MARIA MADRE DI DIO – Anno B
(Nm 6, 22-27; Sal.66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)
In questo giorno, ottava del Natale, inizio del nuovo anno, ci viene donata l’icona della maternità di Maria, come esempio e come augurio di pace.
Abbiamo ascoltato le parole antiche, tratte dal libro dei Numeri: “Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace”. Quando il papà e la mamma guardano in silenzio il figlio che dorme, sentono interiormente queste parole. Sono le parole di chi vive nella reciprocità, le parole consegnate dal Signore a Mosè dopo la rivelazione sul Sinai, perché i capifamiglia le ripetessero a loro volta, parole rivelatrici dell’amore di Dio per l’uomo. Pronunciandole si avverte la presenza del volto di Dio, che si volge verso l’uomo e dice pace, provvidenza, amore. Così come recita il Salmo 44: “… I nostri padri ci hanno raccontato … nei tempi antichi … non con la loro spada conquistarono la terra, né fu il loro braccio a salvarli; ma il tuo braccio e la tua destra e la luce del tuo volto, perché tu li amavi”. Non le nostre forze, ma la luce del volto di Dio ci dona il bene. La benedizione è porre tra gli uomini il nome del Signore, la realtà viva del suo essere, che è rivelata dal suo nome. Il cuore di Dio è dimora e fonte della pace e la benedizione, il volgersi del suo volto verso di noi, la genera nel cuore della persona benedetta.
Con la venuta di Gesù l’augurio, la benedizione, non è più rivolta al futuro, ma si rende presente, perché Gesù è l’entrata del Signore nel mondo. Nel corpo di Maria la benedizione diviene una realtà, il futuro è un fatto, è la persona di Gesù, il cui nome significa, appunto, “Il Signore salva”. Gesù è lo sguardo alzato di Dio sull’uomo. Gesù realizza la benedizione eterna, egli è il principe della pace, nella concordia dei cuori uniti dall’amore.
Gesù è la pace di Dio con l’uomo e degli uomini tra di loro. Queste sono le due dimensioni costitutive della pace: domandiamo di comprenderle e di viverle, per diventare noi stessi benedizione. La prima è la dimensione interiore che nasce dall’esperienza di un amore che non ci rifiuta, ma ci accoglie e ci raggiunge nel nostro mondo. In questo amore divino è la pace. La stessa che il bambino irrequieto e piangente trova tra le braccia della madre. La pace del cuore non è la soluzione dei problemi, ma la coscienza che accettare e meglio di rifiutare. Dal rifiuto di se stessi e delle situazioni nascono le angosciose solitudini, le disperazioni drammatiche in giovani, adulti, anziani, vecchi. La pace diviene possibile per la certezza dell’amore divino che ci segue, ci accompagna, abita in noi. Così come in Maria, che ha vissuto nel proprio corpo il Vangelo, prima che fosse proclamato. La pace dell’uomo con Dio va vissuta interiormente, prima di essere proclamata.
La pace degli uomini tra loro è la benedizione esterna: essa scaturisce da quella interiore, che rende il “mio” non più un assoluto da rivendicare, che nell’incontro con la diversità vince il fastidio e la diffidenza.
Oggi celebriamo il quarantesimo anniversario dell’enciclica “Pacem in terris”. Pensiamo a papa Giovanni XXIII, gravemente ammalato di cancro, che a tre mesi dalla morte scriveva: “Sono disposto a fare quello che il Signore vuole, ma ho tanta paura delle sofferenze”. Ma nello stesso tempo così iniziava l’enciclica: “La pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio. … ordine che si fonda sulla verità; che va attuato secondo giustizia; domanda di essere vivificato e integrato dall’amore; esige di essere ricomposto nella libertà in equilibri sempre nuovi e più umani”.
Oggi sentiamo l’impegno che ci è dato dal tempo che si prolunga nella nostra vita con un anno nuovo: essere operatori di pace. Chiedere al Signore di renderci tali, capaci di dare tutti noi stessi come offerta anche a colui che pensiamo nemico. Cogliamo liberamente ogni occasione per ristabilire giustizia e verità con un amore capace di ricominciare costantemente. Quando il Vangelo ci invita a porgere l’altra guancia non ci dice di cercare altri schiaffi, ma piuttosto di non rinunciare mai alla fiducia nell’altro. Sul tappeto della relazionalità, della volontà di incontro si rende possibile il cammino verso la verità e la giustizia, si rende visibile lo splendore di Dio tra i fratelli. Chiediamo a Maria, regina della pace di aiutarci su questa strada.
L’augurio oggi è di diventare sempre più persone che vivono la Parola.
Che nell’unione al Signore, nel momento della Comunione Eucaristica, egli sussurri a ciascuno di noi, come ad Abramo nella notte della fede, “Diventerai una benedizione. … e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”.
Amen.
