I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2011-2012
Famiglia, vigna del Signore
in preparazione al convegno “La Famiglia: il Lavoro e la Festa”
d.G.i
a. partire dalla verità trinitaria della professione di fede: “Dio è agape”, “Dio è amore”.
Il mistero stesso di Dio che si rivela nella storia è condensato ed espresso in queste confessione di fede (1 Gv. 4,16) che si potrebbe esprimere così: Dio è dedizione gratuita, incondizionata, inesauribile e definitiva di se nella reciprocità del Padre e del Figlio, vissuta e partecipata agli uomini nel soffio dello spirito.
Questa è la spiegazione piena di Dio che si mostra in Gesù Crocifisso e Risorto.
Perciò, nella fede, è la verità ultima dell’umanità.
Quando, nell’ottica della fede cristiana, riflettiamo sul “dove” e sul “come” la vita è generata, dobbiamo fare riferimento a questa verità ultima che la Bibbia indica nell’espressione “facciamo l’uomo a nostra immagine, seconda la nostra somiglianza”.
Si può intendere “immagine” in senso iniziale, di spirito, e “somiglianza” in senso dinamico, di divenire, in crescita. Perciò l’attenzione a calare il dove ed il come trinitario nel noi e nell’oggi della vita quotidiana.
b. La crisi della relazione tra le persone, a cominciare dalla relazione uomo-donna, la crisi della comunicazione tra generazioni, e la crisi della comunicazione della fede appaiono connesse perché il processo di modernizzazione della società rifiuta la religiosità ritenuta non idonea a trasmettere i valori attuali che non vengono pensati derivabili o conciliabili con la dogmaticità della fede.
La relazione tra chi trasmette e che riceve è come un “nervo scoperto” per la vita sociale e per la missione della Chiesa (cfr. P.Coda, Della Trinità, 2011 p.56).
Come sempre nella storia i tempi di crisi si possono rivelare i tempi di nuove opportunità. Così si capisce che occorre imparare a testimoniare la relazione vissuta con la luce della verità di Dio, nell’esistenza concreta liberata da rapporto con Lui. E insieme per trovare nella comunione fraterna il più di forza per farlo. Perciò la Chiesa parla di “spiritualità di comunione come di un vero atteggiamento fondamentale per essere credibile nell’oggi. Tradizione, fraternità e missione sono congiunte e l’una non si può dare senza l’altra.
c. Questo tocca da vicino la vita della coppia e della famiglia. Dai testi biblici (Gen. 1,27;2,18-24) l’essere amore di Dio che si dona gratuitamente è affidato all’uomo e alla donna non come un limite ma come una pienezza. Sono creati individualmente, distintamente, ma in relazione per costituire una coppia; l’uno e l’altra “somigliano a Dio” nella missione reciprocamente vissuta, in cui ciascuno scopre la dignità del proprio essere stato pensato e amato come dono per l’altro. Lasciandosi guidare da Dio sono se stessi, e permettono a Dio di “dirsi” in loro. Quei termini “non è bene che l’uomo sia solo”, “un aiuto”, “unica carne” nell’unità del cuore e dei corpi, vanno al di là del conoscersi, del riconoscersi l’uno per l’altro, dal lasciarsi attrarre, dal congiungersi nella tenerezza. Sono termini che rimandano ad una logica che è quella dell’essere se stesso di Dio Trinità. Bisogna entrare in questa logica e volerla attuare con la grazia del sacramento e con la generosità umana, come in una “complicità” di condivisione, di allenamento, di pazienza, evitando ogni scorciatoia individualistica che farebbe tornare al “vivere per sé”.
d. La bella esperienza di Raimondo e Maria Scotto in Città Nuova 10.9.2011 scrivono: “Parlare oggi dell’Eucarestia ci sembra molto importante, perché esiste in essa una modernità insospettata, capace di offrire risposte all’umanità di oggi”. E riferiscono le parole di Sergio ed Enrica: “Non volevamo assoggettarci a un matrimonio, difficile, triste, senza luce. E’ stata forte la tentazione di troncare… ma sentivamo che non era questa solo la soluzione. Il percorso è stato lungo e difficile. Abbiamo avuto il coraggio di mettere in comune con altre famiglie le nostre difficoltà. Ma chiave di volta è stata la riscoperta di Gesù nell’Eucaristia. Abbiamo capito che egli aveva qualcosa di nuovo da dirci, che voleva essere coinvolto nel nostro amore”.
C.n
A volte ci sembra che non ci sia tra noi una complicità perché siamo diversi, uno severo, l’altro più permissivo. Ma è l’alleanza di Dio con il suo popolo che ha dato il suo figlio per noi ci deve inspirare la logica della complicità dell’unione.
Nel nostro piccolo, tra i nostri amici abbiamo visto che alcuni non hanno saputo mantenere l’unione per la mancanza di comunicazione, di complicità. Riscoprire questo desiderio di ricercare nell’altro un completamento. Anche con i figli è importante parlare anche se si ripetono cose simili.
Generare la vita è condividere le scelte, aprirsi. Non si può insegnare ai figli di aiutare un compagno se poi non riusciamo a sentire vicino una persona che ha bisogno. La nostra terapia è partire con il camper; ci fa ritrovare uniti come realtà di famiglia. In famiglia è faticoso incontrarsi e staccare è importante.
E.o
A volte ci sembra che non ci sia complicità perché manca il dialogo, manca il tempo. Nel dialogo anche prendere decisioni difficili risulta meno complesso.
Generare la vita è un continuo divenire nell’educazione che occorre dare ai figli.
E’ anche uno sguardo all’esterno con coloro con cui la famiglia si confronta.
F.a
Se si sta bene in coppia si restituisce ai figli i momenti vissuti bene insieme. Per complicità non bisogna intendere avere la stessa idea, perché all’interno della famiglia c’è la coppia ed all’interno della famiglia esiste il singolo. E’ importante l’intesa, raggiungere l’intesa.
L.a
Ora che i figli sono in età più che adolescenti abbiamo capito che dobbiamo lasciarli per avere i nostri spazi per poter comunque vivere momenti per noi senza farci condizionare dai loro no. Così nascono momenti per noi anche di divertimento per condividere la nostra unione.
d.Fo
Trovare il tempo per se è importante. Spesso la coppia solo quando è veramente adulta ed i figli sono grandi si accorge di aver riacquistato i momenti per se ma siamo anche di nuovo soli. Anche qui quando si parla si arriva sempre all’argomento dei figli. Facciamo lo sforzo di prendere in mano la nostra coppia, la nostra realtà, come inizio e principio della famiglia.
G.i
La complicità è prendersi a braccetto. I figli confrontando la differenza tra i due genitori scoprono le diversità nella vita a cominciare dalla famiglia. La complicità è quindi accettarsi nella propria diversità. Abbiamo storie diverse, uno pensa in un modo uno in un altro ma la nostra unione è prima di tutto accettare la diversità dell’altro. Per instaurare e mantenere il dialogo ci vuole tempo e pazienza.
C.o
Ci sentiamo e siamo completamente diversi e continuamente nella necessità di confrontarci. Ma da questo sentiamo che nasce la nostra unione.
S.a
L’esperienza sofferta di una donna sola accettando che è giusto che i figli vivano la propria vita. Ritrovarsi da sola è scoprire anche la complicità con il Signore, con fatica e sofferenza. Io vivo questa mancanza, ma penso che nella coppia bisogna legarsi nella complicità anche lanciando uno sguardo a Dio.
Io vivo il problema opposto di tutti voi; non vivo la differenza, non ho un confronto; ma continuamente mi confronto con il Signore. Mostrare l’unità della coppia agli occhi dei figli ha un valore non paragonabile alla testimonianza del singolo.
