V DOMENICA T.O.- Anno C
(Is 6,1-2.3-8; Sal. 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11)
L’intenzione di Luca è l’incontro tra Gesù e la folla, tra Dio che comunica la propria vita e l’umanità che freme nell’attesa, “fa ressa per ascoltare” – quasi una prefigurazione delle folle a cui la Chiesa dovrà rivolgersi.
Per Luca tutto il mondo è in attesa di questo incontro. È “la Parola di Dio” il punto di incontro, perciò non la ritualità, la religiosità come mera espressione del basso verso l’alto. Luca, quando scriverà gli Atti non darà nessuna centralità agli Apostoli: solo la Parola sarà protagonista. Maria è colei che accoglie la Parola, sottomettendosi al mistero: interiormente la custodiva e la meditava, le permetteva di fruttificare in lei e nella comunità.
L’occasione perché la Parola trovi spazio è nell’esperienza dei primi discepoli. Il fallimento dei propri tentativi di successo, la tentazione di desistere è per ciascuno di noi un’esperienza frequente, ma anche l’arrendersi all’invito di mettere da parte i ragionamenti ed accogliere un ordine umanamente assurdo, come il pescare di giorno, quando ci si trova in una situazione senza soluzioni. Il miracolo della pesca straordinaria è per Luca l’esperienza della potenza della Parola di Dio e di quanto sia necessario all’uomo fidarsi di essa. Tutto il passaggio alla fede, interiore e concreto, è qui:
“Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla: ma sulla tua parola getterò le reti”
L’esito di questo passaggio personale alla fede che si fida di fatto è la certezza di Dio presente in Gesù. Il cadere in ginocchio, il titolo di Signore, l’esclamazione di indegnità, tutto prova di trovarsi alla presenza di Dio.
L’intervento di Gesù ha l’autorevolezza di una teofania: “Non temere” – sono parole che ricorrono nella Scrittura come un filo d’oro. Il rendersi vicino di Dio all’uomo non deve creare spavento ma riconoscenza e fiducia. Il pensiero di Dio non è realizzare nella storia cose grandi, ma donare agli uomini la vita. In Gesù Dio si avvicina ai pastori, ai piccoli, ai peccatori, al ladro che muore in croce… Ne nasce un modo nuovo di guardare e di pensare la vita, il suo significato. In Simone e nei suoi compagni è come un nuovo inizio di vita. È questo il vero e proprio miracolo del racconto.
Non è piccola cosa. Simone, che per la prima volta è detto Pietro, viene reso partecipe dell’intenzione di Dio, prendere uomini vivi, uomini per la vita, in abbondanza impensabile :
“Io sono venuto perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza” (Gv.10,10)
È un’affermazione coerente con le ripetute affermazioni della Bibbia, dalla creazione a tutto il Primo Testamento, in cui Dio è detto l’ “amante della vita”, proteso a dare la “sua” vita: perciò non solo quella biologica, sottomessa al tempo e alla precarietà; ma quella che è solo di Lui, che il Nuovo Testamento chiama “vita eterna”.
Luca utilizza per la raccolta dei pesci un verbo greco che indica la cattura di animali destinati a vivere in ambienti protetti e belli, perciò pesci per le vasche dei giardini reali. Ci dice così che la pesca miracolosa è l’azione di Gesù che tira fuori la moltitudine dal buio profondo per introdurla nella luce piena del Dio vivo. Siamo, perciò, presi per il giardino di Dio, per vivere nel tempo il dono della vita abbondante, siamo tratti dall’oscurità per “venire alla luce”, secondo la bella metafora che usiamo per indicare l’inizio della vita. Passare dal buio alla luce è il disegno di Dio per tutta l’umanità, finché non vedrà la “vita per sempre”.
Oggi, in vari modi e momenti dedichiamo una giornata alla vita. Vogliamo farlo non fermandoci solo alla giusta preoccupazione di difendere la vita, di proteggerla, di sostenerla nei tanti casi di offesa ad essa. Ma vogliamo farlo da credenti e nella celebrazione liturgica, anche e soprattutto per essere certi che il segreto della vita è custodito in Dio, che il principio e il fine di essa sono oltre l’inizio e la conclusione biologica di essa, che per ciascuno c’è un “libro della vita”, come canta il Salmo 139. Ciascuno ha la vocazione e la responsabilità di essere al servizio della vita, e perciò ogni vita è unica e irripetibile.
Vogliamo domandare il dono di essere, in questo mondo spento, in cui qualcuno ha parlato di “Uomo senza qualità ì” (Musil), testimoni e annunciatori dell’uomo chiamato a vivere “a immagine e somiglianza di Dio”, in una “qualità alta”, come ha detto Papa Giovanni Paolo II. Vogliamo assumere, con la grazia del Signore, l’atteggiamento di sommo rispetto e di cura premurosa per la vita, non in modo teorico, ma nell’esercizio concreto della reciprocità fraterna.
Così l’uomo è per l’altro uomo luce e vita dell’Altissimo, come quel sole di cui, per quanto materiale e destinato a finire, è detto da Francesco di Assisi nel Cantico: “di te, Altissimo, porta significazione”.
Domandiamo la grazia di essere “significazione” della vita di Dio nella nostra piccola esistenza.
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Con questa preghiera, inviataci dall’Africa, don Sandro ci tiene oggi a partecipare alla Messa della giornata della vita:
“Signore, davanti a noi tante persone deluse, sfiduciate, per un amore finito, una famiglia divisa, un progetto di vita insieme svanito.
Non permettere che in noi il giudizio prenda il sopravvento.
Rendici prossimo a questi fratelli e sorelle che hanno creduto nella fedeltà, che hanno creduto nella comunione malgrado tutti i limiti, e ci credono ancora.
