I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2006-2007
Custodire la vita
Quest’anno il tema scelto è stato: “FAMIGLIA: CUSTODE DELLA VITA”, in sintonia e in continuazione col messaggio di S.S. Benedetto XVI a Valencia, in occasione dell’incontro mondiale delle famiglie. E’ stata quindi proposta la riscoperta di uno dei pilastri del Matrimonio: la trasmissione e la valorizzazione della vita, in tutte le sue sfaccettature: amore di sé, rispetto, perdono, comunicazione, educazione, convivenza, condivisione.
La famiglia: custode della vita
“Sua madre custodiva nel cuore tutte queste cose.
E Gesù cresceva in età sapienza e grazia davanti agli uomini e davanti a Dio” (Lc. 2:31,32 )
Nella cultura profana e in quella biblica il verbo “custodire” significa “conservare, serbare con cura, difendere, proteggere, avere in custodia, sorvegliare, vigilare”.
Tutti questi significati possono essere intesi anche in senso figurato come custodire un impegno, una fiducia, un segreto…
Testo biblico per la riflessione, Gv 17,11-12:
“Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi. Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi”.
La parola “Padre” è titolo e motivo di fiducia. È la parola con cui inizia la preghiera che Gesù dona ai suoi. Quasi per dire che alla base di ogni fiducia che permette di accogliere una missione che coinvolga altri e di viverla con pienezza, c’è la certezza di essere amati nel cuore di Qualcuno in cui è la fonte e la possibilità di relazioni vere. Il primo atteggiamento che ci dobbiamo domandare è perciò quello di ascoltare, riflettere insieme e fare eventuali passi nell’atmosfera tersa di questa verità: Dio c’è ed è Padre.
In questa atmosfera Gesù domanda la vigilanza del Padre sui discepoli, la conservazione nel bene in cui si trovano per averlo accolto e seguito, la preservazione dai mali che li minacciano.
L’annuncio della Scrittura è che la più grande e totale manifestazione dell’amore sta in Dio stesso, nel suo farsi vicino alla persona e di persona, nel suo raggiungerla preventivamente (cfr. Ger 1; Lc 1,15; Gal 1,15).
L’uomo rischia molto quando – anche senza accorgersene – si domanda un processo inverso, quando cerca in se stesso la fonte dell’amore. A livello individuale esiti di questo rischio sono la solitudine, il pessimismo, la frustrazione… A livello interpersonale l’incapacità di relazionarsi, il senso di inadeguatezza che induce alle chiusure. Nel tempo nostro il rischio è accentuato dalla richiesta sociale e mediatica del riuscire ad ogni costo.
L’invito della fede è ad aprirsi alla forza dello Spirito di Dio che ha la capacità di vitalizzare la nostra affettività. Il “filo d’oro” si svela in quel “non temere, io sono con te” che percorre tutta la Scrittura da Abramo a S. Paolo a Corinto in Atti 18. In questa apertura allo Spirito matura la disponibilità al dolore che irrompe nella vita. La persona matura nell’amore di sé è quella che ha creduto nell’amore che gli si va svelando nelle vicende della vita personale: per cui non ha più paura del proprio volto e della propria storia (cfr. Sal 73).
È proprio questa libertà da sé che non lascia più che il proprio io si metta in mezzo tra sé e Dio, ed anche tra sé e l’altro che ci è vicino, che permette di essere soggetti dell’amore, liberi di amare l’altro, anche nel dolore, fino al dono radicale di sé.
Testo di riferimento Col 3,12-15.
Il cuore del cristianesimo, la rivelazione di Dio in Gesù crocifisso, è letto da Paolo come l’evento dell’amore verso chi ha peccato (Rm,5). Un amore perciò gratuito, oltre ogni rivendicazione di risarcimento. Questo significa che l’amore di Dio all’umanità è perdono (Ef 2,13-18). È incondizionato, non è preceduto – come se si trattasse di una premessa – dal pentimento ma lo fonda e lo rende possibile. Così nella parabola del figlio prodigo (Lc 15) il pentimento del figlio inizia quando si rende conto dell’amore fedele del padre, che non ha smesso di amarlo mai. Il figlio legge come perdono l’amore del padre fedele a se stesso. Comprendiamo che il superamento dell’aspetto solo giuridico o rivendicativo è un più di amore. Questo nocciolo della fede cristiana diventa l’identità dei discepoli di Gesù. L’indicativo di Dio è imperativo dell’uomo. Dice Ratzinger (Benedetto XVI): “La Chiesa è una comunità di peccatori convertiti che vivono nella grazia del perdono trasmettendola a loro volta ad altri”.
La possibilità del perdono, in definitiva dipende dall’amore al Signore in croce.
C’è un’onnipotenza nel perdono, perché tutto può essere perdonato.
C’è una debolezza, perché non è garantito dal pentimento. Perciò il perdono non è una legge, ma una possibilità. È la testimonianza che la persona vale più dei suoi errori, e la relazione più dell’offesa che l’ha ferita. Questo permette di vivere la difficoltà dell’asimmetria: chi perdona lascia all’offensore la possibilità di riprendere la relazione. In famiglia il perdono non è solo motivo di vivere in pace ma profezia di quell’umanità che Dio vuole.
Viene riportato il bel contributo che Fulvia Stellato, catechista di Piedigrotta, ha voluto farci giungere, dopo aver ascoltato l’annuncio dell’incontro del 16 dicembre , il cui tema è stato: “custodire il coniuge: perdonarsi a vicenda e ricostruire” . È anche questo un modo per partecipare alle nostre iniziative, e, considerato quanto ne è scaturito, sarebbe anche auspicabile, anche se… insieme sarebbe meglio. Anche perché Fulvia è ricorsa a ciò (lasciandoci peraltro qualcosa di più duraturo) perché era impossibilitata a venire .