C’è un bisogno estremo di essere aiutati dall’altro, riconoscere i limiti e gli sbagli ed essere aiutati a comprendere; la diversità è una grazia per la vita di coppia perché aiuta a riconoscere gli sbagli. Quando mi metto in dialogo con il Signore io a volte pretendo di essere ascoltata ed aiutata. Questo deve essere realizzata nella coppia e ricevere gratuitamente il dono dell’altro.
T.o
La complicità è puntare all stesso obiettivo. Pensiamo a cosa si intende essere complici in una rapina; è quindi il raggiungimento di un obiettivo e non una omologazione.La famiglia che genera la vita deve avere un respiro più ampio. Sembra che con i figli facciamo i più grandi insuccessi. La famiglia che genera la vita ha un obiettivo più grande: testimoniare la solidità di un rapporto di amore. Occorre interpretare il “generare la vita” con una visione più ampia. Mi sembra limitante racchiuderci nei limiti della nostra famiglie.
d.G
Un detto rabbinico dice: “Nella mancata della Torre di Babele, Dio voleva sottolineare l’importanza della diversità”
Il figlio quindi vedendo la diversità nei genitori sarà capace di attivare un giudizio positivo. E’ una domanda non facile che gli sposi devono chiedersi ogni tanto a che punto siamo e se dobbiamo ripartire.
d.G.i
‘Fino a quando, Jahweh, mi dimenticherai per sempre?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
Fino a quando nell’essere mio proverò affanni,
tristezza nel mio cuore ogni giorno?’ (salmo 13).
E’ un esempio di preghiera ‘dolente’, che nasce da una sofferenza, la lebbra, da cui deriva la ripugnanza e l’esclusione sociale; dice sofferenza fisica e morale, sfiducia per gli amici che parlano e rifiuto di Dio che tace (Giobbe).
Accostarsi ‘in punta di piedi’ al mistero dell’uomo sofferente: il suo grido di dolore è il suo modo di comunicare e domandare aiuto. Il pensiero di essere destinatario di una percezione di Dio, della malattia come conseguenza del peccato, si insinua, corrode la certezza, toglie la pace. L’esperienza trasmessa dalla Bibbia dice che, anche nelle situazioni più tragiche, resta nel cuore umano un anelito di speranza:
Non abbandonarmi, Signore,
Dio mio da me non stare lontano;
occorri in mio aiuto, Signore mia salvezza (salmo 38).
L’esperienza della sofferenza/prova nell’ambito della vita di coppia e della famiglia, permette di essere ‘aiuto di Dio’ per chi soffre. Ma occorre la disponibilità ad ‘abitare la difficoltà’, senza esorcizzarla ad ogni costo, partendo non dalla propria capacità ma dalla fede nell’amore che – abbiamo detto l’altra volta – genera la vita attraverso la famiglia e la custodisce in essa anche nei momenti di prove fisiche o morali, partendo da Gesù rivelatore nell’amore.
L’amore eterno disceso tra noi, quando vuole chiamarsi, si chiama spesso ‘Figlio dell’uomo’. Quando guardiamo il Cristo in croce, bisogna essere capaci di leggere tutto ciò che ci si trova: c’è tutto il dolore umano, il dolore della carne, del corpo, il dolore della disperazione del cuore abbandonato: ‘mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?’. Ma egli ha voluto essere così totalmente come noi che ha voluto esserlo nel punto dove il dolore ci fa dire l’assurdo, Gesù è così quello che riassume tutto il dolore del cuore e del corpo, quello di tutta l’umanità e di tutti i secoli. Dobbiamo essere i credenti di questa fede vivente (Abbè Pierre, 1972).
Prima di tutto in Gesù uomo si vede che non si innervosisce della sofferenza e l’accoglie in se come qualcosa che lo riguarda e chiama a dire si. C’è una verità umana di debolezza, di cui non si vergogna, nell’agonia, come era stato durante il ministero: stanchezza, sonno, entusiasmo, dolore… Gesù ha pregato per la fine della sua sofferenza con il desiderio di essere esaudito. In lui c’è veramente l’accoglienza di questa dimensione umana e oscura della sofferenza/prova, del limite nella comprensione di essa, del bisogno di fraternità, ‘venite con me’, ‘state vicini a me’, del bisogno di essere sostenuto dalla condivisione.
La condivisione è perciò la condizione per abitare la prova. Gesù non si pensa mai solo. Fino ad oscurare, si direbbe a rinunciare, alla relazione con il Padre che è sua natura. Mai dice ‘Padre mio’ ,a ‘Padre nostro’. Questi si stupisce della mancanza di quella condivisione che ha vissuto (‘con un bacio tradisci?’ dice a Giuda, come per dirgli ‘perché hai covato dentro, perché non me l’hai detto?’), ‘ecco io ve l’ho detto ora, prima che avvenga’.
Di Lui è detto che quando era nell’orto del ‘frantoio’, venne letteralmente frantumato dal peso fisico e morale, ma sperimenta il conforto di un angelo. Se spogliamo gli angeli di tutte le piume di cui li abbiamo rivestiti, scopriremo che compete a noi la responsabilità di essere angeli della sofferenza dell’altro, di far si che l’altro possa sperimentare non solo compagnia e aiuto materiale, che pure sono gesti importanti perché concreti, ma l’essere veramente presente di Dio Amore, che è fonte di pace.
Gesù dice che questo amore non esime dalla sofferenza, ma domanda un modo di rapportarsi tra colui che soffre e chi gli sta vicino nella comunità fraterna che illumina anche i passaggi della vita più oscuri e difficile da comprendere.
Allora può avvenire lo svelamento del desiderio di Dio di incontrare la propria creatura non più da lontano, ma da vicino, nella reciprocità. Come testimonia Giobbe che, alla fine della sua prova, che non è la morte ma la vita ritrovata, può dire ‘io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i mie occhi ti vedono’.
Imparare a guardare il tempo della prova come un tempo di compimento, in cui l’amore si sta affinando.
P.o
Abbiamo condiviso le nostre sofferenze dopo esserci incontrati da lontano. Abbiamo avuto l’aiuto nel momento delle difficoltà degli amici che ci sono vicini.
B.a
Da quando sono nata c’è una schiera di angeli che pensa a me. Di tutte le prove che ho avuto non ricordo il peggio ma sempre che ne sono uscita meglio di prima. Quando penso alla mia infanzia, penso all’Ospedale di Bologna come un luogo bello della mia vita. La difficoltà vissuta quest’inverno è stato il segno di un cambiamento. Dopo anni di matrimonio ci si arrugginisce, ma quando c’è un problema si scopre che tutto questo ha poco valore. Se ci si affida, finiscono le difficoltà.
Nel prendere decisioni importanti abbiamo capito come collaborare e venirci incontro. Prepararsi a poter condurre questi incontri è il momento di poter riflettere e fermarsi a meditare. Quando ci sono discorsi seri, fermarsi e guardare l’altro nel rispetto. Per Pino non era la paura della malattia ma la paura di non poter dare una mano a chi gli sta vicino. Eravamo distanti nelle posizioni nei confronti di nostra figlia, ma parlandone prima tra di noi, siamo riusciti a farle fare scelte con la sua testa anche se ispirate da noi. Le difficoltà ci sono, ma si possono superare e soprattutto prenderle come allegria.
L.o
‘Abitare la difficoltà’ mi dava l’idea di un corpo e di uno spazio. Nella difficoltà si attiva l’orecchio perché tendo a sentire ed ascoltare l’altro, la vita. Tutto si muove indipendentemente dalla mia persona. Nel lavoro ho sentito chi urla e chi è in silenzio. Ho seguito il caso di una ragazza polacca che nel silenzio si è uccisa a pochi ne hanno parlato. Il silenzio è il momento di maggiore sofferenza. Anche una vagito di un bambino accende la vita quando si è in difficoltà.
