I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2015-2016
“Le dieci parole dell’amore”
d.F.o
Non rubare e non desiderare la roba d’altri sembrano comandamenti similari ma non lo sono. I biblisti osservano che questo comandamento è stato pensato all’epoca perché il popolo aveva bisogno di essere educato. All’interno del popolo ebraico c’erano persone che truffavano gli altri. Questo comandamento invece protegge ogni uomo da chi vuole arricchirsi a spese dell’altro. In Deuteronomio 15 si legge: “Alla fine di ogni sette anni celebrerete la remissione. Ecco la norma di questa remissione: ogni creditore che detenga un pegno per un prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto: non lo esigerà dal suo prossimo, dal suo fratello, poiché è stata proclamata la remissione per il Signore”. È importante non sfruttare gli altri. Dio vuole difendere la sopraffazione dei ricchi nei confronti dei poveri perché la libertà è importante per Dio. Parlando di questo comandamento, il settimo, pensiamo ai piccoli furti di proprietà. Invece il settimo comandamento si rivolge soprattutto a chi ha, utilizza ed abusa il suo potere sugli altri: un imprenditore che impone ai dipendenti di lavorare oltre il dovuto, per esempio, commette un tale abuso. Dove si ruba la dignità delle persone si pecca contro il settimo comandamento; le persone immigrate che vivono senza permesso di soggiorno e vengono tenute in balia di altri subiscono un abuso che è condannato da questo comandamento. Il “Non rubare” rivolge l’attenzione più a cosa si commette contro la dignità della persona che non a quello che si ruba del patrimonio a cui è dedicato il decimo comandamento. I beduini hanno un grande atteggiamento di fiducia; nel deserto ad ogni tribù basta marcare il territorio con una fila di pietre continue per indicare la propria proprietà. Gli altri la rispettano senza invasioni. Altri aspetti di questo comandamento e di cosa significa “non rubare” ci viene dall’insegnamento di Papa Francesco nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”. Il papa conclude molti paragrafi della sua esortazione quasi con un grido: “Non lasciamoci rubare l’entusiasmo missionario!” (80), “non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione” (83). “Non lasciamoci rubare la speranza!” (86), come ha ripetuto anche nella sua visita a Napoli nel marzo scorso. E così in altri paragrafi (vedi 92, 97,101,109) Nella lettera di Giacomo si legge: “E ora a voi, ricchi: piangete e gridate…Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!…Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.” Ed anche nella liturgia di domani il Vangelo ci presenta il giovane ricco che non riesce a distaccarsi dai propri beni. Non è una condanna verso i ricchi ma è la condanna di quando la preoccupazione della ricchezza non ci fa interessare delle persone che ci sono vicino. Anche se non si ruba materialmente si può rubare la dignità degli altri se non ci interessiamo di loro. Come si può rubare all’interno della coppia? Rubare significa far mancare all’altro quello di cui l’altro ha bisogno. Ma possiamo anche mettere in positivo il “non rubare”. Se mi accontento di quello che ho e non cerco di sfruttare quello che mi è stato donato (vedi la parabola dei talenti) questo comportamento è un rubare agli altri quello che poteva essere messo a frutto; ed invece non essendo stato fatto è una perdita per gli altri. Anche questo può essere una forma di furto.
B.a
La prima cosa che mi è venuto in mente è: “quanto mai ho rubato?” Le parole di Papa Francesco “non lasciatevi rubare la speranza” mi hanno molto interrogato perché nel nostro tempo manca proprio la speranza. Ho riflettuto sulla mia vita sociale ed sul mio rapporto con i ragazzi. Valorizzare i ragazzi è stato il mio pensiero durante il lavoro ed anche ora ho la gioia di poter continuare un rapporto con loro anche se sono in pensione. Togliere l’autostima ad un ragazzo significa rubargli il suo futuro. Molte volte ai giovani rubiamo anche il tempo. Se un educatore non dedica attenzione ai ragazzi che ha affidati, ruba il tempo a loro. Occorre anche insegnare loro non solo il “non rubare” ma anche di non disperdere i talenti che hanno ricevuto in dono. E’ il nostro compito di educatori di far germogliare in loro questa realtà. Ho poi pensato a come vivo questo comandamento in famiglia. Nel rapporto con mia figlia mi sono trovata talvolta in difficoltà perché la differenza che c’è tra noi, mi ha imposto di trasformarmi in quella che lei è per non rubare a lei la sua autonomia. Anche in famiglia si può rubare il tempo, per esempio stando al telefono più del dovuto e togliendo spazio la famiglia. Sto cercando allora di condividere con mia figlia le mie preoccupazioni e le mie ansie per farne parte con lei. Penso che sia anche da condannare lo scaricare le proprie preoccupazioni sul marito; significa rubare la pace e la serenità alla famiglia; occorre sapersi controllare. Occorre anche poi non rubare a se stessi. Rubare la propria tranquillità. Ci lamentiamo spesso delle cose che facciamo e non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo perché quelle cose le abbiamo potute fare ed anche che abbiamo intorno a noi qualcuno per cui farle. Cominciare la giornata lamentandosi significa rubare a se stessi. Nel titolo che abbiamo dato a questo incontro avevamo posto l’accento alla legalità e all’onestà. Ho preferito invece interpretare il “non rubare” come il togliere spazio e tempo a chi ci è intorno; ed anche questo può essere considerato un furto verso gli altri.
P.o
A volte mi fermo su alcune cose ed invece potrei fare di più per le persone che sono vicino a me. Forse anche questa è una forma di furto agli altri.
R.a
Rubare il tempo a se stessi e rubare il tempo alla famiglia: qualche volta sono in antitesi. Non è facile nella dinamica familiare scegliere cosa fare: una scelta implica talvolta togliere qualcosa all’altro. Dio ci ha dato il tempo e noi dobbiamo saperlo sfruttare.
S.a
Quello che si fa lo si sceglie affidandolo a Dio. In questo modo la scelta viene di conseguenza; io che vivo da sola con i miei figli, sono sicura di aver rubato il tempo a me stessa per donarlo ai miei figli, ma mi è sembrata la cosa giusta da fare.
M.a
Mi pare che stiamo facendo confusione tra il “donarsi” è il “rubare”. Donarsi per la casa per i figli non è un rubare.
R.a
Donarsi totalmente significa annullarsi per se stessi: in questo occorre trovare un equilibrio.
P.a
Stare qui in questo momento, partecipare a quest’incontro, significa arricchirsi per se stessi per poi donarsi agli altri. E’ giusto esaminare il nostro vivere quotidiano ma dobbiamo anche vivere nel mondo: non possiamo limitarci a vedere solo il nostro ambiente. Dobbiamo aprirci al mondo per renderci conto dei problemi che ci sono intorno a noi.
d.F.o
Pensiamo all’enciclica laudato sii: il papa ci parla dell’ecologia del corpo! Amare il proprio corpo in modo da educarci a rispettare anche quello che c’è intorno a noi. Il papa ci dice anche: “siete amministratori di quello che possedete”. Anche i genitori sono solo dei collaboratori di Dio nella creazione, non padroni dei propri figli.
F.o
C’è un aspetto sociale attuale che non possiamo dimenticare. La realtà in cui viviamo è quella di un appropriazione continua di beni che non ci appartengono. Noi viviamo una realtà dove se pensiamo alla politica non riusciamo a pensare a gente onesta. La legalità e l’onestà non sono valori scontati! Quante tentazioni abbiamo; dobbiamo riscoprire il piacere dell’onestà ed agire di conseguenza evitando ogni tentazione. La nostra società ci sta abituando a vivere in un mondo di ladri.
