SACRA FAMIGLIA – Anno A
(Sir 3, 3-7.14-17; Sal.127; Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23)
A Natale abbiamo contemplato il desiderio di Dio di far proprie le condizioni fisiche, psicologiche, sociali e relazionali in cui ordinariamente si esprime e si evolve la vita umana, a cominciare dalla famiglia. È la via dell’Incarnazione, da noi troppo spesso disattesa, quando poniamo Dio nei cieli, non qui tra noi. Luca, nel descrivere i pastori, che per primi vennero a conoscenza della nascita del Bambino e andarono da lui ci dice: “Trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia”. E Matteo, a proposito dei Magi dice: “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre”. La liturgia, intitolata alla Santa Famiglia, vuole farci contemplare questa santità, spingerci a scoprirne il segreto, gli atteggiamenti che hanno consentito a Maria, a Giuseppe, a Gesù, una corrispondenza piena alle esigenze di Dio, tanto da fare di questa famiglia di Nazaret – pur nella particolare vocazione che la riguarda – il modello ideale per ogni famiglia cristiana. Tutti ne siamo coinvolti in prima persona. Come questo modello è proponibile a noi? Innanzitutto attraverso la sottomissione a Dio. Due domeniche fa abbiamo già fatto riferimento alla decisione di Giuseppe e di Maria, assunta in maniera autonoma dalla responsabilità personale di ciascuno, di compiere il volere di Dio in tutto e fino in fondo. L’obbedienza della fede caratterizza e motiva la loro unione: dare una famiglia umana a Gesù. Tutto si orienta in questo senso. Qui è il perché che viene da Dio ed essi vivono in questo perché, che è il centro della loro vita. Comprendere la motivazione assunta davanti a Dio – nelle angosce che tanto spesso paralizzano la nostra vita familiare – li rende più forti delle avversità, della drammaticità degli eventi che devono essere affrontati con fede interiore e responsabilità concreta. “Alzarsi e fuggire… Alzarsi e tornare… Avere paura”. Matteo in poche righe ci fa assaporare questo travaglio, che si prolunga nel tempo. Gli studiosi suppongono che la permanenza della Santa Famiglia in Egitto sia durata circa due anni e mezzo. Ma il travaglio si prolunga nel tempo se Luca ci dice che Gesù, ormai adolescente, dopo i pellegrinaggio al Tempio “tornò a Nazaret e stava loro sottomesso” (Lc.2,51). E più tardi Marco ci dice di Gesù adulto che “I suoi uscirono per andare a prenderlo perché dicevano “È fuori su sé”” (Mc.3,21). E a quanti gli riferivano che la madre e i suoi lo cercavano, egli domandò: “Chi è mia madre?” (Mc.3,33). È un travaglio lungo, vissuto e superato per la motivazione del vivere davanti a Dio, che anima la libertà personale. C’è un’intima relazione tra senso di Dio e dignità della persona ed è in questa relazione che si radica la fedeltà che permette il vivere insieme, a lungo. Giuseppe e Maria sanno che la famiglia è sostenuta dall’amore di Dio e ci dicono che l’amore che unisce la famiglia è amore se si nutre, se si sostiene, se si confronta, se si comunica con l’amore che è in Dio, con quell’amore che è dono di Dio e viene dal suo cuore. Quando nel cuore dei componenti una famiglia questo amore è acceso, è vivo, allora i problemi non appaiono irremovibili, gli ostacoli non sono insormontabili, non si creano fallimenti irrimediabili. La famiglia può essere bella e unita come Dio la desidera. Se, invece, si resta soli, si cade nei vittimismi e nelle rivendicazioni. La seconda indicazione che ci viene dalla Famiglia di Nazaret è la sottomissione reciproca e l’assunzione libera della relazione con l’altro nella sua diversità. Essa è valida per qualsiasi tipo di convivenza umana che si ispiri al Vangelo. La seconda lettura, tratta dalla lettera di Paolo ai Colossesi, ce lo dice in maniera esemplare. Nessuno sceglie l’altro secondo se stesso; anche nella decisione di sposarsi non si è esenti dalla sofferenza della diversità. Teorizzare l’ “anima gemella” è una sciocchezza. L’altro è diverso e le diversità si accrescono con il tempo. Anche la decisione di donare la vita non comporta la possibilità di determinare il carattere e le esigenze profonde dei figli. Così come nessuno che venga al mondo può scegliere i genitori e nessuno può pretendere un ambiente umano secondo la propria misura. Paolo è molto concreto, scrivendo ai Colossesi, e propone come binari per vivere nella sottomissione reciproca la corrispondenza alla chiamata di Dio, il perdono, come atteggiamento costante e la consuetudine con la Parola di Dio. Il perdono è la perla preziosa di ogni convivenza cristiana seria e fedele, da vivere quotidianamente senza l’illusione di modificare l’altro nella sua diversità. La consuetudine con la Parola è la radice del perdono e dà senso di eternità alle nostre povere parole, ci permette di reinventare costantemente il nostro rapporto con l’Amore che non si stanca mai dell’altro. L’icona di Nazaret ci guida su questa strada. A volte le nostre relazioni appaiono come quelle macchine fatte di catene, cui sono appese una serie di secchi che tirano su dalla terra un liquido fangoso, non bevibile. Ma il ritmo costante dei secchi che si immergono e riemergono rende l’acqua limpida come alla sorgente. Così avviene negli anni attraverso l’amore: lo canta Maria nel Magnificat: “Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono” Chiediamo a Giuseppe e a Maria di capire il messaggio che ci viene dalla loro famiglia e di imparare a viverlo.
