I DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B
(Gen 9,8-15; Sal.24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15)
Nella Colletta, l’orazione iniziale della Messa, che riunisce la preghiera di tutti, nell’assemblea, abbiamo detto: “Dio paziente e misericordioso, che rinnovi nei secoli la tua alleanza con tutte le generazioni, disponi i nostri cuori all’ascolto della tua parola, perché in questo tempo che tu ci offri si compia in noi la vera conversione”.
La prima lettura è il passo che chiude la narrazione del diluvio universale. Il diluvio fu certamente un avvenimento storico: ne parlano tutti i racconti delle origini, ma non ne conosciamo l’entità. Tuttavia ciò che ci interessa, oggi, è l’interpretazione che nella Bibbia lo Spirito fa compiere alla fede di Israele e alla nostra: essa legge la fine del diluvio come l’iniziativa di Dio, che propone all’uomo di ricominciare daccapo la sua vita, quasi una creazione che si rinnovi. Il Signore affida la terra a Noè e lo rende così iniziatore di un modo diverso di vivere: l’umanità, travolta dalla negatività del suo peccato, è invitata a ricominciare. L’offerta misericordiosa del ricominciare prevale così sull’immagine del “castigo” divino.
Il Signore è il Dio che ci invita a ricominciare, a vivere una nuova vita di relazione, dopo la distruzione operata dal peccato. Il segno di questo ricominciare è dato dall’immagine dell’arco, un tempo strumento di guerra, deposto da Dio nelle nuvole. L’arcobaleno, l’arco di Dio nel cielo, è segno della misericordia di Dio, che vince sul male. Il primo messaggio che ci viene proposto in questa domenica è l’infinita misericordia del Signore: “… non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra”. Siamo perciò invitati a purificare mente e cuore da ogni paura, dal catastrofismo del “Tanto peggio, tanto meglio”.
Il Signore ci dice: “Mai più il diluvio”! Oggi il Papa ha detto: “Mai più la guerra”! L’alleanza è impegno alla reciprocità: con la sua Alleanza Dio ci chiede di superare nel nostro cuore tutto quanto si oppone al suo desiderio di fare pace con l’umanità. Dentro di noi vi sono intransigenze, rivalità, risentimenti, collere, archi tesi: tutti siamo chiamati personalmente a deporre i motivi di violenza che dal cuore passano alle labbra, alle mani. Siamo chiamati a deporre le armi, che non ci rendono uomini e donne dell’Alleanza, costruttori di pace.
Abbiamo bisogno di un tempo diverso da quello abituale, che ci spinge alla violenza. Approfittiamone: la Quaresima ci dona un tempo personale, interiore, da vivere con pazienza, per 40 giorni, con la volontà di conquistare la pace del cuore.
Il deserto, in cui il Vangelo ci dice che Gesù si ritirò dopo il Battesimo, indica il bisogno che abbiamo di cercare le cose essenziali, come l’acqua. Il Signore ci invita al discernimento, di cui abbiamo urgente necessità: vivendo di tante cose non essenziali, che ci circondano e ci interpellano continuamente, non cogliamo più il vero senso del vivere. L’esigenza del deserto non è un formalismo scontato: è necessario recuperare un tempo per la meditazione personale, per la preghiera silenziosa, ma anche per un dialogo di coppia e di famiglia, per il superamento di quei bisogni fatui, che esaltano la nostra emotività e che sono suscitati e indotti dai così detti mezzi di comunicazione di massa. Lo Spirito abita nel deserto e ci indica la via, ci fa comprendere che malgrado tanti fallimenti, non dobbiamo mai considerarci sconfitti. Camminando con Dio, scopriremo il senso della vita, ci renderemo conto che il lavoro, pur se a volte maledetto, ha tanti aspetti positivi, che la vita di coppia è possibile, malgrado tutto. Il catastrofismo ci fa sembrare tutto impossibile. Per Dio no: ricominciare è sempre possibile. Mai più litigi. Angosce, malanimi, vendette, possono essere vinti. È nei cuori che bisogna iniziare a smantellare gli arsenali di morte del mondo. Che il “mai più guerre” di Giovanni Paolo II, incominci dai cuori.
L’arcobaleno, però, non è solo un’arma deposta: è pure il segno della luce che emana dalla convivenza armoniosa dei sette colori.
