“VISITARE GLI INFERMI”
Cari amici e parrocchiani,
con diversi di voi, il 30 novembre, siamo stati a Roma per partecipare alla benedizione Abbaziale di don Franco Bergamin. Ora è il nostro Padre Abate Generale dei Canonici Regolari Lateranensi. Dal 3 novembre, sono io, don Piero Milani, il nuovo Parroco di Piedigrotta. Tocca, ora, a me fare questa introduzione al mese di dicembre.
Abbiamo concluso il mese vocazionale, con una consapevolezza maggiore di che cosa vuol dire prendere sul serio il nostro impegno cristiano. La vita è un dono che va vissuto in pienezza, a servizio degli altri.
LA LETTERA PASTORALE, che il nostro Cardinale Crescenzio ci ha scritto, “VISITARE GLI INFERMI”, è un invito rivolto alla Chiesa di Napoli “ad uscire dai propri spazi, a guardare oltre se stessa per incontrare i bisogni della gente e per mettersi al servizio del bene di tutti.” È la “Chiesa in uscita” che sta molto a cuore a Papa Francesco, e che punta ad un’apertura missionaria capace di parlare all’intera popolazione: “possiamo veramente raggiungere tutti e annunciare Cristo, buona novella per ogni uomo.” Ma anche dobbiamo coinvolgere tutti: “Mi piacerebbe pensare – continua il nostro Vescovo – che siano i giovani ad evangelizzare altri giovani; le famiglie ad avvicinare altre famiglie; i lavoratori a parlare ai lavoratori e così via. Rompiamo ogni indugio, formiamo insieme una cordata per cingere idealmente la nostra città, per vivificare la presenza di Dio nel cuore della nostra gente! La più grande minaccia per i credenti non è dovuta solo alla secolarizzazione della società, ma soprattutto al grigiore della vita della Chiesa, nella quale – in apparenza – tutto procede nella normalità, mentre in realtà la fede è invecchiata e stanca.”
L’ansia missionaria dovrebbe portarci ad identificare e raggiungere tutte le periferie, geografiche ed esistenziali, dove l’umano è spesso svilito. Essere Chiesa “in uscita” è un’esigenza identitaria, è la forma concreta della fedeltà al suo mandato.
In questo anno pastorale ci dedicheremo, in particolare, alla quinta opera di misericordia: Visitare gli infermi, porsi accanto all’uomo nel suo patire. “Visitare, continua il Cardinale, implica un vero “uscire” dalla propria casa, dal proprio mondo, per raggiungere l’altro nella sua debolezza. È l’opera che più di ogni altra diventa emblematica di una Chiesa che fa dell’uscire il tratto distintivo della sua sequela Christi”.
Il dolore e la sofferenza costituiscono da sempre un enigma. Tutti percepiamo la sofferenza come una realtà tragica, incompatibile con ciò che siamo, speriamo ed amiamo. L’avvertiamo come una stridente contraddizione con i nostri sogni. Eppure, quante cose abbiamo da imparare da questa esperienza! Quanta luce ci viene nell’accostarci ai sofferenti! Capita spesso che la loro frequentazione ci faccia vedere il mondo in modo diverso. Alla loro scuola apprendiamo che Dio è sempre con noi, anche se, talvolta, sembra assente, muto. La sofferenza, paradossalmente, può essere una fonte preziosa di senso.
“La sofferenza – è vero –, ci ricorda ancora il nostro Vescovo, non ha senso, tranne quando serve a circoscrivere quella dell’altro. Ed è qui che l’uomo raggiunge il vertice più alto della sua grandezza. Da questa cattedra possiamo imparare che le malattie, le infermità attraversano la vita di ognuno. E quando ci tocca personalmente ci sentiamo segnati in maniera drammatica da un senso d’impotenza.”
Gli occhi di Gesù si poggiano, prima di ogni altra cosa, sul nostro dolore: egli è interessato in primo luogo ai nostri disagi, alle nostre sofferenze. È venuto, principalmente, ad asciugare le nostre lacrime. I vangeli affermano ripetutamente che Gesù “toccava” i malati, persino i lebbrosi. Entrava in contatto fisico con loro, facendo del corpo il luogo dell’incontro, lo spazio della salvezza.
