il pErDONO … È UN DONO
Carissimi,
Ragioniamo ancora di RICONCILIAZIONE. Questa volta ci lasciamo provocare da un racconto per bambini tratto da “Dossier catechista”. È risaputo che si parla ai bambini perché capiscano gli adulti. Credo comunque che per entrare nella logica della riconciliazione e del perdono sia necessario essere quei bambini ai quali è affidato il regno di Dio come ci avverte Gesù. Leggiamo il racconto.
Paolo e Gianni sono in direzione. C’è stato un grosso litigio ieri, fra di loro. Se ne sono dette di tutti i colori. Se si potesse sapere di chi è stata la colpa, chi ha cominciato! Paolo si è preso un pugno sul labbro; sanguinava persino. Gianni ha pianto per più di venti minuti; ha consumato due pacchetti di fazzoletti di carta. Le mamme fuori dalla scuola hanno discusso ancora, ad alta voce, continuando l’opera dei figli.
Pina, la supplente di religione, vuole parlarne con i bambini. Il problema è sì che Paolo e Giani hanno litigato, ma soprattutto che nessuno fra i compagni è intervenuto. Neanche poi là fuori; tutti hanno fatto finta di niente.
«Perché, bambini? Perché non avete cercato di capire cosa stava succedendo? Pensateci, ok? Chi vuol dire la sua opinione?»
Silenzio. Non si vede una mano alzata sull’orizzonte dell’aula.
«Ok, non volete parlarne. Allora provate a trovare un modo per accogliere Paolo e Gianni quando torneranno, fra un po’. Bisogna fare in modo che si possa andare avanti meglio tutti insieme, come fratelli che siamo, qui a scuola. Ok?»
Marina trova il coraggio di parlare per prima. Alla fine si decide di approvare la proposta di Silvia. I bambini della III C preparano dei messaggi sulla carta. Li dispongono in fila sul pavimento per costruire un percorso che dalla porta raggiunge due banchi ravvicinati: Paolo e Gianni saranno compagni di banco oggi.
Un foglio-piastrella dice: «Perdonatevi: la classe sarà più bella».
Un altro: «Vogliamo essere tutti più uniti».
«Noi vi perdoniamo, ok?».
Questo è il messaggio che ha scritto la maestra Pina.
12,30: Sta suonando la campanella; Paolo e Gianni hanno raccolto i messaggi; poi hanno passato il resto della mattinata vicino di banco.
Uscendo, la maestra Pina pensa: «Il perdono è proprio la base di una comunità… sì, ok…
Si può andare a casa felici…”.
Perdonare è una realtà che tutti sentiamo necessaria al vivere nella società, ma sembra superare di molto la nostra capacità di realizzarla. È una parola stupenda che riempie il cuore, ma è altrettanto difficile da sembrare irraggiungibile. Eppure Gesù l’ha posta al centro del suo annuncio e l’ha messa come condizione irrinunciabile per essere suoi discepoli e figli del Padre che è nei cieli. Egli ce lo insegna nella preghiera del “Padre nostro” ogni volta che chiediamo e promettiamo il perdono. Lo chiediamo prima di tutto per noi a Dio fonte dell’amore che perdona, poi (dopo aver preso coscienza di quanto è bello essere perdonati), l’offriamo ai fratelli attingendo all’intelligenza dissetata alla fonte divina. Il perdono nella maggior parte dei casi comincia lentamente, gli slanci di generosità spesso sono illusioni e ripiegamenti nella sfera del devozionale e miracolistico; esso ha un percorso faticoso e delle tappe importanti da conquistare. Inizia con il rifiuto dell’odio verso chi ha offeso; insieme al rifiuto dell’odio (esso è sempre un macigno che soffoca la vita) è necessario rendere presente davanti agli occhi la persona cercando di individuare le ragioni dell’offesa, a volte, anche usando la pietà verso colui che ha offeso. È come una liberazione superare l’offesa, rifiutare la vendetta e mettere al centro la persona nello sforzo affettivo e spirituale di accoglierla. Credo sia più vero dire che si perdona e si continua a perdonare per molto tempo prima di raggiungere equilibrio serenità di rapporto rinnovato.
La negazione del perdono è quando si dice e si pensa: «perdono ma non dimentico». Il perdono si gioca sulla relazione non solo sul percorso personale di liberazione. Anche quello che noi chiediamo a Dio diventa efficace solo nella relazione nuova che inizia. In questo percorso, ritmato dalla pazienza che si fa carico, è estremamente necessario trovare linguaggi e gesti significativi che non partono solo dai propri desideri, emozioni, ragionamenti, ma dal preoccuparsi di come l’altro potrebbe capire le parole e i gesti che facciamo; in una parola il perdono non si impone secondo la propria sensibilità, ma lo si dona secondo la capacità ricettiva e comprensiva di chi è chiamato a riceverlo.
Nel rapporto con Dio il saper chiedere perdono non è una richiesta generica e nemmeno una richiesta drammatica come se si fosse commesso chissà quale crimine e Dio fosse il giudice severo e inflessibile. La fede è un rapporto personale con Gesù che ci rivela il volto misericordioso del Padre e quindi non è una richiesta generica ma diventa necessario avere chiari i motivi, le ragioni, la storia, i fatti per i quali chiedere perdono per iniziare così davvero una storia nuova che si realizza nel fare secondo il Vangelo.
Concludo con una preghiera che consegna a tutti voi.
Signore,
ricordati non solo degli uomini di buona volontà
ma anche di quelli di cattiva volontà.
Non ricordarti di tutte le sofferenze
che ci hanno inflitto.
Ricordati invece dei frutti
che noi abbiamo portato grazie al nostro soffrire:
la nostra fraternità, la lealtà, il coraggio,
la generosità e la grandezza di cuore
che sono fioriti da tutto ciò che abbiamo patito.
E quando questi uomini giungeranno al giudizio
fa’ che tutti questi frutti che abbiamo fatto nascere
siano il loro perdono.
(Scritta da uno sconosciuto prigioniero del campo di sterminio di Ravensbruck e lasciata accanto al corpo di un bambino morto)
Don Franco De Marchi
parroco