SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – Anno A
(Dt 8,2-3.14-16; Sal.147; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-58)
Il valore dell’Eucarestia è immenso e richiede una meditazione prolungatala, che non può essere appagata dal solo Giovedì Santo. La festa del Corpo e Sangue di Cristo ci chiama oggi ad una celebrazione che ci faccia soffermare a lungo sul dono dell’Ultima Cena. È una riflessione importante per la nostra vita personale.
“Ricordati di tutto il cammino che il Signore Dio tuo ti ha fatto percorrere … per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane”
“Colui che mangia di me, vivrà per me”.
In questi versetti, che abbiamo letto è il senso, l’orientamento di tutta la nostra vita. Essi ci dicono dietro chi stiamo andando, dove siamo diretti. Ci insegnano a ritrovare una memoria diversa da quella che ci rinnova nella fedeltà quasi per costrizione, per aiutarci a ricominciare dopo un fallimento. È la memoria che ci spinge a ripartire, che ci aiuta a superare le paure che ci vengono dall’insicurezza e dalla cattiva coscienza, a vincere la paura delle prove intese come castigo. La liturgia ci indica oggi una memoria diversa, la memoria intima, del cuore che ha conosciuto l’amore, che cerca di vivere in una reciprocità che sia frutto del cuore e non del timore. Essa ci propone questo passaggio intimo, dalla richiesta di rassicurazione al rendimento di grazie. Lasciamoci guidare dal Signore.
Nella sinagoga di Cafarnao, dopo il gesto della moltiplicazione dei pani, in tutto il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, Gesù dona il grande insegnamento sul pane della vita, non paragonabile alla manna, il cibo provvidenziale ricevuto dagli ebrei nel deserto in maniera impensata: “Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane il pane dal cielo, quello vero … Io sono il pane della vita” (Gv.6,32-35).
Gesù identifica se stesso con il pane, in due modalità.
- quella sapienziale: Dicendo: “Chi crede ha la vita eterna”(v,47) Gesù ci insegna che la vita in Dio per sempre è la conseguenza della fede in lui, nella sua Parola. La Sapienza divina è venuta ad offrirsi a quanti la cercano, viene assaporata da quanti accolgono la rivelazione e aderiscono a Gesù con la vita.
- quella sacramentale (vv.51-58). La vita in Dio per sempre è il frutto del “mangiare” la sua “carne” e “bere” il suo “sangue” (v.54). Sono espressioni sconosciute al linguaggio biblico e suscitano stupore, addirittura orrore (per gli ebrei il sangue era impurità). Ma esse sono l’equivalente di quanto i Vangeli Sinottici raccontano dell’Ultima Cena: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo … bevete … , questo è il mio sangue” (Mt.26.26), e Paolo, nella seconda lettura, afferma come acquisito dalla fede
Il v.57 permette di dare una sintesi di luce all’insegnamento:
“Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me”
Non siamo noi a dare inizio a questa circolazione di vita e di amore che è l’Eucarestia.
La Bibbia indica il Padre come fonte con un vocabolo materno: “il seno”: ogni madre sa che cosa significa avere il bambino nel proprio seno. Il seno di Dio, il suo cuore amoroso, è l’origine della offerta gratuita di comunione, di vita condivisa, ed è la meta, la patria, il punto di arrivo di ogni uomo.
La relazione filiale è solo di risposta ed è resa possibile alla creatura per il “mangiare la carne” di Gesù, il Figlio, che, attraverso il pasto eucaristico, assimila a sé i discepoli e li immette così nella sua stessa relazione filiale. Il Padre ama il Figlio e noi in lui. Abitando in Dio, Gesù fa dimorare i discepoli con sé: anche voi siete “là dove sono io” (Gv.14,3). Amando tutti noi incorporati a lui, Cristo ama se stesso, dice Agostino, perché noi abitiamo in lui. L’amore di Cristo per noi è il nostro abitare con il Padre.