La liturgia immediatamente successiva a quella del Natale ci propone la vita a Nazaret della “santa famiglia”, come la tradizione ha giustamente insegnato a denominare la convivenza di Gesù, Maria e Giuseppe, e ci invita a considerarla come modello di ogni famiglia. Infatti la sua singolarità non la allontana dall’esperienza comune dell’esistenza umana: in essa c’è l‘amore di coppia, il rapporto di responsabilità reciproca, la premura affettuosa e forte per il figlio, quel Figlio, i problemi dell’andare avanti, solidarietà, dell’esilio con la perdita del lavoro, l’esperienza della Provvidenza nel colloquio intimo della preghiera che illumina le decisioni e conforta. Proprio di tribolazione imprevedibile racconta il vangelo di Matteo in questa celebrazione. Viene in evidenza in questa pagina la grandezza d’animo di Giuseppe, la forza della sua fede, la sua fedeltà nel portare avanti quanto Dio gli domanda per vivere responsabilmente il compito di custode ed educatore del bambino che cresce. È la prima luce che riceviamo, l’affermazione non astratta ma concreta di quanto, nel vivere di queste persone, Dio – creduto e scelto – stia all’inizio, al principio di ogni vita, di ogni paternità e maternità umana chiamate a riflettere il suo amore per l’umanità; come più pienamente i discepoli comprenderanno, ricevendo da Gesù Risorto il sacramento del matrimonio, teso a realizzare nell’amore della coppia e, contemporaneamente, nella fecondità e nell’accompagnamento della crescita dei figli, l’immagine del suo amore “fino alla fine”, fino all’annientamento di sé, perché l’amore sia pienamente svelato, come abbiamo contemplato a Natale. Con una conseguenza grande: la densità e l’intensità dell’amore di Dio diventano l’etica della famiglia come fu per quella di Nazaret. L’amore diventa sinonimo del cercare con l’altro, per il suo bene, il primo posto di Dio, e sceglierlo insieme nell’obbedienza della fede, nella gratuità, divenendo, l’uno per l’altro, profeti e testimoni dell’amore di Dio. Proprio per questo la liturgia di oggi propone le parole di Paolo ai cristiani di Colossi, parole che si fanno “dette a noi” mentre attualizziamo le parole del Signore, custodite e annunziate per le famiglie di oggi. Oggi viene in evidenza, anche in modo drammatico ed enfatizzato mediaticamente, la complessità dei problemi. Le situazioni in cui le famiglie sono chiamate a vivere inducono a domandarsi quali possono essere le forme migliori per sostenerle nell’educazione all’amore, alla responsabilità condivisa, all’accompagnamento dei figli. I condizionamenti che provengono dalle mode conclamate e dal mercato sono pesanti. Ci sarà un futuro per i giovani desiderosi di amarsi e di dare la vita? Le famiglie che pure si ispirano al pensiero e alla tradizione cristiana sono inserite nel cuore di questa problematica che tocca la vita di tanti, insieme a quanti non si riconoscono nella fede e nella Chiesa. Questo permette, sul piano della vita di coppia, di sentirsi umili nel sapere che nessuna famiglia è esente dai rischi che la insidiano e la condizionano. È un’umiltà che spegne ogni presunzione di superiorità e ogni scontatezza di buona riuscita per il fatto di aver celebrato il matrimonio nella grazia del sacramento. L’umiltà è un dono grande del Signore, che fa comprendere la preziosità del vivere la realtà della famiglia come qualcosa che non si è meritato, ma ricevuto, una grazia appunto. E perciò un’umiltà che sa testimoniare che l’amore non dura se lo si vive nel compiacimento di sé, nella pretesa di considerare l’altro come sottomesso alle proprie attese, nel timore della sua identità. È un’umiltà che sa proporre la luce derivante dal vangelo del Signore: là dove l’amore ha il coraggio della misericordia, la forza della pazienza che genera la pazienza più forte della prova, la capacità di trasformarsi per il bene di chi si ama, là il vangelo si mostra possibile e fonte di gioia e di libertà. Essere decisi fino allo sperimentare la fedeltà come partecipazione alla fedeltà dell’amore di Cristo che per nessuna ragione ritratta il “sì” della carità di Dio. È a questo livello che l’amore degli sposi cristiani è sacramento pienamente, segno eloquente di Dio Amore. Vogliamo ringraziare per il dono di queste famiglie, perché sono presenti tra noi, perché testimoniano Dio, la sua provvidenza e la sua misericordia in questo tempo duro per i giovani che decidono di sposarsi nel Signore. E pregare per loro, perché siano consapevoli di quanto è detto: “i cristiani sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo” (lettera a Diogneto). E unire, nella preghiera, le famiglie, e sono tante anch’esse, che non hanno avuto la possibilità e la forza della fedeltà e vivono nella sofferenza della solitudine e del fallimento, perché il Signore dia loro la grazia di non rinunciare a vivere per amore.