La Quaresima è allora anche l’esigenza forte di uscire da ogni forma di assolutizzazione delle proprie posizioni personali. Ogni assolutizzazione culturale, politica, economica, militare, religiosa, è peccato contro la presenza dell’arcobaleno. Dobbiamo operare per un mondo multiuniversale, che dia spazio a tutte le realtà particolari. Non si tratta solo di pietà per lo scandalo di fronte all’ingiustizia di tante, profondissime, disuguaglianze. È la risposta di ciascuno di noi alla vocazione trinitaria impressa nell’uomo, che è stato creato come immagine di un Dio, che non è unità astratta, ma vita concreta di relazione. Come ogni Persona divina vive in funzione delle altre, ogni uomo è vero nella misura in cui è relazione con l’altro uomo, è insieme dono e accoglienza. Solo insieme, uniti nella relazione, si è immagine di Dio, specchio della Trinità.
Non si tratta di un pensiero solo cristiano. Un Indio del Guatemala così scriveva: l’uomo può vivere senza mani, senza occhi, senza orecchie, senza gambe, Resta sempre un uomo. Ma non può vivere solo.
La Quaresima ci spinge a vivere la verità anche in senso collettivo: uscire dal silenzio, fare scelte concrete, per dare visibilità all’arcobaleno. La conversione personale non basta: si deve anche annunziare. Il mondo deve sapere che i cristiani non sono amici dell’oppressore, ma costruttori di strade e ponti che permettano l’unità dell’arcobaleno.
Una signora mi ha detto: “Voglio che Saddam sia ucciso e vada all’inferno”. Di fronte alle sue parole non c’era più neanche lo spazio per la preghiera. È tempo di scegliere. Che il Signore ci renda luce e voce del suo Vangelo.
Oggi viviamo la prima tappa del cammino verso la Pasqua.
Con pochissime parole, secondo il suo stile, Marco ci pone davanti il lungo periodo di 40 giorni in cui, per impulso dello Spirito, Gesù affronta la prova della solitudine dolorosa, a cui la vita di fede può chiedere di essere soggetti, e la prova della tentazione di dubitare della via che aveva sentito di dover percorrere. Lo Spirito, che lo aveva riempito di sé nel battesimo, è il soggetto di questo lungo tempo che perciò è tempo di Dio, come appare dalla citazione degli angeli e delle fiere. È un rapporto di pace, che realizza la promessa fatta a Noè di una alleanza fra Dio e l’umanità: quello che non vediamo nel travaglio della creazione, lo vediamo ora in Gesù. Che Gesù sia tentato non significa che Dio si allontana: tentato non vuol dire “reietto”! Chi legge il Vangelo dovrà imparare che, all’inizio della sua predicazione Gesù deve scegliere la strada della croce, e ogni discepolo deve sapere che questo vale anche per chi lo segue.
Sono momenti di beatitudine quelli in cui vengono meno le presunzioni personali e i sostegni dall’esterno: è allora che si fa strada nel cuore umano l’esigenza di risposte vere, che rimangono. Il deserto come la solitudine, come la malattia che fa vivere l’esperienza di non contare nulla, fa cadere le idolatrie, fa rimanere in piedi il monoteismo. Non si può partecipare alla missione di Gesù, all’annuncio del vangelo, senza partecipare ala sua solitudine da ogni cosa, alla sua povertà di ogni appoggio, alla sua fame – quella fame di giustizia di cui parla il Discorso della montagna – che non si può sperimentare nella sazietà. Perciò le “grandi cose di Dio”, che Maria annuncia nel suo canto, nella vita della Chiesa e nel cuore di tanti uomini retti, nascono nel silenzio e nella povertà. I grandi santi ce lo fanno capire.
