DOMENICA DI PENTECOSTE – Anno B
(At 2,1-11; Sal.103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-15)
Oggi, nella solennità di Pentecoste, piuttosto che meditare sulla Persona dello Spirito Santo è più giusto e più utile, per la nostra maturazione spirituale, riferirci alla grande esperienza del dono che Dio ha fatto alla sua Chiesa, realizzando la promessa di Gesù. Lo Spirito che lega le tre Persone in un’unità senza fine, attualizza, trasforma, opera, annunzia. Si tratta di un’esperienza che ciascun credente è chiamato a vivere.
“Attualizza” l’evento storico di Gesù Cristo, accaduto in un tempo e in un luogo, per ogni tempo e per ogni luogo. È il protagonista, lo Spirito, che rende la vicenda di Gesù perennemente attuale ed è per l’umanità possibilità di rinnovamento, di salvezza. Senza di Lui tutto sarebbe sepolto nel passato, non contemporaneo; tutto sarebbe astratto, non personale. È Lui che fa la continuità tra il tempo di Gesù storico e il tempo della Chiesa. È quanto accade quando apriamo il Vangelo e leggiamo un episodio che risponde alle nostre attese o quando in chiesa ci sembra quasi che il Sacerdote parli riferendosi proprio alla nostra vicenda. Facciamo così esperienza dello Spirito che dice la Parola del Signore, fino a farci avvertire che Egli ci stava aspettando.
“Trasforma” il discepolo in “testimone”. Si può dire che lo Spirito depone a favore di Gesù Cristo nella vita del discepolo, perché con la vita dica Gesù Cristo e il Vangelo. È una trasformazione che ci fa sentire Gesù dentro, per dirlo fuori. Pensiamo alla nostra esistenza nel mondo, esposta com’è a dubbi, scandali, scoraggiamenti: lo Spirito difende Gesù nel cuore del discepolo, mentre deve vivere la fatica di andare controcorrente nel mondo. Gli dice: “Sono con te” e dona certezza ai singoli e alla comunità. La testimonianza dello Spirito nei discepoli è esperienza dei primi tempi: davanti al sinedrio che li aveva fatti imprigionare, gli apostoli dissero “di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a Lui” (Atti 5,32). È lo Spirito che li conduce a decisioni di novità e di coraggio: “Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi” (At.5,32) essi scrivono nella lettera ai fratelli di Antiochia. Sarebbe importante imparare anche nelle famiglie e nelle comunità religiose a prendere le decisioni insieme, nello Spirito. Bella la parola di Agostino che sembra farsi voce del Risorto: “poiché egli parlerà, anche voi parlerete; egli nei vostri cuori, voi con le parole; egli con l’ispirazione, voi con la voce” (in Jo.XCIII,1).
La testimonianza dello Spirito Santo e quella dei discepoli stanno in rapporto l’una con l’altra in modo analogo alla testimonianza reciproca del Padre e del Figlio, più volte affermata da Gesù. Sarebbe bello poter dire al proprio figlio adolescente: “Non ti dico queste cose da me, ma ti ripeto quanto il Padre mi ha detto nella preghiera”! Sarebbe bello, quando l’emotività paralizza o rende irruenti, trovare un momento di riflessione, per poter parlare poi con le parole di Gesù!
