I DIECI VERBI DELLA RICONCILIAZIONE (I parte)
Carissimi,
riprendiamo il tema della Riconciliazione che ci sta accompagnando in questo anno pastorale. Si fa ancora fatica a vedere i frutti, c’è, però, qualche tenero germoglio che fa sperare a fiori profumati e frutti prelibati. Nel frattempo non ci lasciamo prendere dallo scoraggiamento perché sappiamo che lo Spirito Santo sta soffiando con generosità nel cuore delle persone di buona volontà e con potenza in quello delle persone distratte e superficiali. Il soffio santo di Dio fugherà la superbia e l’autosufficienza e riempirà i cuori vuoti e delusi.
Ora propongo una meditazione in due parti (la seconda a giugno) coniugando i dieci verbi della riconciliazione che ho individuato, in filigrana, nella parabola del Padre Misericordioso o figliol prodigo che dir si voglia.
Non so se ti è mai capitato, di aver avvertito come un senso di soffocamento. Tutto ti va stretto, angusto, insopportabile, davvero troppo piccolo e di aver una gran voglia di cambiare, di spaziare; di sentire qualcosa di non ben definito che non soddisfa, non fa star bene. Certamente sensazioni terribili.
Stai soffocando (Questa casa è troppo piccola).
Tutto quello che prima era amato, condiviso, realizzato, appagante e sereno, ad un certo punto diventa tempestoso e ti vien voglia di fuggire, di andare lontano, di allargare gli spazi e di allungare gli orizzonti.
Allora, stappandola e quasi rubandola, ti prendi la vita e decidi di partire per un viaggio avventuroso che va oltre gli schemi e le consuetudini, pronto a provare sensazioni nuove e alternative, emozioni prima proibite, rischiando anche sconfitte pur di sentirti vivo.
Non serve muoversi fisicamente, la maggior parte delle volte è un viaggio dentro dove si creano spazi infiniti di lontananze. Tutto ciò che era proibito e sconveniente ora si veste con gli effetti speciali del desiderabile, urgentemente appetibile e indispensabile al vivere.
I tuoi sogni belli e irraggiungibili, che svanivano alle prime luci dell’alba lasciandoti l’amaro in bocca, ora finalmente li puoi realizzare. Basta con le regole, basta con la vita vissuta per i bisogni degli altri, basta con il bel vestito ipocrita della moralità ostentata, basta, basta, basta! Libero di essere il sogno (L’illusione dei paradisi artificiali).
Ora vuoi che la tua esistenza si identifichi con i tuoi sogni di libertà ed, essendo finalmente al centro della realtà, vuoi che tutto giri come tu vuoi che giri, perché tu sai come deve girare il mondo. Finalmente non più al di sotto e dipendente, ma cresciuto e capace di maturità. Non più costretto a danzare attorno agli altri, ma al centro dove tutto danza un frenetico sabba attorno a te. Questo è il paradiso e te lo puoi costruire da solo. Tu artefice del tuo avvenire.
Per raggiungere questa vetta è necessario inebriarti delle nuove verità a buon prezzo, quelle che indossi a perfezione, cucite su misura dai grandi stilisti delle ultime novità in fatto di identità, luccicanti di splendori affascinanti, in bella mostra nelle passerelle del glamour.
Lo sballo è la verità (perdita di identità definite).
È bello non avere più remore o regole imposte da rispettare, ora le regole le decidi autonomamente perché tu sei la verità più vera della tua esistenza, tutto il resto puzza di vecchio, di falso, mascherato di perbenismo borghese e ipocrita, manovrato dal potere che imprigiona la tua libertà. Adesso puoi comprare tutto, vendere tutto. Ti vendi e ti svendi al miglior offerente, che importa cosa o quanto avrai, l’unica verità è l’assoluta signoria del carpe diem. La vita è ora, adesso e vuoi viverla, consumarla, sbranarla! Ora, adesso vuoi provare tutte le sensazioni per sentirti vivo. Ti farai del male? Ma che importa, sono le sensazioni forti e al limite del consentito che danno l’euforia di vivere. Basta con il moderato, il contenuto, il misurato… è ora di stordimento euforico e incontrollato. Ti senti dio!
Il gioco però finisce e quando finisce, finisce sempre troppo presto! Il patrimonio, sul quale confidi, alla fine è inconsistente per procurare il tempo duraturo dell’allegria. La festa se ne va, le luci si spengono, i canti si perdono nei vicoli dell’evanescente, i balli si afflosciano, le emozioni annegano nel mare plumbeo dell’inesorabile destino e ti senti svenduto mentre tenti di stringere tra le mani l’unico brandello di vita che ti resta, ma ormai diventato pugno di sabbia inafferrabile e inconsistente al trattenere.
Tutto finisce in solitudine (ognuno se ne va).
Gli amici dei giochi effervescenti e delle feste alternative ora se ne vanno, è finito il baraccone. Il grande circo dell’effimero chiude i battenti per fallimento e gli artisti-pagliacci si tolgono il trucco. Lo spettacolo è finito! Avanti, tutti a casa! Grazie, signori per gli applausi, la vita è un’altra cosa e tu artista dello sperperare dove andrai? La tua casa ora è la solitudine!… Ti senti ancora soffocare, ritorna quel malessere terribile, quella sensazione di morte con la differenza che ora non ci sono speranze, non aspettative, non sogni, ora c’è il buio, il tunnel, il nulla… E soffochi, soffochi più di prima perché tutto quello nel quale avevi creduto, sperato, agognato è crollato, sconfitto, morto. Ti ritrovi nudo, rivestito soltanto della vergogna di te stesso e della folle illusione del tuo solitario sogno di libertà.
Eri partito con lo zaino pieno di speranze e di risorse, affamato di libertà, di verità facilmente accessibili e ora ti trovi ad avere ancora fame, tanta fame, ma lo zaino è vuoto come è vuota la pancia.
Pietà, abbiate pietà ho fame! (mendicante di cibo).
Ora è fame vera, non di sogni da realizzare, ma di pane e nessuno si accorge di te, o forse… qualcuno c’è? E necessario soffrire. La vita è uno spazio tra grandi sofferenze diceva una volta un saggio, ma in questo caso le sofferenze sono anche dentro tale spazio. La tua fame di libertà, illusoriamente sfiorata nella conquista individualistica, ora è fame di compassione, intravista nella solidarietà e che alberga nella casa lontana e forse perduta per sempre.
Devi vivere la solitudine e l’abbandono, lacerare il cuore troppo sicuro di se stesso e trovare uno tempo propizio per un viaggio interiore lì dove avevi creato infiniti spazi di lontananze. È giunto il momento necessario di ritornare alle relazioni solidali e alla fatica del costruire.
Soffri fino in fondo l’amarezza e bevi il calice della sconfitta, scrutati dentro con coraggio e senza paura, probabilmente…
Don Franco De Marchi
parroco