Per il cristiano consapevole non c’è bene più grande dell’Eucaristia. Il resto è solo devozione. Tutto il fluire dell’amore di Dio nell’umanità, tutto quello che avviene in ogni singola creatura e nel mondo intero, di bello e di buono, tutto è racchiuso nella carne di Cristo e donato a chi se ne nutre. Per questo motivo il “fate questo in memoria di me” è molto di più del “Ricordati” della prima lettura ed è il momento più grande della vita cristiana.
Dal dono dell’Eucaristia nascono per noi due conseguenze
- La domenica, giorno della celebrazione eucaristica, è il centro della settimana, il “giorno del Signore”, che dona senso e luce a tutto il resto del tempo. Per il cristiani l’Eucaristia è il dono più grande, il bene più prezioso.
- “Vivrà per me”: è una dimensione mistica e affettiva di coinvolgimento personale, che non si appaga dell’aspetto celebrativo, ma vuole conformarsi a colui che si fa carne nel pane spezzato e sangue nel vino condiviso. Nel tu a tu della Comunione, il “vivrà per me” e il “vivrò per lui” si incontrano. Questo rapporto richiama le parole di Gesù, che, sulla croce, ripete il Salmo 22. Esso inizia con l’invocazione: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, ma si chiude con un anelito del Salmista che, contemplando l’uomo sfigurato sulla croce, dice: “io vivrò per lui”.
Il cammino della Liturgia, seguendo il mistero di Cristo, dall’Avvento alla Pasqua, ci ha condotti fino alla contemplazione di Dio Trinità come verità e patria, vocazione e punto di arrivo di ogni uomo, creato e amato per questo destino. La pagina densa di Giovanni sembra rispondere al desiderio di colmare la distanza, di confortare la sofferenza per la sproporzione tra la proposta di Dio e la risposta reale nostra. Giovanni, nel capitolo 6, dopo il racconto della moltiplicazione dei pani, ci da una risposta, attraverso il discorso sul pane di vita, che è Gesù stesso. Domandiamo la freschezza del cuore e della fede per vivere questo momento di ascolto non come qualcosa di scontato, di cui potremmo non cogliere l’altezza mai abbastanza compresa e perdere la gioia e la riconoscenza per l’umilissima ma preziosissima quotidianità dell’Eucarestia.
Perché la nostra conoscenza sia più profonda, è Gesù stesso che domanda questa attenzione, radicando il segno del pane moltiplicato nell’esperienza della manna, che – pur essendo segno della premura di Dio – restava cibo per un giorno, sufficiente, ma che marciva e il giorno successivo doveva essere nuovamente richiesto, come racconta il libro del Deuteronomio. Il pane moltiplicato del Signore, invece, rimane; egli stesso domanda di raccogliere “ i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto” (Gv.6,12). Il giorno successivo al prodigio, ne darà spiegazione nella sinagoga di Cafarnao, con estrema chiarezza, a costo di sconcertare e di scandalizzare: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Dal gesto della moltiplicazione Gesù invita a concentrarsi sulla sua persona, in cui avviene la saldatura tra presente e futuro: chi mangia, non morirà, futuro; chi beve, oggi, avrà la vita, futuro. La persona di Gesù è, perciò, garanzia di vita eterna.
“Mangiare”: il testo greco passa da questo verbo, che si usa anche in senso metaforico ed appare più elegante, ad un sinonimo più realista e dice “chi mastica”. Gesù parla proprio dell’esperienza fisica del mangiare triturando e indica la natura di questo cibo nella separazione di carne e sangue che sarà operata dalla morte in croce, di cui la comunità farà memoria nella celebrazione dell’Eucarestia.
In questa memoria, che si fa nel presente della comunità e del mondo, di quello che è accaduto sulla croce, nella morte fisica del Signore, si realizza la promessa: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me
La pienezza della rivelazione di Dio all’uomo non è più nell’onnipotenza del prodigio operato nel deserto per saziare la fame del corpo, ma è nella realtà del corpo straziato perché donato, del sangue versato per amore. Un mistero che può essere compreso nella misura in cui il credente si apre alla rivelazione del dono senza riserve, operato dal Figlio di Dio sulla croce: è la rivelazione che rimane come risposta all’uomo che ricerca la verità di se stesso in Dio e che i discepoli devono cogliere, vivere, custodire e annunciare come risposta di Dio all’uomo. Ciascun credente è chiamato a meditarla e ad applicarla all’oggi della propria vita.