F.o
Ringrazio gli amici per la testimonianza. E’ importante la condivisione nelle difficoltà. Ci siamo promessi nel nostro matrimonio di essere uniti nella buona e nella cattiva sorte. Le grandi difficoltà fanno relativizzare anche le piccole difficoltà. Leggevamo con Linda sul sintonizzarsi alle difficoltà di Dio. Può sembrare rassegnazione nell’atteggiamento nel ‘sia fatta la tua volontà’. La fede ci dice che sono immensamente amato da Dio. Bisogna sintonizzarsi cercare il momento della preghiera. Ognuno deve cercare la possibilità di mettersi in sintonia. Gesù si offre sulla croce e ci insegna ad offrire la nostra sofferenza. Mi ha colpito molto il film ‘L’olio di Lorenzo’. Quando l’ambiente scientifico dice: ‘lei si arroga il diritto’, lui risponde: ‘si, perché mi prendo la responsabilità di dire quello che ho capito’.
S.a
La difficoltà di trovare un’armonia con la sofferenza che dura nel tempo. C’è una sofferenza per cercare di capire questo mondi dell’handicap, in una scuola incapace di capire questo mondo in difficoltà. Più sono nella scuola e più me ne vergogno. Nei licei c’è quasi un disprezzo degli insegnanti nei confronti di un certo tipo di ragazzi. Se non avessi lo sguardo fisso sul Signore avrei mollato tante volte.
Voi mi aiutate a vivere queste difficoltà nella solitudine. Io non posso condividere. Quando la difficoltà è enorme non si ha tempo neanche di staccare. Ci si abitua a vivere la comunione col Signore anche se non ci sono momenti di sosta.
F.o B.
Ho sentito da don Mazzi: ‘Dio ha dato all’uomo l’ottimismo, l’uomo ha scoperto il pessimismo’. Scoprire la virtù della speranza. Molto spesso il pessimismo lo creiamo noi.
P.o P.
Voglio rapportare la sofferenza con la speranza. Come si può sopportare la sofferenza. L’uomo ha scoperto il pessimismo perché non si ha più fiducia nel prossimo.
P.a
Il dono che Dio ci fa è la capacità di affrontare la sofferenza. Il miracolo del Signore non è la guarigione comprensione di quello che viviamo. Ringrazio il Signore per questo dono.
R.a
Noi vorremmo aiutare le persone che sono in difficoltà, ma spesso non abbiamo questi mezzi.
G.o
Al di là della fede è un esempio di civiltà essere vicino a chi soffre.
S.a
Il miracolo è saper stare vicino alla persona malata ottenendo la trasfigurazione del malato. In alcune situazioni non si può fare niente. Occorre stare vicino per amore.
E.a
La sofferenza in famiglia. Quando si è coinvolti da soli non si può essere capaci di sostenere la prova della sofferenza. Nelle prove che ho avuto quest’anno ho sentito che le persone intorno mi hanno sostenuto; dal loro sostegno ho trovato il coraggio di azioni che da sola non sarei riuscita a compiere. Quando c’è da prendere decisioni gravi, chi è direttamente coinvolto spesso non è d’aiuto. E’ il coinvolgimento della cerchia di amici che ti sostiene che permette la capacità di condividere e decidere. La fede in Dio deve essere alimentata e manifestata da chi ci è vicino
L’incontro di dicembre di Famiglie Insieme è stato dedicato ad una meditazione sul Natale sul tema: “L’Emmanuele : come facciamo in modo che Dio sia con noi, nella nostra famiglia?”
Di seguito un breve resoconto estratto da appunti presi nel corso dell’incontro e rivisti da don Franco.
L’Emmanuele è Dio con noi: Egli che è oltre lo spazio e il tempo perché E’ volle abitare il tempo e la storia come spazio di vita. La volontà di Dio di entrare nel tempo, di costruire la storia creando l’uomo che è al di fuori di Lui e che è finitezza e debolezza. Dio, che non ha spazio né tempo, ha deciso di voler abitare il tempo e lo spazio.
Ha quindi scelto, per entrare nel tempo, la dimensione della finitezza divenendo uomo: questo è il grande mistero del Natale. entrando nella finitezza CRISTO conduce l’uomo ad essere nuovamente partecipe della santità di Dio. Lo ha fatto prima facendo la creazione e poi creando l’uomo ha costruito una relazione con qualcuno fuori di lui.
Nell’inno ai Filippesi, al capitolo 2 versetti 6-7 Paolo dice:
… Egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Perché ha fatto questo?
Dice il Salmo 8
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Dio nasce bambino, bisognoso di tutto: incarna la figura del debole che deve tornare alla santità (vocazione all’infinito) attraverso la relazione con Dio, colui che alita nelle narici dell’uomo e, attraverso lo Spirito Santo, crea una relazione che è, prima di tutto, la relazione Trinitaria tra il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.
L’uomo che è in relazione con un Dio trino è l’interlocutore di Dio: la relazione tra l’uomo e Dio è innanzitutto una relazione d’amore. Dio alitando nelle narici dell’uomo il suo spirito di vita, rende l’uomo essere vivente e diventa interlocutore di Dio. La vita cristiana innanzitutto non è preghiera o pratica di pietà, ma relazione con Dio, STORIA D’AMORE.
Cristo incarnato, morto e risorto, riporta la carne a Dio. Nel Vangelo di Giovanni si leggere che “il Logos si è fatto carne e ha piantato la sua tenda in mezzo a noi”: Dio ha, perciò, assunto la carne, con la risurrezione e il ritorno al Padre porta la carne degli uomini in Dio.
Dio compie ciò “nella pienezza dei tempi” (come si legge nei “Galati 2,4”). E la pienezza dei tempi è quella che si realizza in ciascuno di noi ogni volta che facciamo risorgere Gesù, ogni volta che viviamo il CHAIROS, ossia, il tempo nel quale accade qualcosa, il tempo che si caratterizza per la sua qualità. Il Signore, infatti, ci chiama a vivere questo tempo, ci chiama ad essere protagonisti con Dio.
Nel tempo del CHAIROS si colloca l’Emmanuele: il Natale è tempo di concretezza, è l’incarnazione di Dio con il quale posso entrare in relazione. Dio dà qualità alla mia vita con il Natale. Dobbiamo quindi cercare una vita non più vissuta con il “tirare avanti”, ma una vita da protagonista. Dio vive il CHAIROS. Dio viene a noi per farci vivere il CHAIROS: la relazione che quando si rompe con il peccato.
Dio prende per mano, con pazienza, l’uomo: lo accompagna. Lui è alla porta e bussa. Dio non fa violenza all’uomo. Gli dona la fede che dà spessore alla vita e si fa compagno di viaggio. È Dio che si avvicina, Dio non pretende che io lo raggiunga, è lui che va alla velocità del mio passo (Osea 11,3b ci dice: “ho preso Israele per mano”). Dio non fa mai violenza.
Nella Lettera agli Efesini 1,3ss si legge che gli uomini sono Santi ed Immacolati nell’amore di Dio e per Dio: noi siamo figli adottivi di Dio che ci ha pensato prima della creazione del mondo. Siamo chiamati a vivere come figli di Dio, a vivere il CHAIROS e non a farci trascinare dalla vita, ossia dal CRONOS. L’oggi di Dio coincide con l’oggi dell’uomo collocato nella storia e nella sua famiglia.
Il Natale è tempo di attesa. Attendere vuol dire mettere una meta. Ma chi farà luce nel cammino verso questa meta? La pubblicità di oggi vuole che l’uomo non attenda niente, che sia plagiato. Dio, però, vuole che l’uomo viva il CHAIROS e non il CRONOS. Dio, perciò, è garante del matrimonio sacramento dell’amore di Cristo per la Chiesa ed è reciprocità e santità in Dio/famiglia. Dio entra in famiglia. E la famiglia cosa attende? I figli attendono le carezze; i coniugi attendono le carezze che non sono e non devono essere scontate. L’uomo, vivendo il CRONOS, diventa vittima della stanchezza che è un peccato e combina guai: non permette di far entrare Gesù che … spiazza, perché è vita.
