Famiglia, scuola, parrocchia:
alleanza per la sfida educativa
28 ottobre 2011
Trascrizione dell’incontro
Riportiamo la trascrizione delle relazioni e degli interventi dell’incontro dibattito: “Famiglia, Scuola, Parrocchia: alleanza per la sfida educativa“, tenutosi Venerdì 28 ottobre alle ore 20 nella chiesa di Piedigrotta. L’evento è stato così ricco di spunti che abbiamo pensato di offrire questa documentazione, sia nel sito della parrocchia, sia soprattutto ai catechisti, agli operatori pastorali e agli educatori, come valido ausilio per chi opera nel campo della sfida educativa. La sintesi è stata a cura di Paola Carretta, che ha coordinato l’incontro.
Vuol essere anche un ulteriore invito alla lettura e applicazione del documento della CEI “Educare alla vita buona del Vangelo” che ci ha indotto a proporre l’incontro –dibattito del 28 ottobre.
il Centro Profetico parrocchia S. Maria di Piedigrotta – Napoli
TRASCRIZIONE DELLE RELAZIONI E DEGLI INTERVENTI
MARIA SPAGNUOLO : Buonasera e benvenuti a tutti. Sono Maria ed insieme ad altri operatori pastorali partecipo agli incontri del Centro Profetico di questa Parrocchia. Il Centro profetico coordina e stimola le attività connesse all’evangelizzazione, cioè si preoccupa di tutto quello che concerne l’annuncio della vita buona del Vangelo. Alla fine del 2010, il ns. parroco, Don Franco, ha proposto al gruppo di studiare gli orientamenti pastorali della CEI per il decennio 2010-2020: “Educare alla vita buona del Vangelo”.
Al cap. IV paragr. 35 si legge:
“La complessità dell’azione educativa sollecita i cristiani ad adoperarsi in ogni modo affinché si realizzi un’ “alleanza educativa per tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale”.
Da ciò è nata l’idea di far incontrare famiglia, scuola e parrocchia, affinché ogni componente porti il contributo della propria esperienza per operare insieme verso lo stesso fine, cioè aiutare i nostri ragazzi nella loro crescita e nella loro formazione. Don Franco ha accolto questa proposta, lo ringraziamo e ci auguriamo che l’incontro di oggi porti buoni frutti. Ringraziamo anche i nostri amici che hanno accettato l’invito per darci la loro testimonianza. Cedo la parola a Paola Carretta, ex dirigente scolastico, che coordina gli interventi di questo incontro, che speriamo sia fruttuoso per tutti. Il Signore accompagni questo nostro lavoro.
PAOLA CARRETTA: Il primo relatore, Antonio Gentile, psicologo dell’età evolutiva, tratterà questo tema : “Perché parliamo di sfida a proposito dell’educazione”. Gli interventi che seguiranno sono affidati ad alcune persone che giocano come diversi ruoli, sono cioè impegnati quotidianamente nella formazione dei giovani come genitori e catechisti, o come catechisti e docenti o come genitori e docenti, si trovano cioè a svolgere entrambe le funzioni, ma soprattutto sentono l’esigenza di un confronto, di un aiuto reciproco. Quando ci siamo incontrati per preparare questa serata, ci siamo detti chiaramente quest’idea e l’abbiamo condivisa fortemente : questi ruoli non sono distinti tra loro, ma hanno sempre bisogno di un interscambio, di un’alleanza appunto, come recita il nostro titolo; del resto non è possibile ignorare, in una società così complessa e multiforme come quella nella quale viviamo, quanto spesso le agenzie educative siano lontane l’una dall’altra, quanta distanza a volte ci sia tra scuola e famiglia, tra parrocchia e famiglia, nonostante tutti gli sforzi che si compiono, e con tutti gli errori che si fanno, sia pure in perfetta buona fede. Quindi, dopo l’intervento del relatore del quale vi ho detto, gli altri interventi cercheranno di rispondere a questa domanda: “In che cosa deve consistere l’alleanza tra le agenzie che si occupano di educazione, in particolare tra queste tre agenzie? E qual è il ruolo che ciascuno può giocare nella sfida educativa?” Vi presento ora gli esperti: don Franco De Marchi nostro parroco, Anna Di Prisco, docente di diritto presso un ITC della zona, madre di due ragazzi ed anche impegnata in parrocchia nel gruppo missionario “Andare Oltre”. Avremo poi una coppia, Tonino e Rosaria Perna, genitori di due adolescenti,impegnati entrambi in attività lavorativa ed anche in parrocchia nella pastorale familiare nella preparazione delle giovani coppie al matrimonio. Poi Silvana Sansone, docente di Religione nella scuola primaria, anche catechista in parrocchia ed impegnata nel coro Libenti Animo, che ascoltiamo sempre tanto volentieri. Seguiranno poi le conclusioni del relatore, ed infine apriremo il dibattito. Così, se dopo aver ascoltato gli esperti, dopo aver ricevuto degli stimoli, alcuni di noi vorranno intervenire e rivolgere domande, sarà molto bello ed avremo davvero raggiunto lo scopo di questo incontro.