I “frammenti” – diranno i Padri dei primi secoli – sono i discepoli stessi che confluiscono nella celebrazione eucaristica per essere il Cristo che sempre si dona. Ignazio di Antiochia scrive di non vedere l’ora di diventare, con il martirio, grano triturato nella bocca dei leoni, dono totale di sé come Gesù. Così, qualche decennio più tardi, la Didachè dirà che la Chiesa è il radunarsi di tanti nella celebrazione eucaristica per diventare un solo pane. Agostino, che ha la grandissima capacità di comunicare il proprio pensiero in maniera diretta – così diceva ai fedeli che ricevevano la Comunione per la prima volta la notte di Pasqua:
“Se vuoi comprendere il mistero del corpo di Cristo, ascolta l’apostolo che dice ai fedeli: ‘Voi siete il corpo di Cristo e sue membra’ (1Cor.12,27). Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi, ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete … Cercate di capire ed esultate. Unità, verità, pietà, carità.
Chi è quest’unico pane? Ricordate che il pane non è composto da un solo chicco di grano, ma da molti.
Quando si facevano gli esorcismi su di voi venivate, per così dire, macinati; quando siete stati battezzati, siete stati, per così dire, impastati; quando avete ricevuto il fuoco dello Spirito santo siete stati, per così dire cotti. Siate ciò che vedete e ricevete ciò che siete”
(Agostino, Discorso 272)
È proprio nella sua carne straziata e nel suo sangue versato che Gesù ha vinto la morte, continuando ad amare concretamente gli uomini, anche i suoi nemici ed uccisori, e amando il Dio che lo abbandonava a quella morte ignominiosa e violenta. Lì ha vinto la morte. E l’Eucarestia ce ne da la certezza e ce ne fa vivere l’esperienza.
La resurrezione di Gesù, quella di tutta l’umanità, della nostra città e del cosmo è “la morte della morte”, come canta l’Apocalisse. Ne deriva che noi cristiani, se aderiamo veramente al mistero del Signore, possiamo custodire la speranza che quella vittoria sul male avvenuta in Gesù risorto, avvenga anche in noi.
Se noi, seguendolo, ci sforziamo di amare come Lui ha amato, allora già da adesso “passiamo dalla morte alla vita” (1Gv.3,14): amando noi combattiamo il male, amando lo vinciamo, amando partecipiamo alla vita stessa di Dio, di colui che è amore, secondo la definizione definitiva del Nuovo Testamento.
Questa fede, che l’Eucarestia alimenta giorno per giorno, ci annovera tra coloro che “non hanno più paura della morte”, come ci ha detto Tertulliano.
Appunti per l’omelia:
L‘Eucarestia è il desiderio dell’Amore di essere “mangiato” per poter comunicare se stesso, dare la propria natura, la propria vita.
Non noi trasformiamo Lui in noi, ma Lui trasforma noi in Lui. Ci da la sua vita.
Il mio cuore lo assorbe, Lui assorbe il mio cuore. E diventiamo un cosa sola.
Eucarestia è la fedeltà dell’Amore.
Si fa trovare sempre, è in cammino verso ciascuno di noi, verso di me.
Perciò si fa piccolo pezzetto di pane. Da masticare per rendere vero e concreto l’incontro.
L’Eucarestia è la fecondità dell’Amore.
Difatti Gesù dice che chi mangia il pane della sua persona riceve lo Spirito di cui la persona di Gesù è piena, e diventa sempre più viva, fino al punto umanamente impensabile di compiere delle cose più grandi di quelle che Lui fa.
Riconoscenza,
docilità,
identificazione.