BATTESIMO DEL SIGNORE – Anno B
(Is 55,1-11; Is.12; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11)
“Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”
Con tutta la comunità cristiana siamo chiamati a contemplare questo momento: è l’icona di Dio stesso, come Padre nella Trinità, che presenta l’identità più intima di Gesù, il Figlio eterno che assume l’umanità, all’inizio della vita pubblica e dell’annuncio del Vangelo. È l’intervento di Dio nella storia, il compimento dell’aspirazione antica, che abbiamo ricordato nel tempo di Avvento:
“Se tu squarciassi i cieli e discendessi!” (Is.63,19)
Nella figura dell’uomo Gesù, che si fa fratello, che si immerge nella solidarietà, non tanto nel piccolo fiume Giordano, ma nel grande fiume dell’umanità, nel suo atteggiamento e nella sua scelta esistenziale, sta l’indicazione di che cosa significhi pienezza di vita per la creatura sempre desiderosa di bene, di verità, di bellezza, di giustizia, e sempre incerta e meschina per i propri limiti.
La ricerca dell’uomo trova risposte e orientamento:
“Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”
(Is.55,9)
Nel cielo squarciato, nel Figlio donato c’è dunque la verità sull’uomo, verità che si manifesta negli orientamenti – i pensieri – e nelle opere concrete – le vie.
È un evento inatteso. Nell’esperienza di fede di Israele da secoli il cielo sembrava chiuso, finito il profetiamo. Uomini e donne di fede, come quelli che abbiamo incontrato nelle liturgie del Natale – il vecchio Simeone, la profetessa Anna – passavano la vita nell’attesa, quasi che Dio si fosse ritirato e non facesse più risuonare la sua parola. Ora l’icona del Battesimo restituisce Dio. L’apparizione della colomba, immagine dello Spirito, richiama il suo aleggiare sul caos informe all’inizio della creazione (Ge.1,2), il suo ricomporre l’armonia dopo il cataclisma del diluvio (Gen.8,12) , quando Dio quasi si pente del castigo inflitto all’umanità e invita ad un nuovo inizio. Anche a Pentecoste lo Spirito è visto come colomba. Il risuonare della voce è l’appagamento del desiderio antico: la distanza è colmata, la separazione si è fatta ricongiungimento, perché nel Figlio che prende su di sé il peccato del mondo c’è il compiacimento del Padre, e su ciascuno di noi che è portato da Lui questo compiacimento si estende, come su un tutt’uno. E, sul piano personale, quando io sperimento il peccato, il Figlio è accanto a me e mi dice: “Dallo a me”. Quando per grazia mi è donato il pentimento, questo “prendere” di Gesù si realizza: nel momento della confessione è Gesù che porta su di sé il peccato mio e quello del mondo.
Perciò Gesù è la nostra strada, la nostra verità, la nostra vita:
“Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo,
abbattendo il muro di separazione che era frammesso,
cioè l’inimicizia … per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace” (Ef.2,15)
Quanto dobbiamo imparare ad essere riconoscenti per questo amore forte che ci prende e non ci lascia mai soli!
Se è vero che il nostro battesimo continua quello di Gesù, è all’insegna del suo battesimo, allora le immagini che lo accompagnano ci appartengono e significano l’impegno di vivere nella luce del cielo squarciato, di lasciare che lo Spirito entri e avvolga e modelli l’esistenza, di accogliere la voce “tu sei il mio figlio amato”! Con l’allenamento della preghiera dobbiamo lasciare che continui a risuonare dentro di noi quella voce, che non può venire dal mondo, non può venire neanche dagli affetti familiari o da una nostra armonia interiore, ma solo dall’Agnello che porta il nostro peccato, dal Padre che ripete: “tu sei il mio figlio amato!”.
E contemporaneamente l’impegno a trasformare quelle immagini in servizio di amore, per aprire spazi di cielo e donare serenità e pace, per portare lo spirito della verità e della fraternità, per restituire dignità di persona ad ogni creatura umana. È bello Gesù, nostro fratello, che è amato in modo particolarissimo dal Padre perché si fa uno con l’umanità e si inserisce nell’acqua sporca delle miserie umane. Tutta la sua storia, e lo riscopriamo quest’anno rileggendo gradualmente il Vangelo di Marco, si svolge all’insegna di una profondissima unità interiore tra quello che viene dal cielo e quello che l’amore solidale lo porta ad avvicinare sulla terra. Non c’è più spazio per la disperazione quando si guarda Gesù che dice: “Non temere, Dio è con te”. È questo l’atteggiamento di ogni cristiano.
Per noi la coscienza di quello che viene dal cielo è debole. La spinta di quello che viene dalle esigenze della vita nel mondo sembra essere vincente; a volte spinge a compromessi dolorosi, a volte provoca rassegnazione e inerzia, per cui ci troviamo in atteggiamenti schizofrenici: da un lato una fede astratta da credere intellettualmente e da celebrare sentimentalmente, dall’altro la vita da vivere e le sue esigenze, che ci fanno ripetere: “Bisogna pur vivere”. Occorre educarci pazientemente ad una “fiducia di base”, come insegna la psicologia, che per i credenti significa accogliere senza riserve quel “tu sei il mio figlio amato”, che è stato pronunciato su di noi al battesimo e rimane ogni giorno per la fedeltà di Dio. Da questa fiducia deriva la forza dell’io, la continuità dell’esistenza, l’amore oltre la prova, nella fedeltà all’Amore ricevuto. E si può avere una personalità cristiana , che dona speranza, compie gesti di pace, diventa sostegno per i fratelli.
