I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2010-2011
Farsi carico
9 ottobre 2010 | FilmInsieme: Si può fare | |
13 novembre 2010 | Chiamati alla relazione | |
11 dicembre 2010 | Accorgersi… Una esperienza personale – I gesuiti di Selva |
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15 gennaio 2011 | Vivere il quartiere | |
12 febbraio 2011 | Fuitevenne! Uno sguardo alla città | |
12 marzo 2011 | La politica al servizio della società | |
26 marzo 2011 | FilmInsieme: Alla luce del sole | |
9 aprile 2011 | La dignità nel lavoro | |
14 maggio 2011 | Costruttori di fraternità (1° incontro) | |
11 giugno 2011 | Costruttori di fraternità (2° incontro) | |
25-26 giugno 2011 | Incontro di fine anno a Benevento |
Dal Vangelo di Luca (10,25-37)
Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna? “. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi? “. Costui rispose: ” Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come tè stesso”. E Gesù: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”.
Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo? “. Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatelo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, tè lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? “. Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va e anche tu fa’ lo stesso”.
per iniziare: l’icona di Rublev:
La teologia orientale è prima di tutto contemplazione e l’icona è strumento per trasmetterla. Perciò l’icona è più di un’opera d’arte.
La rappresentazione della Trinità con le figure di tre angeli che ricordano: i tre personaggi misteriosi apparsi ad Abramo e Sarà alle querce di Mamre nel cap. 18 di Genesi.
Le tre figure, uguali nei manti e nelle movenze fanno pensare a tre immagini di una stessa realtà. L’inclinazione dell’uno verso gli altri e gli sguardi reciproci indicano l’intensità di pensiero e di sentimenti, un rispecchiarsi reciprocamente nell’attenzione verso il centro, dov’è il calice.
La Trinità appare come amore in se stessa, ma anche amore che si dona, pronto a sacrificarsi per l’umanità attraverso l’incarnazione.
Consenso, pensiero condiviso, congiura… per farsi carico dell’umanità nello spendersi. Nel farsi carico è la rivelazione di Dio!
Il pensiero torna alla Genesi, alla creazione dell’uomo come “immagine di Dio”, dell’uomo come unità di coppia per realizzare la “somiglianza”, dell’uomo come custode del proprio fratello nel “convivere”, fino al vertice proposto da Gesù “che tutti siano uno” (Gv 17). Tutto questo è possibile perché Dio si fa carico, dona se stesso, la sua natura relazionale di Dio Trinità.
Ne viene una conseguenza importante: dallo stesso gesto creatore di Dio, l’uomo nasce non come un’individualità isolata, ma come per una dimensione comunitaria, per cui il rapporto con Dio, il cammino per crescere nella somiglianza avrà la sua prima chiamata nella relazione umana. Non solo nel suo versante inferiore ma anche nella socialità.
Il senso del cammino umano, nei singoli e nella storia, è allora nella relazione spirituale e concreta contemporaneamente secondo quello che viene domandato a ciascuno.
L’itinerario sarà quello di rendersi povero/i in sé, vuoti, per fare spazio all’altro con cui ci si incontra. Come appare dall’immagine del samaritano.
L’attualizzazione nella vita di coppia, della sua sacramentalità.
Dal Vangelo di Giovanni (2,1-11)
Tre giorni dopo, ci fa uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con tè, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”.
Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono”.
Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
a. Ambientazione :
tempo, luogo, motivo, sono l’occasione per la rivelazione di Dio, per cui nulla è vuoto di senso e significato.
“Il terzo giorno” è il giorno della risurrezione-gloria, perciò il giorno della festa con Dio per sempre (Is 25,8).
“C’era”: esserci, come sarà detto della madre al cap. 19, alla croce. L’importanza di esserci là dove la vita “avviene”. Senza l’esserci non è possibile la partecipazione (che perciò non è curiosità, invadenza, protagonismo).
Nella parabola del samaritano: due passanti che lo precedono vedono ma non ci sono, il samaritano vede e c’è. Perché? La possibilità di essere presenti è legata alla conquista paziente della libertà interiore dalla preoccupazione, dal sovrappensiero, che possono schiacciare la sensibilità e – lasciare indifferenti.
b. “Non hanno vino”
Chi inizia?
La “madre” si accorge. Nella situazione c’è qualcosa che non permette la “festa”, il bene dell’unità della famiglia.
Assumere l’iniziativa è la conseguenza spontanea e immediata dell’accorgersi. È il bene creativo ma ne nasce un travaglio: la risposta di Gesù risuona come dire che la propria identità non può essere collegata all’episodio che insieme stanno vivendo ma va vista in relazione alla sua “ora”, e questa è nascosta alla madre. La radice della sua linea di condotta, che lo fa agire, è nella volontà di un Altro.
La madre è fuori dal legame tra il Figlio e il Padre.
Con fiducia incondizionata nell’efficacia della parola di Lui, la madre (rimproverata!) mantiene l’iniziativa e si affida a quella parola che sa non poter essere che amore e ordina ai servi di fare altrettanto, di affidarsi alla parola di Gesù.
E la fede più grande, la madre ne mostra la qualità.
E apre la strada all’iniziativa del Signore, che parla ai servi, essi obbediscono.
Le due volontà coincidono. La festa può ricominciare!
c. Accorgersi
Nella vita di coppia
Nella vita con i figli
Nella famiglia più ampia
Nel territorio
Nella società
Nella Chiesa
F.o
Mi ha colpito che questo miracolo avviene durante la partecipazione ad una festa. Quindi questo miracolo è destinato ad allietare un momento di convivialità, di gioia.
Maria comprende il disagio degli sposi, si accorge della difficoltà in cui possono trovarsi.
Infine mi colpisce la discrzione con cui Maria e Gesù vivono il momento del miracolo. Scompaiono, nessuno sa che cosa sia avvenuto, non si mostrano autori del miracolo.
A.a
Nel prestare attenzione agli altri ci sono richieste specifiche (la compagnia agli anziani, l’aiuto a chi ha bisogno) ma anche la capacità di farsi presente, di vedere i bisogni degli altri anche quando questi non si esplicitano.
Spesso ci diciamo disponibili ma poi non realizziamo quanto ci viene richiesto.
F.o
Accorgersi: ci viene richiesto anche nel nostro gruppo. Notare stasera la presenza di persone che non erano presenti negli altri incontri, persone per cui abbiamo pregato. Significa anche notare i segni nel volto di qualcuno che ha bisogno di aiuto, per cui occorre intervenire. E questo spesso salva.
Il fare quasi irruente di Maria non è nelle mie corde, ma penso che invece specie nella famiglia occorre essere attenti: occorre essere “rompiscatole” piuttosto che farsi gli affari propri. E’ un bene farsi gli affari degli altri, lindiffferenza danneggia.