M.o
Forse ogni tanto fa bene vedere del bene anche laddove non si aspetta di trovarlo. Alcuni anni fa, nell’azienda in cui lavoravo, alcuni operai furono messi in cassa integrazione. Un dirigente della società propose a tutti gli altri dipendenti, non coinvolti in questo provvedimento, di tassarci per ripagare almeno in parte le perdite economiche di quei colleghi. Fu un gesto di solidarietà di grande impatto di coinvolgimento.
G.i
Stiamo rischiando di prendere sensi di colpa invece che non ci competono. in un incontro, don Giovanni ci disse: quando avete dubbi guardate come ha fatto Gesù! Gesù non ha fatto nulla di quello che gli uomini volevano che lui facesse. Gesù ha dato l’esempio. Anche noi dobbiamo dare l’esempio e non farci coinvolgere nelle scelte. Viviamo nel capitalismo e nel consumismo e siamo intrappolati in scelte difficili che ci portano fuori strada.
F.a
E’ quotidiano l’evidenza di uno squilibrio che esiste tra chi ha e chi non ha. In questo siamo chiamati ad una scelta
S.a
Dare l’esempio di acquistare un prodotto che costa di meno ci da la possibilità di testimoniare che possiamo utilizzare diversamente quei soldi per comprare qualcosa per gli altri
M.e
Mi viene da pensare alla frase: svegliatevi cuori addormentati! Don Franco ci ha provocati a vedere questo peccato in maniera diversa. La mia considerazione è di mettersi in ascolto di Dio. Perché lui saprà consigliarci, al momento opportuno, su quale strada scegliere.
Incontro con la dott.ssa Simona Di Monte
Simona ha introdotto l’incontro riferendosi al significato giuridico del “Non rubare”. Ha poi presentato la sua difficile esperienza come magistrato, impegnata in un’area invasa dalla criminalità organizzata.
d.F.o
Introduzione con il testo di Matteo 5, 33-37: Avete anche inteso che fu detto agli antichi: «Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti». Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: «Sì, sì», «No, no»; il di più viene dal Maligno.
Gesù ama la verità e ci invita ad avere un parlare aperto e sincero. Ma non sempre è opportuno dire la verità e perlomeno la completa verità. Un medico per esempio anche nei confronti del paziente deve usare espressioni corrette anche se non è completamente la verità.
Nell’esame di coscienza ci chiediamo se abbiamo detto la verità; ma a volte anche le bugie o le mezze verità a volte sono lecite se fatte per un fine corretto.
La legge mosaica voleva difendere chi veniva accusato da falsi testimoni. In Esodo 23,1 si legge: “Non spargerai false dicerie; non presterai mano al colpevole per far da testimone in favore di un’ingiustizia.”
Anche oggi ci sono ancora falsi testimoni: basta semplicemente diffondere critiche o maldicenze che possono distruggere la dignità delle persone. Oppure la diffusione di notizie senza verificarle. E’ meglio un coltello che una parola: un coltello può sbagliare il bersaglio la parola non sbaglia mai!
Ezechiele dice: chiederò a te conto della morte di tuo fratello. Ed anche in Matteo 18 troviamo la stessa frase.
C’è il pericolo di deformare la verità o creare false verità. È un danno che facciamo alla persona. C’è la parola che incoraggia o quella che umilia o uccide. Una persona vera sincera attira le altre persone ad essere sincere e trasmette quello che lui è.
Bugie e maldicenza inducono a dirne altrettante. Infine Gesù condanna l’ipocrisia. Chiama gli ipocriti sepolcri imbiancati. Occorre quindi valutare bene noi stessi senza sopravvalutarsi e riconoscere anche le debolezza e, viceversa, se conosco le mie debolezze posso agire fino a dove posso. Gesù in Giovanni 8,32 dice la verità vi farà liberi. Se diciamo una bugia quella bugia ci rende schiavi perché dipendiamo da quello che abbiamo inventato quella volta e tutte le nostre azioni ne sono condizionate.
B.a
E’ Il nostro atteggiamento sbagliato ad indurre l’altra persona a dire il vero o il falso. Ho fatto scuola con mia figlia, perché ho cominciato a distinguere cosa dire e cosa non dire. Mia figlia con il suo carattere ha sempre compreso cosa dicevo di vero e cosa di falso. Le volte che ho parlato chiaramente con lei ho avuto maggiormente la sua attenzione. Dopo le prime scaramucce, quando ha capito il mio comportamento, si è e aperta e mi ha sempre confidato tutto. E quindi il nostro atteggiamento aiuta l’altro a non doversi nascondere.
F.o
Sono molte le applicazioni anche in campi dove non entriamo. Le chiacchiere possono uccidere la reputazione di una persona. Mi ha incuriosito che Bruno Forte di gruppi giovanili faceva il quarto d’ora dell’inciucio. Che può essere una di condivisione ma è sempre meglio dell’indifferenza. Nel rapporto col prossimo il pericolo che può venire da un’idea falsa dell’altro ci può condizionare ipotizzando come l’altra persona è fatta. Il comandamento si applica alla famiglia. Nel percorso di preparazione al matrimonio presentiamo ai fidanzati il Tempio dell’amore. E la prima colonna di questo tempio è la lealtà. in ogni rapporto se non si comincia con la lealtà non c’è legame. Nel libretto: I 5 segreti della vita di coppia, al quarto punto c’è l’ora della verità. E’ un appuntamento per dirsi come si è e quello che si pensa dell’altro.
Nella formulazione del comandamento preferisco “non dare falsa testimonianza” a “non dire…” perché coinvolge il nostro essere ed il modo in cui testimoniamo la nostra sede.
F.o
Se la formulazione originaria era contro il prossimo l’aver eliminato questo ha ridotto la forza. Queste situazioni si leggono meglio in confronto al comandamento dell’amore: “ama il prossimo tuo come te stesso”
S.a
Sui posti di lavoro a volte occorre dire una “non verità” perché la verità provocherebbe un danno maggiore. Bisogna guardare più in là della bugia ed occorre capire cosa viene dopo.
D.a
La verità va sempre detta, dipende dal modo in cui la si dice. Nel mondo del lavoro dire la verità molto spesso porta all’isolamento. Dire la verità è un impegno
L’obiettivo è guardare l’altro nel suo insieme e talvolta una mancata verità può avere un effetto migliore. La verità è saper amare una persona. In alcune occasioni la verità diventa cattiva e fa male alla coppia.
L.a
La verità non va detta anche in casi molto forti. Se c’è stato un tradimento in una coppia, se la burrasca è passata tacere la verità può essere di maggior aiuto laddove la verità potrebbe minare alla base la vita di coppia. Spesso è l’invidia il motore per dire falsa testimonianza contro il prossimo.
F.a
Leghiamo questo comandamento anche alla coerenza: ci proclamiamo in un modo e poi non riusciamo ad essere quello che diciamo
Per concludere San Tommaso diceva: la sincerità è una virtù figlia della carità, che fa dire la verità a tempo, a luogo e alle persone opportune.
L’incontro di stasera è dedicato ad una lectio divina; ricordo brevemente le quattro fasi di una lectio divina:
LECTIO (lettura)
MEDITATIO (meditazione)
ORATIO (preghiera)
CONTEMPLATIO (contemplazione)
Leggiamo quindi il brano scelto per questa sera Vangelo di Giovanni al capitolo 8, 1-11.
Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Gesù è a Gerusalemme per la festa delle Capanne, una festa sincera ancora oggi celebrata dagli ebrei; in questa festa si ringrazia Dio per quello che è stato raccolto. Mentre Gesù è nel tempio e insegna alle folle, i farisei trascinano una donna colta in flagrante adulterio. La legge stabiliva che per le donne c’erano due tipi di condanne: per le donne vergini, ancora fidanzate, era prevista la lapidazione; per le donne sposate invece lo strangolamento. Una osservazione viene da farsi: perché viene portata solo la donna se invece la legge stabiliva la condanna per entrambi gli amanti? Agli uomini che conducono la donna, non importa la legge ma piuttosto mettere alla prova Gesù, per avere motivo di accusarlo.