Il passo del Vangelo di Luca, che abbiamo letto, può essere definito “il Vangelo dei pastori. Dopo l’annunzio dell’angelo, che suscita stupore e spavento, i pastori vanno “senza indugio”, come Maria da Elisabetta, dopo l’annuncio, come faranno i dodici, dopo la chiamata. “Trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia”: come dire la vittoria della fede che, nella docilità, trova il traguardo di una luce così totalizzante, che permette loro “dopo averlo visto” di riferire “tutto ciò che del bambino era stato detto loro”, donando il dono che è in loro.
È la provocazione ad una riflessione profonda sul piano personale, che Luca ci propone.
Innanzitutto l’esigenza a guardare “dentro” a questo itinerario. Per incontrare il Signore è necessario un cammino che va dall’avere lo sguardo rivolto verso l’alto – che ha permesso di vedere l’angelo – al dover guardare “in basso”, nella povertà della stalla, nella mangiatoia, dove è il segno indicato, “il bambino che giaceva”. È necessario sottrarsi all’estetica religiosa, che colloca il divino nel sublime irreale e romantico e volgersi alla rude, oscura e maleodorante profondità della grotta, che domanda il silenzio umile dell’atto di fede, come fu per Maria. Senza questa rinuncia alla sublimità di Dio, senza la “povertà” di S. Francesco, non si può incontrare il Bambino. Bisogna passare dall’esigenza di cercare in Dio il riposo dalla fatica, l’appagamento dell’ansia, il premio per l’impegno, all’urgenza di portare qualcosa per aiutare il fratello – come i pastori che portarono doni al Bambino; bisogna passare dal desiderio di pace, dall’idealismo pacifista, al farsi operatori di pace. Questo ci dice il Vangelo dei pastori.
Ma c’è anche il Vangelo di Maria. “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. La “via” di Maria, la via della pace, non è la via di una comprensione intellettuale, di uno studio per capire. La pace profonda di Maria, che traspare dal testo è nell’accoglienza della verità di Dio, che ella si sforza di comprendere nella pazienza della fede, che cammina e cresce con gli avvenimenti, nella perseveranza che diventa adesione sempre più radicata nello spazio dell’interiorità. Anche Maria ha dovuto andare oltre l’immagine del bambino, per cogliervi Dio, ha dovuto andare oltre le sue aspettative di madre, per capirne progressivamente il destino. Nella verità di Dio su di lei, creatura umile, è la sua pace di donna libera e realizzata, la sua possibilità di essere colei in cui “il pensiero di pace si calò nell’ opera di pace”, come dice S. Bernardo.
“Nella verità la pace”. È proprio questo il tema della riflessione che il papa Benedetto XVI propone alla comunità cristiana all’inizio dell’anno nuovo. “Nella verità la pace, esprime la convinzione che, dove e quando l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace”, egli scrive nel suo messaggio.
L’atteggiamento di Maria, che “meditava nel suo cuore” sta davanti alla comunità cristiana come esempio, modello, norma. Perché figlia della verità che la precede, Maria è casa e regina della pace, è madre della pace in chi la imita.
C’è un livello della pace che riguarda la responsabilità libera di ciascuno di conformarsi al pensiero di Dio nella verità, nella giustizia, nell’amore. È questo il secondo punto della nostra riflessione. Dalla Scrittura viene l’invito a guardarsi dal “padre della menzogna” (Gv.8,44). Alla menzogna che nega la verità o la altera in forme suggestive è legato lo sbandamento drammatico di tante coscienze, il “non senso”. La tendenza a mitizzare il potere del mercato, sul piano economico, e l’ideologia della scienza e della tecnica, sul piano culturale, conduce a negare l’esistenza di Dio, a persuadere della pura materialità dell’uomo, proponendolo come prodotto del caso e destinato al nulla. Tutto questo è menzogna, perché considera inesistente quello che non è conoscibile attraverso il modello scientifico, e nega così lo spazio della verità, la riduce ingiustamente. Ha detto il papa, il giorno di Natale, che “l’uomo rischia di essere vittima dei successi della sua intelligenza e dei risultati delle sue capacità operative, e va incontro ad una atrofia spirituale, ad un vuoto del cuore”. Contemplando Maria vediamo come l’autentica ricerca della pace nel cuore parte dalla consapevolezza che il problema della verità e della menzogna riguarda ogni donna e ogni uomo, la loro intima coscienza, ed è decisivo per il bene della persona. Domandiamo perciò la grazia del discernimento fra vero e falso. Un cristiano non può vivere senza discernimento, per poter resistere con consapevolezza alla menzogna, per non essere omologato sul così detto “pensiero comune”, per non cedere allo sbandamento della pubblicità scegliere invece il cammino della vita sobria. Questo è il piano individuale.