L.i
Quando le richieste sono esplicite è più semplice intervenire. Nella mia esperienza mi ha aiutato a vivere il comando: “vivere bene l’attimo presente” che mi viene dalla mia esperienza di focolarini. Questo modo di vivere fa sì che ci si accorge di chi ci sa intorno; se l’altro si sente amato ritorna e riempie di gioia l’incontro.
F.o
Mio padre stava fuori tutto il giorno per il mio lavoro eppure era presente anche se lontano da casa. Ora noi genitori vorremmo essere più amici. Ripensando a quando ero ragazzo, all’epoca c’era un distacco; invece noi ora siamo troppo invadenti, il distacco tende invece a sollecitare il contatto da parte dei figli.
L.a
I nostri ragazzi vivono una vita diversa e quindi vogliamo proteggerli troppo. Loro mutano di anno in anno. E’ difficile per noi fare i genitori . Cerco di applicare l’educazione che mia madre dava a me, ma occorre cambiare perché i tempi sono diversi.
d.G.i
Bisogna chiedersi quanto siamo convinti che nell’altro c’è un mistero. Non possiamo possedere l’altro nelle sue profonde intimità. Non restare sgomenti rispetto al mistero che è l’altro. Ciò che non comprendiamo ci può intimorire e sgomentare
F.o
Penso alla vita di coppia e cosa significa accorgersi: vedere le esigenze degli altri. Il dialogo rende facile l’accorgersi. Don Lucio Lemmo, nella sua omelia per la messa della famiglia nelle feste di Piedigrotta, ci disse: “Siete le sentinelle gli uni degli altri”. Quante crisi, infedeltà nascono dal non vedere, non saper vedere. I disagi dei figli nascono spesso dal non vedere, dal non accorgersi. Bisogna stare attenti alle spie quando queste si accendono. A volte ci neghiamo l’evidenza; occorre usare la parola per comunicare.
F.a
Qualche volte dipende da una certa superficialità. Cammino senza guardare. Altre volte dipende dal fatto di voler risolvere ogni problema. Accorgersi può significare anche solo essere vicina, anche senza risolvere il problema. Accorgersi è quindi anche solo condividere.
L.i
Proibire ai figli qualcosa è spesso solo per la nostra tranquillità. Abbiamo la responsabilità di decidere con loro chiedendo aiuto allo Spirito Santo.
E.a
Mio padre era severissimo su alcune cose e meno su altre. Mi impediva la discoteca ma a 14 anni mi ha complrato la vespa per darmi la capacità di decidere. La mamma invece con la sua emotività non sapeva trasmettermi le giuste sensazioni; invece mio padre mi ha insegnato ad essere autonoma.
Chi si accorge dell’altro fa una doppia fatica: vedere e cercare di risolvere.
Maria si espone perché si prende cura degli altri.
D.a
Accorgersi significa amare. Nel rapporto di coppia significa saper amare. Bisogna amare per la persona che si ama e non per se stessi. Nasce dall’amore per la famiglia e nella famiglia e diventa amore per gli altri. Nel rapporto con i figli bisogna imparare ad amarli nelle loro identità.
S.a
Ci sono situazioni difficile che vivo da sola. Vigilare come genitori perché molti genitori invece non prestano attenzione. Maria interviene e poi si fa da parte per la sciare spazio a chi può agire.
C.o
Accorgersi può essere una nostra esperienza, un fatto personale ma occorre anche insegnare ad accorgersi. C’è molto da lavorare per far capire la propria sensibilità agli altri. Nell’ambiente di lavoro capita di vedere cose sbagliate e cerco di far vedere agli altri il punto sbagliato.
Anche con i figli occorre far capire la nostra sensibilità ed insegnarla loro.
B.a
Mi rendo conto di aver vissuto insieme a mia figlia negli anni il cambiamento del modo di intendere l’espressione “farsi carico”. Fino a 13 anni vivevo la vita di due persone; si sbaglia anche per troppo amore: come mamma volevo preoccuparmi di tutto.
Mi sono sentita educata da mia figlia a migliorare il mio rapporto con lei. Ho imparato che “farsi carico” significa anche stare zitti, accettare la crescita. E’ importante anche nella coppia farsi carico di situazioni esterne che vengano reciprocamente condivise
Nel mese di luglio scorso abbiamo vissuto un’esperienza molto bella a Selva di Val Gardena.
Presso la casa dei Gesuiti si tengono corsi estivi e non solo, di formazione per giovani e per coppie.
Ci pensavamo da tempo e quest’anno abbiamo deciso di farci questo regalo: un tempo per fermarci, per rivedere e rileggere la nostra vita a due, allontanandoci per un po’ dal quotidiano.
Questa esperienza ha superato di molto le nostre aspettative: per quello che ci ha permesso di vivere all’interno della nostra coppia, per l’occasione di confronto con tante belle persone e storie familiari e, non ultimo, siamo rimasti veramente ammirati dell’organizzazione sia del corso che della gestione della casa, nell’arco della settimana.
Il corso a cui abbiamo partecipato aveva per tema: “ Al principio del fondamento, ovvero come rileggere al plurale un’esperienza singolare”, tema che ricalcava il primo ciclo degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Lojola, traducendolo nell’ambito familiare.
La presenza di due coppie guida ha permesso di proporre la tematica del corso con diverse modalità, dal linguaggio più meditativo e riflessivo, a quello dell’immagine o della corporeità, a quello infine più provocatorio dei giochi di ruolo.
E’ stato per noi un tempo prezioso che ci ha insegnato cose nuove, come ad esempio scrivere il nostro libro degli esercizi, mettere la nostra vita al centro, fermarla per un po’ alla presenza di Dio, rivederla nella prospettiva a due.
Durante questo percorso abbiamo più volte raccontato della nostra esperienza di gruppo di famiglie, per questo adesso ci sentivamo di dover trasmettere a voi la bellezza delle cose che abbiamo vissuto:
- le tante coppie provenienti da tante parti d’Italia e impegnate in tanti campi
- il gran numero di bambini presenti a dare allegria anche ai pranzi insieme e al tempo libero
- i ragazzi che hanno prestato la loro opera per accudire i più piccoli ed organizzarli nelle attività di ogni giorno
- la preghiera condivisa e la partecipazione alle lodi mattutine e alla messa serale
- l’aiuto reciproco, i turni di lavoro nell’autogestione della casa, nel servire a tavola, pulire i locali
- la possibilità di trovarci noi due, uno di fronte all’altro, di parlarci guardandoci negli occhi, con tempi sereni e dilatati
- la bellezza mozzafiato delle montagne che circondano Villa Capriolo che ci ha ospitato…
Dalla “Lettera a Diogneto”
I cristiani nè per regione, nè per voce, ne per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, nè usano un gergo che si differenzia, nè conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, nè essi aderiscono ad una corrente fìlosofìca umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio.