“Opera” un incontro personale, intimo, pieno con il Signore da parte del discepolo, fino alla “verità tutta intera”, perciò ripete in cuore le parole del Vangelo, le rende presenti e attuabili per ogni giorno della vita, in maniera sempre nuova. La guida dello Spirito alla pienezza della verità implica qualcosa di più di una maggiore conoscenza intellettuale di quello che il Signore ha detto: implica un modo di vivere in conformità con l’insegnamento di Lui, una vera somiglianza, che lo rende riconoscibile come cristiano, discepolo di Lui. Perciò non una conoscenza innanzitutto, ma un viaggio progressivo verso il centro, dall’esterno all’interno, dal sentito dire all’esperienza personale, alla vita interiore, dalla scienza alla sapienza, attuale e trasformante. Lasciarsi guidare lungo la via della verità tutta intera, accostarsi a Lui ogni giorno, significa per un credente vivere quanto detto dal Signore: “Se rimanete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità” (Gv.8,31-32). Oggi c’è un gran bisogno di interiorità: lo vediamo nella folla sterminata di oltre 400.000 persone che ieri in piazza s. Pietro sembravano gridarlo. Senza interiorità tutto diventa brutto, mentre nello Spirito tutto è bellezza e pace.
“Annunzierà”: lo Spirito opera la contemporaneità tra quello che Gesù ha detto e fatto con ogni generazione che irrompe. La migliore preparazione cristiana a quello che continua ad avvenire e potrà avvenire non è la precomprensione del futuro, ma una comprensione profonda di quello che Gesù significa per il tempo di ognuno. Nella storia, con tutti i suoi travagli, lo Spirito, in piena libertà, permette di riconoscere un fratello in ogni uomo, di cogliere la nuova ricchezza che mi viene dalla sua diversità. E, attualizzando Gesù, Egli porta il Padre ad ogni uomo. I suoi, infatti, sono i frutti che corrispondono all’attesa profonda e universale dell’umanità.
Riscopriamoli: “il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal.5,22).
Agostino, nella Pentecoste del 412, alla vigilia del grande sconvolgimento che avrebbe dato al mondo la caduta dell’Impero Romano, diceva:
“Se dunque volete vivere dello Spirito Santo, conservate la carità, amate la verità, desiderate l’unità e raggiungerete l’eternità” (Agostino,disc.267, Pentecoste 412)
A Pentecoste i discepoli ricevono il dono dello Spirito e diventano pienamente Chiesa, perché la Chiesa è l’umanità abitata dallo Spirito, il divino che si esprime e si rivela nell’umano. È Lui che insegna Gesù Cristo, che ne custodisce la memoria, lo rivela in continuazione nell’attualità della Parola e nelle opere della fraternità universale che di Cristo è l’opera.
Perciò dove è lo Spirito, lì è Gesù Cristo. E viceversa. Con quella conseguenza che Paolo chiama “il frutto”, un singolare che rimanda al mistero di presenza, di ispirazione, di conforto di Lui, e permette di sentirlo palpitare negli atteggiamenti positivi, negli aneliti che premono nei cuori e nelle volontà delle donne e degli uomini, credenti o di convinzioni diverse.
Lo Spirito, dice la teologia, è il vincolo di amore tra Padre e Figlio nell’eternità di Dio, perciò è il vincolo che unisce Cristo agli uomini e gli uomini tra di loro. Da Lui, dall’accoglienza di Lui dipende la possibilità di vivere una ”vita spirituale”, nel senso pieno del termine, che è altro dalla “vita religiosa” di cui lo Spirito potrebbe non avere bisogno. È la possibilità di venire guidati da Lui, nell’intimo e nell’espressione di sé, tutti, perché a chi lo ascolta, lo Spirito può parlare in termini “laici”, termini che vanno oltre la “devozione”: tanti aspetti di Dio passano attraverso la “devozione”, ma non si possono esaurire in essa.
Per questo la liturgia di Pentecoste ci invita all’accoglienza del dono per eccellenza del Signore Risorto e a pregare per domandarlo sempre con umile convinzione e fiducia di essere esauditi, fino al giorno dell’incontro in cui – come dice l’ultima pagina dell’Apocalisse – “lo Spirito e la sposa dicono: ‘Vieni!’. E chi ascolta ripeta: ‘Vieni!’” (Ap.22,17). Il cristiano che si lascia “ammaestrare” dallo Spirito e “ricordare” le parole di Gesù, sarà portato da Lui ad un rapporto più stretto, si direbbe familiare, con il divino, come qualcosa, una realtà che è vicina e presente. È la preghiera del cuore, che ci permette di unirci a quella dello Spirito “che intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili … secondo i disegni di Dio” (Rom.8,26), facendo proprio il gemito di tutta la creazione.