Un invito a guardare con attenzione di fede e con amore alla vita reale della famiglia in cui Gesù ha vissuto la più grande parte della sua esistenza terrena, ha “imparato” ad essere uomo “in sapienza, età e grazia” (Lc.2,32) con Maria e con Giuseppe. Vivere in una famiglia è l’esperienza comune alla grande parte dell’umanità, perciò è spontaneo, per chi voglia seguire Gesù, guardare alla sua scuola di gioie, trepidazioni, preoccupazioni, sofferenze. “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto…”. Il vangelo di Matteo racconta subito qualcosa di improvviso e urgente che obbliga a decisioni immediate a causa dell’intenzione di Erode di sopprimere il bambino. E parla di Giuseppe, della voce interiore che lo chiama (il sogno nell’Antico Testamento è espressione di rivelazione), della sua prontezza nell’ascolto, della sua disponibilità, tutti segni concreti di vigilanza nella fede costantemente aperta ai desideri di Dio. Giuseppe non pone indugi tra l’ascolto e l’azione obbediente: “Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto dove rimase fino alla morte di Erode”. Sarà sempre così per chi si lascia riempire l’intimo da Dio. “Prendi con te il bambino e sua madre” Matteo nomina per primo il bambino, che sta sempre al centro; non dice mai “genitore” oppure “la famiglia” o “Maria e il suo bambino”. Le persone sono profondamente unite, ma distinte nella diversità delle identità di ciascuno. Matteo vuol dirci semplicemente che Maria riceve dal bambino la sua grandezza. Di fronte al fatto di essere madre di Gesù, il suo nome proprio passa in seconda linea. La gloria di Maria sta nell’essere stata scelta ad essere la madre di lui. E non solo in vista della gravidanza e del parto, ma fino alla fine della vita, e poi di quella della Chiesa e dell’umanità. Perciò la sua sarà una maternità di luce e di grazia, ma attraversata dalla spada che il vecchio Simeone le annuncerà (Lc.2,35). Con questa fuga ordinata dall’alto comincia ad essere la madre dolorosa, la Desolata che compie il suo sì nel perdersi a sé. Mentre a Giuseppe è domandata l’obbedienza che si concretizza nell’agire. Morto Erode, quasi con le stesse parole del momento della fuga, gli venne chiesto di nuovo: “Alzati, prendi il bambino e sua madre e và nella terra di Israele”. Così Gesù realizza in sé la profezia di Osea sul popolo eletto: “Dall’Egitto chiamai il mio figlio” (Os.11.1). In questo modo, nella distinzione delle identità, nell’unità della fede e degli intenti, è introdotto sulla terra il modello di vita trinitaria nel suo ritmo di unità e distinzione. E sarà il modello di ogni comunità ispirata alla fede cristiana. Così per ogni famiglia umana fondata e unita nel nome del Signore. Ha scritto Giovanni Paolo II nella sua enciclica sulla famiglia: “La comunione d’amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della rivelazione e dell’esperienza di fede di Israele, trova una significativa espressione nell’alleanza sponsale che si instaura tra l’uomo e la dona” (Familiaris consortio, n.12, 1981) È quello che la liturgia ci propone oggi: non fermarsi alla famiglia di Gesù. Maria e Giuseppe, ma riflettere e pregare pensando alla famiglia del tempo nostro. Perciò ci viene letto il brano della lettera ai Colossesi. Paolo suggerisce atteggiamenti concreti, amabili, fino d essere piacevoli umanamente, per sostenere la distinzione e l’unità che manifestano l’amore nella famiglia. Forse, alcune di queste espressioni non fanno parte della nostra mentalità e delle abitudini; ma la sfida del Vangelo sta qui. Quando, infatti, dice Paolo, i cristiani si rivestono degli atteggiamenti suggeriti, le mogli si assoggettano per amore e i mariti amano con la gratuità di servizio che la parola agape indica, allora nella reciprocità del dono di sé, la famiglia può donare esperienza di libertà e di pace, per la vita di coppia e per la conquista della distinzione, spesso impreziosita dal dolore, per i figli che ricevono la vita e partono da essa. Oggi preghiamo per la nostra famiglia e per tutte le famiglie in questa luce.