Proprio quello che affascina nella persona di Gesù, facendoci esclamare nella riconoscenza:
“Tu sei il più bello fra i figli dell’uomo”!
(Sal.45,3)
La memoria liturgica della Chiesa oggi si sofferma su di un episodio che sta all’inizio della vita pubblica di Gesù, avvenimento della sua vita che non può non stupire e che è importantissimo per la nostra vita di credenti. Giovanni Battista, infatti, lo aveva definito come “più forte” e presentato come colui che “battezzerà in Spirito Santo”; ora se lo trova davanti tra i penitenti con i quali si mescola. Giovanni prova stupore e incertezza. La presenza di Cristo a volte sembra deludente perché non corrisponde al sogno dell’uomo. Noi pensiamo che il regno di Dio consista in una vita personale e sociale di beatitudine, libera dal peccato e priva di difficoltà. Ma Gesù ritiene improponibile questa concezione e inizia il suo ministero mescolandosi con i peccatori in segno di solidarietà. Non lasciamoci sfuggire che Marco evidenzia come, proprio nel momento della solidarietà concreta di Gesù con l’umanità peccatrice, avviene la proclamazione della sua identità e la manifestazione dello Spirito.
E lo Spirito fa comprendere ai primi cristiani che Gesù, nella sua figura e nel suo sacrificio, è l’espressione della solidarietà di Dio verso l’umanità. Scrive la lettera agli Ebrei: “doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova. (Eb.2,17-18)
La solidarietà di Dio con gli uomini peccatori è giunta fino al punto che “colui che non conobbe peccato Dio lo fece peccato per noi, affinché noi potessimo diventare giustizia d Dio in Lui” (2Cor.5,21). Gesù ha solidarizzato anche con tutti gli effetti negativi del peccato, il male e la morte presi su di sé, nella propria carne mortale che subisce violenza. E, dal momento che la vicenda del peccato coinvolge il creato nella “schiavitù della corruzione” (Rom.8,20), la solidarietà non è solo iniziale, quasi come un discorso programmatico, ma si coinvolge con il gemito di ogni uomo e quello ecologico del creato.
Questa è la luce dell’episodio.
“Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio, e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato” (1Gv.5,1).
Ai figli di Dio è dedicato il brano di s. Giovanni della seconda lettura, ed è per dirci che è la condotta concreta della vita a testimoniare la verità di esserlo veramente, in particolare attraverso l’amore fraterno. Chi segue Gesù lo segue nel suo essere solidale con l’umanità. Forse questa solidarietà concreta, indicata chiaramente dall’evangelista Marco nell’avvenimento di Gesù al Giordano, e insegnata con termini netti da Giovanni evangelista ai cristiani in ricerca di far trasparire la verità dell’essere figli di Dio nei rapporti umani, sta davanti a noi come cifra illuminante della possibilità reale di vivere da discepoli di Gesù. È come una soglia da passare, ci dice che non c’è altra possibilità di vivere il battesimo in verità e di seguire Gesù nel compiacimento di Dio e nella docilità al suo Spirito, se non nella solidarietà. L’apostolo, forse l’ultimo ad essere rimasto in vita, ci dice che saremo misurati sull’amore, che solo l’amore ci rende figli di Dio. Il vangelo di Marco, con la sua concisione e con il riferimento luminoso al compiacimento di Dio su Gesù, si fa invito a percorrere con generosità la sua strada.
Perciò oggi siamo felici di poter celebrare l’Eucaristia con “Fede e Luce”: in loro il vangelo dell’amore, della relazione, diviene realtà e ci invita alla priorità del rispetto per l’altro, a immergerci nel Giordano con i sofferenti.
La vocazione di Gesù è, infatti, la vocazione dei suoi. Lui è la risposta alla preghiera antica: “se tu squarciassi i cieli!”. Facciamo torto a Dio se pensiamo ce la sua venuta è la fine della sofferenza. Gesù, con il mistero della croce rivela che il suo Spirito realizza l’unione vera fra gli uomini e permette l’unità con Dio. Ove lo Spirito viene donato la colomba è non tanto la sua forma esterna, che gli artisti rappresenteranno tate volte, ma l’icona della potenza che fa del caos primordiale un giardino, e di ogni disordine un’armonia.
Perciò la vita di Gesù è una nuova creazione
Vivere il battesimo è entrare nel rapporto di Gesù con il Padre, per essere quello che Egli pensa di ciascuno, sapendo che, solo stretti a Gesù, possiamo essere rinnovati e capaci di rinnovare.