ANTONIO GENTILE: Mi piace il titolo dato all’incontro, perché si tratta veramente di una sfida. Ognuno di noi sa che, quando si parla di sfida, 1° si suppone un avversario, 2° si suppone un ostacolo, 3° si suppone un contesto che non conosco. Io mi rendo conto che parlare oggi di un processo educativo o di una relazione educativa come di un avversario da affrontare o come di un ostacolo da superare, di un contesto dove difendermi, può sembrare strano; può sembrare strano quanto vogliamo, ma la realtà è questa! Fino a qualche anno fa, una relazione educativa tutto era meno che una sfida, certo ci potevano essere delle difficoltà, ma facilmente prevedibili e per buona parte endogene. Oggi ci troviamo di fronte a dei cambiamenti veramente epocali a riguardo, o prendiamo atto che la realtà intorno a noi è essenzialmente modificata e rivoluzionata sui piani educativi, o falliamo nella nostra relazione. In questo quarto d’ora, cercherò di dirvi alcune cose a riguardo
A = in che consiste questa novità che si pone all’interno di una relazione educativa
B = quale dovrebbe essere il nostro comportamento interiore e non nella relazione educativa
C = due o tre piccole ricette, per quel che possono valere.
Primo: Io credo stiamo vivendo la terza grande rivoluzione. L’umanità ha vissuto una prima rivoluzione, quella del neolitico: si passa dai pastori agli agricoltori, dal nomadismo all’essere stanziali. Poi viene un’altra grande rivoluzione, che è quella industriale, noi oggi viviamo una nuova grande rivoluzione: tutti i cambiamenti che ci sono stati fino ad oggi avevano un permanere ed un cambiare, mi spiego: pensate alla famiglia, la famiglia si è sempre modificata nel corso dei secoli, pensate alle famiglie medievali, un padre se doveva scegliere tra il figlio o il clan, sceglieva il clan. Ma al di là di tutte le modifiche possibili rimaneva una cosa, rimaneva un’idea fissa, un’idea che era famiglia, famiglia a o b, famiglia ristretta, famiglia nucleare, non aveva importanza. Oggi ci avviamo verso una idea non di famiglia diversa, ma di una non-famiglia. Siamo cioè di fronte a un cambiamento radicale. Pensiamo ancora ad un altro aspetto: la rapidità dei cambiamenti nel tempo. Fino a qualche anno fa, qualunque tipo di cambiamento, dalla moda del vestire al modo di cucinare, rimaneva fermo per un tempo tale che il gruppo sociale riusciva ad abituarsi a questo cambiamento, fino a farlo suo e a non sentirlo più come un cambiamento. Ciò che caratterizza il nostro modo di essere oggi è che i cambiamenti non abbiamo più il tempo di farli nostri: dai vestiti alla cucina allo schermo televisivo i cambiamenti sono di una velocità tale che non ci si tiene dietro. Questo in generale. Andiamo ai processi educativi, provo ad individuare due o tre cose che hanno cambiato radicalmente i processi educativi: la prima io la chiamo la gestione dell’informazione: fino a X anni fa l’adulto gestiva l’informazione, e il ragazzo, bambino, adolescente veniva dall’adulto per avere delle informazioni necessarie. Pensate invece ad oggi: una cosa banalissima: io per sapere come si mandano i messaggi con il cosiddetto linguaggio intelligente sto facendo corsi con mia figlia e sono lento. La gestione di questi strumenti e l’informazione che ne deriva non la possiede più l’adulto, la possiede il giovane, non la possiede il genitore, la possiede il figlio, e non c’è un punto di fermo, perché quando il trentenne avrà imparato questo strumento ce ne sarà uno ancora nuovo che conoscerà il quindicenne. Pensate alla gestione dell’informazione per i bambini, pensate alle favole, capite la sfida dove sta? Fino a X anni fa la favola era gestita dall’adulto,il bambino per conoscere la storia di Biancaneve e i sette nani veniva a rompere l’anima al genitore, alla nonna, alla tata o a chi per loro, chi conosceva la favola era l’adulto. Oggi l’adulto non conosce le favole dei bambini; i bambini, i ragazzi accedono alle loro favole non attraverso l’adulto, ma direttamente, al punto tale che la nonna è un’ignorante totale nel mondo delle favole; sarà il nipotino che dice “ma l’hai visto, nonna, che ha fatto Pichipichu?”. Prima, era l’adulto a gestire le favole. Oggi l’adulto non gestisce più l’informazione ma neppure la narrazione, non narro più io, non ho la capacità di narrare, non ho la conoscenza di narrare… Attenzione, apro una parentesi, io non sto dicendo se i questi cambiamenti sono positivi o negativi, non mi interessa, non mi compete, anzi, dirò di più, è banale dal momento che ci stanno! Punto! Non me lo pongo proprio il problema, per cui non leggete quello che dico come se stessi sottolineando che è negativo, no, è solo un cambiamento, non gli do alcuna valutazione etica. Ancora una riflessione sulle favole: non solo non le gestisce l’adulto, ma sono molto diverse dalle sue: la favola oggi, per esempio, razionalizza la fantasia, l’escamotage che prima era dato alla bacchetta magica adesso è dato dal meccanismo tecnologico! Questa è la prima grande novità e lascia al palo gli adulti, ma non soltanto quelli “rinco” come me, quelli della mia età, ma anche quelli di quarant’anni, perché, accelerandosi