Fa’ che almeno noi, cristiani, noi Chiesa, riusciamo a sostenerli ed incoraggiarli verso un nuovo futuro.
Allontana da noi la tentazione di essere severi ed incoraggiaci ad aprir loro le porte delle nostre case.
Signore, c’è forse un dolore più grande del non sentirsi amati o non essere capaci di dare amore?”
Con il capitolo 5 inizia una svolta nel vangelo di Luca. Il Signore ha compiuto da solo i primi passi del suo ministero, i primi discepoli non sono stati ancora chiamati come è per Marco e per Matteo. Luca sembra preferire che la chiamata alla sequela avvenga dopo essere stata preceduta dall’insegnamento e dalle opere di Gesù, per renderla più verosimile, ed appaia motivata la radicalità della scelta di seguirlo lasciando tutto quello che li aveva interessati fino al momento dell’incontro.
Nel cammino percorso sulle strade e tra i villaggi della Palestina, l’uditorio si è esteso perché il Signore non si limita ad entrare solo nelle sinagoghe, ma entra nelle case, si fonde con la gente nella quotidianità. Così si va formando il gruppo folto di seguaci che ascoltano e simpatizzano. Tra di loro emergono gli apostoli e in particolare Pietro; saranno il fondamento della Chiesa che dovrà far propria la missione del Maestro. Così Gesù dapprima è solo, poi con i primi chiamati alla condivisione, ad uscire dalla solitudine della gente di mare per andare con lui incontro alla folla che è in attesa del Vangelo.
Nelle Scritture il simbolismo del mare è diverso da quello della montagna. Il mare, con la sua oscura profondità, ricorda il mondo della tenebra e del male, a cui i discepoli dovranno portare il vangelo della misericordia di Dio. La montagna, con la sua luce, è il luogo tipico della preghiera e dell’incontro con Dio, indispensabile per discendere ed andare incontro agli uomini, per essere artefici di umanità nuova.
Scrive uno studioso: “Le chiamate fatte da Gesù portano fuori dal mondo abitato dagli uomini, nella solitudine, per poi, certo, ricondurre i chiamati verso gli uomini e le loro indigenze”. (N. Theobaldi 1984).
Così Luca dice che quello del Signore con la folla, sempre protagonista nel vangelo, non è incontro generico ed occasionale, ma passa attraverso la formazione interiore di coloro che aderiscono alla sua persona e al suo compito. I discepoli non dovranno inventare nulla, ma trasmettere fedelmente quanto hanno ricevuto. È un testo di grande importanza per capire e vivere la Chiesa. Gesù presenta la sua comunità strettamente unita a sé, aperta all’umanità e perciò missionaria e premurosa per le vicende umane.
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Concilio Ecumenico Vaticano II. “Chiesa e Mondo” 1964).
Tre parole inaugurano la formazione di Pietro:
– “Lo pregò di scostarsi un po’ da terra”, comincia Gesù cercando il dialogo.
Lo scenario è quello dell’umanità di cui è detto quasi materializzandola: “La folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio”, e Luca sottolinea non solo l’attesa umana, ma la verità oggettiva della Parola che Gesù trasmette con la propria persona. Egli stesso è la Parola, il “Verbo uscito dal silenzio di Dio” (Ignazio di Antiochia: “Lettera ai Magnesii”). In lui l’atto eterno dell’amore di Dio si fa presente nel Figlio ed in lui, maestro e fratello, si fa vicino e percepibile, nella delicatezza di chi si propone e non si impone. Si scosta un po’ per essere ascoltato meglio. Continuerà a fare così, sempre. “Lo pregò”, il Signore pregò il discepolo. Quanto dobbiamo imparare dalla passione di Gesù per il Padre e per l’uomo, dal suo stile.
– Poi la chiamata, atto di amore personale per Pietro, al di là dell’indegnità, che lo indurrebbe a tirarsi indietro. Pietro deve capire che gli viene domandato di fidarsi della Parola, la richiesta del Signore vale di più dell’esperienza negativa fatta nella notte con la sterilità della pesca, vale più del’irrazionalità del tentare ancora, alla luce del giorno, cosa che nessun pescatore ragionevole farebbe.
Ecco – dice Luca – dove inizia la fede, in che cosa consiste: nel fidarsi della Parola, nella volontà di compiere scelte in obbedienza a quella Parola, motivate da quella Parola. Ed essa non delude, come appare dal prodigio che riempie le due barche all’inverosimile e conduce Pietro alla vittoria sulla paura: “Sulla tua parola getterò le reti”.
– Il “non temere”, pronunciato da Gesù sarà la forza di Pietro e di ognuno di noi nel cammino di fede fino alla fine del tempo. La risposta a Pietro significa che Gesù lo lega a sé in modo ancora più stretto. L’esperienza fatta lo rende sicuro della verità della promessa; quello che ha fatto finora per catturare pesci diventa radunare uomini. Così, dice Luca, Gesù prende i peccatori e li fa operatori del Regno di Dio.
All’inizio di questa vicenda di formazione e di comunione non c’è perciò la condanna, ma il Vangelo della misericordia; non c’è il castigo, ma il perdono; non l’uomo giusto, ma la pazienza di Dio.
È il mistero d’amore che Gesù porta nel mondo e soffia nel cuore degli uomini. È quello che si capisce intimamente facendo il cammino di fede:
“Dì anche tu:
“Signore, allontanati da me che sono peccatore”, affinché il Signore ti risponda: “Non temere”.
“Non temere di confessare il tuo peccato al Signore che ti perdona”.
(Sant’Ambrogio)