È lasciarsi dire dentro “Tu sei il figlio, la figlia da me prediletta. In te mi sono compiaciuto. Tu mi paci. È un bene che tu esista”. Nel momento in cui usciamo dall’acqua delle nostre colpe sperimentiamo di essere amati da Dio, incondizionatamente. Il battesimo è l’esperienza di essere amati da Dio, prima di qualsiasi comportamento buono, senza alcuna condizione.
La memoria della Chiesa, percorrendo nella liturgia gli avvenimenti e gli insegnamenti del Signore per trarne insegnamento, oggi si sofferma sul battesimo.
E subito emergono i due protagonisti: Giovanni che indica Gesù come “il più forte”, colui cha battezzerà nello Spirito Santo perché “è prima” di lui e di ogni altro; ed emerge il comportamento di Gesù che sceglie di mettersi in mezzo alla folla, confuso nell’umanità, penitente anche lui, in segno di solidarietà con le donne e gli uomini che Giovanni chiamava alla conversione del cuore, e si fa bisognoso di misericordia per il peccato che non è in Lui, perché quanti guarderanno a lui siano raggiunti dal perdono. Il comportamento di Gesù è confermato dall’intervento della voce dall’alto e dall’apparizione dello Spirito che, entrando in lui, è garanzia che egli è “il figlio amato” da sempre e per sempre.
L’episodio del battesimo al Giordano è perciò uno dei momenti di rivelazione dell’identità intima di Gesù e della sua missione. La liturgia collega a questo momento di Gesù anche il sacramento che egli lascerà ai suoi: sarà il coinvolgimento nell’amore più grande e più forte che egli ha evidenziato nella sua scelta di solidarietà. Di questo amore più grande i battezzati nel suo nome dovranno essere segno e testimoni.
Di Gesù Giovanni dice “viene”. L’indicativo presente del verbo “venire” significa che quello che accade in quel momento è qualcosa che ha origine nel passato e si compirà pienamente nel futuro. Perciò l’Apocalisse farà propria la lode che Isaia aveva sentito in sé nel momento in cui Dio lo chiamò (Is.6) e definirà Gesù Risorto che viene a visitare le comunità come “Colui che era, che è e che viene”. Non è solo ricordo storico o speranza vaga verso qualcosa che accadrà. Se Gesù è il “veniente”, significa che i suoi gesti e i suoi insegnamenti sono la manifestazione del suo continuo movimento verso il mondo, amore incessante che lo spinge ad incontrare ogni uomo. Davanti a questa realtà, che non è più profezia, amore da lontano, perché è realtà visibile e percepibile nel presente (“Ecco l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo”), Giovanni non ha più motivo di apparire e insegnare, perché tutti potranno avere confidenza con Gesù, come la sposa con lo sposo (così dice Giovanni in Gv.3). Tutti possono ora ascoltare a voce di Dio perché Gesù viene nel cuore di ogni donna e di ogni uomo, nelle pene, nei limiti e nelle sofferenze che siamo chiamati a vivere. È un venire umile, che visita dal di dentro della vita, nei suoi limiti e nei suoi dolori, come appare in Gesù penitente. Questa è la definizione dell’identità di Gesù che inizia la sua missione, che modifica l’idea tradizionale della potenza di Dio. Egli non fa, ma viene: e finisce la profezia perché in Gesù si è attuata.
Questo “viene”, al presente, è invito ai discepoli perché battezzati, sentano la responsabilità di muoversi con Gesù verso l’umanità.
L’altro aspetto dell’episodio del battesimo, è strettamente legato al primo. Il venire di Gesù, frutto della obbedienza di fede, è rivelato ai discepoli perché lo facciano proprio. Da quell’obbedienza nasce la possibilità del “cielo squarciato”, come avverrà ancora del velo del tempio, e questa sarà la strada del venire dello Spirito a Pentecoste. Allora la solidarietà di Gesù illumina il cammino dei discepoli. Essi dovranno essere testimoni attraverso la vicinanza all’uomo peccatore, bisognoso di redenzione, penitenti con i fratelli. Gesù annulla ogni dissomiglianza, e lo farà anche nella preghiera del Padre nostro e nell’agonia del Getsemani. Ai discepoli viene detto che vivere il battesimo in Gesù significa compiere la volontà di Dio nell’amore dei fratelli. È l’unità tra fede e amore, come ci ha annunciato la seconda lettura.
Obbediente a Dio nell’amore degli uomini. Questo l‘insegnamento di Gesù, mentre si fa obbediente al Padre nella solidarietà. È come l’inizio di una creazione nuova. Perché il Vangelo non è solo vicenda di Gesù, ma l’annuncio che il tempo del dialogo con Dio si attua, viene, quando Dio può parlare all’uomo – come ai tempi del giardino – perché l‘uomo sta vivendo la sua stessa vita parlando con il proprio fratello.
Tutti abbiamo da riflettere e da modificarci.
“Dio ha creato l’uomo per la resurrezione e per la vita, e questa realtà dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia.
Privo della luce della fede, l’universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza.
Impariamo a distogliere lo sguardo dal nostro “io”, per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere Dio nel volto di tanti nostri fratelli, e ci conduca ad orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio, a liberarci dal nostro egoismo, superando l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo”
(Benedetto XVI, per la Quaresima 2011)