Questo è il motivo per cui l’uomo “spirituale” può meglio comprendere ed interpretare la realtà che lo circonda e discernere gli atteggiamenti opportuni per il futuro, mentre si unisce all’umanità che si interroga e cerca faticosamente la risposta a quanto interpella con urgenza. Dio non si scandalizza, non si sente “sporcato” dall’umanità: attraverso lo Spirito la Chiesa è sempre più al suo servizio. È la lunga esperienza della Chiesa come comunità e dei singoli credenti che, nelle vicende storiche e nelle opere di solidarietà, hanno saputo proporre rimedi significativi per le urgenze loro contemporanee e lenire piaghe gravissime. Mai la fedeltà allo Spirito lascia inerti in una fede solo “devota”. Egli, infatti, è lo Spirito dell’incarnazione che si fa umanità in Maria – che perciò è figura alta della Chiesa. Quasi un’attuazione storica di quanto detto al capitolo 9 degli Atti: “La Chiesa si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero” (At.9,31).
Celebriamo nel dono dello Spirito la crescita della Chiesa, non in senso trionfalistico, ovviamente, ma nel senso di dono universale. È una crescita strettamente legata, fino alla fine dei tempi, al rapporto con i popoli, di cui Luca – nella narrazione della Pentecoste – da una lunga e puntigliosa lista, che dice in qualche modo l’attesa nella affermazione gioiosa per l’esperienza concreta. “Li udimmo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio”: riconoscono in quel parlare, quello che il cuore dell’uomo attende in ogni tempo ed in ogni cultura.
Facciamo memoria di un’esperienza prodigiosa che si pone all’opposto di quella riferita dalla Bibbia nell’episodio della costruzione della torre di Babele (Gen.11,6-9) quando la confusione delle lingue portò i popoli alla dispersione sulla terra, nella drammatica coscienza di fallimento del sogno di un’unica lingua voluta al servizio di un potere globalizzato nell’annullamento delle diversità. Pentecoste è lo svelamento, nello stesso tempo, dell’iniquità di quel progetto che si ripresenta nell’ambizione del potere, sia del tiranno, sia del mercato che tutto schiaccia nelle sue pretese, sottomettendo a sé gli uomini e i figli degli uomini. È contemporaneamente svelamento del cuore di Dio che vuole l’unità degli uomini nella comunione: perciò tutti capiscono il messaggio nelle rispettive lingue.
“La lezione è chiara: spetta alla Chiesa assumere tutte le lingue degli uomini, tutte le culture di cui tali lingue sono l’espressione e il veicolo.
Il suo compito non sta nel condurre tutti gli uomini a capire la sua propria lingua, ma piuttosto nel parlare ad essi nella loro propria lingua …
La sua missione universale obbliga precisamente la Chiesa a ritradurre il proprio messaggio per renderlo intelligibile a tutti gli uomini, tra tutti i popoli e attraverso tutti i tempi, secondo la loro lingua, la loro cultura e il loro modo di pensare…
Compito arduo, ma è appunto per adempierlo che essa ha ricevuto lo Spirito Santo il giorno di Pentecoste”
(I. Dupont: “Gli Atti”)
Cinquanta giorni, sette settimane da Pasqua: il numero fortemente simbolico è indice della pienezza dell’opera di Dio che ha il suo culmine, il suo compimento, nel dono dello Spirito, frutto dell’incarnazione e del dono della vita di Gesù, Figlio di Dio. Lo Spirito di verità, donato dal Padre, permette di vivere il mistero di Cristo anche nei momenti più duri, quando la comunità conoscerà la persecuzione – già presente quando Giovanni scriveva il suo vangelo.