Le domande che l’uomo si deve porre sono: Quanto CHAIROS ritaglio per me? Per volermi bene?
L’Emmanuele è venuto per amarti, ma tu ti ami?
Quanto tempo dono al partner? Il tempo quello importante: il CHAIROS non il CRONOS.
Quanto tempo dono ai figli? (E soprattutto ai figli adolescenti che hanno bisogno sia di CHAIROS che di CRONOS?)
Quanto CHAIROS dedico alla preghiera? Non alla recita delle preghiere, ma un tempo per me insieme con Dio.
Gesù nelle analisi del male è stato sempre terribile ma nello stesso tempo pieno di comprensione verso le persone che sbagliano o fanno esperienza di peccato e di male. Così ricordiamo gli incontri con l’adultera, Zaccheo, la peccatrice.
Quanto prego con il partner? E quanto pudore c’è nel pregare con il partner?
La preghiera è il respiro della famiglia. La famiglia ha bisogno del respiro della preghiera: perché la famiglia è chiamata ad essere l’incarnazione dell’Emmanuele.
Al percorso catechistico dei fidanzati iniziamo gli incontri chiedendo “A che punto è la nostra fede?”. La fede non è fatta di cose da fare ma di relazione con Dio. La mia fede deve essere basata sulla conoscenza personale di Gesù.
Il tempo del Natale è il tempo dell’accoglienza dell’Emmanuele. Tra le tante attrazioni del Natale, riesco ad accorgermi che nasce il bambino? Accogliere è un atteggiamento dell’animo. Il dono più apprezzato è quello che esprime l’amore dell’altro per me.
La nostra società ci sta educando che tutto deve essere basato sulle mie aspettative.
Quando siamo chiamati a prendere le decisioni ci chiediamo cosa direbbe Gesù, cosa il vangelo mi suggerisce.
Dio è con noi, siamo anche noi con Dio? L’Emmanuele sia il benvenuto nella nostra famiglia. Dio vuole stare con noi perché ha bisogno di noi come noi di lui.
Sono tanti i gesti che possono arricchire il nostro Natale come punto di partenza per una vita nuova: l’accoglienza del fratello, l’apertura di nuove relazione, fermare la corsa, non rimandare a domani l’incontro che ci può cambiare.
Mettiamo in essere segni di riconciliazione e di pace. Intensifichiamo la vita di preghiere, celebriamo il sacramento della riconciliazione, riuscendo anche a comprenderlo meglio nella sua profondità. Non c’è da preoccuparsi di cosa ho fatto e di cosa non ho fatto ma ricercare la riconciliazione con Dio.
Infine celebrare L’Eucarestia. Nella solidarietà e nella condivisione mi accorgo che l’Emmanuele viene per me ma anche per tutti.
L’Emmanuele prende casa con noi e nelle nostre famiglie.
Lo spirito del Natale deve essere accompagnato dal sacramento della RICONCILIAZIONE (vissuto non come lavatrice, ma come momento di relazione con Dio), dalla COMUNIONE, dalla SOLIDARIETÀ (Noi verremo giudicati per i gesti d’amore: nelle persone io incontro Dio) e dalla CONDIVISIONE (“Siate svegli” perché Dio viene a noi personalmente ed in comunità).
N.B. Per quanto riguarda il Sacramento della Riconciliazione nel periodo della Quaresima in parrocchia ci saranno 5 Catechesi per Adulti.
Nel discorso della montagna, Gesù annuncia e spiega la sua logica con quelle che vengono ricordate come le antitesi del Vangelo di Matteo
Fermiamo l’attenzione su tre espressioni di questo discorso:
1. Avete visto che fu detto… ma io vi dico.
Dobbiamo domandare al Signore la luce di grazia che è donata da questo insegnamento, che non è frutto di una logica umana, e che richiede un impegno di mente e di cuore per decidere di non restare prigionieri della logica del passato: quella che abbiamo “inteso” (espressione che può indicare condivisione di pensiero e di comportamento). E’ la rivelazione di una gratuità che riguarda il pensiero che deve essere modificato secondo il pensiero di Dio.
Sono parole rivelatrici della “perfezione del Padre” che è la ragione ultima della creazione dell’uomo “a somiglianza di Lui”.
Se vogliamo accogliere queste sfide delle antitesi, dobbiamo essere purificati da quella logica da considerare il vangelo un’utopia. Bisogna purificare la mente dai pensieri di sfiducia, di convenienza che annullano la verità rivoluzionaria dell’ “io vi dico”. Sono parole che illuminano anche la mia vita familiare, i rapporti affettivi, la tensione alla gratuità, l’educazione ad amare senza possedere l’altro, la tentazione di pensare la famiglia come un microcosmo che, chiuso in se stesso, non vede e non si apre, oppure lo fa solo con i gradevoli “quelli che vi amano”.
La vita di coppia non è sociologica ma è il sogno di Dio di essere comunità.
Se all’origine la relazione della prima coppia realizza il disegno della creazione dell’uomo e della donna come “ad immagine di Dio”, allora la relazione di ogni coppia è l’antidoto, l’anticorpo che guarisce dalle tossine della dissomiglianza, in se stessi e nella società. La relazione di ogni coppia non finisce in loro stessi ma è aperta per guarire la società. Il “ma io vi dico” dovrebbe costituire il metro su cui misurarsi. Faccio questo per amore o per vincere l’altro. La luce da cui lasciarsi illuminare nella quotidianità. E l’esperienza da rimuovere nella preghiera è la santità coniugale.
2. Siate figli del Padre vostro che è nei cieli.
Bisogna assumere uno stile di vita, nella verità di se stessi, perciò le virtù personali che possono trasparire e trasmettere le virtù sociali.
Il rapporto virginale di Maria non rimuova la tenerezza e la dedizione all’altro. E’ un rapporto con la società che dice il “ma io vi dico”, l’oltre di Dio. Forse, in modo particolare, il testo del vangelo spinge alla domanda sul rapporto con la logica del prestigio, del guadagno, dell’uso del tempo. Forse, nella nostra situazione cittadina e di quartiere, ci dovremmo impegnare per testimoniare la “sobrietà felice”. Una sobrietà che non si esprime nella modalità accigliata, amara, di chi sente le circostanze come costringenti a vivere in maniera diversa da come piacerebbe.
Una sobrietà che sia testimonianza di libertà dalla schiavitù delle cose, e di gioia che da quella libertà nasce e si diffonde.
Forse è proprio la famiglia il luogo, l’ambiente per educarsi, nell’ascolto reciproco a saper discernere serenamente la distinzione tra “realtà ultime e realtà penultime (Bonhoeffer) e a trovare le conseguenze altrettanto serenamente.
3. Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Guardare alle famiglie ferite, come primo mondo a cui la sacramentalità della relazione coniugale cristiana è inviata per il bene della società.
Con atteggiamenti concreti che vanno dall’accorgersi, al coraggio di farsi vicini, “approssimarsi”, accogliere facendo proprie le loro piaghe, anche coinvolgendo i figli perché partecipino alla carità familiare.
Le radici bibliche
L’attività umana è molto presente nelle pagine della Bibbia. Tuttavia il termine “lavoro” non può essere cercato nel senso che la società industriale e le scienze del lavoro propongono. La Bibbia parla del Regno di Dio, fa conoscere Gesù Figlio di Dio. Il lavoro appartiene all’esistenza della creatura-uomo, perciò è una componente della sua vocazione e Dio. Non dobbiamo cercare nella Bibbia le citazioni per supportare le varie visioni del lavoro, ma lasciarci guidare da essa alla sempre migliore scoperta del suo sostegno nel riferimento dell’uomo a Dio. Le applicazioni saranno la conseguenza della visione antropologica proposta dalla scrittura.
