I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2008-2009
Testimoniare il matrimonio
Dall’io dell’individuo al noi di coppia
Alla luce del vangelo reciprocità è innanzitutto della coppia, non nel senso di esclusione degli altri membri della famiglia, ma perché nella realtà familiare gli sposi soltanto vivono il patto sacramentale che fa di essi una realtà tipica. Perciò reciprocità, per i cristiani, è tensione verso l’unità, tensione sempre in atto perché unità mai pienamente raggiunta; per questo motivo la reciprocità è vigilanza, dinamismo verso il diventare sempre più “due in un solo essere” (Gen. 2,24). Ed è, ancora, impegno a testimoniarsi a vicenda e all’umanità, il legame non altrimenti decifrabile per cui Cristo e Chiesa sono anch’essa “due in uno” (Ef. 5,32).
Alcuni valori:
- La fedeltà, attenta al progetto di Dio sull’altro;
- La solidarietà, “portare ciascuno il peso dell’altro” (Gal. 6,2), anche sul piano spirituale, quando il coniuge innocente “si fa” peccatore con il coniuge peccatore, e il pentimento dell’uno diventa gioia condivisa dei due;
- L’originalità, nel senso che, nella vocazione comune di tutti i battezzati sposati all’unità ed a significare Cristo, ogni coppia ha un proprio itinerario di crescita, da individuare negli avvenimenti e nelle scelte della vita; attraverso essi lo spirito indica la strada
Un dono da ravvivare.
Paolo a Timoteo scrive: “Mi ricordo della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Loide, poi in tua madre Eunice e ora, ne sono certo, anche in te. Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te” (2 Tm. 1,5-6).
Le parole valgono non solo per l’ordinazione sacerdotale, ma per ogni dono di Dio: “ravvivare”, come il fuoco che è sotto la cenere. Occorre pensare alla responsabilità umana, alla forza creatrice dell’amore, alla capacità inventiva; ma anche e, prima di tutto, alla grazia del sacramento e alla preghiera.
Da qui la fecondità degli atteggiamenti e dei comportamenti che, per un cammino cristiano, prima di essere psicologici e in ricerca di soluzioni che portino fuori del disagio, sono interiori e cristiani:
- perciò lo spazio, individuale e di coppia, per la parola di Dio da ricordare per viverla;
- la preghiera, che aiuti a non enfatizzare le difficoltà dimenticando quanto il Signore ha operato nella grazia del sacramento e può ancora operare;
- i piccoli passi che traducono quello che si crede possibile in possibilità reale
La coscienza della propria esistenza personale e della propria storia, anche in senso sociale, porta alla consapevolezza che la vita è un dono, di Dio innanzitutto.
In lui si scopre la libertà di prevenire, di avere premura, di accantonare gli errori di rinnovare la fiducia. Domani nella liturgia del battesimo di Gesù, ascolteremo quel: “Tu sei il mio figlio” detto a Lui e, in Lui, ad ogni uomo, “Io ho gioia di te, che tu esista”, prima di ogni capacità di risposta adeguata. Questo è il dono.
In questo essere “dono” c’è il rischio della libertà. L’esperienza intima dice che, quando al dono non c’è corrispondenza, la libera disposizione di Dio è di essere più ancora benevolmente vicino all’uomo perché continui a vivere. Questa sua decisione di essere comunque dono autorizza la fiducia che Gesù insegna nel vangelo e la comprensione del perdono come amore che non è legato al negativo da superare ma all’amore che decide di amare “per primo”. Questa visione appartiene alla relazione umana fondata nel vangelo, particolarmente alla sacramentalità del matrimonio, e va imparata quotidianamente e domandata nella preghiera personale e di coppia, sapendo che il traguardo alto è il “perdonare settanta volte sette” (Mt. 18,22), e il “dare la vita per i propri amici” (Gv. 15,13).
La delicata espressione, del Piccolo Principe, della volpe che domandava il dono dell’amore “ se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata”. L’amore non appartiene alla categoria dell’avere ma, dell’essere. Non si può dire in termini veri “io ho l’amore” e perciò “io ho una moglie” “io ho dei figli” ma, “sono sposato”, “sono padre”. Molte lingue, compreso l’ebraico, non hanno un termine equivalente ad avere. In ebraico “io ho” deve essere detto con una forma indiretta “è a me”. (rif. La preghiera del mattino di Bonheffer)
Innamoramento o Innamoramenti ?
Quando ci chiediamo “cos’è l’innamoramento” quali sono le prime cose a cui pensiamo? Ma siamo proprio sicuri che il significato sia uno solo?
