato dal sole che è Cristo. L’idea è quella di rappresentare il popolo napoletano che vive il “prodigio” di camminare insieme.
Dopo l’ascolto di quattro testimonianze, che rispecchiano il “vissuto” quotidiano in cui la Chiesa oggi è chiamata a confrontarsi e soprattutto a camminare insieme, sono stati portati, presso il luogo in cui è stata proclamata la Parola, alcuni elementi che richiamano il potere evocativo e simbolico dei segni di una Chiesa che si prende cura di chi è ferito: grembiule, catino, brocca e asciugatoio.
L’intervento del nostro Vescovo Don Mimmo, ha preso le mosse dalla pagina del vangelo di Luca, in cui narra l’inizio del ministero di Gesù nella sinagoga di Nazaret, dove legge il rotolo del profeta Isaia che dice: “Lo spirito del Signore è su di me, per questo mi ha mandato per predicare un anno di benevolenza del Signore”. E Gesù commenta: “Oggi si è compiuta questa parola che voi avete ascoltato!
Riporto, qui di seguito, solo alcuni passaggi del suo lungo discorso program-matico. Invito tutti a leggerlo perché ci dà una chiave di lettura del cammino che dobbiamo fare insieme come parrocchie che vivono a stretto contatto con le persone del nostro territorio.
“Chiesa di Napoli, ora sai da dove ripartire: dalle tue periferie, dagli uomini del pane amaro, dagli affamati di tenerezza, dagli esclusi. E ricomporre in unità i frammenti di questo mondo esploso. Isaia esprime la speranza del popolo, desideroso che il Messia venga a prendersi cura dei poveri, scoraggiati da tante cattive notizie, feriti nel cuore più che nelle membra, trattati come prigionieri dagli interessi dei potenti. E annuncia che l’Unto, quando verrà, trasformerà il popolo desolato in un popolo sacerdotale, e consolandolo con la buona notizia lo renderà annunciatore di buone notizie per gli altri popoli.
Medicando il cuore ferito dei fedeli e liberandoli da ogni schiavitù, li farà ministri della riconciliazione e della libertà. Trasformando i loro abiti a lutto con olio di letizia, farà sì che tutti li riconoscano come stirpe benedetta dal Signore.
E Gesù, nel passo di Luca, concentra in sé e fa sua questa speranza. Ne fa un evento del presente. Egli è la fonte costante di questa grazia sacerdotale, sempre disponibile a chi si decide a mettere nelle sue mani la sua fragilità, a chi crede che nell’oggi di Gesù si compiono la scrittura e ogni aspirazione umana.
Il Vangelo sia allora la nostra predicazione, la nostra catechesi, la nostra radice delle scelte quotidiane. Sia tutto fortemente, unicamente, inesorabilmente ancorato e basato sul Vangelo.
Ma la testimonianza è di tutti e per tutti. A ciascuno di voi, popolo di Dio che mi è stato affidato, sento di dire che il compito sacerdotale di Cristo non si è trasferito solo su un gruppo di persone ma su tutto il popolo di Dio: “Ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il nostro Dio e Padre”. L’intero popolo di Dio, ognuno di noi, deve sentirsi unto del Signore e chiamato ad annuncialo per le vie del mondo, a portare la sua speranza, la sua grazia, il suo amore.
Mi sento un viandante e accanto a voi voglio camminare, con la gioia nel cuore, verso la terra dei nostri sogni. E il sogno lo ha disegnato, a Firenze, Papa Francesco: “Mi piace una Chiesa inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà.” È questa la Chiesa che io sogno di abitare: una Chiesa dalle porte aperte a tutti, perché tutti abbiamo bisogno di lei. Una Chiesa dove non si celebrano solo i riti, ma dove si vive e si celebra la vita delle donne e degli uomini, intrisa di gioie e dolori. Una Chiesa in uscita, samaritana, libera, fedele al Vangelo. Una Chiesa povera. Una Chiesa sinodale, in ascolto dello Spirito Santo. Sogno, in questo momento, il cuore di una Chiesa madre che nel suo grembo genera, fa crescere, cura e fa sbocciare vita per la vita.
Desidero una Chiesa che lavi i piedi agli uomini e alle donne senza chiedere nulla in cambio, neppure il prezzo di credere in Dio, o il pedaggio di andare a Messa la domenica, o la quota di una vita morale meno indegna e più in linea con il Vangelo. Una Chiesa realmente prossima è una Chiesa aperta che abita lo spazio della prossimità nel modo dell’accoglienza scevra di previe garanzie.
