I DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C
(Dt 26,4-10; Sal. 90; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13)
“Gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione…” e ci ha liberati. Queste parole del Deuteronomio, che abbiamo ascoltato all’inizio della Messa, sono le parole del rito per la festa del raccolto, che gli Ebrei celebravano ogni anno. Sono segni di memoria, di riconoscenza, di fiducia, parole che aprono all’adorazione e all’obbedienza di fede. La professione di fede di Israele non appare come una teoria su Dio, ma è il racconto di un’esperienza cominciata nella vita dei padri: “Mio padre era un Arameo errante …”. In essa i figli si riconoscono come in un’esperienza propria. Il “gridammo al Signore” del testo evidenzia, con l’uso del verbo al plurale, che gli eventi antichi coinvolgono le generazioni credenti venute dopo, inserite nella tradizione della fede. La liturgia ci propone così, all’inizio della Quaresima, una scelta rinnovata di Dio, nella fiducia che quanto riceviamo dal passato può raggiungere e illuminare il presente, orientare oggi il nostro cammino. L’uomo oppresso dal male grida al Signore ed egli lo libera. La Scrittura, con questo messaggio, che la pervade tutta, affranca la mente dell’uomo contemporaneo dalla preoccupazione di essere represso nella dignità e nella libertà dal riconoscimento della sua non autosufficienza. Non l’uomo da solo, ma unicamente Dio può liberarci dall’oppressione del peccato e del male: il Dio della Bibbia ci dona la vita, non ci opprime. Recitando il Salmo responsoriale, il Salmo 91, lo abbiamo ripetuto: “Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge … La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza…”. La contemplazione di Gesù, tentato nel deserto dal diavolo, ci aiuta a compiere la scelta di fede. Non dobbiamo pensare alla tentazione di compiere il male, ma alla prova che, nella tradizione biblica, viene domandata ai credenti, soprattutto in vista di compiti particolari. In occasione del Battesimo, a Gesù era stato annunciata la chiamata a vincere il male nella fedeltà alla volontà del Padre, a vivere in prima persona l’amore totale e incondizionato, l’amore “fino alla fine”, fino al dono della propria vita, per l’umanità intera. Egli dovrà essere il capofila di una moltitudine, che sarà chiamata a seguirlo con fiducia, anche nei momenti faticosi delle scelte difficili. Ad ogni discepolo Luca dice che anche lui parteciperà alle prove del suo Signore. Voi siete stati con me nei momenti difficili – dice Gesù – “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove”. La tentazione in Gesù è opera di Dio, sono quaranta giorni di particolare pienezza di vita nello Spirito, un periodo di luce interiore, ma sono anche i giorni della prova. Gesù deve superare l’apparente contraddizione fra la verità rivelatagli al Battesimo del suo essere Figlio di Dio con il cammino di sofferenza e di sconfitta che lo attende. Satana gli ripete: “Se sei figlio di Dio …”. Il se insinua il dubbio che possa non esserlo. La tentazione del demonio è sulla fede nella realtà della paternità di Dio, di Dio come Padre, e riguarda da vicino ciascuno di noi. Gesù la ha superata nella determinazione di vivere nella volontà del Signore, pur non vedendolo. Nella Quaresima anche noi siamo chiamati a verificare la nostra fede nella paternità di Dio. Il superamento della prova sta nella volontà che mi determina con radicalità a vivere la mia esistenza come uomo che accoglie da Dio la Parola che fa camminare positivamente, la Parola che vince la mia pretesa ad agire da solo, che mi rivela la via dell’amore del Padre, di un amore che libera senza imporsi mai. In Gesù Dio riceve l’obbedienza di amore che attende dall’umanità. Come dice Paolo, da quella obbedienza siamo stati salvati, in quella obbedienza dobbiamo specchiarci. Le vere tentazioni non sono quelle che troppo spesso ci ossessionano e che riguardano la sfera etica, ma quelle che vanno a demolire la fede in Dio Padre. Il rischio più grande è quello di sbagliarsi su Dio! Sbagliamo quando concepiamo la fede come chiave per assicurarci delle cose, come sicurezza che ci garantisca con la scommessa in un miracolo che torni a nostro vantaggio, che ci faccia raggiungere la statura dei potenti. Questa fede in un dio, che obbedisca al nostro desiderio, è l’opposto della fede in Dio che Gesù annuncia. E sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare. Così sbagliano oggi quei fondamentalismi religiosi che giungono ad amare la morte propria e altrui nel nome del Dio, che invece è Dio che ama e dona la vita. Sbagliarsi su Dio è la fine dell’uomo. La fede vera è il “fatto serio” dell’umanità: essa determina il senso di tutto il nostro vivere. Gesù ha una parola più forte delle nostre ambizioni umane. Egli è l’attuazione dell’esortazione del Deuteronomio: “Io ho posto davanti a te la vita e la morte: scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza”!