i tempi dei cambiamenti, l’adulto è sempre più a corto in termini di novità rispetto al ragazzino, che arriva all’informazione completamente da solo e a prescindere dall’adulto. La seconda grande novità è data dalla quantità di messaggi che riceve, dalla pluralità e dalla compulsività delle informazioni. Il bambino prima era chiamato a gestire una ridotta quantità di messaggi e per di più con informazioni più o meno omogenee. Adesso ne riceve diecimila sullo stesso argomento, e spesso contraddittori fra di loro. Un esempio giocando in casa visto che stiamo in parrocchia? Dal viceparroco e dal parroco, se uno è neocatecumenale e l’altro no, i ragazzi riceveranno una diversa indicazione in merito a un comportamento, e un’altra diversa forse dall’insegnate di religione a scuola, e ancora un’altra diversa dal papà a casa. i messaggi e le informazioni cambiano molto nelle modalità, l’insegnante di religione a scuola gli darà un’altra versione, il padre un’altra, lo zio un’altra ancora. A proposito di una coppia divorziata uno dirà: è male separarsi; un altro: hanno fatto bene a separarsi, è meglio per i figli; un altro: hanno distrutto la famiglia, e così via. Allora, che fare? Se siamo coscienti che la realtà è così radicalmente cambiata, io educatore devo cambiare. Noi tutti facilmente riconosciamo a prima vista la radicalità di questi cambiamenti, ma soprattutto molto difficilmente siamo disposti a cambiare. Il primo dovere che abbiamo come educatori è un grande senso di umiltà: non possiamo pretendere di sapere oggi come si educa, né tanto meno pretendere di applicare poche formule che riteniamo consolidate dal tempo e dalla nostra esperienza. Devo, ribadisco ancora, con grande senso di umiltà mettermi in ascolto, dispormi al cambiamento, ridurre i modelli mentali che mi condizionano. È molto forte in ognuno di noi impostare una relazione educativa così come l’abbiamo assorbita. Disporsi al cambiamento potrebbe costituire il primo modo per rispondere alla sfida educativa. E ancora: se è vero che ci sono troppi messaggi proviamo a ridurli. Non posso farlo con quelli che riceve dall’esterno, allora riduco i miei, scegliendoli in una gerarchia di importanza, e questi li ripeto, ripropongo, ribadisco. Sempre a proposito della quantità di messaggi: i bambini al catechismo imparano un mare di preghiere per tante intenzioni. Non posso dare a tante formule di preghiere, anche se validissime, la stessa importanza. Poi si dice che non capiscono la preghiera più importante, quella eucaristica; se li confondiamo con tante proposte. Che fare poi di fronte alla disomogeneità delle informazioni? Qual è l’errore più frequente? Mio figlio torna a casa e mi dice che un amico, un compagno, un maestro gli ha detto una certa cosa. E io che faccio? Soprattutto se quella indicazione si allontana dalle mie? Provo a dimostrare il contrario, mi metto su un piano logico, moltiplicando le dimostrazioni e i convincimenti. Non posso intrattenere il ragazzo con lunghi discorsi, loro sono abituati ad un linguaggio estremamente sintetico, lui magari sta lì e ti guarda, ti sorride pure, ma sta pensando a tutt’altro, e magari ti dice pure: Si, papà, e pensa: “balle”. E allora, cambiamo modalità di comunicazione! Abbassiamo i livelli logici, scopriamo per esempio la modalità narrativa. La sfida educativa possiamo vincerla o affrontarla oggi se cambiamo la modalità di comunicazione con i figli, con gli studenti. Se è cambiato un modo di dare e gestire, di reperire e controllare l’informazione, ed io mantengo il mio modo di comunicare, non vengo capito. Cambio, quindi, oltre a ridurre la quantità dei messaggi, provo a ridurre i piani logici, passo ai piani narrativi. Narro di me, innanzitutto all’interno della famiglia, narro di noi; come coppia diventiamo un noi narrante. Lascio spazio sin da bambini alla possibilità che essi hanno di n
arrarsi. Probabilmente potrebbe essere la modalità vincente. Ultima cosa ancora: impariamo a usare i segni nel comunicare, o meglio facciamo attenzione ai segni che diamo già con l’uso degli oggetti comuni. Pensate alle chiavi dei cassetti e alle chiavi in genere: toglietele. E’ un segno forte di comunione di vita, di partecipazione di vita, ma come dono di me adulto, non come costrizione alla loro totale apertura, anzi, mentre io adulto non chiudo a chiave non vado però a curiosare nel loro telefonino, non apro mai la loro agenda, non guardo mai nel loro diario; se arriva una telefonata, la passo, non origlio. Capite il doppio segnale: tolgo la privacy in casa, perché non ci sono chiavi, ma allo stesso tempo io adulto non metto mano nel cassetto di mio figlio, non rovisto nella cartella di scuola. E’ un modo di narrare un mio modo di essere, un mio valore: lo narro, non lo dimostro. Dico: io facevo così, io faccio così, lo narro, lo narro con i segni, per cui non devo dimostrare se è giusto o sbagliato: è una cosa che faccio io adulto.
PAOLA CARRETTA: Pensiamo a come fare per uscire dagli schemi, che è una cosa così difficile, e alla possibilità che abbiamo di non filtrare le informazioni che ci vengono dall’esterno. Ed ora la parola al nostro don Franco.