A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani.
Farsi carico del territorio.
– Riferimenti biblici:
• Es. 36,28 “abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri”;
• Gs. 14,9 “la terra che ha calcato il tuo piede, sarà in eredità a te”;
• Ger. 2,7 “avete contaminato la mia terra”,
• Ger. 29, 4-7, Lettera ai deportati:
“Così dice il Signore degli eserciti. Dio di Israele, a tutti gli esuli che ho fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia: costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e fìglie, scegliete mogli per i vostri figli e maritate le fìglie, e costoro abbiano fìglie e figli. Lì moltipllcatevi e non diminuite. Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro”.
– Conseguenze:
• Riconoscenza,
• Responsabilità,
• Assumere il compito di animazione che attua il “coltivare e custodire” del comando del Signore (Gen 2,15)
• La comprensione dei primi cristiani:
• La lettera a Diogneto, n° 5
• La comprensione di oggi,
• Testimonianza di Clelia Modesti
L’incontro è stato incentrato sull’intervento di Clelia Modesti, presidente del Comitato Civico prima Municipalità di Chiaia.
Partendo da un suo recente incontro a Scampia, segnalava la differente vitalità che esiste tra un quartiere, certamente problematico come Scampia e la zona di Chiaia. A Scampia c’è una voglia di fare realizzata da persone, consce delle difficoltà ma felici.
Nella zona di Chiaia questa vitalità, questa felicità non esiste; si vive nell’individualismo e non nella condivisione dei beni e delle risorse che pure esistono sul territorio.
E quindi lo sforzo del comitato è quello di realizzare piccole iniziative che, senza sostituirsi al politico, sollecitano le istituzioni a realizzare micro progetti che da un lato coinvolgano le persone dall’altro realizzino un benessere che non è agiatezza ma valorizzazione del territorio e rispetto per quello che c’è nel territorio stesso.
Un’altra dimensione in cui si muove il comitato è il superamento di una mentalià partitica all’interno di questa istituzione che fa coincidere spesso più quello che è utile al proprio partito piuttosto che all’interesse delle persone. Se una cosa è buona da realizzare non diventa cattiva perché proposta dalla parte avversa.
La realizzazione di questi micro interventi infonde inoltre la certezza che l’interessamento dei cittadini rende possibile il lavorare insieme alle istituzioni ed essere di pungolo e controllo al lavoro da fare.
La partecipazione al comitato non è solo una condivisione di solidarietà ma un diventare parte attiva. Essere in molti aiuta ad essere voce del territorio.
L’attività del comitato e le sue realizzazioni sono riportate nel sito (visita il sito) e ciascuno può contribuire con proposte e segnalazioni
Il dibattito che è seguito ha confermato la necessità di farsi parte attiva nella realtà in cui viviamo per realizzazre quella presenza che può essere di sprone agli altri e di aiuto ai più deboli
d.G.i
Ho fatto un sogno! Riuscire a guardare con l’occhio di Dio per non fuggire, per prendersi a carico anche il dolore. Nella Bibbia c’è il dolore di Dio. Dio Padre sente di poter confidare il suo pensiero a chi lo può capire: “Non posso tacere al mio amico Abramo il mio piano su Sodoma e Gomorra” Così come si confida con Mosè quando dice: “Ho sentito il lamento del mio popolo e sono venuto a liberarlo”.
La tentazione del giusto può prenderci vedendo il tanto male della nostra città. Ma ancora nella Bibbia troviamo le parole di Iavhè: “Può una madre dimenticare il proprio figlio?
E Gesù, guardando Gerusalemme, pianse sulla città perché non aveva saputo riconoscere i segni che tante volte aveva ricevuto
Proporre una meditazione sul “Fuitavenne” è proprio per cercare le ragioni del restare.
Proprio Gesù appena dopo aver pianto sulla città, entra nel tempio e scaccia i mercanti, scuotendo la città e spingendola a pregare, a vivere in modo diverso.
Isaia ci dice: “il sacrificio che io voglio è aiutare la vedova.”
Ed in queste parole della scrittura che occorre trovare la forza di reagire, la forza di restare.
L’incontro è stato incentrato sull’intervento di Mario Di Costanzo.
(appunti presi nel corso dell’incontro)
Napoli non è una città complessa ma una città complicata, in cui non una sola causa ma più con-cause rendono difficile il percorso.
In base alla mia esperienza posso portare una visione sia dal punto di vista ecclesiale che politico della situazione napoletana.
Alla provocazione scelta con l’espressione di Eduardo “Fuitevenne”, io ne contrappongo un’altra sempre di Eduardo: “Addà passa ‘a nuttata”. Questa seconda espressione contiene il messaggio dell’attesa, di qualcosa che viene dall’alto senza che ciascuno faccia il suo: il tempo cambia ed arriverà qualcosa di meglio.
Anche il cuore dei napoletani, così caro alla tradizione, è qualcosa che sta cambiando e ne avvertiamo la realtà nelle vicende di tutti i giorni.
Un problema serio che ha investito il laicato italiano è la trasformazione del termine laico e del suo modo di comportarsi. Quindici anni fa il termine “operatore pastorale” non esisteva; c’era il laico così come espresso dal concilio: un cristiano che prega, che pensa, che sta dentro la situazione del proprio paese, compreso la situazione politica. L’operatore pastorale invece è un cristiano che sa tutto sull’azione pastorale ma ignora la vita della sua città.
Allora possiamo anche andar via dopo però aver fatto un esame di coscienza sulla vita della nostra città.
Paola Bignardi ha definito il laico come:
- il laico pastorale, che si spende molto nell’iniziativa, a volte eccessiva se perde il riferimento alla realtà.
- il laico spirituale, che identifica l’esperienza cristiana con la sua vicenda interiore e mette in secondo piano il riferimento alla realtà
E’ certo che il laicato in questi ultimi tempi ha avuto una condotta omissiva nei confronti dei documenti sulla dottrina sociale. Già 22 anni fa nel 1989, i vescovi italiani pubblicavano un documento su “SVILUPPO NELLA SOLIDARIETA’. CHIESA ITALIANA E MEZZOGIORNO”
In questo documento c’è un’analisi attenta della situazione, una denuncia violenta dell’illegalià diffusa; in una situazione di illegalià sono penalizzati gli ultimi, i piccoli. Ma nello stesso tempo si richiama il compito primario della chiesa di farsi voce per rompere i meccanismi e proporre una nuova logica di sviluppo. La chiesa deve formare le coscienze e: “Sono necessari, e doverosi, l’aiuto e la solidarietà dell’intera nazione, ma in primo luogo sono i meridionali i responsabili di ciò che il sud sarà nel futuro”
Quale è la nostra responsabilità? C’è una responsabilità personale e collettiva. In termini personali principalmente il non approfittare dello stato sociale e delle sue provvidenze per ottenere indebiti vantaggi; rispettare le regole con responsabilità personale; gestire la cosa pubblica con il principio del buon padre di famiglia, con attenzione e cura.
