“Famiglie Insieme”
Incontro del 3 giugno 2012
ai Dehoniani di Marechiaro
a chiusura dell’anno pastorale
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Riflessione di don Giovanni
Corro verso la meta (Fil. 3,7-16)
In un clima di comunione fraterna e confidenziale, Paolo scrive della prigionia molto probabilmente ad Efeso dove restò per circa tre anni e visse tra gravi difficoltà, come appare dalle parole “ho combattuto e difeso contro le belve” (1 Cor. 15,32), e “abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte” (2 Cor. 1,8). Donando alla comunità, che aveva fondato non molti anni prima, la propria esperienza intima, rivela i passi del suo itinerario verso Dio, e afferma che le tribolazioni sono le circostanze di un disegno di Dio su di lui che si va proponendo e realizzando.
Questo disegno è l’unione con Dio, la santità. Un cammino di perdita e di guadagno, di ostacoli e violenze subite, ma di graduale avvicinamento alla meta gli si manifesta, gli appare nelle circostanze apparentemente soltanto negative.
Così comprende che i titoli della sua storia personale si svuotano di contenuto “a motivo di Cristo” e specifica “ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore”.
Ne viene una chiarificazione interiore che si esprime come una sintesi: “dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta”.
E ne viene una nuova sensibilità per quanto riguarda la formazione spirituale dei cristiani: “tutti noi dobbiamo avere questi sentimenti… Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo. Fatevi miei imitatori”.
Come? Uno scritto di Chiara Lubich del 1978, lo dice: “Osservare i comandamenti, adempiere i doveri del proprio stato, ascoltare la voce della coscienza dove è Dio che parla. E far ciò con sempre maggiore perfezione. Allora anche una mamma che deve svolgere i lavori di casa, anche l’operaio all’officina, anche le lavoratrice alla catena di montaggio, anche l’ammalato nel suo letto, anche il bambino, anche il vecchietto, anche il padre carico di affari, anche il poliziotto, anche l’artista, anche lo stradino, anche il missionario, anche lo scrittore, anche la domestica, anche il barista, anche lo sportivo, tutti, tutti possono farsi santi, perché tutti possono fare la volontà di Dio. Questa strada di santità è via per la messa” (la dottrina spirituale p.114).
L’ascolto della coscienza – ce lo ricordiamo con semplicità fraterna ma con la chiarezza che si deve al servizio della verità – in cui è Dio che parla, costituisce nel suo disegno su ciascuno, e perciò nella realtà della vita di coppia e di famiglia che in coscienza si è scelto come propria verità di vita. Questa verità è perciò la via di realizzazione del Regno di Dio nel particolare che la famiglia di ciascuno è, nella sua irripetibilità, ed è il cammino di santità di ciascuno. Una via da percorrere con fedeltà, non solo nel senso morale che siamo abituati a dare alla parola “fedeltà”, ma fedeltà al disegno di Dio nella memoria riconoscente del dono ricevuto e delle caratteristiche che l’hanno identificato all’origine e accompagnato nel corso del tempo e arricchito con la creatività.
L’invito di Paolo a seguirlo nel suo correre incontro al Signore, nel tempo nostro ha trovato attualizzazione in quanto Giovanni Paolo II augurava a tutta la Chiesa all’inizio del terzo millennio, quando proponeva ai credenti: “è ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura alta della vita cristiana ordinaria. Tutta la vita della comunità cristiana e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione (N.M.I, 31).
Mi sembra di poter proporre a voi, in questa sosta illuminata dalla luce della Trinità che celebreremo nell’Eucarestia, l’invito a riflettere un po’ sulla “misura alta della vita ordinaria” a livello della vita individuale, a quello della relazione familiare, alla disponibilità – anche questo è un livello che appartiene oggi alla famiglia fedele al vangelo del matrimonio – a farsi carico dell’amore fragile e ferito che incontriamo sempre più frequentemente.
Ha detto qualche giorno fa il card. Scola, arcivescovo di Milano, a proposito della conferenza mondiale delle famiglie: “Non basta dire che la voglia di famiglia resiste e che la paternità e la maternità mantengono tutta la loro insostituibile funzione. Si deve con onestà riconoscere alla famiglia il carattere di risorsa per la persona e per la società, anche solo per immaginare il futuro (Corriere della sera 30/5/2012).
