I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2007-2008
“Dall’Io al Noi”
Dalla persona alla coppia; dalla coppia alla famiglia;
dalla famiglia alla società.
(n.d.r.) Come al solito, invece di una sintesi precisa di quanto scaturito dal confronto durante i nostri incontri, si offrono degli spunti di riflessione, proposti da don Giovanni Sansone. Questi spunti ci hanno guidati e aiutati, e ci auguriamo possano essere utili a tutti quelli che vorranno approfondirli e farli propri, superando anche le difficoltà di una forma tipografica non perfetta; inoltre, speriamo che tutti possano provare il piacere di insistere nella lettura e considerazione (“Leggere, rileggere, penetrare…” dice don Giovanni). Anche così, come in tutte le cose della vita, e soprattutto per quanto riguarda la vita di coppia e la realtà familiare, si dimostrerà che la volontà di superare le difficoltà e la perseveranza sono le basi su cui si può costruire saldamente…
Ma lasciate che vi sia spazio nel vostro essere insieme, lasciate che i venti del paradiso danzino tra voi. Amatevi l’un l’altro ma non fate dell’amore una catena: lasciate invece che vi sia un mare in movimento tra i lidi delle vostre anime.
Cantate, ballate insieme e siate gioiosi, ma lasciate che ognuno sia solo. Anche le corde di un liuto sono sole, eppure fremono alla stessa musica.
Datevi i vostri cuori ma non per possederli, perché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.
State in piedi insieme, ma non troppo vicini, perché le colonne del tempio stanno separate e la quercia e il cipresso non crescono l’una nell’ombra dell’altro”. (Kahlil Gibran)
All’inizio dell’anno ci siamo domandati che cosa significhi per noi il passare del tempo che a volte avvertiamo talmente rapido da defraudarci della capacità di possederlo, e allo stesso momento esigente con le domande che salgono dai nostri cambiamenti personali, dagli equilibri sempre nuovi del nostro essere di coppia, di genitori, di partecipi a rapporti che si allargano con la gratificante complicità della comunicazione che affascina. Siamo “soggetti” al tempo, come sudditi di fatalità ineluttabile cui arrendersi passivamente, o siamo “soggetti” del tempo come protagonisti di ogni stagione per la freschezza che deriva dal vivere il presente che il Signore ci propone? Ci pare che l’essere “soggetti” in senso attivo comporti una forte e serena coscienza di cammino da compiere, un guardare a persone e situazioni come strumenti preziosi di un amore che conduce l’esperienza umana di coppia, pur bella e ricca e feconda nel suo essere relazione senza riserve, a dimensioni sempre più profonde con il conseguente espandersi sempre più ampio, fino all’esperienza sempre più intima della vita della Trinità con il frutto di sentirsi sempre più chiamati ad essere solo amore, senza aggettivi. Tempo che scorre, perciò, inteso come cammino che prosegue, come “esodo” che è la parola biblica che sta ad indicare il cammino verso la “patria grande” della terra di Dio. Esodo, letteralmente, si dovrebbe leggere “uscita”. Uscita da che cosa? Certamente da quello che ritarda o che ancora non è l’approdo nel “noi” senza limiti di cui si diceva poco sopra. Perciò ogni stagione non è tanto traguardo quanto tappa e punto di partenza, non luogo di riposo ma trampolino di lancio. Non finisce la fatica del cammino. E si rinnova il fascino delle vette, quel “che siano perfetti nell’unità” che il Signore ha lasciato nel suo testamento come ambizione e traguardo del vivere cristiano. È questo il mistero pasquale della famiglia, il suo uscire e il suo entrare.
I salmi delle ascensioni, della salita alla “casa del Signore” ci hanno illuminato, accompagnato e confortato, proponendosi dolcemente come compagni e battistrada del nostro cammino che procede.
Per pregare. Nel salmo 128, pieno di pace, gioia e luce, si può immaginare “la sconfinata letizia di quel primo paradiso, quando l’uomo aveva visto sorgere la donna dal suo stesso costato e aveva creduto che fosse soltanto un sogno dolce e senza mistero” (Parazzoli, Uccelli del Paradiso, Milano, 1982).
Per riflettere. A volte, dopo anni di condivisione intensa e gratificante, si sperimentano spazi di solitudine nel pensare, nel decidere, nell’attesa inutile dell’affetto. A volte fa capolino l’interrogativo sottile e angoscioso sull’avere sbagliato, come se la propria scelta di sposarsi non avesse corrisposto ad una vera vocazione al matrimonio e alla famiglia che abbia a vedere con Dio.