Il lavoro nella Genesi cap. 1-2
Sei giorni di lavoro, uno di riposo, come un ritmo dell’armonia che è Dio in se stesso e che si riflette nella bellezza del creato e dell’armonia cosmica: “Dio vide che era bello”. IL settimo giorno non è di lavoro, ma di compimento. Lavoro e riposo, un ritmo dinamico e vitale. Nel settimo giorno Dio non sta in ozio, ma opera la consacrazione dell’armonia che per sei giorni è in cammino verso il compimento, che così è il primo ed anche l’ultimo (ottavo giorno). Così il racconto della creazione include in se il lavoro ed il riposo. Dio non lavora per poter riposare e non riposa per poter lavorare di più! Lavora e riposa per consacrarsi alla benedizione. Questo significa che l’essere dell’uomo, “immagine” di Dio, indica alla sua coscienza il ritmo lavoro-riposo: “Crescete, moltiplicatevi, riempite la terra, prendetene possesso”. Perciò all’uomo “fatto a somiglianza” è affidato il compito di armonizzare il mondo, e la benedizione è sull’uomo che lavora e genera. Il lavoro non è fine a se stesso ma è necessario per realizzare l’uomo come immagine di Dio.
Così i due ritmi, di Dio e dell’uomo si incontrano nel settimo giorno ed è festa ed è incontro con Dio che “parlava con l’uomo nel giardino alla brezza del giorno (Gen. 3,8). Tutto il caos primordiale appare armonizzato, diventa giardino, prima che la disarmonia rientrasse con il peccato e con la pretesa di costruire la casa pre gli uomini senza dialogo con il Creatore, e con la conseguenza della tragedia di babele e della dispersione seguita alla pretesa di uniformare gli uomini con la violenza.
L’alleanza del Sinai popone il lavoro come comando di Dio, a cui l’uomo è chiamato ad obbedire, mentre il riposo del sabato è necessario perché il lavoro sia vissuto insieme con il Creatore.
I profeti insisteranno fortemente sul valore dell’alleanza combattendo l’idolatria del fare, del denaro, del prestigio che è presente anche nell’osservanza esteriore e ostentata del riposo.
Nei libri della Sapienza è ribadita la tensione verso l’armonia della creazione che il solo criterio del lavoro non basta a procurare: solo chi rispetta Dio ed evita il male sarà sapiente nel senso pratico del termine.
Il Nuovo Testamento
La parola di Gesù a Betania (Lc.10) indica che il lavoro di Marta è pieno di affanno, senza gioia, considera ogni cosa di uguale importanza, fino a sottovalutare l’ascolto della Parola. Gesù dice “per la vostra vita non affannatevi”, “il Padre sa che avete bisogno”, “cercate prima di tutto il Regno” (Mt.6). Gesù vuole che il discepolo si senta innanzitutto membro della famiglia di Dio e perciò libero dalla tensione alienante di produrre e possedere. E’ la comunità che riconduce alla scoperta della dignità del lavoro, che fa compiere il passaggio del “devo” all’ “io posso”. La preghiera di Gesù con la richiesta del “pane nostro” spinge a vedersi “fatti” dai fratelli e “facitori” di essi.
Perciò S. Paolo dirà “se uno non vuole lavorare, nemmeno mangi (2Ts 3,10). E’ un monito ai cristiani perché vivano il lavoro nella loro condizione di vita, evitando il cattivo comportamento dei fannulloni “con onore” dinanzi ai non credenti.
Mostra se stesso come esempio “ricordate le nostre fatiche e i nostri stenti, lavorando giorno e notte per non essere di peso a nessuno di voi”.
“Mettere a profitto il tempo presente” (Ef.5,15) e la sua proposta alta. Quando il lavoro è il fondamento dell’esistenza la vita è sempre un futuro. Il presente non è più il tempo dell’esistenza, ma rimane sempre un tempo di preparazione. E’ a questo punto che nasce l’angoscia di non aver lavorato abbastanza e di dover lavorare di più per costruire il futuro, come dice l’insonnia dell’uomo della parabola che vuole costruire nuovi magazzini per il raccolto (Lc.12). Mettere a profitto il presente significa mettere al primo posto la “civiltà dell’amore” e non “la civiltà del lavoro”. Allora si può sperimentare quella “sobrietà felice” in cui ferialità e festa sono una cosa sola.
Il lavoro è il fondamento su cui si fonda la vita familiare, che è un diritto naturale ed una vocazione dell’uomo. E’, in un certo senso, la condizione per rendere possibile la fondazione di una famiglia, perché questa esige i mezzi di sussistenza che in via normale l’uomo acquista mediante il lavoro (Laborem excercens 1981, n.10).
M.o
I prossimi appuntamenti nel cammino che stiamo facendo sono la famiglia nei confronti del lavoro e della festa.
Ci descrivono, come nel racconto della creazione, l’opera di Dio che “lavora” alla creazione del creato fino all creazione dell’uomo a sua immagine e somiglianza e poi si riposa contemplando e benedicendo quanto aveva realizzato.
Dovrebbe essere le stesso moto di azione della famiglia dedita al lavoro ed al riposo nei ritmi giusti per l’uno e per l’altro.
Eppure nel tempo in cui viviamo, am forse ogni tempo ha avuto problemi similari, sia l’uno (il tempo del lavoro) sia l’altro (il tempo del riposo) subiscono attacchi ed offesi. Il lavoro che deve essere una risorsa della famiglia molto spesso manca, è precario, è sottopagato o al contrario è così soprautilizzato da invadere tutti gli altri tempi inclusi quelli del riposo.
Proponendo il tema del lavoro, risorsa e sfida per la famiglia, siamo coscienti di incamminarci in un terreno difficile dove le problematiche contingenti possono prendere facilmente il sopravvento. D’altra parte non vogliamo fare qui un discorso torico map iuttosto prendere coscienza della nostra esperienza nei confronti del lavoro, delle sue difficoltà ma anche dei modi in cui molto spesso ci poniamo in maniera scorretta nei confronti del lavoro.
Allora pensiamo di farci guidare nella nostro confronto, dal libretto di preparazione al convegno di maggio/giugno a Milano che ha tracciato il nostro cammino per quest’anno.
Alcune di queste domande sto cercando di proporle insieme all’invito per l’incontro che invio ogni mese.
Sono domande, penso, che ci spingono a guardare al rapporto lavoro-famiglia al di là dei problemi contingenti, pur se gravi, per molti in questo periodo.
Certo non risolvono i problemi nè cambiano la situazione ma ci permettono di confrontarci e di migliorare il nostro rapporto con i problemi che ci circondano.
- Ringraziamo il Signore per il lavoro che ci consente di mantenere la nostra famiglia?
- Quale relazione intercorre fra il nostro essere lavoratori e la nostra vocazione di coniugi e genitori?
- I lavori domestici e la cura dei figli sono condivisi da entrambi?
- Ci confrontiamo sulle nostre esperienze di lavoro?
- L’esercizio della professione entra in conflitto con i nostri legami coniugali e familiari
- Nelle nostre comunità cristiane vi è attenzione ai problemi del lavoro e dell’economia?
- Quali forme di idolatria del lavoro sono presenti nella società in cui viviamo?
- Quale ruolo educativo possono svolgere la famiglia, la scuola, la parrocchia nel formare i giovani al valore della laboriosità e della responsabilità sociale?
- Come recuperare oggi la solidarietà nel mondo del lavoro? Quale aiuto può fornire la Chiesa?
F.o
Il lavoro è una necessità e in certe situazioni si finisce col pagare una colpa non nostra davanti a scelta sbagliata. La provvidenza è l’unica risposta al problema. Volevo evidenziare anche il lavoro come necessità ma necessità per l’essere.
Dio ha avuto necessità di fare qualcosa di curare. Il non fare nulla è non consono alla dignità umana.