Gesù non vive questa realtà come un episodio fugace, di un momento. Il suo ultimo, estremo deserto, che illumina e conforta il nostro, sarà il grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc.15,34) che Marco riferisce in aramaico e traduce in greco, perché la nostra memoria lo custodisca e lo contempli, perché anche il nostro ultimo deserto possa essere illuminato e confortato. Questa sofferenza del Signore nella solitudine ci appartiene come discepoli e come uomini: ci dice che la verità dell’uomo è vivere la relazione, perché creato da Dio Trinità. È importante capire questo, oggi, in un momento di crisi delle relazioni coniugali, familiari, sociali. La solitudine indebolisce ed espone alla tentazione. Essa può essere assunta nella fede solo per essere compagni di Cristo, per seguirlo in questa testimonianza di quello che non è bene per l’uomo, come ci dice la Scrittura fin dal primo libro della Genesi. Difatti Gesù, nel movimento di discesa dell’Incarnazione, conosce gli abissi della solitudine della miseria umana (Mc.14,30), la solitudine delle relazioni distrutte (Mc.14,37), la solitudine dell’amore fallito (Mc.14,45) ed entra nella vita degli uomini che non sanno ricostruire i rapporti. Così quando ha detto a Pietro che lo avrebbe tradito, così quando, non reggendo la solitudine della preghiera non ha avuto la compagnia dei discepoli, che trova addormentati, così di fronte al bacio di Giuda. Grazie a questo suo abisso di umiltà sperimentiamo la fine della disperazione, perché Gesù ha vissuto tutto questo: “se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti” (Sal.138,8).
Comprendiamo ancora che la parola del tentatore, pronunciata con l’autorevolezza suadente di chi cita la Scrittura alla luce della sapienza mondana, e perciò con argomenti plausibili come quello dell’urgenza del pane e dell’evidenza della vittoria del bene, non è parola di verità, non è l’ultima parola, quella definitiva. Dalla fermezza della risposta di Gesù, capiamo la priorità della Parola di Dio. Proponendo di risolvere il problema del pane, come se da solo bastasse, viene insinuato nell’uomo, reso debole dalla solitudine, l’idea dell’inutilità, dell’insignificanza di Dio e della sua Parola. La fame nel mondo è un problema terribile, ma si deve andare oltre, togliendo solo questo male non si arriva alla radice della malattia dell’uomo. Gesù donerà a suo tempo la moltiplicazione del pane per tutti, ma in una maniera opposta a quella suggerita dalla tentazione. Morto come chicco di grano per noi, Gesù diventa pane. Nell’Eucarestia la moltiplicazione del pane sarà sempre per tutti, perché Gesù si è moltiplicato per noi, e dura fino alla fine del tempo.
Forse può accadere anche a noi di pensare che Dio non è così necessario per l’uomo, e che lo sviluppo tecnico ed economico sia più urgente. La falsità della tentazione può entrare dentro di noi se preferiamo il benessere materiale alla grandezza e alla fatica della verità, se la muta pazienza di Dio ci può indurre a posporlo ad altre cose, a rimandarlo come secondario, cadendo così nell’idolatria.
Il primo esame di coscienza per questo tempo di Quaresima sta nel domandarci se Dio è realmente importante e principale nella nostra vita concreta. È una domanda seria.
Il secondo è legato alla sincerità del desiderio di non poter accettare una redenzione solo materiale, economica e politica, soprattutto perché sappiamo che la terra ha ricchezze sufficienti per saziare tutti. Non mancano i beni materiali, mancano le forze spirituali che potrebbero favorire un mondo di giustizia e di pace. La domanda che ci riguarda personalmente è: perché anche tra i cristiani vi sono tanti poveri, tanti che hanno fame? Perché la relazione fraterna tra i cristiani, la moltiplicazione del pane attuata attraverso la carità, non corrisponde all’Eucarestia del Signore: “Questo è il mio Corpo, offerto in sacrificio per voi e per tutti…”
Anche questa è una domanda seria.
Domandiamo la grazia di scegliere la strada di Gesù, sia in maniera personale che comunitaria.
Quaresima. La Chiesa ogni anno ripropone il tempo di rinnovamento, di preparazione alla Pasqua come tempo scandito dal ritmo preghiera-digiuno-elemosina. Sono vocaboli che non appaiono molto amabili ed eloquenti nella cultura che si dice “post-cristiana” e non sono supportati da segni visibili nella società e nella stessa Chiesa come quelli del passato. Ma la liturgia non è archeologia. Parole e segni si rinnovano nel tempo e non sono un tentativo di far rivivere il passato e la sua cultura che non appartiene più al presente.
È vero. Quello che la meditazione della Scrittura e la preghiera della comunità propongono rivelano una realtà che appare “altra” e in antitesi a quanto ogni giorno viene proposto concretamente dall’esistenza con le sue esigenze consumistiche e le sue mode.