Allora uno sguardo brevissimo a tre livelli:
1) Il livello individuale richiama l’insegnamento di J. Maritain. Diceva che una nuova fase della civiltà incomincia sempre dal porsi del soggetto. Bisogna vigilare sulla stanchezze che abbassano la misura del dono e rendono scontata e perciò mediocre la quotidianità. Bisogna vigilare sui mutismi, che sono causa e frutto del logoramento. Bisogna non arrendersi al psicologismo che conduce ad avvolgersi e rigirarsi senza fine in quelli che significatamente vengono chiamati i “labirinti”. L’eccesso della preoccupazione di sé, gradualmente rende la vita ripiegata, incapace di vedere l’altro e di uscire dal proprio spazio, occupato da sè, per andargli incontro.
Il labirinto non è nei dedali paurosi dei vicoli del centro storico, dell’anticaglia e del lavinaio. E’ nel proprio io, quando viene ingigantito al punto che si appanna fino a sparire la coscienza del dono; perché la preoccupazione di se diventa un assoluto, come appare nel tentativo del maligno con l’ultima tentazione al Signore sulla croce “salva te stesso.. pensa a te!” Solo l’adorazione di Dio, l’ascolto di Lui, la preghiera umile, il guardare in alto, fa uscire dal labirinto, permette a Lui di restituire il suo disegno per ricominciare ad amare. Questo è il discorso più urgente, a livello individuale, per non retrocedere.
Così si può guardare al livello familiare, al rapporto di coppia, con pace e fiducia, senza che la complessità intimorisca a scoraggi. E ancora, alla genitorialità su tutta la sua ricerca faticosa dell’identità dei figli, bambini, adolescenti, adulti quasi costretti ad essere in ritardo con la vita nella situazione sociale che viviamo. La famiglia può essere l’ambiente ordinario dove la vita cristiana può raggiungere la “misura alta”, nella decisione libera e condivisa di amare per primi, di amare sempre, di amare senza preferenze ognuno di quanto le appartengono, liberi da schematismi e progetti. Vieni da pensare alla pianta tutta verde da cui nasce un fiore rosso, dai rami duri e spinosi su cui fiorisce una rosa dai petali carnosi e vellutati!
Ma occorre la decisione libera di amare nella libertà da se stessi, e questo è possibile soltanto se si è decisi di andare contro se stessi nei momenti di ritorno dell’individualismo, e oltre se stessi anteponendosi l’altro nella sua diversità.
Quando la libertà che diventa amore è condivisa, almeno in senso morale e con il desiderio sincero, allora la famiglia può essere “giardino”, l’ambiente che Dio Creatore ha preferito e donato ai primi uomini: lì la diversità dei colori è fonte di armonia e pace.
2) Il livello del farsi carico. Se si è attenti a considerare la vocazione personale e quella della coppia e della famiglia come un dono che il Signore fa all’umanità. allora il nostro essere “famiglie insieme” assume uno spessore di significato e di comunione che, anch’esso, deve essere abitato dalla “misura alta” e dalla decisione di amare l’altra famiglia nella diversità del suo fiorire che arricchisce la bellezza dell’insieme. E’ il nostro piccolo contributo alla fraternità, alla presenza della Chiesa nel mondo come famiglia di Dio, alla preghiera di Gesù per l’unità. Dobbiamo crescere in quest’unità che si manifesta nella comunione della Parola di Dio, spezzata e condivisa fraternamente.
Dobbiamo crescere nella semplicità di rapporti umani che l’appartenenza al Signore rende diretti, senza invadenza ma anche senza essere paralizzato dalla timidezza. Crescere nella corresponsabilità che avvertire da tutti la sofferenza di ciascuno, ricordando la prima comunità dove l’amore era così forte che “non c’era nessun indigente”.
Bisogna crescere fino ad essere liberi responsabilmente di utilizzare per l’insieme il piccolo fondo che siamo abituati e pensare per l’adozione.
3) Infine, l’oltre dell’amore ferito appartiene all’amore che si fa carico. La proposta di incontro con persone che vivono situazioni matrimoniali difficili, di separazione e divorzio, stenta molto a decollare. Certamente, si può comprendere la difficoltà a ritenere utile incontrarsi con il rischio di piangersi addosso, ma i segni di buoni rapporti e di condivisione ci sono e sono segni positivi che danno sostegno nel peso della solitudine, e assicurano la fiducia.