Prima di decidere cosa fare c’è un tempo di ascolto, di comprensione della realtà. Dare tempo all’altro, darsi il tempo di incontrare l’altro. Il tempo del riconoscimento nella reciprocità. Non è il sentimento di un momento, ma il segno di ciò che già siamo diventati ed è ora il segno del futuro che desideriamo costruire. La prossimità non si insegna, la si riconosce, la si racconta, la si sperimenta
Nell’amore l’umanità ancora ferita, deturpata, violentata, è trasfigurata.
Conosco sacerdoti e religiosi che sanno consegnarsi nel silenzio della gratuità, che fanno della vicinanza alla gente la ragione stessa della loro vita. Incontro tanti, impegnati nel sociale, che indossano ogni giorno il grembiule del servizio; operatori e operatrici pastorali che, nel nascondimento di un’esistenza apparentemente inutile, danno il loro tempo per accompagnare coscienze loro affidate.
È la Chiesa che non ha potere, una Chiesa che non conta, che non si difende, non si nasconde dietro falsi moralismi e strategie pastorali, ma riflette l’immagine della Chiesa comunione in continua ricerca delle coordinate conciliari che la rendono comunità che sa camminare e vuole camminare insieme, costi quel che costi! È la Chiesa del grembiule.
Questa Chiesa invoca una profezia: uscire fuori e gridare una parola che doni libertà e capacità di vicinanza vera, di compagnia autentica. Ripartiamo davvero dal Vangelo: Gesù ha detto che la pietra scartata dai costruttori sarebbe divenuta testata d’angolo. Sento il bisogno di chiedere, a cominciare da me stesso: come mai abbiamo proclamato al mondo una Chiesa dei poveri ed i nostri poveri continuano a rimanere sull’uscio delle nostre chiese, senza entrare, senza trovare spazi? Forse perché sono rumorosi e non sanno parlare?[…]
Non riesco a pensare al mio sacerdozio senza ricordare il volto di poveri, sofferenti, emarginati, che hanno convertito la mia vita dall’illusione di garanzie che non hanno nulla a che fare con il Vangelo di Gesù. Non riesco a pensare al Cristo senza il bene seminato nella mia storia da tanti laici, uomini e donne, e preti impegnati dalla parte degli ultimi. La presenza dei poveri in mezzo a noi non è frutto del caso ma conseguenza dello strutturarsi peccaminoso di relazioni. Le nostre comunità hanno bisogno di una presa di responsabilità condivisa: i poveri ci sono e dobbiamo chiederci perché continua ad accadere. La pandemia e questa guerra assurda stanno accentuando l’inconsistenza di un sistema malato che produce morte. Non possiamo più chiudere gli occhi, non possiamo più rimandare, dobbiamo scegliere quale stile di vita preferire. La nostra fede ci chiede onestà di sguardo. Una Chiesa che si desidera povera, sinodale, in stato permanente di missione, è chiamata a compromettersi con la vita, con il Signore, con le fatiche degli uomini e delle donne di questo tempo. Il discepolo di Gesù non fugge la povertà e i poveri: li sceglie. Questa cura radicale da vivere e da scegliere è il segno più vero dell’amore di Dio in noi. Siamo chiamati ad abitare la complessità di questo tempo.
Se accogliamo la speranza dei poveri e impegniamo la nostra vita ad ascoltarla e metterla in pratica, si rivelerà a noi e al mondo intero la giustizia di Dio. Convertire lo sguardo vuol dire riconoscere l’efficacia della vita del giusto, dei crocifissi della storia, quale lievito di cambiamento, annuncio della vita compiuta nel far vivere. Al povero spetta sempre il primo posto per giustizia. Il cammino è lungo perché si tratta di un cambiamento di prospettiva, di mentalità, di criterio.
I segni concreti di questo rinnovamento saranno il dialogo, il confronto, l’ascolto reciproco, l’andare incontro a tutti senza predeterminare situazioni e persone.
Siamo chiamati a vivere nell’orizzonte di un sogno, un sogno di Chiesa che sa liberarsi dalla tentazione della sopravvivenza. Un sogno di annuncio vissuto con fiducia e coraggio. Un sogno di formazione per essere più veri e credibili. Un sogno di testimonianza capace di sporcarsi le mani con la vita e le fatiche di ogni giorno. Allora è tempo di essere credenti inquieti, resi tali dal Vangelo, dall’incontro con il Signore, dall’urgenza che questo incontro fa nascere dentro ciascuno di noi…
È l’invito che vogliamo fare nostro, come comunità che si mette in cammino per celebrare questo Sinodo, ma soprattutto per lasciarci rinnovare dal dono dello Spirito Santo che guida oggi la Chiesa verso strade nuove! Accogliamo questa sfida. Chiediamo a Maria, Madre di Piedigrotta di accompagnarci in questo cammino.