Lo “Spirito di verità” (Gv.15,26-27) viene dato dal Padre per rendere testimonianza, attraverso la vita dei discepoli, particolarmente nei momenti drammatici dei contrasti e delle persecuzioni. È il ruolo che il vangelo di Giovanni attribuisce al dono che il Risorto, tornando al Padre, fa alla sua comunità. Non un dono inerte, come lo è uno dei regali che facciamo a chi amiamo, ma una presenza protagonista della consolazione, della grandezza, della forza che guida alla verità tutta intera. Perciò lo Spirito sarà creduto e accolto dai cristiani come il Maestro interiore, che si ascolta nel silenzio della coscienza personale. Nessuna vita interiore potrà svilupparsi e maturare senza essere mossa dallo Spirito. Perciò viene detta “vita spirituale”, con il suo dinamismo interiore e con le sue conseguenze esteriori che san Paolo chiama “frutto dello Spirito”.
Gv.16,12-15. “Lo Spirito – dice Gesù – vi annuncerà le cose future”. Vuol dire che il dono permetterà di cogliere la contemporaneità di quello e Gesù ha insegnato con ogni generazione futura. La migliore preparazione cristiana a quello che avverrà non consiste nella preconoscenza del futuro (come viene inteso in modo più o meno grossolano e credulone dai mille maghi e fattucchiere che prosperano!), ma nella comprensione profonda di chi è Gesù, quindi la sua Parola, il suo sguardo sul presente di ciascuno. Da qui nasce nel credente l’esigenza di una vita spirituale seria, curata, costante, seguita. Il suo parametro è il Vangelo. Il versetto 14 lo dice con chiarezza: lo Spirito non porterà alcuna nuova rivelazione, perché riceve da Gesù quello che ispira, lo ricorda, lo attualizza. Il tutto apre uno squarcio sul mistero intimo della vita trinitaria. Gesù ha glorificato il Padre facendolo conoscere, lo Spirito glorifica Gesù suscitando sempre nuovi discepoli che diano gloria a Dio con la loro vita nello Spirito. Diranno gli Atti degli Apostoli: “Di questi fatti siamo stati testimoni noi e lo Spirito Santo che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui” (At.5,32) e arriveranno a scrivere: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi” (At.15,28)
Gal.5,15-25 “Spirito e carne sono due principi operativi antitetici, che si escludono a vicenda, si oppongono l’uno all’altro, creando nella persona una specie di dualismo psicologico, con la conseguenza che essa, tirata in due direzioni opposte, non riesce a realizzare ciò che vorrebbe” (Ugo Vanni 1989). Paolo si rivolge ai cristiani precisando la contrapposizione con un elenco di atteggiamenti, esemplificando le opere della carne quelle dello Spirito. L’amore, la gioia, la pace, la longanimità, la benevolenza sono fondati sulla relazione intima di amore e di amicizia con lo Spirito, provengono da Lui, dal suo suggerire e confortare. Da questa influenza nasce l’esperienza di poter raggiungere l’armonia della persona nella libertà dalle tossine della negatività perché i discepoli “hanno crocifisso la carne”, perciò camminano “secondo lo Spirito”.
È bello, appartiene all’esperienza cristiana, incontrare gente di ogni condizione che si lascia attrarre dal bene che Gesù propone con le beatitudini e rende praticabile con il suo esempio. In esse si coglie quasi una connaturalezza, una facilità a vincere il male con il bene, l’odio con il perdono, l’egoismo con la generosità. È la perenne verità consegnata ad Abramo e a Maria “nulla è impossibile a Dio”.
La scelta del bene nella relazione umana, così come Paolo la propone, è una scelta di libertà e non di costrizione servile. Una libertà in divenire, sempre in crescita perché sempre docile all’azione dello Spirito. Perciò: “Se viviamo nello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito”