XI DOMENICA T.O.- Anno C
(2Sam 12,7-10.13; Sal. 31; Gal 2,16.19-21; Lc 7,36-8,3)
Luca mostra la libertà interiore di Gesù rispetto al legalismo della tradizione che mal tollerava la familiarità, il mangiare insieme con pubblicani e peccatori notori. Pochi versetti più su (Lc.7,35), aveva dovuto giustificare il proprio atteggiamento criticato nel nome della Sapienza, che invece egli mostra presente, immersa proprio negli ultimi.
Questo il contesto in cui si svolge la scena che meditiamo oggi.
v. 37 “ed ecco”
Non è Maria di Betania, sorella di Lazzaro, e neppure Maria di Magdala. È “una peccatrice”, conosciuta pubblicamente, che riesce ad entrare in casa di un fariseo, dove non avrebbe potuto per l’impurità legale. Forse aveva sentito Gesù parlare della misericordia di Dio, restando colpita. Forse voleva dire la propria riconoscenza con un profumo di valore. Luca descrive la scena con emozione per dire questa creatura dai gesti furtivi, ma non timidi; lo si capisce dal martellare dei verbi: “stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i propri capelli, li baciava, e li cospargeva di profumo”. Il solo sciogliere i capelli avanti ad uomini era considerato indecente dai rabbini. Tutto è rivolto ai piedi per esprimere la venerazione verso Gesù e l’umiltà.
È sconcertante per chi guarda, e forse per il lettore di Luca in ogni tempo, l’atteggiamento del Signore che lascia fare, accetta questi gesti davanti a tutti, incurante dell’impurità che quel contatto portava con sé, come quando accadeva di toccare un maiale o un cadavere. Ma Gesù appare premuroso solo della accoglienza e della comunione con la donna.
Viene da domandarsi come e quanto seguiamo il Signore nella sua libertà dalle prevenzioni e dalle paure, fisiche e culturali; e quanto non ci preoccupi che la chiusura possa impedire al diverso da noi l’incontro con Dio.
v. 40 “Simone, ho qualcosa da dirti”
Il fariseo sconcertato è formalmente rispettoso, ma non riconosce Gesù come profeta, perché un profeta deve essere chiaroveggente, conoscere il pensiero e la verità di una persona e osservare la legge di Dio, che impedisce di toccare una peccatrice. Gesù invece sembra dire di essere consapevole della vita della donna e si lascia toccare da lei, perché vuole portare alla luce una visione del rapporto con Dio, diversa da quella del fariseo.
Perciò racconta la parabola. Nella sua concisione rivela la condizione dell’uomo davanti a Dio. L’uomo è sempre in debito. Gesù conosce la differenza tra quanto dovuto dall’uomo giusto e quanto dalla donna che giusta non è. Ma – dice – il creditore rimette i due debiti; e questo suona strano nei rapporti umani, basati sull’entità dei meriti. Così vuol dire che Dio si abbassa sull’uomo, si rivela come un Dio perdonante; perciò “il più sfavorito diventa il più avvantaggiato, e colui che doveva meno riceve meno” commenta Dupont, un autorevole studioso di Luca.
v. 42 “Chi lo amerà di più?”
Il fariseo, con la sua risposta ovvia, è condotto a riconoscere che la donna ha fatto un’esperienza che a lui è rimasta estranea, quella della bontà personale di Dio; e che dentro di lei sono rimaste radicate la riconoscenza e la capacità di amare, per cui non è più peccatrice, mentre lui è vuoto di amore!
Anche qui viene da domandarsi quale sia la coscienza della nostra situazione davanti alla santità di Dio, quella che punta su di una rettitudine etica, personale e sociale, che ci rende galantuomini ineccepibili, o quella di creature deboli e peccatrici alle quali è donata la pace e la gioia della misericordia.
vv. 44-46 “Vedi questa donna?”
La donna, con il suo comportamento, è al centro. E l’insegnamento è pratico.
Riconoscere Gesù significa avere quel “di più”, che è il segno della conversione, del vangelo capito e vissuto: l’amore senza misura, del cuore. La proposta è ancora quella di avere una fede non basata sulla perfezione dei comportamenti, ma sulla sincerità del cuore.
v. 47 “sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato”
La riconoscenza della donna per il dono del rapporto personale con Gesù, che le ha suscitato il pentimento nel cuore, è il motivo per cui Dio le ha dato il perdono. Ogni gesto di amore ha sempre la sua radice in Dio. Luca dice che il perdono ricevuto come grazia, se vuole essere mantenuto operante, deve essere nutrito da una vita vissuta nell’amore, nella linea del Padre nostro: “Rimetti a noi i nostri (debiti) peccati, anche noi, infatti, perdoniamo ogni nostro debitore” (Lc.11,4). Ogni atto di amore avvicina a Dio.
v. 50 “va’ in pace”
Con la sua parola Gesù attua il perdono di Dio, il dono che è venuto a portare. La pace è la pienezza che proviene da Dio. È l’armonia, la sicurezza, la gioia del vivere e del rivivere.
