IMMACOLATA CONCEZIONE – Anno B
(Gen 3,9-15.20; Lc 1; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38)
Il Vangelo dell’Annunciazione ci sarà nuovamente proposto nella IV domenica di Avvento. Perciò oggi posiamo concentrare tutta la nostra attenzione sulla fisionomia interiore di Maria.
Dono irripetibile di Dio e quindi irraggiungibile, ella ci viene proposta come modello nel suo itinerario di fede. Tutti dobbiamo tentare di aderire alla sua maternità, vecchi o giovani, sposati o no, più o meno impegnati .
Maria è stata educata dallo Spirito, dallo Spirito del Signore, che, come dice il libro della Sapienza, “abbraccia l’universo”: in lei si realizza un disegno universale di vita. Ella ci testimonia l’amore dello Spirito per ciascuno di noi, la sua presenza in ogni cuore, che si esprime nella scoperta del divino, nella nostalgia di Cristo, nel conforto che dona pace alle anime, nell’amore che mette le ali ai piedi. Ella ci dice che nessuna situazione è irreparabile, purché in noi non ci sia il peccato contro lo Spirito, che fa dire “no” alla sua voce. Come scrive Paolo, nella lettera ai Filippesi, dove c’è impossibilità per l’uomo c’è la possibilità per Dio.
In Maria impariamo che esigenza di ogni anima credente è discernere la voce e l’azione dello Spirito: si tratta di un obbligo morale. Questo discernimento non lo operiamo da soli: lo Spirito ha parlato attraverso i profeti e il Maestro Interiore, che è la sua presenza nei nostri cuori, ci parla attraverso le Scritture. La familiarità di Maria con il Libro sacro ci è testimoniata dal canto del Magnificat, che è tutto intessuto di categorie bibliche. Attraverso la Scrittura Maria è maturata, ha appreso che tutto il suo essere era creatura di Dio e ne ha accolto gli interventi nella quotidianità. Quando l’Angelo le ha parlato nell’Annunciazione, ella era pronta per obbedire all’intervento di amore di Dio, perché la sua vita di fede, di docilità allo Spirito, la aveva fatto capire che la potenza creatrice del Signore poteva generare la vita in lei.
Maria ha vissuto affidandosi a Dio. La sua non è stata una vita facile. Il suo cammino è stato irto di difficoltà, ma ogni difficoltà è divenuta per lei occasione di ulteriore maturazione. Come dice Agostino, in Maria dono più grande della maternità è stato l’aver concepito Gesù nella fede. Perché, come dice Giovanni Paolo, credere è abbandonarsi a Dio, sapendo che i suoi disegni sono imperscrutabili e inaccessibili. Maria ha vissuto questa “penombra” della fede, la notte, che anche noi tante volte sperimentiamo. Questa fede sofferta, che crede anche senza vedere, la ha coinvolta nell’opera di Gesù. La disponibilità della sua fede all’azione di Dio diventa concreta nella condivisione del rischio della missione del Figlio. Dalla condivisione interiore del suo dolore nel vedersi rifiutato – e Simeone glie lo aveva annunciato – all’amore per quanti egli ama, all’accettazione del mistero della croce, ove sembra che tutto debba morire, al prendere con sé i discepoli, figli nel Figlio e pregare con loro nel cenacolo.
Noi la guardiamo in questo suo cammino di fede e di amore e le chiediamo di esserci luce e madre. Lei è madre della Chiesa proprio perché, come dice la Gaudium ed Spes, essa condivide le gioie e le speranze, le angosce e i dolori del mondo intero.
In questi giorni è stato reso noto il rapporto del Censis, l’Istituto superiore di statistica, sulla situazione dell’Italia. Abbiamo saputo come gli adolescenti reagiscono di fronte ai problemi della vita: il 34 % non ha punti di riferimento, solo il 5,9% considera come esempio il padre ed il 4,2 la madre. Non possiamo non fare i conti con queste cifre e pensare a quale sia stata la nostra fedeltà ai compiti affidatici da Dio.
Domani 5600 operai entreranno in cassa integrazione. Oltre 2000 in mobilità. In tutto più di 8000 persone. Nel Sud sono tutti capo famiglia. Vivere questa situazione alla luce di Maria significa fare i conti con la sobrietà della vita, non pensare ad un Natale spensierato di fronte a questi 8000.
Che Maria ci aiuti a cogliere il messaggio dello Spirito, del Maestro Interiore, che parla all’interno dei nostri cuori e ci insegni la maturità della fede nel mistero della croce, ci insegni che la carità è la vera etica, che la verità della speranza è nella perseveranza.
Che Maria Immacolata sia la nostra luce, ci guidi all’oltre di Dio, dove è il futuro di tutti noi.
La liturgia, oggi, ci fa ascoltare il passo del vangelo di Luca, che leggeremo nuovamente la quarta domenica di Avvento. Perciò ci soffermeremo sulla prima lettura, tratta dal capitolo terzo del libro della Genesi. In esso è descritto il dramma profondo dell’umanità di ogni tempo.