E c’è un livello universale, planetario della pace, perché tutti gli uomini appartengono alla stessa, unica famiglia. L’esaltazione esasperata della propria differenza contrasta questa verità. La pace non può essere solo assenza di guerra, ma deve essere convivenza dei singoli alla luce della fraternità universale, in cui nasce il bene di ogni uomo. Guardiamo alla nostra comunità che è stata ammaestrata a questa esigenza di fraternità attraverso il contatto forte con i nostri fratelli della missione in Centrafrica: dobbiamo loro tanta riconoscenza perché ci hanno aperto la mente e il cuore a capire nel volto del popolo centrafricano, dei suoi bimbi, che Dio avversa “chiunque ama e pratica la menzogna” (Ap.22,15). La nostra menzogna è l’aver creduto di andare in Africa per “civilizzare” alla nostra maniera interessata. In Dio è la via della pace , non solo nella strada del mercato e della politica. Lui è totalmente sincero e fedele. Gesù è la verità che ci dà pace.
Il “Vangelo della pace” la piena verità di Dio, è la sua paternità universale e amorevole che desidera per i suoi figli di riconoscersi come fratelli, impegnati a mettere i propri beni al servizio del bene comune dell’umanità.
I credenti nel Signore Gesù, tutti noi, dobbiamo sentirci spinti a renderci testimoni convincenti di Dio, che è verità e amore, e della pace dell’uomo, che è nella verità e nell’amore.
I testi di questa liturgia sembrano invitare a non lasciar tramontare la luce del Natale, proponendo l’approfondimento con verbi significativi del vangelo di Luca: andare senza indugio, trovare, custodire, riferire. È l‘educazione ad una fede consapevole. Quello che si trova, si deve custodire e rendere noto, l’imparare a vivere una relazione di fiducia con la consuetudine del nome di Gesù, ripetuto e invocato, è il Bambino adagiato in una mangiatoia, nel luogo cioè dove si deposita l‘alimento che fa vivere, figura dell’Eucaristia, annuncio del Vangelo di Dio che si offre nel segno del pane da mangiare e da condividere, da spezzare e da masticare.
La mangiatoia è la casa di Dio sulla terra, la rivelazione tangibile del suo farsi prossimo dell’umanità, l’espressione massima del suo stile che lo porterà a definirsi: “il Figlio del’Uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt.20,28). Una scelta di vita, quella del Bambino che è nato, che avrà il suo pieno dispiegamento nella lavanda dei piedi (Gv.13) e nella crocifissione (Mt.27,37). Il più misero degli alloggi e la mangiatoia, il bacile e l’asciugatoio, i chiodi e il legno della croce sono tutti sinonimi per indicare l’unica realtà dell’Amore che Dio è e a cui chiama quanti gli vogliono appartenere.
Viene da pensare con sofferenza allo stravolgimento di una parola come mangiatoia, utilizzata non più per indicare il Cristo, pane nella Parola e nel Sacramento perché chi lo trova diventi Lui, ma come occasione per arraffare in chiave individualistica traguardi di prestigio, di arricchimento, finanziario, di potere politico, di ambizioni, nei parlamenti, negli ospedali, nelle università. Proprio l’opposto di quanto dice il momento sacro della nascita del Bambino e quello silenzioso del custodire di Maria, figura della Chiesa per ogni tempo. Proprio a Maria vogliamo domandare di saper apprendere da lei a “mettere insieme” (questo è il significato letterale del verbo greco che è stato tradotto con “custodire”) i segni che accompagnano Cristo, perché diventino scelte di vita cristiana e perché il nome di Gesù continui ad essere pensato e pronunciato, come lo è nel cuore del Padre nell’eternità, così nella Chiesa oggi: “Dio salva”, questo è il nome del Bambino. Riconoscerlo significa dare risposte adeguate alla fame di verità che abita nel cuore dell’uomo di cui Agostino diceva: “che cosa desidera l‘uomo più fortemente della verità?”. (Sul vangelo di Giovanni, 26.5).
Nell’intimo, con il Bambino nasce una nuova consapevolezza di sé, della propria dignità profonda, ricevuta con il dono della vita e della libertà, e si comprende sempre meglio che occorre educare a riconoscere l’immagine del Bambino nell’uomo e perciò ad avere rispetto per ogni essere umano, aiutarlo a realizzare la propria dignità.
Perciò il Papa Benedetto XVI ha voluto scrivere alla Chiesa e all’umanità, in questo primo giorno dell’anno nuovo, per sottolineare l’urgenza dell’educazione dei giovani alla giustizia e alla pace, “perché non abbiano – dice – come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e, sotto l’apparenza della libertà, non diventi per ciascuno una prigione, perché separa gli uni dagli altri, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio io”. E aggiunge: “La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni della persona, la libera comunione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli. È anzitutto dono di Dio. Ma è anche opera da costruire.
Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità. La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno. Invito in particolare i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero”.
Ai giovani dice direttamente: “Siate coscienti di essere voi stesi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete quanto più vi sforzerete d superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desidererete un futuro migliore e vi impegnerete a costruirlo”.
È il fascino del contagio che la verità del Bambino suscita:
“Vi annunciamo ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi,
che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita …
Noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”.
(1Gv.1,1-3)