Come accade spesso nel vangelo di Giovanni, siamo chiamati a fare un salto di interpretazione: chi sono questi personaggi che arrivano già con le pietre in mano? Giovanni ci chiama sempre in causa quando scrive il suo Vangelo; sembra che lo scrive per noi perché ci possiamo interrogare. La donna quindi è ciascuno di noi; la donna può essere la Chiesa che tradisce l’amore e la sua missione. Tutti noi siamo peccatori che possiamo tradire l’amore con l’egoismo.
Ma c’è un’altra interpretazione: ciascuno di noi possiamo essere insieme sia l’adultera sia gli accusatori. Quegli uomini pronti ad uccidere sono come noi che ci comportiamo allo stesso modo. In fondo dentro di noi siamo invidiosi e cerchiamo la condanna degli altri con le nostre scuse; oppure siamo noi sempre pronti a tormentarci per i nostri errori, per i nostri sbagli.
Dio si manifesta in quel Gesù di Nazareth che guarda questa donna con amore. Leggiamo più attentamente il testo: al versetto 6 ci viene detto che Gesù si chinò; ma al verso 2 è scritto che Gesù stava già seduto. Alcuni commentari suggeriscono che Gesù, più che chinarsi, si stende a terra e lo fa per incrociare lo sguardo di quella donna che guardava verso terra per nascondere la faccia ai suoi accusatori. Di fronte al nostro male, Gesù si fa ultimo. Non vuole perdere quella donna. Più in basso dello sguardo della donna, c’è un altro sguardo che è quello di Gesù.
Dio si fa piccolo per salvare tutti noi e lo fa ancora di più il Venerdì Santo per salvare l’umanità intera.
Dio fa questo affinché noi possiamo uscire dalla nostre paure quando pensiamo che l’unica alternativa sia la morte.
Dio lo fa perché noi smettiamo di sentirci giudicati. Gli altri ci guardano dall’alto verso il basso, Gesù fa il contrario e ci guarda dal basso verso l’altro. Abbiamo appena festeggiato il Natale ed abbiamo visto Gesù farsi bambino in modo da guardare il mondo dagli occhi dei piccoli.
Gesù non dice alcuna parola alla donna e quel silenzio è un dono alla donna perché a lei bastano i suoi fantasmi
“Chinatosi scriveva per terra”. Gesù scrive sulla sabbia dove non resta niente.
Sant’Agostino collega questo testo al versetto di Geremia 17,13
“O speranza d’Israele, Signore,
quanti ti abbandonano resteranno confusi;
quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere,
perché hanno abbandonato
il Signore, fonte di acqua viva.”
Cosa scrive Gesù? Probabilmente non il nome della donna o il peccato della donna quanto piuttosto i nomi di quelli che la stanno condannando. Le interpretazioni sono tante: la scrittura di Gesù è qualcosa di personale, di unico per quella donna che noi non possiamo leggere; così come il rapporto di Gesù è personale per ciascuno di noi.
Nella prima lettera di Giovanni al capitolo 3,14 dice “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte.” Gesù non vuole la morte della donna ma che essa si risollevi. Se uno ama passa dalla morte la vita, chi non ama rimane nella morte.
Dopo le parole di Gesù, gli accusatori se ne vanno incominciando dai più anziani fino ai più giovani. Perché prima gli anziani? Forse perché sono quelli che hanno commesso più errori o perché sono quelli che hanno più capacità di pensare al proprio passato.
Nella prima lettura di oggi (1Gv 4,18) leggiamo: “Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore.”
L’amore scaccia il timore: questi hanno paura di quel Gesù che hanno cercato di mettere alla prova.
Può accadere a noi cristiani di sentirsi a posto con la coscienza e giudicare gli altri; Gesù vuole invece che noi ci guardiamo dentro.
Papa Francesco ci ricorda che ci sono tre peccati: i crimini, i peccati contro la giustizia, e il cattivo giudizio nei confronti degli altri: con il nostro giudizio rischiamo di mettere a morte qualcuno.
Sant’Agostino commenta che in questa scena rimangono due persone: la miseria e la misericordia, la miseria e il cuore di Dio misericordia.
Cosa rimane di ogni uomo nell’incontro tra la propria miseria con la misericordia di Dio?
E’ bene che noi ci scrolliamo di dosso i fantasmi, i sensi di colpa che ci portiamo dentro. Ancora S. Agostino ci dice che dobbiamo dire grazie al peccato se questo ci dà la possibilità di incontrare la misericordia di Dio.
Dio è venuto perché noi potessimo incontrare la vita. Tante volte ci tormentiamo. Il Giubileo ci sprona, ci suggerisce di liberarci di tutto questo.
Ricordiamo la parabola del grano e della zizzania: il padrone dice di lasciare che crescono insieme; noi dobbiamo far convivere il bene ed il male dentro di noi; noi a volte vogliamo estirpare il mare, vogliamo che tutto sia perfetto; ma il rischio è di togliere anche quello che buono; dobbiamo quindi accettare i nostri limiti.
I libro di Isaia si parla di un tempo in cui in cui il lupo e l’agnello pranzeranno insieme. Gesù ha messo insieme il male e il bene facendoli convivere. La nostra miseria è il luogo dove conoscere l’amore di Dio.
Nel capitolo 11 di Giovanni a commento della morte di Lazzaro, Gesù dice: questa malattia non è per la morte ma per la vita!
Chi di noi è capace di fare del nostro peccato la gloria di Dio? Da ogni esperienza negativa dobbiamo estrarre il lato positivo dell’amore di Dio come il Padre misericordioso che abbraccia il figlio che torna. Dio è venuto per liberarci dal nostro peccato e lo ha fatto prendendoselo lui a carico.
Il testo di Giovanni sull’adultera non ci dice se questa donna era pentita ma si sottolinea che viene perdonata indipendentemente dal suo pentimento.
Anche il figliol prodigo non torna a casa perché era pentito ma perché ha fame. E’ l’amore del Padre che poi lo converte. Anche la donna è salvata dall’amore ed anche noi possiamo essere salvati indipendentemente dal nostro pentimento.
Papa Francesco ci ricorda Dio come fonte di misericordia e lo paragona a quelle fontane che ci sono per strada: tutti possono attingere a quella fonte senza distinzione. Bisogna avere il coraggio di andare da Dio per essere perdonati ed allora forse riusciremo anche a pentirci per riabbracciare di nuovo chi ci ama.
Nel Vangelo di Luca capitolo 7 leggiamo amerà di più colui al quale è stato perdonato di più.
La mia esperienza di confessore mi ha cambiato spingendomi a non giudicare. Dobbiamo prima rileggere la storia di una persona e solo allora forse possiamo comprendere le ragioni che lo hanno portato a quel comportamento.
Si diventa capace di amore e di perdono nel modo in cui siamo perdonati. Dio è l’amante per eccellenza colui che chiama sempre; purtroppo abbiamo trasformato questa parola in un significato negativo.
Gesù dice alla donna: se non ti hanno condannato neanch’io ti condanno. Lui che era senza peccato avrebbe potuto essere colui che scagliava la prima pietra; ma non lo fa perché offre a lei la possibilità di un perdono prima ancora che sia avvenuto un pentimento. Non ci sono peccati che Dio non può perdonare!