Da questo discende una dignità che hanno tutti i lavori. Un mondo uguale sarebbe molto triste, il mondo ha bisogno della complementarietà. Il lavoro come realizzazione personale. Ed in questi serve ad indirizzare i giovani.
C.a
L’essere umano si lamenta sempre. Dobbiamo anche abituarci ad accontentarci. Ringraziare il Signore per quello che abbiamo.
F.o
La dignità del lavoro è una cosa essenziale. Dare motivazione a quello che si fa. Ne deriva l’etica che significa fare bene quello che si fa.
Il primo impatto che ho avuto nel mio lavoro di medico è il distacco dal lavoro. Così si capisce perché il lavoro domestico dovrebbe essere valutato perché non è pagato. Non è il lato economico che dà valore al lavoro. C’è un discorso di compartecipazione dove non è il padrone che deve guadagnare di più ma è la condivisione che dovrebbe guidare. Ricordiamo l’economia di condivisione di Chiara Lubich.
V.o
Andrebbe fatta una riflessione dove troppo spesso l’imprenditore pensa solo a licenziare le maestranze quando c’è una crisi. Se creo lavoro non posso ragionare solo in termini di profitto. Noi meridionali pensiamo al lavoro come fatica piuttosto che come strumento di benessere, senza considerare anche la dimensione etica.
B.a
Mi ritengo una persona fortunata perché ho fatto quello che volevo fare: l’insegnante. Lavoro molto spesso disprezzato, considerato male perché solo con 18 ore in classe. I lavori sono di pari dignità. Nella scuola ho cercato ed ottenuto un ottimo rapporto con il personale ATA. Ho avuto la fortuna di andare a lavorare con gioia.
V.a
Mi sento fortunata del lavoro anche se mi devo con persone psichicamente labili. Gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale: quello di insegnare il rispetto e la crescita dei ragazzi. Come genitori demandiamo alla scuola che invece non è sempre capace di realizzare il progetto.
T.o
Rapporto tra lavoro e famiglia. Come è devastante perdere il lavoro così è devastante quando il lavoro diventa un’idolatria. Può capitare di ritornare a casa quando i figli si sono già addormentati. Si pensa di lavorare per il futuro e si perde invece il presente.
C.a
Sto vivendo la situazione del lavoro con il marito lontano che la famiglia si perde. E’ difficile affrontare questa situazione perché dipende dal carattere. Lavoro per vivere e non vivo per lavorare. Anche se ci metto l’anima ho sempre pensato che non posso rinunciare alla famiglia ed al lavoro.
La donna pensa di più a famiglia e lavoro. La donna non finisce mai di lavorare. L’uomo invece pensa solo a lavorare. Mentre lavoro penso anche alla mia famiglia, cosa occorre fare a casa, cosa devono fare i figli: sono al lavoro ma anche nello stesso tempo a casa.
F.a
E’ anche un problema di indole. Una volta era una suddivisione di ruolo. La donna è capace di condividere i due mondi è un fatto di natura e di mentalità. I figli sono aiutati a crescere perché comprendono che c’è una difficoltà.
C.a
E’ crescere insieme nella famiglia. Non ti viene neanche di raccontare, quando mio marito ritorna nel week-end. Mi sento una donna separata.
G.i
Io lavoro fuori. Se stessi a Napoli senza lavoro non mi sentirei a mio agio. Il mio pensiero fisso non è il mio lavoro ma il pensare a cosa faranno i miei figli nel futuro. Lavoro per preparare a loro un futuro.
L.a
I mezzi moderni di comunicazione ci offrono di poter essere vicini anche quando c’è distanza. Non è la lontananza che divide ma la capacità di comprendersi.
d.G.i
Non si può guardare a questo tipi di problematiche in maniera solitaria e di solitudine. Occorre parlarne all’interno della coppia.
La comunità cristiana deve prendere coscienza del mondo che è fuori; non si può dire: “Andate in pace” alla fine della messa, se non si porta nel mondo la pace ricevuta. I doni ricevuti appartengono all’umanità. Chi ha il compito regale di accorgersi dai beni, alla raccolta dei fedeli non può essere destinato ad altro che non alle necessità della comunità perché sono beni della comunità.
R.a
Etica del lavoro e nel lavoro. Ho dovuto affrontare nel recente passato il sistema sanitario e ho trovato una mancanza di etica totale, con assenza di valori umani; l’etica andrebbe insegnata prima di intraprendere una professione. Se perdi di vista i valori umani non puoi lavorare bene ma diventi una macchina fabbrica soldi.
I punti dell’incontro di preparazione alla Pasqua sono stati:
- il Mistero Pasquale
- la Riconciliazione in Famiglia.
Il Mistero Pasquale ruota attorno alla morte e alla resurrezione di Gesù che, come scrive Paolo ai Corinzi, per alcuni è follia, mentre per altri è salvezza.
Dio si presenta nella forza della sua debolezza – la morte in croce – e agli uomini non rimane altro che essere con Lui o essere contro di Lui.
Per chi è con Lui, la Sua morte in croce è il dono supremo dell’amore di Dio: Gesù dona la sua vita e con tale gesto il fine del Padre è stato portato a compimento proprio perché la morte in croce ha la sua conclusione nella RESURREZIONE.
Ed è proprio nell’atto della Resurrezione che Dio appare vincente in quanto vince la morte e il peccato e supera la dimensione della debolezza che è rappresentata dalla morte in croce del Figlio.
Attraverso tale morte del Figlio, Dio si presenta come perdente e l’uomo arriva così a pensare di poterlo annientare perché ritiene che la croce rappresenti la morte della dignità della persona.
Ma la RESURREZIONE al giorno d’oggi cosa rappresenta per gli uomini?
Rappresenta un misto di sentimenti come la compassione, la pietà, la commozione e l’emozione.
E a far smuovere questi ultimi due sentimenti sono i vari modi di rappresentare la morte di Cristo: la Via Crucis del Venerdì Santo o anche il film di Mel Gibson “La Passione”.
L’uomo credente prova i suddetti sentimenti per il fatto che l’Uomo Innocente – Gesù – prende su di sè tutta l’ingiustizia del mondo e, di conseguenza, la sua morte appare ingiusta.
Ma da questa “ingiustizia” scaturisce la Fede del credente.
La Pasqua di Resurrezione è momento di riconciliazione con se stessi e con chi ci sta accanto: la morte e la resurrezione di Gesù che cosa rappresentano per me? Che senso ha la mia vita e che senso ha la mia morte?
Se si ha Fede, il senso del vivere è dato dal significato che si dà alla morte.
Oggi, però, tale concetto tende a sfuggire perché è venuta meno la relazione con gli altri e la società tende a dare più valore all’autorelazione.
I giovani non credono nel loro futuro matrimoniale e nei figli.
L’esperienza degli adulti non serve ai giovani.
La società di oggi è una società che ha perso dantescamente la “diritta via”. E’una società che non riflette a fondo sul senso della Pasqua e sul significato della resurrezione e dell’incarnazione di Gesù.
Gesù risorto rappresenta:
- l’unicità e l’irripetibilità della persona di Dio;
- la pienezza della vita, della storia d’amore di Dio con l’umanità; è il punto culminante del progetto di Dio
- il passaggio qualificante della vita durante il quale l’uomo capisce chi è veramente: in quel momento la sua vita non è una vita nuova, ma una vita rinnovata;
- la pienezza dell’identità dell’uomo nell’eternità.
La Pasqua rappresenta la vita e il momento dell’individuo che entra pienamente nella sua vita.
E’ Pasqua ogni volta che si entra nel percorso della riconciliazione.
