XVII DOMENICA T.O.- Anno C
(Gen 18,20-32; Sal. 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13)
“Quando pregate, dite: Padre nostro”
Due versioni della preghiera del Signore, più lunga quella di Matteo, più breve quella di Luca; sono molto simili come contenuto e come ordine delle domande. Dicono gli studiosi del testo che forse quella di Luca è più corrispondente alle espressioni originali di Gesù, quella di Matteo risentirebbe della celebrazione liturgica nella quale il ritmo lento e cadenzato avrebbe lasciato lo spazio a richieste particolari inserite secondo la necessità della comunità.
È la preghiera base, la “preghiera del Signore”.
“Padre”. Gesù chiama Dio Abbà, che Luca traduce con il greco “patér”, padre. È una relazione tutta particolare, una tensione alla prossimità con Dio che si rivela in quello che Gesù pensa, insegna e opera, che svela ai discepoli la via per entrare in questa relazione, potervi partecipare e chiamare anch’essi Dio con il nome affettuoso e intimo di Abbà, quell’Abbà che è il Padre di Gesù. La preghiera cristiana ha come modello questa relazione che perciò è il suo contenuto e la sua prima finalità.
Perciò le prime domande: “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno”. Chi prega viene subito messo di fronte al grande disegno finale di Dio che riunisce i suoi figli nell’Amore. È il grande desiderio di Gesù, la sua grande passione per la rivelazione della santità di Dio nei suoi figli. Non si chiede in primo luogo che l’uomo rispetti il nome di Dio, ma che il Padre stesso faccia in modo da essere riconosciuto Santo dagli uomini.
Il Padre nostro impegna i credenti già dal presente.
“Non si può sinceramente desiderare la venuta del Regno e il compimento del suo disegno senza conformarsi, fin da ora e totalmente, alle esigenze della sua volontà. L’obbedienza ai comandamenti divini acquista così il suo senso profondo. Non è una semplice sottomissione a un imperativo morale, ma comunione alla volontà di salvezza che Dio realizzerà alla fine dei tempi, di cui però Egli vuole iniziare la realizzazione fin da ora” (Dupont-Bernard. Parigi 1966). Pregare perciò è porre l’esistenza storica personale e collettiva sotto l’amore potente e misericordioso del Dio fedele, da cui ogni giorno ripartire, oltre ogni limite individuale e strutturale.
Gesù domanda ai suoi che desiderano entrare nella sua preghiera e nella sua relazione con Dio, di farlo con lui e come lui che assicura: “Cercate prima il Regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta”(Lc.12,31). Le tre domande che si esprimono nel “noi” della comunità che prega con le parole ed il sentire intimo di Gesù, riguardano l’esigenza di porre la vita quotidiana e concreta nella logica del Regno, che è la grande finalità di Gesù che prega e offre se stesso in totale disponibilità.
“Il nostro pane, necessario, daccelo ogni giorno”
È un invito che Luca fa ai credenti di prendere tutto, anche “il pane sudato” (Gen.3,19), dalla Provvidenza di Dio, un invito a vedere in ogni pasto consumato e in ogni vestito indossato, la premura del Padre per quanti mettono la propria vita nelle sue mani.
Chi prega per il “nostro pane” sa di non essere solo e domanda non tanto una bravura personale nella sobrietà e nella generosità, ma una realtà che veda crescere gli spazi della condivisione e che sia segno di comunione fraterna e stimolo quotidiano per una giustizia più vera. Il credente si trova nel “frattempo” tra il già e il non ancora. Gesù ha già annunciato il grande perdono finale, ma l‘essere ancora nella storia mette il discepolo in guardia dal pericolo di vanificarlo, perciò lo Spirito gli mette sulle labbra la richiesta di accorciare il tempo e la distanza, di colmare i vuoti dovuti alle inadempienze, di avere la capacità di lasciarsi perdonare, e perdonare a propria volta, nel crederlo possibile proprio in virtù della coscienza di essere figlio del Padre misericordioso.
“Non abbandonarci alla tentazione”
Gesù chiede di domandare al Padre non di sottrarci alla tentazione, ma di non permettere l’apostasia, il rifiuto di credere all’Amore a motivo della prova.
Luca è preoccupato per la defezione dalla fede, nel passare degli anni e nell’evidenza della non presenza del Regno, quando la storia si fa buia. La preghiera di Gesù finisce chiedendo al Padre di prendere nelle sue mani l’intera esistenza del credente e della comunità provata, perché possiamo vivere ogni realtà con Gesù, in Lui, “liberi dal male”.
Gesù la ha vissuta così, non come parola da pronunciare ma come realtà da vivere. Nel dramma della passione, quando sulla croce ha sentito Dio lontano, abbandonato da Lui, ha pregato e vissuto la sua richiesta “non abbandonarci alla tentazione” e si è affidato alla certezza oscura delle mani di Lui.
La sua preghiera diventa così alba della resurrezione e ingresso nel seno, nella casa del Padre suo e nostro.