Ad un sacerdote, non concedere l’assoluzione può essere solo quando si vede che non c’è la volontà di accettare il perdono. Ma il perdono è un dono grande di Dio e noi, poveri sacerdoti, non possiamo negare questo dono a nessuno.
Pietro e Giuda hanno entrambi rinnegato Gesù ma Pietro ha capito che il Signore lo poteva perdonare ed ha avuto il coraggio di alzare lo sguardo verso di lui.
Giuda non ha avuto il coraggio di guardare in faccia Gesù ed è arrivato alla disperazione e la disperazione porta solo alla morte.
Dopo il perdono nel sacramento della confessione, dobbiamo desiderare di essere guariti e a volte tendiamo ad altre strade e non andiamo dal Cristo.
Questa donna, che è ciascuno di noi, torna a casa guarita. La morte in croce di Gesù risana totalmente: è questo il significato delle indulgenze, risanare completamente la nostra vita.
L’antico detto latino che dice “mors tua vita mea” viene girato da Gesù che fa il contrario “mors mea, vita tua”.
La morte di Gesù ha dato a noi la vita. Gesù guarda alla vita e non al nostro peccato.
Il testo seguente è tratto dalla registrazione dell’incontro e riporta, adattato alla lettura, quanto è stato detto da Diana durante l’incontro.
Mi avete chiesto di trattare stasera il tema sul rapporto tra la politica ed i politici e l’ottavo comandamento “Non dire falsa testimonianza”.
Faccio una premessa: a casa mia quando ero ragazza si parlava di tutto ma non di politica; papà ce lo proibiva perché eravamo così all’opposto tra tutti noi figli, specialmente le donne che sarebbe stato quasi un litigio; quindi tutto ma mai di politica. E anche dopo, quando eravamo sposati non si parlava di politica perché la politica è il luogo del conflitto.
Io poi ho fatto una scelta incontrando il Movimento dei Focolari e poi dopo poco anche mio marito ed ho fatto la scelta del dialogo: un dialogo a 360° che mi ha visto proiettata nel sociale, nel dialogo interreligioso, dialogo culturale.
Ho continuato poi e continuo tuttora a far parte del Movimento dei Focolari e quando nel ‘95 c’era un momento importante in cui si voleva che le donne fossero maggiormente rappresentate nelle istituzioni, a casa di Antonio e Matilde che tutti voi avete conosciuto, c’era un incontro per decidere due candidature per la lista delle regionali. Io andai come rappresentante del Movimento; era di sabato sera e sapevamo che si dovevano scegliere per essere candidati due amici che da tempo erano impegnati in politica. Ma Antonio espresse la necessità che una donna fosse scelta a rappresentare il Movimento e, disse, voglio fare una proposta di una donna che è già conosciuta per la sua attività di volontariato nel sociale, di dialogo e propongo Diana Pezza perché appartiene ad una famiglia conosciuta ed anche lei impegnata sia nel mondo dell’estrema sinistra che nell’attività di volontariato.
Io avevo già cominciato a quell’epoca un grosso lavoro anche con Bruno Forte nell’amicizia ebraico-cristiana, nelle attività di assistenza per i poveri e nel doposcuola per i figli dei pescatori, il rifacimento della chiesina delle rampe di Sant’Antonio ed avevo scoperto una fede nuova grazie al Movimento dei Focolari e l’avevo scoperta inscindibile dal credere in Dio e amare i fratelli, credere in Dio e seguire il fratello.
Alla proposta di Antonio in cuor mio pensai ad un grandissimo no però non lo dissi apertamente perché era un luogo dove ci dovevamo confrontare e non mi potevo sottrarre; dissi ne parlerò con mio marito e poi all’interno del movimento.
Tornando a casa accennai a mio marito a questa possibilità. Io e mio marito Antonio siamo stati molto diversi per età, 16 anni differenza, lui faceva parte del Pci come membro della commissione culturale del Pci, assolutamente laico ma siamo stati assolutamente rispettosi l’uno dell’altro anche se non sempre le nostre posizioni combaciavano. Quando gli dissi che c’era la possibilità di essere candidata alle regionali lui mi disse: ne sarei onoratissimo! Io contavo sul suo no ed invece mi sentivo costretta ad accettare.
Lì ho cominciato a sperimentale come muoversi nella politica. Dal ‘95 a tutt’oggi è stato un punto fermo nella mia attività; voi sapete che c’è un aspetto economico della campagna elettorale che è un aspetto delicato e difficile. Nel momento in cui abbiamo deciso di andare avanti, ci siamo divisi i compiti: chi pensava agli incontri, chi pensava alla parte grafica, chi pensava al rapporto con la regione, chi all’aspetto economico, raccolta fondi. Io ho fatto tre campagne elettorali: nel ‘95 per le regionali, nel ‘97 per le comunali e 5 anni fa per la municipalità. Non ho mai sborsato di tasca ma sono stata sempre custodita e portata da persone che raccoglievano fondi e che gestivano le spese. Ė stato sempre molto indicativo perché c’è sempre questo aspetto economico molto contorto e difficile. Mi è stato però di conforto un incontro Chiara Lubich che venne a Pompei per ricevere la cittadinanza onoraria. E incontrando un gruppo di politici, persone del Movimento che erano in tanti partiti diversi ci disse: io non posso pensare che non ci sia il dialogo e l’incontro tra tutti sui valori comuni, cercate i valori comuni e puntate al dialogo. Quel giorno ho scritto sul mio diario: oggi ho scoperto la mia vocazione, la vocazione al dialogo. Ed in quel andare a parlare dappertutto, allora si facevano in piazza questi comizi mi sono trovata anche con Giorgio Napolitano a Sorrento a Cava, e ricordo che andavo sempre in compagnia. Ma anche con persone del Movimento che appartenevano ad altre forze politiche come l’estrema destra e sostenevano altri partiti politici ma persone con cui potevo riconoscere e portare avanti aspetti condivisi.
Questo aspetto è stato molto particolare perché, quando seppi che mi volevano far fare la capolista, compresi che era una cosa quasi strumentale; utilizzando una persona che veniva dal mondo del volontariato era uno specchietto per le allodole e mi sono tirata indietro ma non mi hanno fatta andare in nessuna delle loro sezioni. Ho girato tutta la Campania laddove c’erano persone che volevano presentare questa candidatura. Mi ricordo di una volta alla domanda di una persona che chiedeva quando avevo fatto politica, ci fu una risposta: Diana non fa politica, Diana è la politica perché ha scelto il dialogo.
Io voglio mettere l’accento su questo; non è accettabile, oggi più che mai, pensare a una politica in tutti i livelli nazionali, locali, mondiali prescindendo dal dialogo interreligioso. Vediamo l’incontro di questi giorni tra Papa Francesco e Kirril di Cuba quest’isola tanto reietta che ora viene vista come isola dell’unità, ci dicono il dialogo in politica è più che in ogni altro ambito fondamentale.
Sono rimasta dopo anche dentro un mondo che non conoscevo; continuando a lavorare ho fondato un’associazione di quartiere, ho continuato nel dialogo interreligioso, nei quartieri, con Antonio Loffredo alla Sanità fino a quando ed adesso vi racconto l’ultima esperienza perché penso che raccontando le esperienze sia più importante delle cose teoriche.