C’è anche certamente una grande responsabilità del sistema politico: i partiti non sono più la fonte delle idee e delle proposte ma ne mantengono solo la gestione, ingigantendo i guasti che ne discendono.
Cosa fare per riprendere quota: occorre puntare sull’istruzione, così come anche i vescovi hanno sostentuo in un loro recente documento. Quale futuro ha una gioventù che non frequenta o abbandona la scuola prima dei termini? E quale competitività ha una scuola che non ha qualità? Una gioventù senza istruzione o con scuola di scarsa qualità è perdente in partenza e può facilmente cadere nella delinquenza e finire inglobata nel crimine organizzato. Dalla scuola quindi si dovrebbe ripartire.
Si può finire con un catalogo dei doveri per far rialzare questa città:
- il dovere di un’intelligenza critica, capace di comprendere gli effettivi ruoli delle forze reali, anche se occulte.
- formare un laicato capace di capire e di essere presente nel mondo
- riprendere e riproporre la dottrina sociale della chiesa come fonte di studio e di realizzazione per la ripresa della città
d.G.i
Il riferimento biblico per l’incontro di stasera è:
“Tu non avresti nessun potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto” (Gv. 19,11)
Possiamo aggiungere: “Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Signore” (1 Pt. 2,13)
Per noi c’è la scoperta che la comunità di fede non nasce da una condizione “anarchica” della propria esistenza, ma da un pensarsi “a corpo” nella condivisione delle responsabilità per il bene comune.
C’è una provvidenza anche nelle persone che hanno ricevuto un incarico. Gesù è inserito nella storia: nasce a Betlemme per ordine dell’imperatore, Cresce in una società configurata a non anarcoide, paga la tassa, si sottopone alla società organizzata. Per noi è la scoperta che la vocazione cristiana è anche vocazione alla vita civile.
Il 6 gennaio 1994, Giovanni Paolo II scriveva ai vescovi italiani: “Certamente oggi è necessario un profondo rinnovamento sociale e politico. Accanto a coloro che, ispirandosi ai valori cristiani, hanno contribuito a governare l’Italia nel corso di questo mezzo secolo, acquistando innumerevoli meriti verso il paese e il suo sviluppo, non sono mancate purtroppo persone che non hanno saputo evitare addebiti anche gravi…
I laici cristiani non possono dunque, proprio in questo decisivo momento storico, sottrarsi alle loro responsabilità. Devono piuttosto testimoniare con coraggio la loro fiducia in Dio, Signore della storia, e il loro amore per l’Italia attraverso una presenza unita e coerente e un servizio onesto e disinteressato nel campo sociale e politico, sempre aperti ad una sincera collaborazione con tutte le forze sane della nazione” (Le responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell’attuale momento storico).
Quasi come una risposta a questa domanda, Chiara Lubich fondava il movimento politico per l’unità nel 1996: “Ognuno scruti il fondo del proprio cuore: si interroghi sul contributo personale che può dare, si che nessun essere umano si senta estraneo a questa “gestazione di un mondo nuovo”
All’incontro ha partecipato Argia Albanese, della segrateria del Movimento Politico per l’Unità.
(appunti presi nel corso dell’incontro)
La mia presenza non può che portare il racconto di un’esperienza in politica in prima persona: insegnante, inserita nel movimento dei focolari. Spinta da sempre ad un impegno politico, inizialmente nella scuola, le elezioni scolastiche e gli organi collegiali. Dopo l’incontro con Chiara Lubich a Pompei, in cui nasce il M.P.U., l’impegno a portare in politica l’amore scambievole e tramite questo costruire l’unità. Fino ad essere eletta al Parlamento nel 1996.
La politica è lo strumento che ha realizzato il progresso dell’umanità ma anche dove si realizzano le peggiori situazioni.
Cosa è significato per me avere incontrato questo ideale e perché è necessario impegnarsi in politica: L’impegno in politica è significato per me stare dalla parte dei deboli, degli ultimi; agli inizi da giovane, approfondire e capire il bilancio comunale, seguire i lavori del consiglio comunale per sollecitare il corretto lavoro degli assessori. Dopo il territori del 1980, il programma di ricostruzione ha interessato 13 comuni del circondario napoletano dove sono stati trasferiti cittadini di Napoli, quartieri diventati in breve dormitori e ghetti. E quindi battaglie per costruire in questi quartieri infrastrutture, chiese, scuole e non solo case. Ansia di stare dalla parte dei più deboli, applicando il motto di Chiara Lubich: “morire per la propria gente”. E quindi organizzazione di doposcuola perché l’impegno non sia solo astratto ma anche concreto.
Quando mi sono candidata al parlamento e sono stata assegnata in una sezione non facile per il mio partito ho dovuto misurarmi in una campagna elettorale molto difficile per dar voce ai cittadini più deboli; mi sono confrontata con forze che intervenivano pesantemente nelle decisioni dei cittadini. Questo mio sostegno alla parte debole della popolazione, prendendo parte ai loro bisogni, penso mi abbia portato alla elezione al parlamento.
Subito dopo in un incontro con Chiara ho ricevuto un impegno particolare: non quello di aiutare tutti ma di amare tutti e lavorare insieme con le altre forze.
Così nasce l’eperienza di questo movimento voluto da Chiara e che mi ha portato negli anni del mio mandato parlamentare veramente a cercare in ogni altro collega, indipendente dalla sua appartenenza, un altro da amare. Ed ho legato questa scelta al fine del mio mandato: se non amo, mi dicevo, rendo vano qualunque altro impegno. In ogni caso non sono mancati momenti molto duri, difficili da accettare, talvolta proprio all’interno della coalizione piuttosto che con la parte “avversa”
La mancata rielezione non è stata facile da riaccettare ma ho cercato di comprenderne le ragioni. Ho capito poi che fare politica poteva essere ed è anche essere cittadina là dove mi trovo, quindi di nuovo nella scuola, come genitore, come famiglia, nel mio quartiere.
Per questo occorre riscoprire il significato della politica, vivere la politica come amore perché la si intenda come vocazione; poi si può andare verso gli altri.
L’etica pubblica non appartiene ai cattolici ma è un patrimonio comune che fonda i cittadini. E’ importante considerare l’etica pubblica come azione comune del popolo. In America Latina è in corso un progetto presso alcune università per lo studio della fraternità in politica. Questo concetto era già presente ai tempi della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fratellanza; ma solo le prime sono state analizzate ed in molti casi perseguiti. Si è perso o non mai attuato il concetto di fraternità.