Forse “famiglie insieme” potrebbe fare qualcosa di più per individuare e invitare persone che potrebbero essere coinvolte e forse non hanno il coraggio di farlo di proprio iniziativa.
Forse, in questo gruppo, può emergere qualche indicazione. Certamente, lo sento con forza, la realtà dell’amore ferito appartiene al nostro “insieme” che non è fine a se stesso, ma dono per l’umanità.
Questa giornata, più distesa di quanto non permettono gli incontri mensili, è un’occasione di grazia per interrogarci sul nostro “correre” verso la meta senza appesantimenti derivanti dal passato che ciascuno ha vissuto.
Maria ha corso verso Elisabetta per condividere il dono di Dio in lei, ha portata il Signore che è pace e gioia.
Chiediamole il dono della libertà del cuore, della mente, per essere dono all’umanità.
Interventi dopo la meditazione
Rosalba: Cosa ci crea le difficoltà? Il nostro volere che le cose si svolgano in certo modo. Che immagini avere, cosa ci può guidare nel corso della giornata.
Gigi: Viviamo a volte in una deriva psicologica. Per esempio svegliarsi contenti la mattina anche senza precisare un motivo. E’ in questo modo più facile ascoltare gli altri. Ci manca sempre qualcosa. E tutti i doni che abbiamo avuto? Una risposta è nel rapporto che si ha con Dio, in una preghiera di ringraziamento. E’ qualcosa dentro di noi che deve cambiare.
Brunella: A proposito di doni e ringraziamento io e Pino dovremmo ringraziare, proprio oggi, a distanza di un anno. Quel mese trascorse per noi poi in modo fluido, perché ai problemi si affiancano sempre gli aiuti.
Franco: puntiamo sulla straordinarietà dell’ordinarietà. Siamo sollecitati a fare chissà che cosa, ed invece il nostro vivere ordinariamente che ci aiuta a camminare in avanti. Affidandosi alla provvidenza.
Silvana: la cosa straordinaria nell’ordinario è amare senza misura che diventa difficile quando c’è un rapporto intimo. Amare senza misura anche quando si viene maltrattati e non è facile. Penso molto a Santa Monica che ha convertito il figlio ed il marito senza niente in cambio. Quando dall’altra parte c’è il silenzio alla risposta, si deve continuare ad amare senza misura. Una madre è capace di spogliarsi di tutto; un rapporto veramente personale diventa sempre più difficile perché occorre spogliarsi di tutto.
Fulvio: Ci voleva una proposta come quella di oggi: il considerare la festa anche come giorno del Signore. La nostra meta è l’unità con Dio e questa vale per tutti. La santità è una meta di tutti. Ogni creatura è unita al creatore. Ci doveva quindi essere una proposta forte quale è la nostra meta. Se si ha la pace interiore si risponde in un modo diverso. Noi sappiamo che c’è un Dio che ci vuole bene al di sopra delle nostre debolezze. In questa consapevolezza si cresce insieme; anche nei momenti di buio dobbiamo vedere una luce. Bisogna crescere perché ogni momento ci può far diventare santi.
Sentirsi insieme nel gruppo. Cerchiamo di scambiarci la nostra anima per metterla in comune; è un momento prezioso di condivisione. In tutti ci dovrebbe essere una pulsione a metter in condivisione, ci sia un fuoco che ci brucia dentro.
Linda: ringrazio don Giovanni perché non sempre ci sollecita a fare un esame di coscienza. A prendere in considerazione le necessità degli altri vigilare sui mutismi e sui bisogni. Dobbiamo stare con le antenne pronte per captare i bisogni intorno a noi e dare agli altri non solo il nostro sostegno economico ma anche le nostre disponibilità.
Giovannella: sono stata colpita dal discorso di questa mattina specie nella sua progressione. Io sono più introversa, penso a me stessa come punto di partenza e rapporto personale con Dio. L’io deve instaurare un rapporto di fede e non di psicologismo. Non partire dalla norma. In un adolescente l’io deve essere creato ed aprirsi, non dobbiamo cercare via di fuga sia nel rapporto personale sia di coppia.