“Il punto che dobbiamo rendere credibile anche per la nostra stessa vita è che la sofferenza in diverse forme, fa necessariamente parte della nostra vita. È questa (della vita di coppia) una sofferenza nobile, direi. Occorre capire che il piacere non è tutto. Che il cristianesimo ci da gioia. Ma l’amore è anche sempre rinuncia a se stesso. Il Signore stesso ci ha dato la formula su che cosa sia amare; chi perde se stesso si trova; chi guadagna se stesso si perde. Esodo è quindi anche una sofferenza. La vera gioia è una cosa distinta dal piacere: la gioia cresce, matura sempre nella sofferenza in comunione con la croce di Cristo” (Benedetto XVI, al clero di Aosta, 25/7/05).
Per pregare. Il salmo 131 propone un’unità non deprimente, come quella di un bambino che si lascia allattare e svezzare. La gioia matura dell’ “anima svezzata” deriva dall’esperienza dell’aver ricevuto dalla gratuità del seno materno, che genera la fiducia piena fino all’abbandono della distinzione.
Per riflettere. Scrive E. Mounier: “Sai tu cos’è l’infanzia spirituale? È, molto semplicemente l’avere un’anima toccata dalla grazia che può non aver fatto nulla nella vita ma che ha ricevuto da Dio il dono di uno sguardo semplice rivolto a lui e quella freschezza dove a Dio deve essere tanto caro riposarsi, visto che non vi sono più se non uomini preoccupati, tesi, inaspriti dal lavoro e dalla serietà. Dio non vuole gente che abbia della virtù ma fanciulli che egli possa prendere come si solleva un bambino, in un momento, perché è leggero ed ha dei grandi occhi” (Luglio 1957).
Tra la coppia e la famiglia, in senso più largo, c’è uno spazio che necessariamente domanda umiltà e fiducia. L’unità non è mai frutto di “occhi altezzosi” o di “cercare cose grandi”. È un apprendimento paziente che deve domandarsi di non pretendere, ma di far nascere la verità dall’amore.
Per pregare: Salmo 127: Come la terra è il segno dell’amore e della benedizione di Dio nello spazio, i figli sono il segno della benedizione divina e della sua presenza creatrice nel tempo. Sono un dono “teologico” dell’amore di Dio.
Per riflettere.
La certezza della grazia del sacramento del matrimonio. Nazareth sta davanti a noi come modello e possibilità di “portare a compimento” quanto Dio ci domanda. All’interno del modello sociale in cui viviamo, ma senza essere schiavi di quello che ci è stato trasmesso in senso di tradizioni e di regole sociali, la tensione va verso il vivere nella guida di Dio la responsabilità familiare. Occorre il lavoro di discernimento per capire che cosa sono “le norme” e che cosa “le metanorme”, quelle che la Bibbia fa risalire al “principio” (Mt 19,8) e quelle che sono derivate dalla sola tradizione anche religiosa. Vi si può scoprire una famiglia meno stretta, chiusa in sé, ma come nucleo dove si imparano rapporti più ampi.
La certezza del compito di genitori. La sensibilità attuale mette in crisi tutti i rapporti verticali, non solo quelli genitori-figli. A Nazareth c’è una paternità che passa attraverso l’esercizio dell’autorità, che non evita prove ed ostacoli ma li sa gestire perché non schiaccino, ma facciano crescere, come tappe di un cammino. Un’autorità che accetta di diventare silenzio man mano che l’altro assume la propria responsabilità, che diventa autorevolezza, e paziente azione di convincimento, passando dal muro del “devi fare” allo spazio del “puoi fare”. Fino al punto di essere liberi di dire al proprio figlio: “tocca a te ora dire che cosa devo fare io”, come per dire: “sei così cresciuto che devo essere io a interrogarti”.
Scrive Elia Canetti: “Compito supremo nel mondo è custodire delle vite con la propria vita”.
Come ogni anno, in occasione della giornata della Vita, si è riproposta la considerazione della scelta matrimoniale come fondamento della famiglia. Il rinnovo delle promesse coniugali ed il momento conviviale (l’insieme) indicano l’importanza di fondarsi sulla roccia di Dio, e sulla comunione coi fratelli.
Nell’intenzione di coinvolgere maggiormente e di proclamare la grazia sacramentale derivante dal Matrimonio, si è tentato di assicurare in tutte le celebrazioni la presenza di una coppia di Famiglie Insieme e l’animazione della liturgia, ma si è dovuto riconoscere che la disponibilità non è stata sufficiente, per cui si è deciso per le prossime volte di limitarsi ad alcune celebrazioni, coinvolgendo nell’animazione i frequentatori abituali di quelle liturgie.
Per pregare. Salmo 124: Jahweh è il vero protagonista del salmo. Come i monti circostanti abbracciano Gerusalemme come una chioccia i suoi pulcini, così Jahweh con il suo popolo: “lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio, come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati” (Dt 32,10-11).