Nel 2011 ci è nato il primo nipotino a Torino per cui mio marito e io abbiamo programmato che saremmo andati io e lui a Torino e saremmo stati da loro la settimana di Pasqua. C’erano le elezioni nella città di Napoli. E nei partiti di centro-sinistra c’era la tendenza a presentare due candidati. Senza tentare di esprimere un candidato che esprima il desiderato della popolazione. Molto spesso parlavo di questo con mio figlio che è impegnato in politica da prima di me. Era al tavolo del centro-sinistra e non è riuscito a modificare questa decisione di esprimere due candidati sindaci per il centro-sinistra ma per lo meno per le municipalità si poteva fare uno sforzo per esprimere una sola candidatura. Il venerdì sera si dovevano chiudere le candidature per presentarle e Francesco, mio figlio, mi chiama: mamma presentiamo due candidati presidenti. La mia risposta fu: “con con uno perdiamo con due stra-perdiamo; insisti e necessario candidare una sola persona. Alla fine mi chiama la sera e mi dice che tutti e sei i partiti avevano concordato sul mio nome. Avevo corso per il PdS, ora Pd, conosciuta nel mondo cattolico, i socialisti mi conoscevano, i verdi erano consenzienti. Non me la sentivo, con la partenza imminente e vi confesso che ho pianto perché sentivo un richiamo alla responsabilità. Mio figlio mi disse: tu parli tanto di unità e ora che tutti sono d’accordo su di te, ti sottrai. C’erano anche problemi logistici, avere il certificato elettorale perché sono residente a Ischia. Ed invece, tramite una conoscenza, riuscii ad avere il certificato subito. Come quando tutte le circostanze ti guidano perché una cosa succeda. Allora capii che questa era la richiesta ed essendo conosciuta come parte del Movimento dei Focolari bisognava tener conto anche delle indicazioni del movimento. Devo dire che anche in questo sono stata aiutata, nell’aspetto economico e così come titolo della mia campagna ho messo: per una politica trasparente e partecipata. E nel foglietto illustrativo ho messo tutte le iniziative che avevo fatto nel quartiere, iniziative per la pace, incontro tra studenti di Israele e Palestina,i corsi per le donne di taglio e cucito, il dialogo in politica che avevo fatto nel Salernitano; tutte cose che io facevo perché è necessario parlare di politica anche con la parte avversaria.
Sono riuscita a fare anche questa campagna con il contributo economico di tanti anche di altri schieramenti. Abbiamo fatto tavole rotonde con gli altri candidati presidenti. Alla fine della campagna elettorale uno dei candidati presidenti mi ha scritto in un sms: ti ringrazio per la tua correttezza. Perché nel passato di alcuni di loro c’erano state delle accuse ed era chiaro di poter giocare su queste cose, mentre invece io volevo fare una campagna elettorale per e non contro.
L’anno scorso giravo per il Pallonetto per fare campagna elettorale per le regionali, mi si avvicina un pezzo di boss grosso così e mi chiese cosa stavo facendo. Sto facendo la campagna elettorale per il centro-sinistra, dissi. E qui siamo tutti di destra!, fu la risposta. Allora gli feci notare che se io vengo a spazzare il vostro quartiere non è anche il mio quartiere? Io vengo a spazzare il quartiere due volte l’anno con tutti quelli che vogliono e quindi è pure il mio quartiere. Allora mi riconobbe come quella che corre contro … Ed io gli feci notare che io corro per il quartiere, io corro anche per te, mai contro qualcuno.
Non sono stata eletta presidente però devo dire che ho avuto la soddisfazione personale di aver avuto 1804 voti in più dell’attuale presidente. Come partito invece siamo risultati inferiori per cui lui è stato eletto presidente; però io dal primo consiglio mi sono alzata e ho detto che auspicavo una piccola rivoluzione nella nostra municipalità; poiché tutte le commissioni al governo centrale sono gestite da un presidente della maggioranza e un vicepresidente della minoranza e auspicavo che si facesse lo stesso anche nella municipalità. Sul piano personale e sul piano anche del confronto va crescendo il rapporto: un piccolo frutto in 4 anni.
Per questo piccolo progetto degli alberi da dedicare a persone scomparse, ci son voluti tre consigli e 4-5 commissioni per ottenere l’unanimità; e nonostante sia passata già all’unanimità lo hanno messo sul sito e poi l’hanno tolto; perché non ci sta questa cultura di capire che ai cittadini non interessa sapere se la buca l’aggiusti tu che sei di sinistra o tu che sei di destra, ma vogliono la strada aggiustata, vogliono i parcheggi, vogliono che vengano pulite le strade; poi hanno l’intelligenza di sapersi scegliere i loro rappresentanti. Questo è un lavoro faticoso perché questa televisione purtroppo ci abitua e ci testimonia una politica in continua contrapposizione quasi come quando si vede le coppie che litigano nella trasmissione di Maria De Filippi. Tutto fatto per scavare nella parte peggiore del lui o del lei. Ė chiaro che se non ci sono altri modelli e se la televisione presenta questo, i giornali presentano questo, per la politica non ci sta un immagine del servizio. Per cui, per esempio, tanti di voi ricevono da me le comunicazioni del Consiglio, di quello che si fa ma non vi illudete che siete solo voi; sono tutti quelli che mi hanno incontrato e che mi hanno chiesto di conoscere; sono di destra, di centro e di sinistra, partecipano alle riunioni, a volte mi trovo in accordo con le direttive comunali, a volte non sono d’accordo con le direttive del sindaco. Questo comitato che abbiamo fatto per difendere Monte Echia non mi trovo d’accordo, sono in difficoltà con i colleghi di sinistra.
Tra l’altro sempre parlando di economia io mi sono portata gli statini paga degli ultimi due mesi perché mi pareva anche questa una cosa bella da mettere in comune con voi. Noi facciamo le commissioni ed i consigli e non possiamo superare le 14 ore al mese: se ne facciamo di più non ci vengono pagate e vi potete immaginare quante di più di 14 ore non solo di commissione ma di presenza sul territorio, di sopralluoghi, di fotografie, di incontri personali. Se ne faccio di meno però mi vengono tolte. A novembre 2015 ho fatto 14 ore e quindi ho guadagnato 403 euro; in quello di dicembre ne ho fatte 11 e ho ricevuto 303 euro. Io penso che riconoscere un gettone a chi si impegna in politica è doveroso perché altrimenti lo potrebbero fare solo le persone che hanno un reddito, solo le persone benestanti o di chi come me già vive della pensione. Sono per il riconoscimento del lavoro che fanno i consiglieri sia comunali che regionali che per i parlamentari. Farei un piccolo ritocco su questi eccessi che ci sono a livello del governo centrale. Ma penso che il politico che si impegna deve avere la libertà di non dipendere da tangenti o altro. Quelli che sono i soldi che lui si è guadagnato, quello gli spettano.
Voglio fare una piccola digressione e ringraziare per le omelie di don Giovanni che avete pubblicato sul sito. Io ho mandato al presidente della municipalità le due omelie su san Gennaro. Se voi ricordate, presentando san Gennaro dice che non è solo un santo che con la mano ha preservato la città dalla lava ma è quello che ha suscitato impegno civico, amore per la città. E siccome io ho la libertà, nel mio rapporto in politica, di parlare con tutti del valore di questo impegno sia con gli amici ma anche con il presidente, ho inviato a lui il testo di queste due omelie. Lui mi ha risposto chiedendomi notizie su questo sacerdote così mistico e così arguto
Devo quindi testimoniare quanto l’impegno a Piedigrotta, nella comunità, mi abbia allargato l’anima e mi abbia preparato.