In Italia abbiamo anche un modo diverso di intendere la politica. Al sud ricerchiamo più un rapporto personale con il politico: si cerca personalmente il politico non solo per favori ma anche per la risoluzione dei problemi. Al nord invece sono maggiormente i gruppi organizzati, industriali, artigianali, di altra natura, che instaurano il contatto con la politica. E questo in parte dà più voce alla popolazione ed allontana la ricerca del favore personale.
Il M.P.U. si è imposto il compito di trasmettere alle persone un contenuto nuovo nel modo di fare politica.
d.G.i
Conclusione:
Paolo VI diceva: “La giustizia è la misura minima della carità. La politica è la misura massima della carità”.
Stasera abbiamo avuto la testimonianza di come si può incontrare la croce nel fare la politica.
d.G.i
Il riferimento biblico per l’incontro di stasera è:
“…non più però come schiavo, ma come fratello carissimo” (Fm. 1,16)
Una lettera brevissima, quasi un biglietto, dalla prigionia (o ad Efeso tra il 52 e il 54, oppure da Roma tra il 61 ed il 63) rivolta a Filemone, un cristiano di Colosso portato alla fede da Paolo. Uno schiavo di nome Onesimo (significato: utile) era fuggito dalla casa; incontra Paolo ed il vangelo, è battezzato, e comprende nella nuova visione della vita di dover tornare dal suo padrone.
La soluzione dell’inevitabile tensione sta nel proporre una dimensione nuova che è la fraternità, conseguenza dell’essere figlio di Dio, dello stesso Padre, e perciò fratelli, diventati per il battesimo discepoli di Gesù Cristo.
Filemone è esortato ad accoglierlo “per sempre” non più come schiavo ma, “molto più che schiavo, come fratello carissimo”, “sia come uomo sia come fratello nel Signore”.
Dignità dunque, come uomo e come cristiano.
Il pensiero della Chiesa
“benché tra gli uomini vi siano giuste diversità, la uguale dignità delle persone richiede che si giunga a condizioni di vita più umana e giuste” (GS 29)
“Partendo da questa fede, la Chiesa può sottrarre la dignità della natura umana al fluttuare di tutte le opinioni. Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell’uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa.” (GS 41).
“Gli uomini del nostro tempo reagiscono con coscienza sempre più sensibile di fronte a tali disparità: essi sono profondamente convinti che le più ampie possibilità tecniche ed economiche, proprie del mondo contemporaneo, potrebbero e dovrebbero correggere questo funesto stato di cose. (GS 53).
i vari aspetti della vita sociale in cui si rileva la dignità:
– famiglia
– scuola
– mondo del lavoro
– politiche sociali
– sanità
Gesù aveva detto: “Non chiamate nessuno padre”. Nelle Beatitudine non c’è posto per una superiorità l’uno dell’altro. Ciò non toglie che ci siano tensioni perché i cristiani sono presenti nel mondo.
C.D.C
Quando mi hanno chiesto di introdurre l’incontro mi sono lanciato, ma poi ho pensato: cosa dico? La dignità deve essere a 360°, non in un unica direzione come per esempio quella del sindacato. E’ una dignità dell’essere.
Dal calendario di San Gaspare: “la libertà, il sabato, il giorno di riposo trova la sua completezza nel riposo più che nel fare”.
Ma nella mia esperienza il giorno di riposo è dedicato al lavoro. Molto spesso mia figlia, ora 30 anni, mi ha rinfacciato questa mancanza. Una volta non si poteva rinunciare a lavorare la domenica; ora ci sono impostazioni diverse, si dà il lavoro in appalto, si chiede ad altri di lavorare la domenica.
Sempre dal calendario: “sapersi fermare, dire basta in modo che questa scelta diventi una ricchezza: il riposo aumenta la capacità di essere. In vacanza per esempio è il momento di recuperare la dimensione, di ritrovare se stessi con la lettura ed anche la preghiera e la meditazione.
Nell’ambiente di lavoro ognuno cerca la propria affermazione che definisco: dignità apparente. L’affermazione di se stesso è dare il consenso a chi è sopra di noi; ma se il nostro superiore fa qualcosa che non è accettabile, come ci si comporta?
Nel mondo dell’informazione, l’ordine delle notizie nelle diverse testate non è lo stesso. Questa diversità non è accettabile, è mettere in rilievo quello che interessa e non quello che ha vera priorità.
Ci sono testate giornalistiche dove è impossibile farsi palatini dell’etica professionale. Siamo tutti d’accordo che le cose non vanno se ne parliamo singolarmente; poi spesso ci comportiamo come pecore che seguono le decisioni che arrivano dall’alto.
E’ una lotta enorme i cui risultati sono spesso molto piccoli; gli sforzi non sono visti e compresi da nessuno.
C’è molta gente che farebbe di tutto pur di apparire in televisione. Compito corretto di chi conduce un inchiesta, un intervista è comprendere chi ci sta di fronte, capire che spesso si tratta di persone deboli.
Ci vuole infine un rispetto del lavoro in quanto fonte di benessere. L’immagine della tavola è il frutto del lavoro e va rispettato nei confronti di chi si è preoccupato di imbandire la tavola.
La propria dignità sul lavoro passa attraverso la dignità degli altri. Ci dobbiamo unire a quelli che la pensano allo stesso modo. Anche se spesso non si è capiti. Sono stato per 10 anni nel sindacato ed alla fine sono stato accusato di aver utilizzato quel periodo per raggiungere posizioni di carriera.
L.a
Chi fa il proprio dovere non fa carriera perché dà fastidio. Ho quindi dei dubbi a come fare per portare avanti la dignità del lavoro
F.o
Dobbiamo dare l’esempio, avere la coscienza di fare bene il proprio lavoro, avere questa disposizione. La mentalità corrente è quella di portare a casa il mensile a fine mese. Ma occorre seguire prima il dovere e poi il diritto. E’ un po’ la mentalità che siamo soliti attribuire ai giapponesi. La nostra costituzione è fondata sul lavoro: quindi tutti dovrebbero fare il proprio dovere al lavoro. Invece se rinunciamo ad essere di pungolo per gli altri, non ci comportiamo più da cristiani.
All’inizio della mia attività ero sconcertato dalla mancanza di professionalità di medici ed infermieri. Mi aiutò trovare alcune persone che si davano da fare e mettendoci insieme riuscimmo a creare un ambiente diverso.
Pensiamo al lavoro non riconosciuto di tante donne, le casalinghe, che lavorano a casa e spesso fuori. Ed essendo questo lavoro non retribuito, solo l’amore lo giustifica.