DON FRANCO DE MARCHI: Gli stimoli della serata sono belli: alleanza e cosa fare. Io voglio qui parlare della mia esperienza; il compito educativo principale della parrocchia è quello di educare alla fede, tutto il resto viene dopo, talvolta si dimentica questo e si fa il resto. Educare alla fede vuol dire proporre alle persone, non solo ai giovani, anzi oggi forse all’intera parrocchia (la sfida educativa è per adulti più che per giovani) una conoscenza più profonda, di Gesù, di Dio, affinché ci possa essere un’adesione affettiva al Vangelo, al messaggio del Vangelo, liberandolo da tante sovrastrutture e da tante incrostazioni che ci sono state, per arrivare fino al punto in cui la persona possa scegliere liberamente la sequela di Cristo, per costruire il regno di Dio oggi nel mondo, l’attualizzazione. Quando si è trattato di scegliere l’università, di fare gli studi teologici,ero a Roma, ho avuto la fortuna di poter scegliere, ed ho scelto un’università che non aveva un grande nome, ma corrispondeva alle mie esigenze, l’università dell’Antoniano, perché aveva un’impostazione teologica con indirizzo psico-pedagogico. Questo poi nella mia vita di prete mi è servito tantissimo: la mia prima esperienza è stata un’esperienza di proposta vocazionale e di animazione di giovani. Qual è stata la tipologia dell’annuncio? E’ stata quella di annunciare Gesù Cristo e il Vangelo nello spirito dell’entusiasmo contagioso, e credo che sia ancora valido oggi: un’apertura forte a Dio nella vita e mi è servito tantissimo in questo il linguaggio dei giovani, la musica, in forma di musical, concerti e tutto quel che segue. Un linguaggio che i giovani capivano e che era proponibile per tutti, però assieme ad un impegno concreto di realizzare ciò che Dio chiedeva loro: una proposta profonda di conoscenza per loro, senza sconti, e credo sia importante non fare sconti nella ricerca di Dio. Infine la novità, io sono convinto che i giovani sono giovani anche da adulti e non dobbiamo avere paura di metterci in dialogo con loro; troppo spesso ci si mette sulla difensiva, e credo che non debba essere così. Bisogna Avere il coraggio di reinventarci. E’ stato bello perché nell’esperienza che ho fatto ho dovuto reinventare un modo per far emergere la proposta vocazionale, per entrare in contatto con i giovani. Mi ricordo sempre un mio confratello, al quale chiedevo aiuto, cosa poter fare, mi ha detto: “Senti, va’ in camera tua e sbatti la testa contro il muro finché non ti viene un’idea, e poi parti!” Ed è stata la cosa più bella che mi ha detto. Perché è la tua idea, e poi la porti avanti. Poi ho avuto un’altra esperienza, per nove anni a Genova ho insegnato Religione nella scuola media. Ed è stato molto bello, prima di tutto perché nella scuola incontravo i ragazzi della parrocchia, e poi c’erano situazioni molto difficili, perché la parrocchia era al porto; qui ho elaborato ed imparato lo stile della narrazione, è stato l’unico modo di passare il messaggio. E’ stato molto interessante il raccontare, la narrazione, ha creato anche un bel clima all’interno della scuola; c’era anche una realtà certamente non facile nei confronti della proposta di fede, è stato molto bello perché attraverso la scuola ed il corpo docente ci siamo messi un po’ in discussione e si è creata un’alleanza, forse antesignana a quei tempi, un certo tipo di alleanza molto significativa. Poi la seconda esperienza è stata quella della parrocchia, a Bologna, era la fatica allacciare contatti con un ambiente di mentalità ”borghese” dove c’era rispetto ma anche indifferenza: tu chi sei? La mia vita va avanti lo stesso… E’ stata molto impegnativa e difficile questa proposta di annuncio di un percorso come è difficile anche al giorno d’oggi: creare occasioni di incontro e comunque, anche se la risposta è di scarsa continuità, l’incontro è fare annuncio. Io credo che l’annuncio, la proposta di evangelizzazione di una parrocchia debba essere quella di evitare assolutamente il “fai da te”: ci vogliono competenze serie sia in campo di autoformazione sia verso una proposta di fede mirata alla diffusione del Vangelo, l’alleanza non è importante ma indispensabile. In questi anni ho elaborato un progetto pastorale che vi ho proposto quando sono venuto qui, il progetto Arcobaleno. E’ un progetto di alleanza, senza l’alleanza non ci può essere arcobaleno. Allora l’importante è che queste realtà, famiglia, scuola, parrocchia, si alleino; infatti non si costruisce perché qualcuno fa tutto, ma perché insieme facciamo tutto. Il mio impegno di parroco in questa alleanza è di non chiudere mai la porta, è anche quello di uscire, come il nostro Cardinale ci sta chiedendo da un anno nel Giubileo della città, a trovare la gente lì dove la gente è, non è un annuncio a coloro che vengono ma rivolto a quelli che ne hanno bisogno.
PAOLA CARRETTA: Bella, molto bella questa proposta che ci fai del creare occasioni di incontro per l’annuncio, ed anche l’accenno alle competenze serie, ad evitare il “fai da te”, a creare un percorso che sia sempre comunque meditato e programmato. Adesso diamo la parola alla scuola, ad Anna Di Prisco.