Lo scopo di questo tempo è aiutarsi reciprocamente a guardare la realtà con lo sguardo di Dio e a valutarla attraverso il modello e che è Gesù Cristo. Marco lo fa e lo descrive in poche parole, mostrandolo nell’atteggiamento fontale, di partenza, da cui ogni scelta successiva avrà origine. Parole brevi, come al suo solito, senza particolari :
“Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto, e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano”.
Così, nella sua umanità, Gesù è modello nel compiere la scelta profonda di ogni esistenza umana, quella scelta a cui l’umanità di ciascuna donna e di ciascun uomo è chiamata. Con la fatica inevitabile che Marco indica nella dimensione del deserto in cui rimane per quaranta giorni, nella lotta per sottrarsi alle suggestioni che tentano di proporsi con criteri contrari a quelli della verità e della coscienza. La tentazione appartiene ad ogni uomo, lo si comprende dal coinvolgimento dello Spirito che “agisce” attraverso di essa in Gesù tentato, perché ogni uomo è chiamato alla libertà delle decisioni, a volte drammaticamente. È il momento per sperimentare la libertà di ciascuno. Ed è il momento in cui, guardando a Gesù che ha combattuto e ha vinto, che ha scelto non la visibilità ma la incisività, si può raggiungere, nella fedeltà a Lui, la verità della relazione con Dio che è l’armonia interiore nella pace del cuore e della relazione con i fratelli, nella riconciliazione e nell’armonia del creato, come Marco indica richiamando la scena profetizzata da Isaia dello stare pacificamente con gli animali selvatici (Is.11,6-7).
La prima azione compiuta da Gesù nel vangelo di Marco è all’insegna della docilità allo Spirito di Dio che lo “sospinge nel deserto”, un verbo forte che indica l’iniziativa del Padre che vuole per lui la solitudine del deserto e non il sostare con la gente dove Giovanni predicava e battezzava. Così l’evangelista può presentare Gesù come il Figlio che vuole ciò che Dio vuole per lui. Questa la sua identità spirituale che emergerà ancora più evidentemente quando, nella previsione della passione, Gesù sarà messo davanti alla suggestione di strade diverse nella resistenza di Pietro che tentava di dissuaderlo e che fu costretto a chiamare Satana (Mc.8,33), ed infine, più drammaticamente, quando la gente lo provocava apertamente a scendere dalla croce per salvare se stesso (Mc.15,30), come la voce imperiosa di Satana.
C’è un’indicazione nelle parole del vangelo che tocca il mistero della vita di ciascuno di noi, della nostra chiamata a fare della verità, della bontà e della bellezza le linee guida dell’esistenza. E questo non è possibile senza una lotta, senza un’opposizione all’ambiguità interiore, talvolta anche esteriore, senza appoggiarci all’obbedienza di Gesù. È la lotta testimoniata costantemente dall’esperienza spirituale cristiana fin dal tempo del rifiuto dell’idolatria e della scelta radicale dei primi monaci, via via fino alla forma, più vicina a noi, dell’obiezione di coscienza, cui siamo chiamati nella molteplice diversità delle situazioni.
Non si è mai chiamati a combattere contro le persone, che tutte devono essere amate, anche quando vivessero nella negatività e operassero per essa, ma è contro il male, contro la menzogna. Il vero combattimento è solo interiore, avviene nel cuore dove continuano ad abitare rifiuti, diffidenze, risentimenti. La Quaresima, con l’esempio della lotta di Gesù, ricorda che finché ci si limita a combattere le persone si sbaglia obiettivo e tutto quello che si fa sul piano dell’essere e dell’agire può venire sporcato dalla menzogna che abita nel cuore. Satana, il tentatore, ha l’abilità di insinuarsi nel centro della persona, in quella intimità che la Bibbia identifica con il cuore, per diffondere inimicizia, giustificandola con argomenti suadenti e di “buon senso”.
Marco, in modo conciso, propone il traguardo della pace nell’atteggiamento docile di Gesù obbediente. Intorno tutto il creato è pacificato.
Questo è il Regno di Dio.
Domandiamo il dono di grazia di entrare in modo più pieno nella obbedienza di Gesù.