N.B. Dopo il Vangelo don Giovanni ha letto il messaggio del Cardinale Michele Giordano per la Quaresima, un invito alla conversione in questo tempo di penitenza. Perciò la sua omelia si è limitata alla parte riguardante le tentazioni di Gesù. Il commento alla prima lettura è stato tratto dai suoi appunti scritti.
Tempo di quaresima, tempo che fa paura e che affascina; la Chiesa lo riceve dalla radice della storia di Israele nel deserto e lo contempla nell’esperienza di fede di Gesù, che nella sua umanità è sottoposto alla tentazione ed esce vittorioso dallo scontro con il maligno. C’è il dramma del male “accovacciato alla porta” (Gen.4,7), alla porta del cuore di ogni uomo, e c’è il fascino della vita spirituale vissuta con libertà nell’impegno a vivere il vangelo più intensamente. La liturgia, antichissima nei formulari e ritmo di preghiera, non solo invita, ma dona la possibilità di un vero cammino. Dice Luca: “Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo”. La vicenda di Gesù, nella concretezza drammatica dell’essere tentato, dice innanzitutto che tra Spirito e prova non c’è antitesi, perché non ci scandalizziamo di Dio, della sua azione, della sua provvidenza, che è azione di bene anche quando conduce alla prova e passa per essa. In Gesù comprendiamo che Dio ha in cuore la maturazione della libertà dell’uomo, perché accolga, con il cuore e non solo con l’obbedienza servile, l’orientamento della vita ed ogni singola decisione particolare. Gesù non ha una natura inclinata al male, ma viene chiamato al superamento di sé, a non essere preso prima di tutto dal pensiero del proprio io, ad essere libero di aderire perfettamente a Dio. In Lui possiamo comprendere che la sofferenza della prova è la possibilità di conquista di uno spazio di libertà dalla paura e dalla costrizione, che permette di entrare nella fiducia dei figli, che è proprio lo spazio di Gesù. La cultura angusta dell’obbedienza servile aveva visto lo scivolamento di Israele nella incomprensione e nella resistenza, all’insegna della mormorazione e dell’indurimento del cuore. Era lo spazio stretto della schiavitù della legge. Lo spazio ampio di Gesù è fonte ed esperienza di libertà, perché il suo respiro è l’amore accolto e ricambiato nella condivisione, come insegnano le parole di Mosè. Ne scaturiscono conseguenze concrete: – Se essere figli non significa autosufficienza, ma affidamento pieno di sé al Padre, che sa sostenere anche con altro dal pane, allora si scopre che non è il solo pane naturale a conservare in vita, ma quel più di forza e di possibilità che fioriscono dal fidarsi di Chi non lascia soli. – Inoltre, la condizione del cuore umano, tanto spesso occupato dal pensiero del potere e del prestigio, è oltrepassata dall’atteggiamento dell’adorazione che allora è vera e non solo rituale quando è obbedienza piena. Per questo il credente maturo ha il timore e vigila perché non accada di confondere il regno di Dio con il proprio programma di vita. La via di Gesù è quella dell’obbedienza: “Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato”. Il momento del Getsemani e della croce. La quaresima è tempo per riflettere su quanto in ciascuno di noi è cedevole alle suggestioni, per camminare verso la verità piena del nostro essere, verso la pace del cuore nei momenti di prova, verso la gioia del superamento delle tante costrizioni, nella libertà di vivere per il bene, guardando a Gesù che non è solo modello, ma Dio-fratello, che sostiene e salva cercando di ricordare quanto scriveva Olivier Clément in un passato recente: “Le grandi tentazioni non sono quelle di cui si è preoccupato un certo cristianesimo moralistico – almeno non solo quelle – ma quelle che vanno a demolire la fede”. La libertà dalla mitizzazione del problema che assilla, il fidarsi di Dio, presente come Padre, al di là dell’intervento prodigioso, questa è nel credente l’esperienza certa di una forza più grande della propria forza. La quaresima è invito ad entrare seriamente nel cammino di Gesù. Non si tratta di squalificare le persone e gli strumenti che sostengono l’esistenza di ogni giorno, ma di puntare con la riflessione e la preghiera ad avere una sempre maggiore disponibilità ad operare il bene, ad essere persone libere, pensanti e credenti. In ognuno c’è certamente, in questo tempo tanto ammaliante nel creare dipendenze, l’esigenza dello spazio della libertà interiore, che è libertà “da” per vivere la libertà “di”. Ciascuno deve sapere, conoscendosi, qual è il troppo di cose, di inutilità, di distrazioni, che soffoca la disponibilità, e quale il più di concentrazione e di vigore per potenziare la vita come dono. “Mio padre era un Arameo errante … ci maltrattarono, ci umiliarono, ci imposero una dura schiavitù … il Signore ascoltò la nostra voce … ci fece uscire … ci condusse … ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Sono i frutti della libertà accolta dalla fiducia in Dio. Domandiamo, in questa quaresima, il dono di una vita unificata dalla memoria dell’amore fedele e paziente di Dio, compattata dall’esperienza della sua presenza.