Il servizio agli infermi ha trovato nella comunità cristiana, lungo la sua storia secolare, un’organizzazione sempre più strutturata. La geografia della carità si è arricchita man mano di ospedali, di case di cura, di strutture sanitarie complesse. La storia di Napoli è “storia della carità”.
Qui tutti gli antichi ospedali sono sorti da un’esperienza religiosa: è il caso degli Incurabili, fondato da Maria Longo, all’epoca primo ospedale moderno e riferimento clinico per l’intero Meridione. Qui si sono succeduti nel servizio agli infermi più di trenta santi: da S. Gaetano da Thiene, a Sant’Alfonso Maria De’ Liguori, da santa Giovanna Antida Thouret a san Giuseppe Moscati; e per venire ai nostri giorni a san Vincenzo Romano e il giovane S. Nunzio Sulprizio.
Il termine “visitare gli ammalati” potrebbe indurci a pensare ad un agire saltuario e discontinuo di questo servizio caritativo: bisogna, invece, che nella nostra comunità si organizzi una pastorale per gli infermi non riservata a qualche buon intenzionato, ma capace di coinvolgere l’intera componente ecclesiale, diocesana e parrocchiale.
Il nostro Cardinale ci suggerisce in proposito ALCUNE PRIORITÀ:
- Valorizzare la dimensione liturgico-sacramentale come strumento di evangelizzazione per le persone malate e sofferenti: invitare i fedeli a pregare per gli ammalati il primo venerdì del mese; oppure inserire nelle intenzioni dei fedeli il ricordo degli ammalati;
- Organizzare delle missioni popolari per un’evangelizzazione incarnata, capace di parlare i linguaggi di oggi;
- Valorizzare la dimensione di prossimità e di accoglienza nelle diverse zone parrocchiali, perché a nessun malato venga a mancare la cura della comunità ecclesiale;
- Accostarsi alle ferite delle coppie e delle famiglie, attraverso percorsi di riscoperta della grazia sacramentale e della bellezza di una vita condivisa;
- Sostenere la fragilità dei giovani con proposte utili alla loro crescita umana, rendendoli convinti protagonisti del futuro;
- Correre al capezzale della città e seguirla nel suo faticoso cammino di guarigione e di ripresa sociale, coinvolgendo tutte le forze disponibili del territorio.
La Chiesa non può disattendere la cura delle membra più fragili del corpo del suo Signore e, pertanto, rivolge la massima attenzione ai malati, ai sofferenti, a tutti coloro che portano nel corpo e nello spirito le stigmate di un’infinita passione. Per questo Maria è invocata da sempre quale “Salute degli infermi”. Lei che sul Calvario ha conosciuto l’eclissi del Sole, ha sempre manifestato una singolare sollecitudine per chi vive nel buio della sofferenza. Ancora oggi, ci ricorda il nostro Vescovo, i santuari a Lei dedicati costituiscono un riferimento straordinario per gli ammalati, che in tanti vi si recano in pellegrinaggio e Le si rivolgono con la fiducia di una mamma. Ai suoi piedi tutti sperimentano una particolare protezione: chi ritorna a casa guarito, chi rientra confortato e arricchito della sua tenerezza.
Davanti alla Vergine Madre Maria ci impegniamo – clero, consacrati e fedeli laici – a trasformare le nostre comunità ecclesiali in laboratori dove si apprende l’arte del curare. Siano essi luoghi di accoglienza soprattutto per chi è più fragile, ma anche spazi dove sperimentare che il dolore, la malattia, la morte non sono stagioni permanenti della vita, perché lo stare in croce, secondo la bella definizione di don Tonino Bello, è solo una “collocazione provvisoria”. A Maria, esperta del dolore, chiediamo di proteggere gli operatori sanitari, i volontari, quanti nelle nostre comunità si adoperano per mettersi in ascolto e per farsi compagni di strada dei malati. La supplichiamo di contagiare di premurosa sollecitudine le mani e i cuori di quelli che si accostano alle sventure degli uomini, perché siano presenze umane e umanizzanti, strumenti di guarigione, sostegno di ogni fragilità.
Il cammino che ci porta alla grotta di Gesù, che nasce per noi, ci chiede di portare a lui i nostri amici ammalati, perché la Luce che è venuta nel mondo possa rischiarare, confortare e guarire tutti i mali presenti nel loro cuore.
Buon cammino dell’Avvento!
Don Piero Milani
parroco