Il mistero della Pasqua consiste:
- nel farsi prossimo a Dio che si è fatto prossimo all’uomo attraverso la morte in croce del Figlio;
- nel vivere il chairos che è vissuto come un dono prezioso;
- nell’abbraccio e nella tenerezza di Dio nel momento in cui suo Figlio è in croce per portare a compimento la volontà del Padre;
- nel comprendere che Dio invita l’umanità ad andare oltre e a non fermarsi davanti all’appesantirsi delle cose della vita;
- nel passaggio di Dio nella storia che ha reso nuovo (e rende ad ogni Pasqua) ciò che già esisteva: Dio diventa sicurezza, si mette in dialogo con l’umanità e con il singolo individuo con il linguaggio giusto in modo da essere accettato, compreso per potersi incarnare;
- nel coraggio di morire per poi risorgere.
La resurrezione è quindi riconciliazione sia nella singola persona e sia nella famiglia: la persona riconciliata in Dio è in grado di riconciliare la famiglia che vive nel caos.
Il processo di riconciliazione può essere illustrato attraverso la riflessione su tre parabole:
- la parabola del Figlio Prodigo o del Padre Misericordioso o del Padre Prodigio d’amore
- la parabola della pecorella smarrita
- la parabola della moneta perduta.
Dio cerca e lavora con fatica ed impegno affinché nell’uomo si realizzi la riconciliazione con Lui: Dio non si dà pace fino a che tutti non sono a casa – proprio come fa il pastore con la pecorella smarrita – per essere cullati da Lui.
La Resurrezione è, perciò, opera di Dio, di quel Dio della Genesi che non fa soffrire la vergogna ad Adamo ed Eva nel momento in cui scoprono di essere nudi e offre loro le vesti per coprirsi.
L’uomo vuole la libertà ed impazzisce per ottenerla: su tale desiderio si sofferma la parabola del Figliuol Prodigo che, inizialmente, in nome della libertà non tiene conto degli affetti ed è disposto a vivere e sbranare subito la sua libertà, non a gustarla.
La parabola della moneta è incentrata sul tema della riconciliazione in famiglia e su quello della maternità di Dio ed è suddivisa in tre momenti:
- Luce
- Ricerca
- Festa
La donna perde una moneta tra le dieci monete che ha.
La donna accende la luce e la trova in casa.
La donna metaforicamente perde la preziosità della famiglia, ma la luce della famiglia, Gesù, vince il buio.
La luce/Gesù fa vedere il bello e il brutto e metaforicamente ciò sta a significare che la luce/Gesù fa vedere quello che unisce la famiglia, ma che all’uomo sfugge molto facilmente perché per lui è più facile vedere quello che non va e “crogiolarsi” nel buio.
La luce della riconciliazione, però, segna l’inizio della vita rinnovata dal rapporto dell’individuo con Dio, quel Dio che addormenta l’uomo per fargli scoprire, quando riapre gli occhi, che la donna è carne della sua carne, ossa delle sua ossa, ossia il suo completamento.
La donna trova la moneta e fa festa: la conclusione del cammino di riconciliazione è festa, è condivisione.
La festa diventa la garanzia che Dio non si è stancato dell’uomo.
La condivisione rende partecipe l’altro all’aver permesso a Dio di entrare nella mia vita, nella mia famiglia e di rinnovarmi.
1) Cercare nella radice biblica il senso di un giorno che è stato dimenticato come “giorno di festa” ed è stato definito “tempo libero” in chiave più di individuazione che di spazio per il rapporto. a cominciare familiare ed ecclesiale.
Per i cristiani il settimo giorno vive il suo compimento nella domenica “giorno del Signore” per il ricordo e la presenza di lui.
Gen. 2, 1-4
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere.
Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro.
Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.
La Genesi dice che il riposo è compimento dell’opera creatrice di Dio. L’uomo, creato a sua immagine, è chiamato a vivere il compimento. Perciò deve trovare un “tempo per Dio”, da vivere nel rapporto personale con Lui e prolungarlo nel rapporto umano.
Nel tempo che viviamo, il fine-settimana perde sempre più il carattere religioso e relazionale, per diventare uno spazio sempre più affollato di cose di tipo consumistico.
Es. 20, 8-11
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te.
Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.
Contribuire, come famiglie, a riscoprire la festa come occasione di incontro e reciprocità non solo nei momenti liturgici ma anche nelle relazioni affettive – dando a questi due aspetti del giorno festivo il senso del sacro che l’alleanza intende in Esodo 20 – comporta una vera riscoperta di quello che vale di più. “Non è tanto Israele che ha custodito sabato, ma è il sabato che ha custodito Israele”, è stato detto nella tradizione ebraica. Non solo la partecipazione all’Eucarestia con la comunità, non solo l’atto di culto, ma la testimonianza della fraternità nel farsi prossimo; non solo la sospensione del lavoro ma la casa, quest’ambiente che è formativo per natura sua e sarà sempre ricordata dai bambini. E, in modo particolare, il rapporto di coppia che è per natura sua, altamente pedagogico.
At. 2, 42-47
Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.
2) Il comandamento di santificare il sabato: E’ un segno dell’alleanza con Dio, che riguarda tutta la creazione, fino alla terra che ha il suo riposo ogni settte anni e al giubileo, il ricordo della libertà dono di Dio libera dal rischio dell’idolatria dei beni, e dello stesso lavoro che può rendere e far sentire schiavi mentre Dio propone la libertà del servizio.
L’unità, l’incontro tra il lavoro e la festa, tra la dimensione dell’efficienza e quella della gratuità, la vita si trasforma in liturgia. Si può sperimentare una libertà che toglie al lavoro il peso della schiavitù per essere liberi per Dio e per gli altri.
questo è il frutto dell’incontro con Dio nell’Eucarestia che, perciò, resta al centro della vita cristiana, incontro “tra la nostra povertà e la tua grandezza”, “noi offriamo le cose che ci hai dato, tu donaci in cambio te stesso”.
Questo cuore della fede diventa così cuore della festa, introduce la presenza di Gesù Risorto in mezzo ai discepoli che vivono la famiglia.
1 Pt. 3, 1
Ugualmente voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati
3) La “santificazione reciproca”
don Sandro Canton ci ha portato la sua esperienza nella missione di SAFA, nel Centro Africa:
Parlare della Famiglia e dell’Africa è qualcosa di dirompente; la famiglia è il luogo della vita, il luogo dove l’individuo incontra il mondo. Si vive in Africa in ambienti molto limitati e le persone si spostano difficilmente. La famiglia quindi è il luogo privilegiato dove si cresce e si vive. I legami “familiari” vanno al di là della parentela del sangue ed è quindi difficile capirne la terminologia. Non deve perciò sorprendere che l’adozione internazionale di bambini che giungono in Europa è diretta soprattutto ai paesi del sud america e dell’Asia. In Africa un bambino orfano è subito preso in carico da quel cerchio più grande di questa famiglia allargata per cui subito c’è una forma di responsabilità e di cura di un bambino rimasto orfano.
I legami pertanto di diffondono in una forma allargata al di là del cerchio familiare. Esiste un mondo di solidarietà che va al di là di tutti i legami. Da qui scaturisce anche il concetto della festa che appartiene a tutti . Gli eventi, tristi o lieti, delle singole persone appartengono a tutti e vengono partecipati da tutti.
Anche il momento della morte diventa un momento di festa per una diversa concezione della morte. Il ricordo del defunto viene vissuto nella danza, nel canto, nello scambio dei servizi necessari al momento. Diventa pertanto obbligatorio partecipare a questo momento di dolore per ricordare il defunto e trasformarlo in momento di festa e di gioia per far continuare a vivere non solo nel ricordo ma in una presenza viva. La festa quindi è terapeutica perché aiuta a vincere il dolore ad aprire il villaggio all’accoglienza.