ANNA DI PRISCO CAVALIERE: Anche io vi racconto solo la mia esperienza. Io ho cominciato ad insegnare ventidue anni fa, ho insegnato dal primo momento nella scuola M. Pagano, la scuola del quartiere frequentata da tante persone che sono qui anche stasera. Insegno Diritto ai ragazzi dalla prima alla quinta, cioè dai 14, quando arrivano da noi dalla scuola dell’obbligo fino ai 18 anni. Per la verità, al di là della mia esperienza, sento che il problema più grande, la difficoltà che maggiormente sento e come me tutti i docenti che fanno volentieri questo lavoro, è quella di trovarsi di fronte un’opinione pubblica che non aiuta la scuola. Una volta i genitori affidavano i ragazzi alla scuola nella consapevolezza che ne uscivano migliorati, con una base culturale, i ragazzi venivano a scuola con l’idea che l’insegnante doveva essere considerato un maestro di vita prima ancora che un trasmettitore di nozioni. Lo sforzo che facciamo nella scuola è proprio quello di non essere trasmettitori di nozioni, ma di essere mediatori, essere vicini ai ragazzi, fare in modo di avere un discorso diretto con loro. Il problema però è che, qui ci vuole l’aiuto, l’alleanza, la sfida di cui stiamo parlando, molto spesso capita che dobbiamo metterci d’accordo su come aiutare questi ragazzi perché, atteso che sicuramente ci sono una serie di informazioni che arrivano da tutte le parti, e atteso che noi sicuramente abbiamo perso il senso dell’autorevolezza, dell’autorità degli insegnanti, credo che i ragazzi oggi ci fanno meno domande perché ci sono una serie di informazioni e di bombardamenti che arrivano da tutte le parti, ma è anche vero che se noi possiamo dargli poche idee, pochi segni di quello che vogliamo trasmettere, dobbiamo metterci d’accordo su che cosa trasmettergli. Il problema per un insegnante è anche trovare una famiglia che appoggi il suo modo di insegnare. Io voglio solo raccontare un episodio che è successo di recente. In qualità di coordinatrice di classe, ho mandato a chiamare la madre di una ragazza che era venuta a scuola con una maglietta davvero indecente, offensiva del senso del pudore di tutti quelli che erano là. La madre si è presentata esattamente vestita alla stessa maniera. Il discorso è: io come insegnante come faccio ad incidere sul senso del pudore di quella famiglia, non ho strumenti. Sicuramente io cerco di insegnare in maniera diversa dal passato, di dare un messaggio di cambiamento, la prima cosa è la motivazione che si riesce a dare agli alunni, e l’80% del lavoro è fatto, ma mettiamoci d’accordo con queste famiglie. Quando abbiamo convocato gli incontri scuola-famiglia, su 30 genitori ne abbiamo avuti 8 nella prima classe, in quinta i genitori non arrivano più e quelli che arrivano dicono: ma che possiamo fare?, non abbiamo modo di incidere. Allora o ci mettiamo d’accordo sugli strumenti, su come fare alleanza, sugli argomenti da dare a questi ragazzi o noi la sfida la perdiamo.
PAOLA CARRETTA: Certamente essere educatori nel senso dell’etimologia della parola significa “tirare fuori” dai ragazzi quello che c’è in loro e questo è complicato, molto complicato oggi in questo tempo. Anna ci diceva quanto l’opinione pubblica parli ora in termini negativi della scuola e dei docenti, ma quanto è impagabile l’impegno che i docenti mettono (non tutti purtroppo, questo bisogna dirlo…) nell’entrare in relazione perché è la cosa più importante avviare una relazione positiva con l’alunno, con il figlio, con chiunque è davanti a te, con l’altro davanti a te, senza un contatto positivo non riuscirai a tirare fuori niente di buono da quella persona, e poi ti arricchirai anche tu, perché è importante anche questo: tornare a casa più contenti. Ascoltiamo ora due genitori.
ROSARIA FORMICHELLA PERNA: Ci chiamiamo Rosaria e Tonino, siamo sposati da 22 anni, abbiamo due figli maschi di 21 e 17 anni, una bella età.. Quando abbiamo saputo di questo incontro organizzato in parrocchia nel quale si cominciava a discutere sul problema della sfida educativa, la cosa ci ha fatto molto piacere, perché sentiamo molto questo problema, abbiamo pensato che sarebbe stato per noi un’ occasione di riflessione e di supporto per tutte quelle volte che nell’esperienza quotidiana ci mancano le parole o le azioni e lo scoraggiamento ci prende, ci fa piacere confrontarci, noi siamo qui indegnamente come esperti, non siamo esperti nel senso classico della parola, ma siamo come voi genitori che siete qui, ogni giorno ci confrontiamo con le difficoltà, ogni giorno abbiamo la problematica della sfida educativa, ci chiediamo ogni giorno se abbiamo detto la cosa giusta, se abbiamo usato le parole giuste, se abbiamo parlato poco o troppo. Noi non abbiamo delle ricette, anche perché ricette non ce ne sono, ognuno vive la sua esperienza personale, ognuno è diverso dall’altro, possiamo solo mettere in comune con voi quello che quotidianamente viviamo, affrontando l’esperienza dell’educare. Ci ritroviamo allora da questa parte del tavolo solo a rappresentare tutti i genitori presenti che sentono forte questa emergenza educativa. Ogni esperienza è unica e irripetibile. Possiamo solo mettere in comune la nostra esperienza, raccontare ciò che abbiamo sperimentato in questi anni con i nostri figli.
TONINO PERNA: Abbiamo sempre pensato che l’esempio fosse uno dei pilastri da fornire ai nostri figli. Quindi nella nostra esperienza con loro abbiamo sempre cercato di rimanere fedeli agli impegni presi, la fedeltà innanzitutto al lavoro,facendo capire l’importanza del lavoro, l’impegno nel sociale, la testimonianza nella fede. Tenere fedeltà agli impegni credo che sia una grossa testimonianza e noi abbiamo nei limiti del possibile cercato di darla.
