VI DOMENICA T.O.- Anno C
(Ger 17,5-8; Sal. 1; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26)
Con oggi iniziamo quello che nel Vangelo di Luca viene chiamato il Discorso della Pianura, parallelo al Discorso della Montagna di Matteo, anche se meno esteso.
Luca ci trasmette in esso il cuore, il centro, dell’insegnamento di Gesù: accogliamolo nella fede. Luca inizia dicendo che Gesù “discese” verso la pianura con i dodici, gli apostoli che proprio in quei giorni, sulla montagna, aveva scelto tra gli altri discepoli, perché fossero i suoi inviati. Gesù è disceso dal cielo per portare a noi la Parola del Padre; nel Vangelo di Giovanni, dopo la Cena, egli prega dicendo: “Padre, le parole che hai dato a me io le ho date a loro”. Gli apostoli hanno già ricevuto l’insegnamento di Gesù sul monte, ora anche loro discendono per esercitare il loro ministero nel tempo della storia, il luogo pianeggiante, per donare poi a loro volta la Parola, senza sfuggire alle sue esigenze. Ma ora anche essi sono chiamati ad ascoltare. Le Parole di Gesù, che Luca riferisce, sono dette a chi è stato chiamato in maniera particolare – oggi ricorre la giornata dedicata a pregare per il nostro Seminario di Napoli – ma in realtà sono rivolte alla folla, che circondava in quel momento il Signore, a tutti noi battezzati. Nessuno è esentato dal dovere di vivere le Beatitudini.
Chi sono i poveri che Gesù chiama beati, perché loro è il regno di Dio? La successiva antitesi con i ricchi ci dice chiaramente che si tratta dei poveri intesi in senso economico: anche la preghiera Colletta, ha recitato così: “O Dio, … ascolta il grido dei poveri e degli oppressi che si leva a te da ogni parte della terra: spezza il giogo della violenza e dell’egoismo, che ci rende estranei gli uni agli altri…”. Poveri sono i mendicanti, chi non ha autonomia né fisica né economica. Ma la quarta beatitudine dice: “Beati voi quando gli uomini vi odieranno.., vi metteranno al bando e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo”. È perciò beato chi soffre a causa del Vangelo. Luca sa che la società è dominata dalla ricerca del prestigio e del successo, sa che la fede nella fraternità, nella comunione dei beni è proposta che è, sarà accantonata e derisa, che diverrà causa di persecuzioni. Poveri sono allora tutti i credenti che per la loro fede sono esposti a debolezza e precarietà. Fin da ora, dunque, la precarietà è una beatitudine: oggi noi siamo beati!
Dobbiamo fare molta attenzione. Tropo spesso riconduciamo la promessa di Dio al futuro, al paradiso inteso come una “favola”, qualcosa che sussiste dopo la morte. Non è così: Luca ce lo ripete con forza. Ai pastori gli angeli annunciano oggi una grande gioia, a Zaccheo Gesù ripete: “Oggi devo fermarmi a casa tua .. oggi la salvezza è entrata in questa casa..” e al ladro che muore come lui sulla croce “…oggi sarai con me nel paradiso”. Il paradiso, il Regno di Dio, è presente fin da ora nella povertà, nella fame, nel pianto. In tutta la Scrittura Dio ha a cuore i poveri, è con loro. In questi giorni un amico, che deve andare al Nord a subire una gravissima operazione mi ha detto di essere divorato dalla paura, ma di avvertire contemporaneamente la beatitudine, perché, mi ha detto: “So che qualcuno mi accompagna, so che non sono perduto!”. Luca ci ripete questo “oggi”. Non bisogna credere di poter esorcizzare la sofferenza, ma bisogna vederla come presenza del Signore nella nostra vita. Egli è con noi in ogni momento, è con i poveri, con chi ha fame, con chi piange, con chi è perseguitato a causa sua.
Il “guai” dei versetti successivi non vanno interpretati come minaccia, ma come esperienza concreta; chi possiede, chi non conosce il bisogno, giunge a credersi autosufficiente e diventa indisponibile al Vangelo. Nel capitolo 18 Luca ci dice che il giovane che pur aveva osservato lungo la sua vita tutti i comandamenti, di fronte alla proposta fattagli da Gesù di vendere tutti i suoi beni e distribuirli ai poveri “divenne assai triste, perché era molto ricco”. Il ricco non è disponibile alla chiamata del Vangelo, la sua tristezza è tristezza anche di Dio. Gesù è preoccupato perché la ricchezza può rendere incapaci di interessarsi al prossimo. Pensavo ieri ai milioni di rose che erano state donate per San Valentino, quasi che un numero maggiore di rose potesse indicare un’enfasi maggiore nell’affetto, mentre nessuno pensava che quelle rose vengono dal Kenia, dove i coltivatori sono pagati un euro al giorno! La ricchezza dei popoli ricchi ottunde e noi non ci rendiamo conto dei fratelli che in Africa, in tante parti del mondo, non hanno un lavoro che rispetti la loro dignità! Gesù si rammarica per chi non può crescere nella dignità, ma si rammarica ancor più perché chi è sazio si difende, cercando magari riparo per la propria ricchezza nei paradisi fiscali. Nella parabola dei talenti ci insegna invece che le proprie ricchezze non devono essere seppellite, non devono essere vissute come possesso personale, ma devono essere spese nella relazione. Guai a chi si chiude nella propria ricchezza e si sente autosufficiente! Gesù non esalta la povertà, non condanna la ricchezza, ma ci dice che se vogliamo essere davvero figli del Padre dobbiamo farci dono per l’umanità. Saremo davvero beati se diverremo tutti fratelli.
Gesù dice una parola difficile, si pone controcorrente. Ma oggi tanti giovani avvertono la contraddizione di un certo modo di vivere e sempre più frequentemente non accettano di seguire la professione dei genitori, magari preferiscono fare il portiere di notte. Gesù ci parla dalla croce per farci avvertire la via della resurrezione. Riflettiamo su questo durante la celebrazione dell’Eucarestia. Come al giovane ricco ci dice: “Fa come me!”. Le Beatitudini ci invitano a far nostra la proposta di amore di Cristo, a renderlo presente oggi, “perché – come scrive don Primo Mazzolari – il mondo cambia se io cambio, il mondo si fa nuovo se io divento una nuova creatura e io mi impegno anche se altri non si impegnano, perché la notte comincia con la prima stella, il fiume con la prima goccia d’acqua, l’amore con il primo sguardo”.
Domandiamo il dono della libertà, la libertà di Dio, nella misura della nostra piccolezza. Dio ci chiama a distruggere le nostre paure, ci chiama alla libertà, ci chiama a non essere schiavi dell’avere, schiavi delle cose e a vivere, invece, con il cuore e le mani che siano tutti per i fratelli.