Nei versetti che precedono le pagine offerte dalla liturgia, Gesù appare rammaricato per l’indifferenza che impedisce a “questa generazione” di coinvolgersi nell’azione di Dio, restando in uno scetticismo paralizzante: “Di Giovanni dite ‘è un matto’, del Figlio dell’uomo: ‘È amico dei peccatori’ ”.
Luca sceglie questo contesto per raccontare la cena in casa di Simone il fariseo e dire al lettore che l’ostacolo principale alla relazione con Dio sta nella presunzione di “giustizia” che impedisce di sentirsi bisognosi di perdono e non favorisce la comprensione di Lui verso quanti considera come figli, anche se lontani da Lui.
“Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città”, forse una che aveva ascoltato qualche parola del Signore che le aveva dato stupore e dolcezza al cuore, forse si era sentita accolta e amata, presa nell’intimo, ed ora voleva dare segno della propria riconoscenza e venerazione con il vasetto del profumo. Aveva sentito di essere amata, per una volta, non di un amore da marciapiede, considerata persona e non oggetto di compravendita; ora vuol benedire quel Gesù che le ha messo il perdono in cuore, vuole onorare quei piedi che hanno percorso la sua strada, per incontrarla, vuole asciugarli con i suoi capelli, con tutto il suo essere. Il suo gesto sembra sconcertante, e lo stesso atteggiamento di Gesù che lascia fare, accetta quelle carezze che per il fariseo sono illecite, le accoglie come amore. Viene in evidenza una visione ben diversa nel pensiero del rapporto con Dio: mentre Simone pensa “Se fosse un profeta saprebbe, non permetterebbe questo”, Gesù sa tutto di lei e la raggiunge nell’intimo con il perdono silenzioso. Ma poi dona il suo insegnamento che resta nel Vangelo per tutti noi.
Quella dei due debitori della parabola è la situazione di ogni uomo davanti a Dio. L’uomo è sempre in debito, anche quando la distanza tra l’uno e l’altro comportamento è oggettivamente grande, perché ognuno ha la propria storia. Nella sincerità del cuore ogni uomo sa di aver bisogno di perdono. E Dio, dice Gesù, vuol perdonare. E raggiunge l’uomo nella sua indegnità, si avvicina annullando la distanza, con una logica che sfugge a tutte le regole della giustizia umana, bloccata dall’obbligo della restituzione e della soddisfazione. Con questa paternità perdonante “il debitore più sfavorito diventa il più avvantaggiato, e colui che doveva meno, riceve meno” (Dupont: “Perché le parabole?”).
“Chi Lo amerà di più?”, chiede il Signore. Invita a prendere coscienza che l’amore caldo della donna indica un’esperienza di Dio più forte di quanto non consenta la sola osservanza di comportamenti giusti ma freddi, senza amore. Il perdono accolto e la riconoscenza sono i segni che la donna non è più peccatrice. Gesù la propone al fariseo come modello e Luca a noi. L’amore è il “di più” che è il segno del rapporto personale con Dio. Il perdono di Dio, operato nel cuore, deve essere custodito nella luce del “Padre nostro” che prega: “Perdona a noi i nostri peccati perché anche noi li rimettiamo a ogni nostro debitore”.
L’insegnamento che il vangelo ci dona è come una sintesi del messaggio di Gesù. Dice che l’amore non si può fermare a mezza strada e non si accontenta di darsi a metà, ma parte dalla profondità del proprio cuore dove è accolto il perdono di Dio e desidera raggiungere la profondità del cuore dell’altro. Questa è la reciprocità d’amore verso Chi ci ha amati per primo, e perciò è il nostro debito.
Gesù non può fermarsi alla misura del comportamento e del ritualismo ma dice che “vicinanza e tenerezza fanno vedere la fortezza dell’amore di Dio” – diceva papa Francesco il 7 giugno. Perciò, come domenica scorsa ci è apparso fremente di commozione per il pianto della vedova, oggi non si sottrae alla sensibilità femminile della peccatrice ed è pieno di gioia perché non è più peccatrice, ma “esperta di Dio”.
Da questa creatura dobbiamo imparare ad accogliere “la verità più grande che amare Dio è lasciarsi amare da Lui, lasciare che Lui si faccia tenero, ci carezzi. La Chiesa – si augurava il papa – sia luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato e incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per far sentire l’altro accolto, amato, perdonato e incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte aperte, perché tutti possano entrare. E noi dobbiamo uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo” (11 giugno 2013).