Non sappiamo se tutti i messaggi che abbiamo fatto passare in questi anni i ragazzi li hanno recepiti, certe volte, se uno guarda alla realtà,quasi si scoraggia, ma come diceva Antonio prima, bisogna sempre narrarsi e ripetere pochi concetti, scegliere pochi concetti. Io forse sono un poco petulante, mi narro molto, i concetti li ripeto “n” volte, ma probabilmente i frutti si vedranno nel tempo lungo, è importantissima la componente del tempo, il tempo giudicherà se quello che noi abbiamo cercato di seminare, darà dei frutti.
Vogliamo tentare di rispondere anche alla domanda che ci viene posta, se è importante costruire l’alleanza tra le agenzie che si occupano di educazione e quale è il nostro ruolo.
L’alleanza, accordo tra due o più soggetti per il raggiungimento di un bene comune, nel nostro caso non solo è necessaria, ma forse è indispensabile. Mettere insieme le varie agenzie, che sono scuola, società sportive, parrocchie nel rispetto delle diversità e delle competenze reciproche è molto importante quanto più il tempo che viviamo è veramente così impegnativo, e dove i cambiamenti sono così repentini che non si riesce a star dietro a tutto. Io pensavo che forse fino a 4-5 anni fa tutti noi eravamo preoccupati di sapere con chi i nostri figli uscivano e dove si incontravano; spesso e volentieri i ragazzi si incontravano nelle piazze per cui uno aveva la possibilità, pur passando da lontano, senza spiare, come diceva Antonio, ma riuscivamo anche da lontano a vedere, a sapere chi c’era, cosa succedeva. Oggi noi siamo completamente spiazzati perché i ragazzi si incontrano in una piazza virtuale che è quella di Facebook, dove noi siamo assolutamente assenti, ma anche perché ignoranti del web. Quindi le preoccupazioni di questo mondo che cambia così velocemente ci interrogano. Che cosa abbiamo cercato di fare nella nostra esperienza di famiglia? Abbiamo cercato per quanto possibile di esserci sempre nelle loro realtà. Per esempio ci siamo impegnati nella vita della scuola attraverso rappresentanze nei consigli di classe e di istituto. Io ho partecipato ai consigli di classe e di Istituto nelle scuole che i ragazzi hanno frequentato dalle elementari. Abbiamo scelto che fossi io a partecipare a questi incontri, perché questo è un ruolo che di solito nella scuola in particolare svolgono le mamme, i papà sono quasi una rarità, infatti quando sono arrivato al Consiglio di istituto del Mercalli, ero un rappresentante uomo che non si vedeva da tempo. Sembra quasi che tutto quello che riguarda la scuola, anche l’aspetto della fede in parrocchia è da sempre delegato alle donne e alle mamme. Quindi abbiamo cercato di vivere all’interno della scuola, perché abbiamo sempre pensato che fosse importante veramente sentirsi collaboratori insieme a quelli che nella scuola sono educatori e collaborano all’educazione dei nostri figli, i docenti; anche ai figli abbiamo fatto capire il ruolo dei docenti, la responsabilità, penso a quello che diceva prima Anna, che il docente prima era quasi una figura inviolabile adesso tutto è diverso. Certo le esperienze non sono state sempre positive nel mondo della scuola. Vi dicevo della partecipazione. Basta vedere l’afflusso in proporzione agli alunni che c’è per l’elezione dei genitori. Non arrivano al 10%, su mille alunni e 2000 genitori non vanno a votare più di 200 persone. Nell’ambito della scuola la preoccupazione dei genitori è il risultato, e del professore quella di non avere troppa invadenza da parte dei genitori, e a volte questo processo di crescita, di collaborazione alla crescita dei ragazzi non c’è, anche perché spesso i docenti sono superficiali e non prestano attenzione a piccoli e anche grandi disagi che ci possono essere.