Percepisco che se si sottolinea nella propria vita i doni che si sono ricevuti, questo può diventare irraggiungibile per un’altra persona. Dobbiamo evitare di diventare qualcosa di distante. L’apertura ci deve aiutare a capire che le vie sono infinite.
Franco: Dio è presente nell’ordinario. Questo ci dà fiducia e ci rende felici.
Resoconto dell’anno trascorso e proposte per il nuovo anno:
Fulvio: I momenti liturgici, in cui ci presentiamo come gruppo, quest’anno non sono andati bene; vanno organizzati in maniera più coinvolgente. Stessa cosa si può dire del film: occorre verificare se è una strategia giusta.
Per gli argomenti dell’anno possiamo considerare l’educazione in famiglia, non solo per i figli ma anche tra coniugi, riprendendo quanto proposto quest’anno nel cammino del centro profetico, o l’educazione alla fede, in linea con l’anno della fede della Chiesa italiana.
Franco: invitare i nuovi a momenti più semplici anche per creare familiarità
Silvana: nei momenti della liturgia dobbiamo essere più visibili. Negli incontri ai dehoniani, tale visibilità è molto importante: stare vicini per mostrare l’essere gruppo.
don Franco: sarebbe importante che tutti i gruppi confluiscano in parrocchia: per esempio all’interno della celebrazione delle 10.30 che non è per i bambini ma per le famiglie, di cui i bambini fanno parte. Occorre coinvolgere tutte le famiglie nella pastorale parrocchiale. E’ importante sfruttare i momenti parrocchiali per essere presenti. La nostra comunità è uno scrigno di perle preziose che brillano di luce propria mentre devono diventare un insieme. La vocazione della famiglia alla santità deve essere una santità laica in cui dentro c’è la fede.
La validità di una proposta non è misurabile solo dalla risposta. Fermo restando che la proposta è valida, a volte ci troviamo di fronte a famiglie che non hanno interesse alla proposta. Quindi occorre porre attenzione a chi facciamo una proposta. Forse il modo di proporsi va modificato, per esempio piuttosto che annunciare dall’altare un avviso, distribuirlo all’uscita della messa per stabilire un contatto fisico, di persona. Ricordiamoci che il cristianesimo è un contagio, è l’incontro con qualcuno.
don Giovanni: i separati fanno parte della comunità e non di un gruppo a parte. Farli entrare nel gruppo famiglie deve essere una meta anche se i tempi potrebbero non essere ancora maturi.
Tonino: il tema per il prossimo anno può essere la fede, ma andrebbe inserito nell cammino parrocchiale dell’anno. La difficoltà di coinvolgere le persone può essere superato con contatti personali; piuttosto la mia perplessità e di coinvolgere troppe persone. Consideriamo che quando si arriva in un gruppo già formato, che ha fatto un cammino insieme, ci si può sentire spaesati. Una realtà anche se aperta può trovare difficoltà a creare accoglienza. La varietà degli incontri può migliorare la qualità. La meditazione di don Giovanni alla fine può essere meno produttiva perché si perde lo spunto.Invece voci nuovi che si alternano possono portare nuove riflessioni.
Giovannella: stamattina abbiamo messo l’accento sul recupero delle famiglie in difficoltà; occorre creare una metodologia che accolga chi viene per la prima volta. Mi sembra di percepire che ci sia bisogno di azzerare l’esperienza che ciascuno ha all’interno del gruppo per non far sentire a chi arriva per la prima volta e può sentirsi minoranza.
Francesca: è importante il contenuto, ma è importante anche un linguaggio semplice e comprensibile.
Linda: linguaggio semplice anche del sacerdote.
Maria: occorre ritrovare il senso dell’incontro; quando introduce don Giovanni, tutta l’assemblea si mette in sintonia con la Parola di Dio. Farla alla fine il pensiero può essere banalizzato e divenire quasi un racconto o un commento all’incontro. Come cristiani dobbiamo avere la parola di Dio sotto il braccio. In qualunque momento posso utilizzare per la mia vita la parola meditata . Se si cammina con la parola di Dio, in ogni momento si è inspirati a come comportarsi. Il cammino diventa subito per l’altro perché viene immediato come comportarsi.