Per riflettere. Abbiamo dedicato questo incontro, a cui seguirà un altro sull’educazione alla sobrietà, alla problematica degli adolescenti. Una ricchezza di interrogativi esistenziali, l’abbondanza di esperienze, l’impegno, i tentativi, le ansietà. Ci sono state di guida le parole dell’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, nella lettera di quest’anno alla diocesi sulla missione della famiglia: “A volte genitori e figli non riescono a comunicare tra loro, a comprendersi. Ci si interroga sui desideri, sulle fatiche, sui condizionamenti culturali, sulla credibilità della fede, sulla coerenza dei cristiani, sul vero volto della Chiesa. Ogni coppia di sposi, ogni genitore vive stagioni diverse: non sono solo i figli a crescere e trasformarsi… Qualche volta le semplici e disarmanti domande dei figli (i classici “perché?”) possono diventare occasioni per riprendere alcuni interrogativi decisivi per la vita spesso lasciati in fondo al cuore… Non possiamo disattendere il bisogno diffuso di accoglienza e di legami profondi” (N° 20).
Raimondo Scotto: “Orizzonti di libertà”. Si è sviluppato un proficuo dialogo tra l’autore e gli intervenuti (circa 250 persone, nell’auditorium S. Luisa all’Arco Mirelli), aiutato anche da alcuni “espedienti” comunicativi (i power point di canzoni attinenti, la possibilità di poter formulare le domande in modo anonimo, la conduzione della serata da parte di giovani…)
Per pregare. Salmo 121: “Colui che segna la loro via alle nuvole, all’aria, al vento, tesserà anche la via per la quale il tuo piede può camminare” (Paul Gerhardt, ? 1676).
Per riflettere. presentando la famiglia come scuola di amore, nella sua lettera pastorale l’arcivescovo di Milano dice: “Questa scuola di carità, che trova la sua radice nel dono di grazia dei sacramenti, inizia molto presto con la reciproca attenzione tra i coniugi e si sviluppa in continuità trovando la sua più autentica attuazione nell’educazione dei figli. Tra gli sposi ogni giorno si vive e si rafforza l’amore attraverso il desiderio e lo scambio del bene reciproco, la stima e l’aiuto vicendevole, la confidenza delle parole e dei sentimenti, la vigilanza nella gestione delle cose e dell’uso del tempo, la prontezza al dono di sé… È nel contesto di questo amore quotidiano che anche i figli vengono introdotti a pensieri e a comportamenti di amore, ossia di condivisione e di servizio reciproco, e imparano a superare con il dono di sé forme di egoismo, di ripiegamento o di strumentalizzazione dell’altro. Il buon esempio dei genitori, prima e più della loro parola, costruisce la famiglia come “scuola dell’amore e del dono di sé”. La famiglia che quotidianamente sa aprire le aule di questa “scuola” leva la sua voce in una società povera di amore, scossa e disgregata da tensioni e conflitti, appesantita da troppe forme di egoismo.
Per pregare. Salmo 126: L’itinerario pedagogico e salvante di Dio ha la sua attuazione nella vicenda di Israele: all’educazione paterna delle lacrime corrisponde la gioia della purificazione, del perdono, della salvezza. Scrive Agostino: “la vostra terra è la Chiesa: seminate quanto potete… Che cosa devi seminare? La misericordia. E che cosa mieterai? La pace… Così dovete amare e dato che in questa vita le cose buone si compiono attraverso dolori e pene, non venite meno! Seminate tra le lacrime, mieterete con gioia!”
Per riflettere. Ruth appare come icona attualissima dell’apertura senza riserve. Tenacemente fedele alla suocera restata vedova e senza figli, decisa a tornare nella sua patria di origine, triste nella rassegnazione alla condizione di sconfitta dalla vita. Pur resa libera da ogni dovere di ulteriore appartenenza, Ruth le dice: “dove andrai tu, andrò anch’io; dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta” (Ruth 1,16-17). Donna forte nel bene, nella mansuetudine, nel servizio, entra nel solco delle generazioni di Israele che conducono a Gesù, introduce al Nuovo Testamento perché il suo nome è nella genealogia di Gesù (Mt 1,1-17).
Per pregare. Salmo 134: “Colmaci, o Signore Dio nostro, delle benedizioni connesse alle tue feste; accordaci vita e pace, gioia e soddisfazione secondo le tue promesse. Saziaci della tua bontà, rallegraci con il tuo aiuto. Purifica il nostro cuore perché possiamo servirti sinceramente…
Sii benedetto tu che santifichi Israele e le sue feste.” (Preghiera ebraica)
Per riflettere. La festa entra nelle nostre case e conduce dall’incontro casuale alla parola più intima, dal colloquio a due alla commensalità della famiglia unita, dal cercare appoggio alla condivisione.
Il salmo 134 conclude i canti della fatica, della salita, perché si arriva dove Dio abita, la comunità di quanti sono uniti nel suo nome.
Vi sono momenti di autentica esperienza che lo testimoniano, e ne abbiamo ringraziato insieme il Signore che ce li concede.