Il famoso gioco delle colpe è reciproco e così si perde una grande occasione di collaborazione e di crescita insieme aumentando il senso di incertezza nei ragazzi. Un altro momento formativo della vita dei ragazzi soprattutto nel momento adolescenziale, nel quale siamo stati impegnati è lo sport, i nostri figli hanno entrambi per diversi anni giocato a pallanuoto, e abbiamo sempre seguito tutti gli allenamenti e le competizioni dei ragazzi, facendo diventare anche tifosa la mamma, unica donna della famiglia, cercando di trasmettere sempre il concetto della lealtà, del rispetto dell’avversario, il saper accettare le sconfitte. Anche qui purtroppo noi genitori riusciamo a dare il peggio di noi stessi con comportamenti che tutto sono tranne che sportivi. Molto spesso, in competizioni anche nazionali dove è bello anche incontrare giovani di altre città e regioni con esperienze diverse, gli spalti diventano dei veri e propri ring dove sfogare anche le proprie frustrazioni e l’esempio che si trasmette ai propri figli è di grossa responsabilità. Io non ricordo una volta in cui siamo ritornati da una gara e non erano successi incidenti, in cui i genitori incitavano i figli ad essere scorretti, ma i figli ci guardano, che responsabilità abbiamo noi! Anche in parrocchia ci siamo impegnati da sempre, prima come catechisti dei bambini e poi di adolescenti e di adulti, oggi ci occupiamo delle coppie che si preparano al matrimonio. Anche nell’esperienza di fede e nell’impegno in parrocchia verifichiamo sempre più spesso che il rapporto con la fede si limita ai soli momenti della richiesta dei sacramenti e molto spesso la partecipazione alla vita parrocchiale viene delegata ai nonni e alle tate, i papà si vedono raramente. Allora ci dicevamo, quale può essere il modo non per vincerla questa sfida, che è davvero difficile, ma almeno pareggiarla. Riteniamo che la cosa più importante sia di dedicare più tempo, più tempo ai nostri figli, lasciando fuori qualcosa. Dovremmo cercare di dare qualcosa di materiale in meno, di non riempirli di cose e cerchiamo di dedicargli più tempo. Cerchiamo di ritagliarci dei momenti insieme, per i piccoli giocare insieme e non lasciarli ore davanti alla tv, forse un cartone animato in meno,e un gioco insieme in più, per gli adolescenti vivere le varie esperienze di crescita, sport, scuola, e per i giovani qualche occasione per una pizza insieme, un viaggio o una vacanza quando è possibile. Certamente è una cosa che aiuta, lo abbiamo sperimentato. E’ tutto talmente difficile che davvero a volte uno si scoraggia; allora ci viene in mente un’ esperienza comune, io e Rosaria, come facevano con noi i nostri genitori, quando noi eravamo ragazzi, quando ci salutavano la mattina,quando uscivamo per andare a scuola o al lavoro, ci affidavano a Lei, alla Madonna, e facciamo così anche noi, è veramente l’unica cosa che vale.
PAOLA CARRETTA: La loro esperienza diretta è la cosa che può aiutare le giovani coppie che sono presenti, può stimolare qualche domanda interessante su questa loro esperienza quotidiana. L’ultimo intervento è affidato a Silvana Sansone, che, come vi dicevo prima, insegna Religione ed è catechista.
SILVANA SANSONE: Buonasera a tutti, sono molto emozionata, per me è la prima volta che partecipo ad un dibattito, infatti quando sono stata invitata dal Centro profetico mi sono chiesta: quale contributo può dare una semplice maestra di scuola primaria ad un incontro dibattito di tanta portata? Quello che posso darvi è solo la mia esperienza. Sono insegnante di religione nella scuola primaria ed allo stesso tempo sono catechista dell’iniziazione cristiana, e questo duplice ruolo io lo considero una grazia, per realizzare quell’alleanza di cui si parla stasera tra scuola, parrocchia e famiglia. Questo duplice ruolo mi ha messo in condizione di entrare in contatto con le famiglie anche se con diversità di approccio. Si è creata una sorta di complicità nel caso degli alunni nel momento in cui le famiglie hanno bisogno di una parola di sostegno, vengono a chiedere un consiglio, mentre per quanto riguarda l’approccio con le famiglie della parrocchia e i bambini del catechismo, è una complicità più familiare in quanto ci conosciamo perché siamo dello stesso quartiere. E’ nata quindi questa sorta di alleanza che mi ha messo in una condizione veramente favorevole. Per quanto riguarda la sfida educativa, io sento questa sfida quotidianamente, è una sfida alla mia capacità, alla mia creatività di trovare modi nuovi per entrare in comunicazione, anche se con i bambini forse è un po’ più semplice. Il mio ruolo è quello di comunicare il messaggio evangelico e devo dire che la scuola mi ha aiutato nel momento in cui oggi spessissimo riesco a programmare, attraverso i progetti, perché attraverso un progetto si può individuare un argomento e focalizzarlo in modo più diretto e preciso. Mi sono fatta forte di un’esperienza personale io da molti anni faccio parte di una corale, è un coro che forse nel quartiere è conosciuto, ci siamo esibiti tantissimo in questa parrocchia che ci ospita. E’un coro che ha scopi di solidarietà e non di lucro, né di successo personale, portiamo solidarietà e aiuto al prossimo. Allora, mi sono chiesta: perché non fare la stessa cosa con i bambini? E, forte di questa esperienza, sono nati dei cori dove i bambini sono assoluti protagonisti; attraverso questa esperienza loro hanno imparato il linguaggio musicale, che poi è una materia che si fa a scuola, hanno imparato ad armonizzare le loro voci, ad ascoltarsi, a non prevalere l’uno sull’altro, e sicuramente a fare qualcosa di bello e gioioso e a portarlo anche agli altri. Vi assicuro che è un impegno anche molto gravoso, perché per fare questi concerti i bambini si impegnano a fare lunghe ed estenuanti prove. Che cosa centra adesso l’alleanza educativa? Si viene a creare alleanza fra le diverse agenzie: la scuola è sempre il punto di partenza dove parte il progetto da realizzare, la famiglia per il sostegno e la collaborazione, La parrocchia che ci accoglie e ci abbraccia, è la cosa più importante, e perciò ringrazio la famiglia dei Canonici che spessissimo ci ha ospitato. Forse la mia è stata una nota positiva, ma vi assicuro che questa alleanza dura da parecchi anni, è una cosa bella, e spero che continui nel tempo. E’ una goccia in questo grande oceano, e spero che possa proseguire ancora su questa strada.
PAOLA CARRETTA: Ci hai comunicato una strada, anche con la creatività, con il tuo metterti di fronte a dei bambini in questo spirito di incontro. E la parola incontro, la parola tempo, la parola narrarsi sono venute fuori tante volte questa sera, e i relatori non si erano messi d’accordo, questo vuol dire che da più parti siamo giunti allo stesso punto, un punto molto importante.