Il “primo” innamoramento”
- facciamo di tutto per conquistarlo e mostriamo il meglio di noi stando attenti ad ogni particolare.
- Le rinunce non ci pesano
- È tutto “rosa” se stiamo insieme, i problemi non ci riguardano, tutto il resto non conta.
- I difetti dell’altro/a non esistono o forse non li vediamo o semplicemente li perdoniamo.
- La vita insieme, tante gioie ma anche i primi problemi: conciliare lavoro e famiglia, far quadrare i conti, mare o montagna, gli amici di lui o gli amici di lei, film o partita, stadio o gita, Natale con i miei o con i tuoi, frittata anche stasera, basta con la cioccolata lo vedi che stai ingrassando.
- Ed allora: non mi capisce abbastanza; forse lui/lei non è quello che pensavo; non sono più sicuro/a che sia l’uomo/la donna dei miei sogni.
- Mi sembra di non provare più niente
- È tutto solo un dovere
- Come potrò mai sopportare tutta la vita con lui/lei?
- Avrei bisogno di innamorami ancora, avrei bisogno di una nuova storia che mi stordisca e che mi faccia evadere, per non pensare più a niente, per non pensare a tutti i nostri problemi….
- Sarebbe bello tornare ai vecchi tempi, ma lui/lei non è più quello di una volta.
- Forse con un’altra persona… forse con quella persona.
- La piantina dell’amore va innaffiata tutti i giorni.
- Troppa polvere (problemi, malumori, litigi, incomprensioni) sul cuore soffoca l’amore; rischiamo di pensare che non ci sia più quando invece è solo sommerso.
- Estirpiamo la giungla delle preoccupazioni quotidiane che opprimono il nostro amore: qualche attimo per noi, un po’ di complicità, proviamo ancora a sorprenderci.
- Meglio un po’ meno perfetti in due che più perfetti da soli
- Non vergogniamoci di dirle/dirgli: “Se ti conoscessi oggi per la prima volta, mi innamorerei di te, ma proprio così come sei oggi e farei di tutto per conquistarti”.
La gratitudine è l’atteggiamento che si impara nel silenzio, nella coscienza non oppressa dalle preoccupazioni ma nella gioia del dono ricevuto e custodito nella realtà nuziale.
“Attendo che lei dorma per ringraziare ogni sera il Signore della sua presenza ed abbracciarla nella tenerezza.”
Alcuni riferimenti:
- “Guardati bene dal dimenticare” (Dt. 4,9)
- “Mia forza e mio canto è il Signore egli mi ha salvato” (Es. 15,2)
- “Trova gioia nella donna della tua giovinezza” (Pr. 5,18)
- “Questa volta è osso delle mie ossa carne della mia carne” (Gen. 2,22)
- come ci si educa all’amore?
- educare, da “e-ducere”, “trarre fuori” nei figli quello che hanno dentro come natura umana, come figli di Dio nella grazia del battesimo.
- ogni azione educativa ha il versante negativo (doloroso) di far tacere in sé quello che si vorrebbe proporre per avere sicurezza, dice san Paolo “no esasperate i vostri figli”: perciò tacere, attendere, rispettare…
- il versante positivo di una vita di premura e attenzione vissuta nell’ordinarietà della famiglia (Col. 3,23)
- l’opera dello spirito nella crescita della disponibilità fino alla scoperta della possibilità dell’impossibile, e all’esperienza della casa aperta ad ogni necessità di persone che domandano ascolto.
- serve una scintilla per allargare gli orizzonti. Questa scintilla non si genera solo dalla riflessione personale ma scaturisce come atteggiamento per esempi nei campi di lavoro come occasione di generosità. E allora che si scopre la bellezza dell’individuare la scintilla anche se piccola e farla scattare nel cuore di chi si incontra.
- la scelta di nascere e crescere in una famiglia condividendone le caratteristiche comuni a tutte, dice di un disegno originario di Dio che Cristo intende riportare alla sua purezza, con il primato assoluto della parola di Dio.
- questo primato alla famiglia è donata la possibilità di trascendersi, subordinandosi sempre ai progetti di Dio (Mc 10,13-16)
- invitare Gesù alle nozze. Preghiera individuale di coppia, di famiglia unita per dare uno spazio concreto a questo invito. Esso non è un fatto devozionale e neppure una “uscita di sicurezza” dalla tribolazione.
- la presenza continua di Gesù riconduce al disegno primordiale di Dio che rende possibile la sua attuazione (Mt. 19,4-9). Ed è quello che san Paolo insegna fino allo splendore del matrimonio sacramento di Cristo e della chiesa. (Ef. 5)