Un’altra differenza nella concezione della festa sta nel legarla non alle cose ma alla presenza delle persone. Per cui è necessario manifestare la gioia anche se le cose non ci sono perché la festa non è legata alle cose. La festa aiuta quindi le persone a credere ed essere convinti che occorre ringraziare per quel poco che si ha;, perché è comunque un dono ed in ogni caso non è quello che si ha che genera la festa, la condivisione con gli altri. La festa è quindi una possibilità di trasformarsi. Essa ha origini laiche ma assume anche una valenza religiosa. Gli stesi riti che troviamo nei villaggi vengono celebrati in chiesa perché è quello il modo di condividere. La festa, ogni festa dura a lungo, perché a tutti va dato il modo di portare la loro carica, la loro partecipazione.
Il lavoro invece per l’Africa è solo sopravvivenza. Non ci sono investimenti, non ci sono attività. Anche quello che arriva dall’esterno è riservato a pochi, perché pochi hanno quel minimo di istruzione che gli permette di accedere a ruoli differenti.
Per gli altri quel poco che c’è legato alla terra ed alla sua coltivazione al piccolo mercato.
E viene spontaneo chiedersi come si può fare festa quando non c’è lavoro e quando spesso per giorni non si mangia. E’ proprio la concezione della festa che ha salvato la ritualità e l’importanza della festa in Africa. Perché non si fa festa per quello che si ha, ma si fa festa per le persone che ci sono intorno, e le persone ci sono.
In Africa non esistono persone senza Dio. La presenza di un Dio è fortemente sentita: non succede niente che Dio non l’abbia voluto; e per gli africani è immediato dire: se l’ha voluto Dio è un bene per noi.
Nessuno ha saputo definire la festa africana. E’ qualcosa che è dentro ciascuno ed investe tutti. Mi è capitato di partecipare ad una festa a cui non ero stato invitato: è stata una festa di accoglienza, una presenza gradita da condividere con tutti.
In Africa non ci sono ricorrenze fissate: è la vita che determina il momento della festa. E nessuno ne deve essere escluso. Da qui discende che nessuno vie solo: se qualcuno rimane in solitudine è coinvolto dagli altri per evitare la sua solitudine.
Viene da chiedersi come è possibile continuare a credere nella vita quando si sta anche per giorni senza mangiare.
Le modalità della festa sono quasi sempre le stesse: l’africano parla col corpo, con la danza, con la musica, con la sessualità. Il movimento del corpo fa gioia e non c’è intenzione cattiva. Tramite tutto quello che il corpo possiede, si esprime la gioia, la si comunica agli altri.
Questa concezione della vita non è una fuga dalla realtà. Qui da noi non si parla più di vita eterna, non si parla più di resurrezione. Non ragioniamo più con la visione dello spirito ma solo con quello di material che possiamo toccare.
La gente dell’Africa non sa dire molte parole ma sa molto bene ascoltare. Da qui nasce spontaneo e acquista spessore il concetto di ospitalità. Una persona che venne a trovarci si accorse che nel cortile di un villaggio c’erano delle galline anche se i bambini della famiglia erano particolarmente denutriti;la risposta è che le galline sono per l’ospite, anche se i propri figli sono denutriti. Dall’ospitalità nasce la gratuità perché se ho aiutato gli altri, sarò a mia volta aiutato.
Ecco che tutto cambia significato, anche il sacramento del matrimonio non è l’unione della coppia ma l’unione delle famiglie perché la forza della coppia genera vita che si allarga alla famiglia. Dobbiamo quindi curare i rapporti personali perché produrranno vita.
Bisogna avere cura nella provvidenza e non temere chi ci può portare via il tempo. Noi siamo gelosi del tempo. Occorre avere tempo anche per fare festa. In Africa sanno aver cura del tempo. Un loro proverbio dice: voi avete l’orologio noi abbiamo il tempo.
La popolazione di SAFA risponde ad una realtà di innocenza. I bambini sono capaci di gioia perché hanno un modo spontaneo di relazionarsi. Noi abbiamo perduto l’innocenza ed è inevitabile che questo succeda. E’ faticoso prendere coscienza di sè ma non dobbiamo scoraggiarci. Siamo arrivati a questo punto non perché non amiamo la festa ma perché si cambia. Occorre quindi moltiplicare i punti di incontro per poter dire l’uno all’altro il proprio pensiero.
Dobbiamo smettere di sostituire le persone cose, dare importanza a queste dimenticando i rapporti umani. Devo parlare son una persona non con una cosa inanimata. Dobbiamo guardare alla vita.
Anche il tempo ha la sua importanza e dobbiamo imparare a recuperarne l’importanza. Cosa chiediamo ai sacerdoti? Il tempo. Noi siamo contenti quando qualcuno ci può dedicare del tempo.
Dobbiamo essere capaci di recuperare i valori della solidarietà e della condivisione. Le persone che vengono in Italia a costo di grandi sacrifici, mettendo da parte per anni i soldi e rischiando la vita, quando riescono a guadagnare qualcosa cosa fanno? Mandano i soldi alla famiglia in Africa. Dobbiamo quindi pensare di dedicare del tempo agli altri altrimenti non potrò mai cambiare. Nel reciproco stimarci si costruiscono le realtà vere della solidarietà.
Anche qui da noi ci sono molti esempi di reciproca comprensione. La solidarietà non è un valore cristiano ma esiste da sempre. Gesù Cristo non ha “inventato” la solidarietà ma ha incarnato i valori esaltando i valori buoni ed indicando come da evitare quelli cattivi.
Festa quindi non è solo gioia ma partecipazione alla vita.
Nel racconto del vangelo sono andato alla festa storpi e zoppi perché gli altri non avevano tempo impegnati nelle cose del mondo.
F.o
C’è tanto da imparare perché c’è una religiosità innata che noi abbiamo perso, c’è una semplicità che invece ora noi non abbiamo più. Noi non sappiamo far festa, abbiamo perso la voglia di fare festa. Le nostre comunità evolute perdono la dimensione della gioia. I problemi economici ci sono ma in quella società si può lavorare più facilmente rispetto alla nostra società.
S.a
La ricchezza dell’Africa è nella loro povertà: il contrasto tra il non avere nulla e la voglia di stare insieme. Proiettandolo nella nostra società sembra impossibile ritornare alla loro semplicità
L.a
Abbiamo perduto la festa perché abbiamo perduto la dimensione del nostro essere. Siamo il risultato di una cultura religiosa anomala. Ringraziamo piuttosto il Signore perché ha messo al mondo persone che vivono questa realtà. Noi non ci accorgiamo che non abbiamo la gioia. Non ascoltiamo le voci profetiche che parlano al nostro mondo.
I.a
Uno degli elementi fondamentali nella mancanza di gioia è che abbiamo messo al centro le cose e non le persone: l’avere invece di cercare e trovare la gioia dell’incontro. Ci condiziona e ci rende più difficile la gioia dell’incontro.
M.o
Quanto ci ha raccontato Sandro non mi sembra una condizione diversa rispetto a quello che si raccontava della vita italiana degli anni ’50. Pasolini la chiamava la mutazione sociologica. E’ un passato che sembra remoto ma non lontanissimo. E’ la vita del vicolo.
T.o
Se non riusciamo a gioire anche l’avere le cose non ci rende gioia. Mi spaventa di più perché non siamo capaci di fare festa perché non sappiamo più condividere le cose. Facebook è uno strumento di comunicazione che ci rende ancora più soli. Aumentano le case di cura per anziano perché non sappiamo nè possiamo dedicare tempo alla cura degli anziani. Siamo diventati delle persone sole. Se noi non torniamo indietro sui valori non riusciamo a rientrare in una vita diversa.
S.a
E’ un problema di affidamento. Nella solitudine si pensa solo a se stessi.
F.o
Come possiamo trarre frutto? Siamo pochi ma abbiamo una responsabilità educativa. Sono cose che conosciamo ma non proclamiamo abbastanza. Far capire che non è importante l’avere ma l’essere. Dobbiamo anche cercare di penetrare nei canali dove più facilmente si può farsi sentire.
P.o
Il nostro impegno è per la continuazione della vita: dobbiamo capire dove dobbiamo andare.