Pensiamo ai nostri giovani, che sono costretti per la mancanza di opportunità a passare attraverso tante rinunce.
La precarietà invece è una miniera per i politici perché è fonte di continue promesse, spesso non mantenute.
d.G.i
Il momento storico che stiamo vivendo, le situazioni se lette dal punto di vista della negatività sono funeste ma se viste dal lato di “farsi carico” sono un’opportunità, sono la capacità di accorgersi e di dare le ragioni della speranza.
L.o
Nello scritto che abbiamo avuto in preparazione a questo incontro (G.Matino – Ero nudo) si parla di dignità del lavoro. Mio padre 40 anni fa si licenziò da dirigente perché notò irregolarità nel lavoro della sua azienda. Fu un momento duro per la nostra famiglia. Ma il ricordo di quel gesto, mi ha abituato a scindere il lavoro dalla retribuzione. Vedo persone che ricevono retribuzioni non proporzionate alle ore di servizio, costrette a tempi di lavoro estremamente lunghi.
M.o
Ho vissuto un’esperienza molto difficile lo scorso anno. Come tante industrie della zona anche la mia ha subito un taglio di 15 persone su un totale di 40. Per me, che sin dal primo momento non ero tra le persone coinvolte nei tagli, è stato difficile affiancare i colleghi che dovevano lasciare il lavoro, unendomi alle loro proteste; ma nello stesso tempo non apparire falso avendo le spalle coperte.
Ho visto però anche altri colleghi che nella stessa situazione non hanno voluto condividere, anche solo come partecipazione, le difficoltà che si stavano vivendo
F.a
La dignità del lavoro riguarda anche le strutture in cui il lavoro si svolge. La scuola dove insegno è grande e spaziosa ma un cedimento strutturale ad inizio anno ci ha relegato in una parte dell’edificio. Così anche i servizi si sono ridotti, fino ad una situazione davvero difficile anche igienicamente.
Ho preso l’iniziativa di scrivere una lettera al dirigente, sottoscritta dai colleghi, per ottenere un intervento migliorativo.
Ma penso a quanta gente deve prestare il proprio servizio in ambienti fatiscenti dove la dignità non viene per niente rispettata.
B.a
Per lavorare con dignità bisogna fare un lavoro che si ama. Inoltre bisogna imparare a lasciare fuori dal lavoro tutti gli aspetti che non riguardano il lavoro stesso. Mentre si lavora non si può pensare ad altro. Chi ha un rapporto con il pubblico nel proprio lavoro non può scaricare le proprie frustrazioni sul lavoro. Infine bisogna sempre scindere il discorso economico da quello del lavoro.
S.a
Anche per me non è giusto legare il lavoro alla retribuzione. Nel mondo della scuola dove lavoro, molti insegnati sostengono di non fare il proprio lavoro perché non guadagnano sufficientemente e giustificano in questo modo un comportamento lascivo. Lavoro quest’anno ad un liceo dopo tanti anni al nautico. Vivo la responsabilità di trasmettere ai ragazzi la cultura. L’ambiente è diverso: ragazzi di alta borghesia, figli di ricchi, viziati. Sto cercando di guardare nei ragazzi dei fratelli da amare; ho imparato a non guardare il loro aspetto ma ad amarli per quello che sono; anche nella dirigente non cerco solo di condividere quello che fa ma vedere quello che lei è. Non è più il solo senso del dovere ma si cerca di risplendere insieme.
C.e
E’ difficile spesso comportarsi onestamente perché ogni uomo ha un prezzo; è facile essere coinvolti. Ma se veramente non si vuole essere coinvolti non si entra per non farsi comprare anche se questo potrebbe dire rinuncia.
d.G.i
Il riferimento biblico per l’incontro di stasera è:
“La moltitudine dei credenti era un cuore solo ed un’anima sola” (At. 4,22)
Forse all’origine il testo di Genesi su Caino ed Abele non si riferisce ai primi uomini ma ad un antenato dei Cainiti al tempo dei patriarchi. Forse è stato riportato alle origini dell’umanità per dare al testo un valore universale.
Due modi di vita talmente diversi, stanziale e nomade, da indurre alla violenza. Quando Dio domanda a Caino: “dov’è Abele, tuo fratello?” Caino risponde: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?” E il Signore: “la voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo”.
Comincia nella scrittura lo svolgimento del filo d’oro della rivelazione di Dio che fa della vicenda dell’umanità un cammino di ritorno all’Uno. Dio conduce a comprendere la fraternità come il massimo della realtà umana. Nel popolo di Israele si sviluppa la consapevolezza di essere chiamati fratelli.
Nel Nuovo Testamento questa pedagogia è vissuta da Gesù con i “suoi”. Dalla relazione iniziale generata dalla chiamata al discepolato, in cui era prevalente l’essere correligionari e compatrioti, il Signore li conduce a chiamarli “amici” a cui si può confidare fino in fondo il progetto del Padre che è l’unità, fino alla condivisione della preghiera perché “siamo una cosa sola come io e te, Padre”
Gesù volle che i discepoli stessero con lui, senza interessi particolari. Alla sera del giovedì dice loro: “Non vi chiamo servi ma vi chiamo amici”. Non basta più essere insieme, occorre camminare verso un’amicizia.
Gesù inaugura questa aspirazione di Dio, non rimandandola al futuro ma affermandola al presente. Il Risorto dice a Maria di Magdala: “Va dai miei fratelli”.
L’unità è dunque possibile e già inaugurata come modo di essere uomini ad immagine e somiglianza di Dio Trinità.
La pedagogia di Dio parte dai fratelli Caino ed Abele per arrivare ad essere uno nella Trinità.
Le conseguenze nel Nuovo Testamento:
“chi non ama il proprio fratello, non può amare Dio” (1 Gv. 4,20)
“solleciti per le necessità dei fratelli” (Rm. 12,13)
“i fratelli sparsi per il mondo” (1 Pt. 5,9)
La Chiesa è segno di questa fraternità, con il lavoro incessante per il cammino: dalla famiglia al clan, dal popolo di appartenenza all’universalità della relazione umana, all’unità di un cuor solo ed un’anima sola.
Che potrebbe essere la parola dell’essere insieme nel carisma canonicale.
Riconoscere l’altro come “fratello” significa rendergli possibile il ritrovamento della verità di essere figlio di Dio. La conseguenza è prendere coscienza delle tante forme di indifferenza, delle parole appuntite, dell’indulgenza con la maldicenza, tutte cose che possono uccidere il fratello in noi!
Ma la conseguenza positiva che incide e rinnova radicalmente la relazione umana è riconoscere Cristo in ogni volto.
