IMMACOLATA CONCEZIONE – Anno A
(Gen 3,9-15.20; Sal.97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38)
“Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te”. Non è solo un saluto, ma l’invito ad accogliere nella riconoscenza il dono del Signore. Cerchiamo di comprenderne il senso, di lasciarcene coinvolgere, per poter incontrare realmente Maria.
Il brano del libro della Genesi, con cui inizia la liturgia della festa dell’Immacolata, apre a noi la luce della promessa, ma può anche apparire come un testo che rivela la delusione del cuore di Dio per il comportamento dei primi uomini, che pur egli aveva pensato come suoi “partner” nell’opera della creazione, ma che, invece, avevano provocato la disunità, il fallimento del pensiero originario del Creatore. È un dolore di Dio, che la Scrittura non nasconde, se, parlando della situazione del mondo al tempo di Noè, ci dice che Dio si era pentito di aver creato l’uomo(Gen.6,4).
Maria è l’espressione autentica e pura dell’amore misericordioso di Dio. Le parole: “Piena di grazia” possono sembrare ardite. Perché la grazia è la vita stessa di Dio: Dio la dona a tutti, ma nessuna creatura può pretendere di possederla pienamente e autonomamente. Maria è “piena di grazia”perché è stata riempita da un atto di amore, di cui non è l’iniziatrice; è perciò il segno vivo – l’icona – “dell’amore di Dio sempre fedele perché misericordioso”, è “il sacramento della tenerezza materna di Dio” per l’umanità, come dice il poeta francese Paul Claudel. La prima cosa che capiamo, guardando questa creatura piena di luce, è che Dio non si è stancato dell’umanità neanche di fronte alla delusione e alla sconfitta. Dio ricomincia ogni giorno, come il sole che sorge ogni mattina.
La bellezza interiore di Maria , che la rende donna pienamente realizzata, sta nel credere senza riserve a quest’atto di amore che la precede e nell’accoglierlo. La sua fede è come comprendere che l’iniziativa di Dio si deve realizzare con prontezza, che questa prontezza della creatura permette la concretizzazione storica di un disegno eterno, cosa non possibile se si resta chiusi, ancorati al proprio piccolo progetto personale di vita. Nella sua luce cogliamo il valore della autorealizzazione della creatura. Noi pensiamo che autorealizzarsi sia sinonimo di autosufficienza. Maria ci dimostra che essa diventa realtà solo nell’accoglienza, nell’apertura al volere di Dio, vissuta non come un limite, ma come la possibilità positiva della comunione con il divino.
Tanti oggi, soprattutto nell’Occidente puntano sull’autonomia individuale, priva di punti fermi di riferimento. Avviene così che la ricerca del proprio essere diviene esigenza di benessere e la libertà in ogni campo fa perdere ogni riferimento alla trascendenza, generando pessimismo angoscioso, perdita del senso stesso del vivere.
La fede di Maria nell’amore non è passività, ma atto intelligente di una persona forte, che vuole capire per assentire all’iniziativa divina. Di fronte all’insondabile mistero del divino, ella si sente povera, ma conserva la propria dignità di persona.
Luca, nel racconto dell’Annunciazione, propone un dialogo forte tra l’Angelo che annuncia e Maria che ascolta e accoglie. Tre volte l’Angelo parla e tre volte Maria risponde. È l’io-tu del rapporto tra creatura e Creatore, è il rapporto, non delegabile ad altri, della preghiera personale, che dovrebbe essere il pane quotidiano di ogni credente. Niente favorisce la crescita del bene comune dell’umanità quanto questo dialogo della preghiera. Cerchiamolo in questo tempo di Natale, così pieno di frastuono. Impariamo da Maria la necessità della maturazione, il silenzio, la domanda, il consenso personale.
Con il consenso, che Luca esprime con le parole: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che lui ha detto” – con l’assunzione di responsabilità di Maria – la parola di Dio diventa storia di Dio nell’umanità. Ella dà tutta la sua disponibilità: disponibilità nel suo corpo per la maternità, disponibilità nei suoi affetti. Ella consente che il suo rapporto con Giuseppe diventi un matrimonio di cui non si poteva avere idea nel suo tempo, totalmente speso per il Vangelo. Tutto la induce a comprendere che, per corrispondere all’Amore che la ha riempita, non può che vivere per amore ogni momento della sua vita. Così il vuoto più profondo si accompagna alla più grande pienezza. È questa l’altra luce ce ci viene da Maria: la pienezza di vita è indissociabile dal pensiero del Creatore, che della vita è l’autore.
Così Maria, nella coscienza di sé come umile serva di Dio e nell’ ”eccomi” della concreta disponibilità si fa “piano inclinato”, perché ella porta Dio al nostro livello, permette che egli ci raggiunga nei giorni della nostra vita, concretamente, e allo stesso tempo ci permette di camminare verso di lui. Per questo motivo il senso più diffuso di lei è la maternità: Maria è “la Madre”. E come madre ci comunica i suoi lineamenti. “Maria è pacifica come la natura, pura, serena, tersa, temperata, bella … Ed è forte, vigorosa, ordinata, continua, inflessibile, ricca di speranza” (Chiara Lubich). Questa bellezza materna affascina, diviene nostalgia cocente, desiderio di imitarla, di riviverla, per l’armonia personale e comunitaria. In migliaia di monasteri, in centinaia di migliaia di cuori, segretamente, oggi ci si riscopre nuovi per la possibilità di consacrarsi e riconsacrarsi a lei. Maria appare come l’ideale, il dover essere, come la porta, il modello,
il poter essere, di ogni vita credente.
Concludiamo con le parole di Ambrogio, vescovo di Milano: ”Maria era il tempio di Dio, non il Dio del tempio. Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria ad esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede, Cristo è frutto di tutte le anime”
Un saluto che è un invito alla gioia. Maria è invitata a non intenderlo come un “buon giorno” consueto, un convenevole, ma come la rivelazione di un’azione creatrice di Dio, che fa una cosa nuova ed inaudita. Maria è definita “riempita di gioia”, amata, “destinataria di particolare gioia e benevolenza”, amata da sempre come “prediletta”.
Luca vede in Maria la “figlia di Sion”, la personificazione del popolo di Israele al quale è promesso l’intervento salvatore di Dio, come fu annunciato, sin dall’inizio della rivelazione, a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo, in Egitto e ho udito il suo grido, conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo” (Es.3,7-8).
Un saluto così impensabile da lasciare nel cuore di Maria un grande turbamento, che permette di comprendere meglio quello che viene annunciato di lei: è la “trasformata dalla grazia” nella sua maternità.
La grazia che viene salutata nella persona di Maria fino ad essere considerata il suo nome vero davanti a Dio, “trasformata dalla grazia”, consiste nel dono e nel compito che le vengono proposti nella maternità del Figlio che nasce da lei, dal suo inaudito concepimento verginale, quello che Isaia aveva profetizzato (Is.7,14). Al turbamento di Maria, al suo stupore e al suo sgomento, la risposta di Dio risuona nelle parole del messaggero: “Spirito Santo verrà su di te. Potenza dell’Altissimo adombrerà te”. Gesù non è nato, come certi eroi della mitologia greca e romana, dall’unione tra una divinità e un essere umano, un dio e una donna. Lo Spirito che opera in Maria non è una potenza generatrice, sessuale, ma creatrice. È lo Spirito fonte di vita del primo capitolo della Genesi, che aleggiava sulle acque per renderle feconde, armoniose e belle (Gen.1,2). È lo Spirito che rinnova tutto in vista dei tempi finali, quello che i primi discepoli sperimenteranno, dentro di loro e nella loro comunione fraterna, nell’evento della Pentecoste, rendendo la comunità cristiana generatrice di uomini e popoli trasformati dalla grazia (Atti 1). Questo Spirito coprirà con la sua ombra la persona di Maria e la renderà gravida dell’incarnazione, via per il Figlio eterno che si fa suo figlio nel tempo. Perciò Luca fa pronunciare all’angelo la frase assiomatica, ”nulla è impossibile a Dio”, una verità che tante volte sperimentiamo vera nel cammino difficile della fede. Non dimentichiamola.
La Maria che Luca propone in questa scena straordinaria è una giovane donna raccolta in Dio e disponibile a Lui. Il vangelo non intende presentare una donna fuori dal comune della condizione mortale, lontana dall’umanità per i suoi privilegi e i suoi meriti. Vuole presentarla come la “povera” che ha ricevuto tutto da Dio, la credente che ha saputo essere il vuoto che Dio ha colmato. Questa coscienza di sé la rende libera di dare testimonianza di gioia. Perciò non si nasconde, come Elisabetta, ma esce dal suo piccolo ambiente, si mette in viaggio, si sente serva della Parola ricevuta, inizia il suo nuovo cammino di fede con ombre e luci, crescita e prove.
Sente fortemente che la sua docilità a Dio non è una vicenda privata, ma che sua responsabilità è assumere tutto dell’umanità che le sta davanti; per la sua impensabile maternità diventa, comincia ad essere, madre del Figlio dell’uomo che le consegnerà tutti i figli degli uomini. Saggia e forte, Maria si vede al suo posto nel disegno di Dio. Luca fa fede di questa intelligenza, di questo impegno coraggioso, nonostante le difficoltà. Certamente avrà avuto la luce e l’aiuto necessari all’attuazione del suo compito, come tutti i servi di Dio che la hanno preceduta. Questa luce è tuttavia limitata perché il mistero supera ogni possibilità di conoscenza umana. È per questi limiti che la fede di Maria progredisce secondo le leggi di ogni fede, con l’accoglienza degli eventi e della Parola, la riflessione e la preghiera, l’impegno di tutta la vita.
Per questo la sentiamo vicina, sorella e madre, piano inclinato, perché quello che le è stato donato passi e resti nella nostra vita.