Testo di riferimento: Ef 5,25-27.
“Il punto che dobbiamo rendere credibile anche per la nostra stessa vita è che la sofferenza, in diverse forme, fa necessariamente parte di essa. È questa (nella vita di coppia) una sofferenza nobile, direi. Occorre capire che il piacere non è tutto. Che il cristianesimo ci da gioia. Ma l’amore è anche sempre rinuncia a se steso. Il Signore spesso ci ha dato la formula di che cosa è amore: chi perde se stesso si trova; chi guadagna se stesso, si perde. È sempre un Esodo e quindi anche una sofferenza. La vera gioia è un cosa distinta dal piacere: la gioia cresce, matura sempre nella sofferenza in comunione con la croce di Cristo” (Benedetto XVI al clero di Aosta -25/7/05).
A volte, dopo anni di condivisione intensa e gratificante, si sperimentano spazi di solitudine nel pensare, nel decidere, nell’attesa vana dell’affetto. A volte fa capolino l’interrogativo sottile e angoscioso sull’avere sbagliato, come se la propria scelta di sposarsi non avesse corrisposto ad una vera vocazione al matrimonio e alla famiglia che abbia a vedere con Dio.
La comunione con il “modo” di Cristo, con la sua croce, non come devozione-rifugio ma come realtà viva da riconoscere come propria, per farla propria, porta all’identificazione di lui che, mentre si propone viene lasciato solo, mentre si spende pienamente per chi ama viene schiacciato dal senso di fallimento, mentre vive l’obbedienza fino alla morte si smarrisce come se il Padre l’avesse abbandonato. È il mistero di Gesù abbandonato che si prolunga, si espande nei discepoli perché siano veramente suoi: “voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove, e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me” (Lc 22,28-29).
Questi passaggi dolorosi possono essere richiesti nel cammino di fede delle unioni anche più consolidate. Possono essere rivelatori di una proposta di Dio a chi vive la vocazione a quell’amore di “agape”, di gratuità di cui ha parlato il Papa (Deus charitas est).
Testi i riferimento:
Preghiera “custodisci nel tuo nome quelli che mi hai dato” (Gv 17,11).
Presenza “tua madre era come un vita piantata vicino alle acque” (Ez 19,10)
Parola “Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino” (Col 3,21).
Fiducia “Chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 19,37).
“L’esperienza quotidiana ci dice che educare alla fede non è un’impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande «emergenza educativa», della crescente difficoltà che si incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori – base dell’esistenza e di un retto comportamento … In una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo, viene a mancare la luce della verità e si finisce per dubitare della bontà della vita e della validità dei rapporti e degli impegni che la costituiscono… In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano «odio di sé» che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà… In un mondo in cui l’isolamento e la solitudine sono condizione sempre più diffusa, diventa decisivo l’accompagnamento personale che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso e accolto. Il giovane di oggi conserva dentro di sé un grande bisogno di verità: è aperto quindi a Gesù Cristo che, come ci ricorda Tertulliano «ha affermato di essere la verità, non la consuetudine»” (Benedetto XVI al Convegno Diocesano di Roma – 11/6/07).
Testi di riferimento:
Qo 12, 1-7: anzianità, debolezza e prossimità alla morte.
Sir 25,2-6: l’anziano e la sapienza.
Dt 6,20-21: l’anziano e la trasmissione della fede.
Lc 2,25-38: l’anziano testimone (Simeone e Anna)
Lettere Pastorali del N.T.: l’anziano destinatario di amore
2 Cor 4,16: l’anzianità come occasione di progresso interiore
Gv 12,24: l’anzianità come contributo alla nuova creazione nella legge del seme.
“L’esperienza quotidiana ci dice che educare alla fede non è un’impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande «emergenza educativa», della crescente difficoltà che si incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori – base dell’esistenza e di un retto comportamento … In una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo, viene a mancare la luce della verità e si finisce per dubitare della bontà della vita e della validità dei rapporti e degli impegni che la costituiscono… In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano «odio di sé» che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà… In un mondo in cui l’isolamento e la solitudine sono condizione sempre più diffusa, diventa decisivo l’accompagnamento personale che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso e accolto. Il giovane di oggi conserva dentro di sé un grande bisogno di verità: è aperto quindi a Gesù Cristo che, come ci ricorda Tertulliano «ha affermato di essere la verità, non la consuetudine»” (Benedetto XVI al Convegno Diocesano di Roma – 11/6/07).
“Una cosa è certa: insieme alla gratitudine di quella prima Chiesa di cui parla S. Paolo, ci deve essere anche la nostra, poiché grazie alla fede e all’impegno apostolico di fedeli laici di famiglie, di sposi come Priscilla e Aquila il cristianesimo è giunto alla nostra generazione. Poteva crescere non solo grazie agli apostoli che lo annunciavano. Per radicarsi nella terra del popolo, per svilupparsi vivamente, era necessario l’impegno di queste famiglie, di questi sposi, di queste comunità cristiane, di fedeli laici che hanno offerto l’«humus» alla crescita della fede. E sempre, solo così cresce la Chiesa. In particolare, questa coppia dimostra quanto sia importante l’azione degli sposi cristiani. Quando essi sono sorretti dalla fede e da una forte spiritualità, diventa naturale un loro impegno coraggioso per la Chiesa e nella Chiesa” (Benedetto XVI, udienza 7/2/07).