Noi avevamo il nostro gruppo parlavamo del quartiere, cercavamo di fare doposcuola ai bambini dei pescatori. Tenevamo la farmacia, facevamo le cose che si fanno e avevamo un amico che continuava ai nostri incontri a pregare per i bambini del Biafra. Avevamo quello sguardo che don Giovanni ci aiutava ad avere sul nostro quartiere, sulla città, e avevamo Paolo che ci spingeva ad uno sguardo sul mondo; perché non possiamo prescindere; noi siamo interdipendenti come siamo interdipendenti in un condominio o nella città lo siamo anche nei paesi. Dobbiamo comprendere bene che la interdipendenza è la possibilità di far sopravvivere questo pianeta. E questo passa solo attraverso il dialogo nella politica. Io continuo a dirlo con grande convinzione che la politica è veramente l’amore per gli altri, è quello che ti consente di essere a servizio dell’ultimo. Volevo ancora raccontare che quando mi presentai alle regionali, una volta superato lo scoglio del consenso di mio marito, poi quello del Movimento dei Focolari restava la mia famiglia, una famiglia legatissima a certi schemi. Per cui andai da mio padre già molto anziano e lui mi chiese perché avevo accettato di entrare in politica e poi perché a sinistra. Io gli avevo portato due testi: uno di Igino Giordani e l’altro di Chiara Lubich sull’amore per i poveri. E lì papà si alzò e mi disse: ti raccomando tre cose: i bambini perché non abbiano mai più una vita violenta, i malati e gli anziani, tu fatti carico della parte più debole dell’umanità e non mettere più in discussione questa scelta. Io ti benedico. E per la prima volta andò a mettere la croce sulla falce e martello. Questo significa che la politica può essere così, non solo può ma deve essere così perché la fame di senso civico, il rispetto di questa città non ci dicano più che la presentazione di libri o progetti li presentano solo fino a Roma e nessuno viene più al sud.
Nessun progetto vieni più al Sud. È venuto adesso una regista americana che ha conosciuto per la prima volta a Napoli per un caso. Era in Italia perché sta facendo un lavoro per una equipe di registi sulle città d’arte d’Italia; ma avevano programmato soltanto fino a Roma. Invitata da noi è venuta a Napoli ed è rimasta sconvolta per la bellezza. Allora noi abbiamo una ricchezza; ho visto che questo programma di domani Innamórati di Napoli è una cosa bellissima; si sono messi in gioco scrittori, poeti, artisti, atleti per presentare le bellezze di Napoli. A me quando vengono amici da fuori è sempre una gioia incredibile presentare la città di Napoli. Ė possibile mai che noi non riusciamo a pensare che la politica possa essere al servizio. Ancora tante volte sento: con quel sindaco non ci parlo. Ma perché? quello è il tuo sindaco, devi dare la tua collaborazione.
Io ho scoperto che è inscindibile un impegno di fede da un impegno di amore fraterno. In uno dei discorsi che ho sentito da Chiara Lubich sulla politica è stato: il trittico della modernità si basa su tre pilastri: libertà, uguaglianza e fraternità. Cosa è successo in questi anni dalla Rivoluzione Francese? Alcuni popoli hanno puntato sulla libertà ed un eccesso di libertà ha portato un mercato senza controllo, con massimo del profitto, consumismo sfrenato, le multinazionali che tengono in mano l’economia. Altri paesi hanno sviluppato di più l’uguaglianza ma questo ha portato ad una omologazione; hanno tentato di omologare i popoli. Perché? Perché non hanno tenuto conto del giusto valore del terzo pilastro che è la fraternità. Io ti riconosco libero e uguale a me solo se ti riconosco fratello e ti rendo libero ed uguale; altrimenti la mia libertà è la mia libertà; se invece sono fratello è veramente la fraternità universale che deve diventare il paradigma della politica a cominciare dal quartiere, dalla municipalità, i gruppi, il condominio. La politica è l’espressione della capacità di vivere il rapporto nel sociale. Io penso che questo è quello che noi dobbiamo fare: trasformare le nostre relazioni per trasformare la politica. Ora è la politica che vorrebbe trasformare le nostre relazioni. Invece penso che lo sforzo debba essere proprio quello di rendere conto del dono che noi abbiamo avuto; il dono di riscoprire i fratelli e di fare un tratto insieme. Noi dobbiamo farlo e continuare a farlo anche in questo impegno nel nostro quartiere, nella nostra città.
È seguito un dibattito, di cui non è stato preso traccia, in cui Diana ha dato ulteriori suggerimenti e sollecitazioni sul tema.
F.o
Incomincio richiamandomi al commento che Benigni ha fatto nella sua trasmissione. Sembra che questi due ultimi comandamenti hanno in sé un carattere inquisitorio ancora più drastico perché si impone solo di non fare ma addirittura di non desiderare. Il desiderio in fondo è la molla che stimola. Questi due comandamenti condizionano una serie di peccati, quasi a precedere altri peccati più gravi. Possono essere visti come un richiamo al prologo “Non avrai altro Dio fuori di me…”. Il nodo centrale che ci viene presentato è :” Tu chi ami? Ami Dio, il prossimo o ami il mondo e le cose terrene?”
Sono quindi i comandamenti che lanciano il comandamento dell’amore “Ama Dio e ama il prossimo”. Il semplice “desiderare” porta a comportamenti che possono fare più danno degli altri. Questo comandamento riconosce il diritto alla proprietà quando nella storia ci sono stati movimenti che l’hanno negata. Sono legati ad altre situazioni come l’invidia, il vandalismo e si possono collegare al rapporto padri e figli. I figli, in qualche caso vengono considerati come proprietà dai genitori e i genitori inducono a volte i figli a fare scelte non sempre fatte per il loro bene. Il discorso centrale rimane “chi ami?” Amare in maniera corretta significa contrastare l’azione del diavolo che vuol dire “il divisore”.
A.a
Questi due comandamenti non ci consentono di desiderare ma possono invece anche spronarci a realizzarci nel mondo del lavoro, della famiglia. Come insegnante porto l’esperienza che nella scuola di oggi sono richieste figure speciali; e i docenti sono oggi chiamati a proporsi per donare le proprie doti. Ma se in questa corsa ci avvantaggiamo seguendo percorsi non validi, il volersi sostituire agli altri diventa una cosa negativa. È legittimo desiderare un benessere economico ma, se vogliamo solo accumulare, arrivando ad comportamenti di avarizia, il tutto diventa né valido né positivo.
Abbiamo visto, proprio in preparazione a questo incontro, il film “Il decalogo” di un regista polacco. È la storia di due fratelli il cui padre ha fatto vivere la famiglia in grande indigenza. Alla sua morte, i due figli scoprono una fortuna accumulata dal padre, in particolare con una collezione di francobolli. Sono indotti subito a vendere per realizzare un guadagno, ma poi si fanno contagiare dalla stessa malattia del padre. Arrivano che, pur di avere un esemplare unico sono disposti a tutto. Chi possiede questo oggetto chiede in cambio un rene per un trapianto e uno dei due è capace di cederlo pur di avere questo oggetto. Si costruiscono insomma un Dio alternativo che diventa divinità sostitutiva a cui sacrificare tutto.
Ci sono professionisti bravissimi che sono validi e di aiuto per la società ma per fare questo sottraggono il tempo e la loro dedizione alla famiglia e alla loro vita. Il fatto di non mettere in comune le proprie capacità può fare molto male togliendo agli altri i talenti ricevuti. Ci sono tante situazioni, anche molto problematiche che devono essere prese in considerazione esaminando questo comandamento.
d.F.o
È facile chiedersi che differenza c’è tra il nono e il decimo comandamento nei confronti del sesto e settimo.
Se desidero una donna ho forse già commesso adulterio? La stessa cosa se si desidera una cosa non è quasi come rubarla? Facciamo alcune riflessioni. Nella Bibbia i comandamenti vengono riportati due volte, nell’Esodo e nel Deuteronomio. Nel testo dell’Esodo c’è una virgola tra ogni parola: “Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”. Nel Deuteronomio, invece c’è un punto “Non desidererai la moglie del tuo prossimo. Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo campo,…”. Quindi nell’Esodo si può dire che la donna è alla stessa stregua delle cose. Invece nel Deuteronomio, di epoca più recente, si è già più avanti e la donna non è più considerata come una cosa, un oggetto.