Nel giardino, che è diventato uno spazio vuoto e muto, non più quello caldo di amicizia e di confidenza reciproca, che permetteva ai primi uomini l’esperienza indicibile di riconoscere il Creatore, “il passeggiare del Signore alla brezza del giorno”. Ora c’è lo spazio triste della sfiducia e della paura: “si nascosero dal Signore, in mezzo agli alberi del giardino”. Disunità, perciò, fine del rapporto. Questo è il peccato alla sua radice.
Il pensiero ebraico e cristiano sulla creazione comprende che il culmine di essa, il settimo giorno, coincise con un distacco di Dio dalla sua opera; egli non si identifica con la creazione, che è comunità di creature, ma la trascende. La Bibbia veglia sul pericolo di far confusione tra Dio e la creazione, sul mistero della trascendenza, ma sottolinea anche il “ritirarsi” di Lui dalla sua creazione, perchè essa possa compiere autonomamente il proprio cammino, guardando a Lui come meta. Ma ritirarsi non significa abbandonare. Nel racconto c’è come un particolare: Dio – pur sapendo del peccato – va a “passeggiare nel giardino” per incontrare l’uomo, creato “a immagine e somiglianza di sé”, fa udire la sua voce: “dove sei?”. C’è una premura, non una fredda esigenza giudiziaria, c’è un amore che chiama l’uomo fuori dal nascondiglio in cui si sottrae alla relazione, apparentemente per vergogna e paura, in realtà perché ha smarrito se stesso e fugge, come accadrà a Caino. Ma anche nell’uomo che fugge c’è una domanda : “Dio, dove sei?”.
Le sue risposte alla domanda del Signore non sono pertinenti. Avrebbe dovuto sapere che Dio conosceva bene la sua nudità, la sua creaturalità, che mai la avrebbe imputata a lui come colpa. Ma Dio non si adira per le risposte non vere, che tentano di accusarlo di oppressione della libertà, e parla, fino ad impegnarsi ad aiutare l’uomo nel suo cammino, fino a promettere alla donna, “madre di tutti i viventi” che la sua “stirpe” avrebbe vinto il male in modo definitivo.
Da allora Dio continua a gridare “dove sei?”, senza stancarsi, a moltiplicare i segni della sua presenza nello scorrere della storia. Come se non gli bastasse la proclamazione di essa nei segni della creazione e l’affermazione della sua trascendenza, “è colui che abita nei cieli” (Sal.3,2), prende sempre nuove iniziative per rinnovare la sua ricerca del cuore umano. L’amore non si contenta mai: nel libro dell’Esodo leggiamo che “ La gloria del Signore venne a porre la sua dimora sul monte Sinai” (Es.24,16); poi il tempio, col Santo dei santi, certezza della presenza di Dio, dove davvero Egli si poteva riproporre all’uomo come il presente fedele, che non viene meno. Ma l’uomo che fugge non sale al tempio se non in sparuta minoranza, per ascoltare il “dove sei?” di Dio. E continua il suo angosciato domandare: non importa se a parole o in modo muto: “Dio, dove sei?”. Può essere una ricerca: “all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia” (Sal.63, 1); può essere espressione della solitudine della fede: “Non ho altro pane che lacrime di giorno e di notte, mentre mi si dice tutto il giorno:’dov’è il tuo Dio?’ ” (Sal.42,4). Può essere l’incredulità dei credenti: “Il Signore è in mezzo a noi, si o no?” (Es.17.7). Può essere la prova angosciosa di Gesù stesso : “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt.27,46 – Mc.15,34).
La domanda: “Dio, dove sei?” percorre la storia e raggiunge anche il nostro tempo, come ha gridato Benedetto XVI ad Auschwitz il 28 maggio 2006: “Sempre nuova emerge la domanda: Dio dov’era in quei giorni? Perché egli ha taciuto? Come potè tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?”
Sono le domande che ci schiacciano nella quotidianità inspiegabile del giovane che muore di cancro, delle tante vittime sul lavoro …
Maria è il luogo nuovo della presenza di Dio, perché porta in seno Gesù, il Figlio di Dio e suo figlio, uomo: perciò in lei due gridi: “uomo, dove sei?” e “Dio, dove sei?” non si rincorrono più, né si contrappongono, ma si incontrano e si fondono. In lei torna la possibilità della comunione e del rapporto, non più provvisori come con la tenda e con il tempio, ma nel senso che l’umanità è dimora di Dio. Il tempio continua ad essere luogo di preghiera, ma il Bambino che porta in sé è il tempio definitivo, Gesù di Nazaret, la carne umana, l’uomo in cui “abita corporalmente la divinità” (Col.2,9).