F&L
La fraternità non è uno stato naturale; tra fratelli c’è spesso motivo di dissidio. La fraternità è piuttosto una scelta o forse una vocazione. Bisogna essere convinti di essere fratelli. Noi non possiamo essere da soli; dall’inizio dei tempi: “Non è bene che l’uomo sia solo…”. Ho bisogno dell’altro; ed allora o uso gli altri o sono io ad amare gli altri. Io e gli altri o meglio “noi”.
La fraternità è una scelta riconosciuta anche da valori laici (vedi Rivoluzione Francese). Non è quindi solo un valore religioso ma per noi cristiani è uno specifico. Essere cristiani significa essere tutti fratelli (Gv. 13,34-35)
Gesù ci dà un comandamento che vale per tutti.
Il punto centrale è la regola d’oro: Ciò che volete gli uomini facciano a voi. anche voi fatelo a loro (Lc. 6,27-38)
Questa regola esiste in tutte le religioni e anche nel mondo laico (Dichiarazione doveri degli uomini art.4)
Esiste da qualche anno anche un “premio della fraternità” che vuole evidenziare chi è capace di mettersi nei panni del più debole, guardando il mondo con i suoi occhi.
G.i
A volte ci scoraggiamo di fronte alle difficoltà. Da diacono e terziario francescano, ho fatto della fraternità la base della mia vita, su ispirazione della vita francescana. Ma per realizzare la fraternità e la solidarietà dobbiamo rivestirci di Cristo. La solidarietà senza fraternità è semplice assistenza.
Da questi principi ci siamo chiesti, tempo fa, con alcuni amici cosa facciamo da cristiani di fronte alla realtà della povertà.
E’ nata così l’idea degli “Amici di strada”, per distribuire ai senza tetto un pasto caldo una volta alla settimana. Noi che siamo impegnati in questa “distribuzione” sentiamo però che è una comunità intera che si sente coinvolta: si sente che anche per chi si dedica solo a preparare i pasti c’è un’attenzione ed una cura che è un tutto uno con il gruppo che si occupa della distribuzione.
E’ solo un piccolo passo; abbiamo forse dimenticato le opere di misericordia che sono stati per secoli la spina dorsale della chiesa. Se esiste una paternità di Dio, esiste una fraternità che lega tutti noi.
Queste persone che noi andiamo ad incontrare ormai ci conoscono, ci aspettano, ci abbracciano. Hanno bisogno di essere rafforzati nelle loro decisioni per farli crescere ed abbandonare questa posizione.
Si dice non c’è carità senza giustizia ma ora si deve anche dire non c’è giustizia senza carità.
C’è tanto da fare, ci vorrebbe un accompagnamento continuo, un impegno di cui tutti i cristiani si dovrebbero farsi carico
F&L
Anche noi di Famiglie Insieme abbiamo avuto questa sensibilità e da tanti anni abbiamo scelto il sostegno a distanza. Ma stiamo maturando anche un sostegno a vicinanza.
L’abbiamo sperimentato a Natale. Con una serie di piccoli passi siamo riusciti a raccogliere una cifra superiore a quello che serviva. La maggiore povertà di cui soffrono molte persone è la dignità perduta. C’è bisogno di un cammino di recupero. Una suora con molta dedizione si dedica e ci sollecita a sostenere un recupero.
Possiamo e dobbiamo sentirci coinvolti per questo cammino di recupero.
R.a
Per recuperare queste persone non c’è bisogno solo del pasto ma un percorso di recupero.
F&L
Dal discorso di Chiara Lubich a 700 politici di tutto il mondo (Innsbruck 2001): “la risposta alla vocazione politica è innanzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo, infatti, solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come se fosse il proprio.”
Un eccesso di aiuto potrebbe essere di intralcio alla crescita delle persone. La preoccupazione è far crescere la responsabilità.
Non bisogna farlo da solo. Il confronto con altri ci può aiutare a capire quale è la strada da percorrere.
Se siamo umili, se riusciamo ad essere vicini ad una persona e la facciamo parlare si capisce che quella persona è uguale a me. Allora mi devo prendere la colpa di non aver considerato la persona come un mio fratello. Dovrebbero finire queste barriere che ci incattiviscono.
d.G.i
A Piedigrotta siamo una comunità che partecipa alla vita delle altre comunità. Cerchiamo di avere un cuor solo ed un’anima sola. Nella prima comunità cristiana non c’era nessun indigente perché c’era una corresponsabilità costante l’uno dell’altro.
L.y
Non bisogna sottovalutare l’importanza di questo incontro. Quello che si costruisce in questa stanza ci aiuta quando rimaniamo soli. Spesso i problemi li affrontiamo da soli. Basta un attimo, qui costruiamo un rapporto che ci rende presente il Signore. C’è la certezza che noi con Lui possiamo vivere un problema anche se non lo possiamo risolvere. La grazia di non sentirsi sola: “ero nudo e mi avete dato da vestire”. Che ricchezze incredibili di dolore, esperienza, condivisione con gli altri si può trovare in quelli che noi definiamo “barbone”. Se non mi fossi avvicinata e non avessi creato un legame non avrei scoperto tutto il bello che possedeva.
F.o
Mi sento sconsolato; se anche dessi tutto del mio, non risolverei il problema. Non servono solo i soldi.
Esiste anche il mondo del lavoro, della famiglia e non solo il mondo dell’indigenza.
E.a
C’è anche un altro aspetto. Ho fatto per un periodo un cammino neocatecuminale. Un percorso che ci veniva richiesto: “Scegli una cosa a cui tieni di più, vendila e dai i soldi a qualcuno. C’era una zingara vicino alla casa dove abitavo, che stava tutto il giorno seduta senza fare niente con i bambini che erano liberi per la strada. Forse all’epoca eravamo meno abituati di ora. Non mi era simpatica, mi sembrava che potesse fare qualcosa per cambiare.
Quando decisi di dare alla prima persona che incontravo il ricavato della mia privazione, incontrai lei per prima.
Questo mi fece capire che dovevo superare il giudizio. Non stava a me giudicare il comportamento dell’altro; dovevo dare senza pregiudizi.
R.a
Si ha paura di essere troppo coinvolti. Queste persone potrebbero appropriarsi della nostra vita. Spesso si teme di riversare troppo amore verso una madre che ha bisogno di aiuto, si ha paura di essere troppo coinvolti e quindi si mette una distanza.
d.G.i
Il primo obiettivo della carità non è operare ma amare. La solidarietà è una misura penultima. La carità è la misura ultima. Pensare di risolvere il problema degli “Amici di Strada” può essere limitante. Amare tutti deve essere “l’amore che opera”.
S.a
Andando a trovare gli ex alunni non mi aspettavo una tale accoglienza. Ho ringraziato il Signore per l’accoglienza che ho ricevuto. Mi sono sempre chiesto come coinvolgere questi ragazzi: l’operosità nasce dall’amore. Il germe dell’amore rimane ma è un dono che va coltivato.