Cito alcuni passi come commento. Matteo 5, 27- 28. “Chiunque guarda una donna per desiderarla…” Non è proibito desiderare ma dipende qual è l’atteggiamento.
Luca 11,34: “La lucerna del tuo corpo e l’occhio”. È quindi importante interiorizzare. Se c’è una luce interiore, anche nel desiderio si può evitare l’invidia.
Si può desiderare entrando nella vita dell’altro, entrando nell’intimità del vita dell’altro “fatevi borse…”, “dov’è il vostro tesoro là sarà anche il vostro cuore”
Matteo dice ancora “non affannatevi per la vostra vita”. La preoccupazione per le cose e il desiderio di possedere le cose, ci fa dimenticare quello che già abbiamo e ci fa dimenticare di ringraziare per quello che abbiamo. Non solo le cose materiali ma anche sulle doti spirituali, anche nella Chiesa che ci accoglie.
F.o
Siamo invitato a fare attenzione ad una possibilità di libertà; quando il desiderio diventa ossessione non si è più liberi. Il sesto e il settimo comandamento descrivono un atto compiuto; il non ed il decimo invece sono in divenire ed è quasi come un avvertimento. Riscoprire quindi in se stessi la parte bella che può venire dalle sollecitazioni di un desiderio quasi a muoversi nella stessa direzione e non desiderare ma attuarlo in analogia.
F.a
Aggiungo altre considerazioni: il male del nostro tempo è il grande squilibrio tra chi ha tanto e chi non ha niente. La forma ideale di società è quella di mettere in condizioni tutti di non desiderare mai.
Alla serata hanno partecipato hanno partecipato anche componenti della fondazione “Giuseppe Ferraro” onlus, per proporre e divulgare la proposta dell’affido.
S.a
L’affido può essere una guida da dare al minore in difficoltà per insegnare un modo di vivere. Sia se il minore, alla fina del periodo, ritorna nella famiglia di origine sia che rimane della famiglia affidataria, è comunque un’esperienza che rimane come fondo della sua vita. Il legame resta, se ben costruito. Occorre superare quindi il primo luogo comune: l’affido può essere una buona strada e non è come viene a volte considerato il conoscere temporaneamente una cosa buona per poi tornare al brutto.
Il secondo luogo comune è che l’affido è un appropriarsi del bambino aggirando la strada lunga che esiste per l’adozione. Invece intraprendere la strada dell’affido richiede una carica di amore che non può essere presa con superficialità.
E.a
Per illustrare meglio l’affido occorre dire che ci sono delle tipologie di affido (estivo o pomeridiano) che danno delle opportunità al minore di conoscere cose di cui non avrebbero possibilità di conoscere nel loro ambiente di origine. Molto spesso non si stabilisce un legame di conoscenza tra la famiglia originaria e la famiglia affidataria. Tutte le persone che hanno fatto l’esperienza di avere un affido hanno ricevuto un ritorno difficilmente descrivibile. Quando si intraprende la strada dell’affido o dell’adozione bisogna essere pronti a qualsiasi evenienza. Nel figlio naturale più facilmente si accetta qualunque cosa possa capitare. Nell’adozione si ha invece a volte il senso di appropriazione. Nell’affido è richiesto un senso di generosità ancora più grande. Occorre interrogarsi su problemi che ci sono nel cammino dell’adozione perché c’è bisogno di una grande generosità.
B.a
siamo passati per un affido neanche formalmente legalizzato. Perché c’è stato affidato un bambino che era venuto a casa per fare un po’ di lezione ed alla fine ci disse che non se ne voleva andare. Noi lo accogliemmo e chiedemmo di avere l’affido per lui ma il padre non volle darci mai il consenso per l’affido. Quindi il bambino è stato da noi sempre in maniera provvisoria. È stato da noi fino alla terza media. Noi volevamo che continuasse con gli studi ed eravamo disposti a continuare ad aiutarlo ma il padre non volle. Ora questo “bambino” è sposato ed ha due bambini. Siamo rimasti in contatto con lui .
L.a
non c’è un limite di età tra genitori e figlio per una famiglia affidataria così come esiste per la famiglia adottiva. Anche una persona singola può ricevere in affido un bambino, un ragazzo. Ad Ischia c’è un gruppo di famiglie che prendono ogni estate un bambino in affido.
F.o
Che differenza c’è tra un affido pratico ed un affido burocratico?
L.i
dovremmo avere un atteggiamento di amore e niente altro. Se razionalizziamo non otteniamo mai niente. L’avviarsi per la strada dell’affido è come un vuoto a perdere che poi invece restituisce molto. Ii Servizi Sociali, che sono coinvolti, valutano la situazione per stabilire se c’è una possibilità di recupero; in questo caso si procede con l’affido per dare la possibilità di rientrare nella famiglia di origine. Si valutano l’ospitalità e le condizioni in cui si viene a collocare il bambino. Il rapporto tra genitori naturali ed il figlio deve rimanere durante il periodo dell’affido perché da lì parte la capacità di far capire al bambino come essere a sua volta genitore, confrontando le due famiglie in cui viene a trovarsi.
S.a
all’inizio i servizi sociali si interessano di condurre i rapporti tra famiglia di origine e famiglia affidataria. Tale procedura va bene solo per due anni. Poi subentra il tribunale per una formalizzazione. Se poi il bambino ed i genitori sono dichiarati adottabili si apre il mondo dell’adozione.
Specialmente le famiglie cristiane devono essere disposte ed aperte all’altro. Nel momento di un diverbio di un litigio tra due figli, di cui uno affidatario, si devono vedere e riconoscere che entrambi prima di tutto sono figli di Dio. E questa sensibilità non si inventa da un giorno all’altro ma è un lungo cammino di attuazione.
Un altro aspetto è quello che genitori devono avere come desiderio positivo e desiderare dei figli il loro futuro. In altre parole educare il figlio a sentirsi realizzato.
Con questo incontro si conclude l’anno 2015-2016. Si conclude anche il ciclo di incontri sulle “10 parole dell’amore” che ci ha visti impegnati per gli ultimi 3 anni.
A conclusione di questo ciclo, il prof. Antonio Gentile ci ha parlato sul tema “La legge dell’uomo e la Legge dell’Amore”.
Qui sono riportati i suoi appunti per l’intervento.
LEGGE DEGLI UOMINI E LEGGE DELL’AMORE
Una premessa: la disponibilità al cambiamento è fondamentale in ogni momento di ascolto perché questo sia proficuo, altrimenti tutto scorre senza lasciare traccia. Abbiamo soltanto perso tempo.
Se con l’espressione “legge dell’amore” ci riferiamo a quella cristiana allora è il caso di dire che forse il termine legge è improprio, e gli evangelisti provano a farlo capire in tutti i modi.
Ma procediamo per ordine: l’animale uomo per vivere ha bisogno di gestire, se non altro, un tempo e uno spazio. Questo richiede un ordine e una misura e quindi una “norma”. Impossibile evitarla se non mettendo a rischio la stessa sopravvivenza della specie. La norma è costitutiva dell’animale uomo.
Ma la mente umana non solo produce la norma, tende anche a conservarla a ad amplificarla, come tende a conservare e ad amplificare tutto ciò che percepisce come positivo, come rispondente ai propri equilibri, anche quando questo rischia di produrre l’effetto contrario.
Basta guardare lo sviluppo dei codici da Ammurabi ai nostri giorni e non solo per la necessità di gestire una sempre maggiore complessità della realtà sociale. Basta guardare i 613 precetti della legge giudaica e le rubriche del Messale tridentino. Per non parlare delle norme burocratiche: la semplificazione di queste risulta essere un cammino assai difficile se fino ad oggi nessun governo c’è ancora riuscito.