Di Maria ha scritto magistralmente Chiara Lubich:
“Porta il divino in terra soavemente come un celeste piano inclinato che dall’altezza vertiginosa dei cieli scende alla infinita piccolezza della creatura”
Perciò la cantiamo “arca dell’alleanza”
Diceva Giovanni XXIII il 7 dicembre 1959:
“Immacolata dice visione di paradiso. Quella grazia che a lei è stata concessa in grado perfetto e sovraeminente… e che a noi pure viene data … è soltanto il pegno della beatitudine eterna: pegno per il giorno in cui cadranno i veli della fede che nascondono la visione di Dio, il giorno in cui contempleremo faccia a faccia il Signore.
L’Immacolata preannuncia l’alba di quel giorno eterno, e ci guida e sostiene nel cammino che ancora ce ne separa”
La fede della Chiesa custodisce il mistero della piena conformità di Maria di Nazaret alla redenzione donata in Cristo, che in lei fu preservazione da quella privazione di gioia e di giustizia che accompagna la nascita di ogni creatura umana dopo il peccato.
Il dono che colma la persona di lei è la “grazia di Cristo”, la vita zampillata come sorgente inesauribile dalla croce. Questa predestinazione , forte più di qualsiasi ostacolo per la potenza dell’amore che le viene proposto di accogliere, le permette di restare solidale con l’umanità che ha perduto il rapporto con Dio senza essere lei stessa perduta, per cui può rendere vera la promessa antica della vittoria definitiva della donna e della sua stirpe sul male. È la misteriosa potenza della grazia, più grande di qualsiasi merito o grandezza della creatura, come aveva profetizzato il terzo Isaia : “mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia” (Is.61,10). Quella potenza che faceva gridare Paolo: “la morte è stata ingoiata dalla vittoria” (1Cor.15,55).
La coscienza della grazia che redime e rende vivi, creature in dono, è presente, in modo consapevole e non mortificante della libertà personale, in Maria e appare nella sua determinatezza, nella sua gioia, nella radicalità della sua adesione, nelle parole del suo cantico di lode e di riconoscenza, quasi come una dichiarazione di complicità d’amore con il Dio che è suo Sposo, il suo tutto. Nella persona di Maria, nella limpidezza tersa della sua interiorità avvolta dal divino, comincia la storia di cristo che nasce uomo come figlio di Lei. Nella sua assoluta adesione al progetto che le viene proposto, scevra di quella diffidenza che aveva minato il rapporto con Dio dei primi uomini, sta la strada e il modello di una possibilità estesa a ciascuno che la guardi e la imiti. Il suo dono di grazia così diventa plurale, al punto che Paolo può scrivere: “Ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati davanti a lui nella carità”.
In Lei perciò celebriamo con gioia e gratitudine la nuova possibilità donata all’umanità dalla grazia di Cristo, che ridona bellezza a tutta la realtà creata e la mostra nella Madre. Guardarla con affetto e come punto di riferimento è per i cristiani occasione per comprendere sempre meglio che lo scopo della vita interiore di ciascuno sta nell’impegno a crescere nella somiglianza di Cristo, perciò nell’impegno a vincere ogni dissomiglianza e a custodire la vita della grazia nell’intimo di sé.
Tutti, oggi, avvertiamo un senso acuto di nostalgia di bellezza, di idealità, di ricomposizione delle conflittualità nella pace. Tutti sogniamo e desideriamo una creazione risanata nell’armonia di ogni cosa con l’altra, in reciprocità, tutti vorremmo il segreto della pace con se stessi e con gli altri da sé. Maria ci è data come una possibilità di vivere come lei ha vissuto: “ né estasi né miracoli, né rapimenti abbelliscono la tua vita – le diceva Teresa di Lisieux – Tu sei l’incomparabile madre che va per la strada comune”.
Pensiamo oggi, con gratitudine senza fine, al dono inestimabile delle donne nell’umanità, che vivono la “strada comune” definita da Giovanni Paolo II “educatrice della pace”. In solidarietà tra loro, alla pari con il mondo maschile, la donna dalla radice cristiana ha guardato a Maria, ha imparato a dare tutto il contributo possibile per un futuro migliore dell’umanità, nel superamento cercato con determinatezza di tutte le forme di violenza e di schiavitù, che in molte parti del mondo ancora rimangono.
Maria è la Madre che dona Cristo al mondo, quel Cristo che ha mostrato un grande amore per la donna, per la sua dignità, per la innata capacità di bene, di unità, di misericordia, di condivisione.
Oggi vogliamo pregare per la donna, perché non abbia diffidenza per Cristo, perché si incontri con Lui con fiducia. Lui dirà al suo cuore di essere venuto sulla terra per dire che si può vivere e morire per amore, per chiamare a restaurare ogni cosa nell’amore, a proporlo come centro della sua dottrina e comandamento del suo cuore. Lui, Gesù, dirà alla donna che l’uomo è in attesa dolente di vedersi proporre la marcia in più della femminilità, l’amore nella concretezza e nel sacrificio, perché – scriveva Giovanni Paolo II – “si ritiene comunemente, la donna più dell’uomo, capace di attenzione verso la persona concreta” (M D 18).