D.a
Occorre solidarietà e non beneficenza. E quello che ha fatto il samaritano. La solidarietà è contagiosa. Abbiamo fatto un’esperienza nell’ospitare un bambino russo. Ricordo con molta emozione tutto quello che ho avuto occasione di contattare tramite la presenza di questo bambino.
F.o
Fraternità non è una cosa astratta ma un qualcosa di vivere giorno per giorno:
Chiediamoci come viviamo la fraternità nella comunità in cui siamo inseriti cominciando dalla coppia:
accoglienza dell’altro: accoglierlo per quello che è senza aspettarsi e pretendere quello che non può dare.
Essere “fratelli” dei figli senza perdere il ruolo di genitori; essere autorevoli senza essere autoritari, dando testimonianza del nostro amore con le nostre scelte.
Essere fratelli con i nostri parenti: non è facile perché ci sono interessi, beghe, difficoltà di comprensione.
Vivere la fraternità è anche rispetto delle regole e rispetto degli altri; siamo a volte condizionati dall’ambiente in cui viviamo abituandoci a vivere male.
Dobbiamo riappropriarci della benevolenza verso gli altri; siamo aggressivi perché tartassati o stressati, compressi; dobbiamo combattere contro la stupidità e l’irruenza.
Essere fratelli non è tenersi la rabbia dentro ma poter dire la propria opinione, confidare il proprio dispiacere per qualcosa che non va: ci vuole sincerità!
Al punto estremo di questo cammino c’è l’accettazione della diversità, come abbiamo discusso lo scorso anno.
Esiste poi la realtà ecclesiale, sia quella parrocchiale sia quella universale: in parrocchia occorre essere aperti ed accoglienti. Famiglie Insieme è una proposta per tutte le coppie e tutti devono sentirsi accolti. Possiamo essere presi dal rischio di guardare più una persona per quello che fa e per quello che può dare e non principalmente per quello che è.
Dobbiamo scoprire la bellezza di accogliere l’altro. In 16 anni di cammino abbiamo fatto progressi in questa comprensione ma non dobbiamo fermarci.
Si arriva quindi a vivere la fraternità scambiandoci il perdono, accogliendo l’altro e vivendo nel nostro essere la resurrezione del Signore. La fraternità è la dimensione orizzontale; l’incontro con il Signore ci dà la dimensione verticale.
Chiara Lubich propone quasi una ricetta, semplice ma di non facile applicazione:
AMARE TUTTI … PER PRIMI … FACENDOSI UNO … SENZA CONDIZIONI … VEDENDO GESU’ NELL’ALTRO
L.a
In una coppia credente che fa un percorso di fede è importante vedere Gesù nell’altro. Dopo tanti anni di vita insieme ci si scopre, a volte, diversi: chi si ha vicino sembra uno sconosciuto.
Sono situazioni forti che ti interrogano; spesso si sente tutto come ostile.
Cercando di vedere nell’altro Gesù, si ridimensionano le nostre pretese e si accoglie il suggerimento dell’altro come un punta di vista diverso che completa il panorama.
Con questo atteggiamento si può anche sperimentare una fraternità che non è quella del sangue ma quello dell’aiuto reciproco.
Noi due insieme facciamo esperienza da molti anni con un gruppo di coppie che cerca di vivere la comunione d’animo mettendo in comune sforzi, fallimenti, gioie, vivendo come fratelli legati dalla “Parola di Vita” proclamata nel Vangelo e messa in pratica nella vita di tutti i giorni.
Una frase di Herman Hesse dice: “La legge dell’amore più che un comandamento è un invito alla felicità.
F.o
Allora possiamo riformulare la regola d’oro che leggiamo nel vangelo: “Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.”
Questa regola può diventare: “Ciò che gli uomini si aspettano, vorrebbero o avrebbero piacere di ricevere da voi, voi fatelo a loro.”
L.a
Vorrei vedere Gesù nell’altro ma non ci riesco. Frequento la chiesa, ascolto l’omelia e vorrei fare tante cose per mettere in pratica quello che ascolto, ma non ci riesco. Soprattutto all’esterno del gruppo è difficile.
L.y
Siate perfetti! E’ questo il limite che ci viene proposto. Ed allora occorre accettare i fallimenti. Quando non riesco ad amare una persona la affido al Signore, perché amo il Signore e so che il Signore ama tutti noi.
R.a
Qui è facile. E’ difficile nel mondo esterno. E’ comune a tutti essere in difficoltà. Anche io riscontro la difficoltà di essere sempre in linea con una scelta di fraternità.
d.G.i
Non ci dobbiamo spaventare se quando ci viene proposto un ideale alto ci sentiamo sconfortati. Avvertiamo questa differenza e sproporzione che può portare ad una rassegnazione. C’è un passaggio obbligato nel cammino che ha un traguardo vertiginoso. E’ un cammino che chiede di non arrestarsi all’impossibile.
Lo spirito chiede alle persone gesti che appaiono folli ma che sono evocativi di quello che ci viene richiesto.
Gesù ha trasformato la regola d’oro dal negativo al positivo. Compito della famiglia è vivere una spiritualità incarnata. In famiglia: hai visto il fratello.. hai visto il Signore
M.a
A volte cerco di pensare a quante volte vedo il Signore nell’altro che mi è vicino: lo vedo in chi soffre, nell’anziano, nel figlio che ti fa soffrire, nel marito che hai amato ma che ti appare diverso. Da chi ti fa una cattiveria come faccio a vedere in lui il Signore? Eppure leggiamo: che merito hai ad amare qualcuno che ti ama?
G.o
Portato all’estrema conseguenza, nel concedere il perdono dovremmo essere portati ad amare anche chi ci fa un torto grande: pensiamo a chi ha avuto una persona cara uccisa. Ma io mi chiedo: anche se riuscissi a superare questo abisso e perdonare, posso addirittura arrivare a considerarlo fratello? Non può essere istintivo amare chi ci ha fatto del male! Devo piuttosto intraprendere un percorso che mi porterà a realizzare il perdono.
F.o
Stiamo attenti agli assolutismi: la cosa importante sono i piccoli passi; alleniamoci con i piccoli passi.
G.i
Il problema è difficile quando dura e perdura tutto il giorno. Quando la stessa persona ti fa del male e continua a farti del male, la presenza del Signore deve essere più “presente”. Forse è possibile perdonare anche torti grandi ma poi è difficile amare. Io ho un difficoltà con una persona da cui ho subito una grande torto. Ho difficoltà ad avere rapporti con lui anche se mi emoziono e gioisco dei suoi figli che mi sembra di non dover coinvolgere nelle difficoltà del nostro rapporto. Ma tutto sempre sollecita a rivedere le proprie posizioni.