Spesso la norma, come ogni modello mentale, finisce col perdere la sua funzione strumentale diventando prevaricante: non la norma in funzione della vita ma la vita in funzione della norma.
E diventa prevaricante non solo per se stessi, ma anche per gli altri. Diventa, infatti, in buona o in cattiva fede, strumento di prevaricazione sul gruppo, mezzo ideale per la gestione del potere, elemento efficace per l’esercizio del controllo. Con buona pace della libertà dei figli di Dio.
Questo, quindi, pare essere il modo di procedere degli uomini, la loro legge. Un certo Gesù di Nazareth ha cercato di predicare una legge diversa, o sarebbe meglio dire, una non legge. Una cosa molto discutibile, pericolosa, al punto tale che viene messo a morte. E malgrado Lui si sforza di dire che non è venuto a cambiare nemmeno una iota o un apice della vecchia legge (Mt 5, 17,19), chi lo ascolta capisce bene che fa di peggio: suggerisce di vivere come la legge prescrive facendo a meno della legge.
Matteo affronta questo problema nel suo Vangelo, dal capitolo 5 al capitolo 8, per rispondere alle comunità giudaiche convertite al cristianesimo.
Matteo fa salire Gesù sul monte alla maniera di Mosè, lo fa sedere con autorità e gli fa enunciare la sua “legge”: le beatitudini, poi passa a ricordare che l’annuncio ha senso se è un annuncio che dà sapore alla vita e non la lascia insipida, “voi siete il sale della terra”, continua elencando una serie di correzioni alla vecchia legge: giuramento, vendetta, elemosina, preghiera, digiuno. Ma il colpo magistrale lo mette in atto col capitolo 8 dove presenta i miracoli di Gesù, facendolo operare in maniera del tutto difforme alle prescrizioni della legge mosaica: il lebbroso, il centurione, la suocera di Pietro.
Giovanni lancia lo stesso messaggio, secondo il suo stile, proprio all’inizio del suo vangelo, quasi a voler porre le basi su questo argomento fin dal primo capitolo. Ai versi 38-40 descrive lo strano incontro tra Gesù e i suoi discepoli. «Maestro dove abiti? Venite e vedete». Strana domanda se Luca aveva dichiarato una stretta parentela fra Gesù di Nazareth e il Battista, quindi una conoscenza scontata, ma ugualmente strana la risposta se il problema era di natura toponomastica.
I discepoli di Giovanni avevano appreso delle norme di vita dal loro maestro, invitati a seguire Gesù era spontaneo chiedere se e in che cosa si discostavano i suoi modelli.
Non ci sono norme da seguire, valide per tutti, solo un invito al quale si è liberi di aderire, ognuno secondo le proprie possibilità, i propri tempi. Non c’è un binario lungo il quale camminare, per raggiungere la meta, ma solo delle indicazioni stradali che lasciano liberi di scegliere il percorso preferito.
Tutto questo però ha senso soltanto all’interno del messaggio di fondo di Gesù di Nazareth: la rivelazione del Padre. Non un Dio essere perfetto e trascendente, non un Dio persona e altro da me, ma un Dio Vita, della quale l’uomo, come tutto il creato, ne fa parte quale cellula vivente, lasciato libero di realizzare la sua identità, ma mai staccato, mai abbandonato a se stesso. Uno scandalo per i Giudei che pure nelle pieghe della loro tradizione conservavano questo messaggio: “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò” (Gen 1, 27). “Vide che tutto era cosa buona e bella” (Gen 1, ripetuto per ben sette volte).
Di fronte a questo messaggio, a questo annuncio di gioia, (Vangelo), e non di fronte a una legge, siamo chiamati ad operare una scelta. Siamo chiamati a scegliere una diversa visione della vita, a credere di essere figli ed eredi della vita, a condividere e testimoniare questo annuncio di libertà
Una condivisione sulla quale non saremo giudicati da un tribunale esterno, ma dalla nostra stessa ricchezza di vita e di gioia che ci troveremo ad aver realizzato o meno.
San Giovanni della croce ricorda che «alla fine della vita saremo giudicati sull’amore» (Parole di luce e di amore, I, 57) facendo eco al brano di Matteo 25, 31-46 sul giudizio finale: «avevo fame e mi avete dato da mangiare». Brano che va letto non come indicazione di mere opere di bene, ma come esplicitazione di quella scelta di fondo che mi vede cellula dell’unica vita, insieme a chiunque mi sta a fianco, inclusi gli animali e le pietre.
Solo così si comprende l’altro passo, a proposito dell’amore dei nemici (Mt 5, 43-48). Non è la richiesta di un gesto eroico, ma consequenziale. L’altro è parte di me, perché come me è cellula di questa vita, e se anche questa parte mi causa dolore, non posso estirparla, senza condannarmi a morte, ma debbo cercare di guarirla.
Convertirsi, allora non significa decidere di passare da una vita di peccati a una vita perfetta. È un obiettivo umanamente irraggiungibile. Questo lo sappiamo bene quando tocchiamo con mano il limite della nostra libertà. Il «volli sempre volli» è pura letteratura, non posso volere di non aver paura. Per questo il Vangelo ricorda che bisogna perdonare «settanta sette volte» (Mt 18, 21), che all’adultera è detto «nessuno ti ha condannata nemmeno io ti condanno» (Gv 8, 1 – 11), e al ladrone (abbiamo bisogno di aggiungere “buono” che non c’è nel testo, per accettare questa gratuità della salvezza) «oggi sarai con me nel giardino» (Lc 23, 42-43).
Convertirsi, allora, non significa aderire a una legge, ma innamorarsi di Dio, innamorarsi di questa vita di cui faccio parte a pieno titolo, perché si è scoperta la sua bellezza. «Tardi ti amai Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti amai» (Agostino, Confessioni 10, 27). E questo avviene o per un colpo di fulmine, vedi Paolo sulla via di Damasco, o per una frequentazione assidua. Certo non ci si innamora a comando, ognuno ha il suo tempo, ognuno le sue modalità.
Ma ogni innamoramento si determina sui tratti specifici della persona amata, e questo vale anche per chi si innamora di Dio. Ogni esperienza di fede passa per un tratto particolare del volto di Dio, quel tratto che mi ha colpito, e che non deve necessariamente coincidere con quello degli altri. Il tratto che ha fatto innamorare me può essere solo suggerito e testimoniato, mai imposto come l’unico possibile.
Non ci sono modelli stabiliti per innamorarsi di Dio e per vivere questo amore. Basti pensare ai santi, alla loro diversità. Eppure quanti sono venuti pretendendo di correggere il volto di Cristo, nascondendolo così sotto gli strati dei propri colori aggiunti, sia pure in buona fede, (vedi le infinite teologie) o cancellandolo con la pretesa di raschiare i colori aggiunti dagli altri (vedi le varie forme di contestazione all’interno della Chiesa).
C’è una legge degli uomini, strumento utile per la gestione della nostra dimensione spazio-temporale, sulla cui osservanza saremo giudicati dagli uomini. «date a Cesare quel che è di Cesare» (Mt 22, 21; Mc 12, 17; Lc 20, 25, ma anche Vangelo di Tommaso 100, 2-3, rielaborato nel Vangelo di Egerton 3, 1-6). La presenza in tutti i sinottici e anche negli scritti non canonici dice l’importanza di questo insegnamento.
C’è una chiamata, un invito, a cena a casa di mio Padre, riconoscendomi suo figlio, credendo nella divinità che mi è stata data in eredità, condividendo con tutti i miei fratelli questo dono, gridando al mondo intero la mia gioia per essere tanto amato.