ANTONIO GENTILE: Se c’è una sfida, devo trovare le alleanze per poterla vincere, quindi ben vengano le alleanze. Ancora: non posso pretendere di vincere la sfida, né come genitore, né come educatore, né come docente; se pretendo di vincerla, l’altro mi sente avversario e come tale mi rifiuta o deve colpirmi. Un tassista, l’altro giorno, mi diceva “io con mio figlio non parlo più”. Io come educatore devo rischiare di perdere; se accetto di perdere la sfida educativa, mi metto nel giusto atteggiamento. Pensate al docente che nel momento in cui esamina, interroga, cerca di cogliere in fallo lo studente, di esercitare il suo dominio: non si preoccupa di valutare quanto sa, ma, quasi quasi, è portato a scoprire la pagina che non sa. Devo dimostrare a me stesso, non all’altro che le mie idee sono valide e può l’altro non può non condividerle, ma io non posso non testimoniarle Un’ultima cosa: i figli non sono miei, uno, perché se ne vanno; due perché sono di Dio: io mi posso preoccupare fino ad un certo punto. Lui ci deve pensare: sono i suoi. Come anche per i parroci: i parrocchiani sono di Dio, Lui ci deve pensare. L’importante è non tirarsi dietro, in questa collaborazione con Dio, con la vita; per cui, la prima alleanza che cerco è con la vita; l’altra alleanza la cerco con chi mi sta attorno. Se la vita porta avanti il suo discorso e il suo progetto, vincerà lei: non posso pretendere di vincere io.
INTERVENTI DELL’ASSEMBLEA
LILLY IACOTUCCI: volevo confermare che quello che dovrebbero avere in comune la scuola, la famiglia, la parrocchia, è questa passione nei confronti di chi hanno di fronte. Passione, che come diceva il Prof. Gentile, dovrebbe esulare dalle nostre aspettative. Non dobbiamo pensare che la persona che abbiamo di fronte vada “meno amata” perché non corrisponde alle nostre attese, perché l’altro percepisce benissimo se il nostro amore è “puro” o interessato. E a conferma di questo riporto l’esperienza di una mia amica che si dichiara atea, ed insegna italiano in una scuola superiore a Scampia; io le ho chiesto come mai non chiedesse un trasferimento, poiché abita al Vomero ed ha una situazione familiare complessa; lei mi ha risposto : ”Certo, mi muove una realizzazione professionale, ma dello stipendio forse potrei farne a meno; la cosa che mi spinge sono i ragazzi; questo mi realizza” Le ho chiesto: “sono tanti anni che insegni là; quali risultati hai ottenuto?” “non so, perché ad un certo punto li lascio; sono ragazzi difficili, ex carcerati, anche maggiorenni. Se in tutti questi anni sono riuscita a salvarne anche uno solo, ne è valsa la pena”. Mi ha colpito che una persona che si dichiara atea possa avere questa passione per l’uomo, per l’ultimo, per il più difficile. Questo ci deve guidare in tutti i nostri rapporti: con i figli, perché, come diceva Antonio non ci appartengono. Spesso io dico: non lo amo come figli, ma come persona, che è di più, è meglio. E questo deve guidare qualsiasi educatore, in parrocchia, nella scuola. Io penso che questi momenti di insieme, di confronto ci aiutano tante volte a rettificare concetti sbagliati.
CLELIA MODESTI: ho sentito delle bellissime cose, e pensando alle difficoltà che ho vissuto in prima persona nella scuola nel mettere queste realtà in reciproco, interessante e utile tipo di collaborazione, forse dobbiamo ricordarci una cosa: c’è un punto che ci unifica comunque, ed è la persona, che può essere il ragazzo, il bambino. Pensavo ad un tempo un po’ lontano, in cui si discuteva sulla possibilità di educarli, e si pensava che fosse un processo che va dall’adulto al bambino, al ragazzo; mentre dobbiamo ricordarci che educare va in una doppia direzione, anche dal ragazzo all’adulto. Perché questo possa avvenire, creando un tipo ideale di collaborazione, di relazione tra le due persone, occorre che l’adulto consideri il ragazzo come una persona, portatrice di valori anche più moderni, più importanti. Il Cardinale Martini dice, parlando della sua esperienza a Milano: “Quello che ho imparato, l’ho imparato dai giovani, in quanto mi sono messo di fronte a loro nell’ottica di uno che ha da imparare; ho imparato ad ascoltarli, a rispettarli nel loro modo di essere, e sono riuscito ad entrare in quella relazione affettiva che poi ha portato dei frutti anche nei ragazzi”
ENZO MANGIA: sono arrivato in ritardo e non ho seguito tutto quanto detto; volevo esprimere questa realtà: chi soffre della crisi della famiglia sono soprattutto i figli, e quindi certamente queste iniziative che sono dirette a rafforzare l’istituto familiare sono positive, anche per cercare il modo perché i figli soffrano di meno, perché si possa rafforzare la famiglia. Ritengo che a monte di tutto, per rafforzare l’istituzione familiare, la soluzione è soprattutto politica; viviamo in un tempo in cui c’è fortissima crisi di valori; la civiltà occidentale è allo sbando: noi che abbiamo dato la civiltà a tutto il mondo. Domina l’individualismo, l’egoismo, l’interesse. Il Matrimonio è un istituto, è un sacramento, ma non è avvertito come tale, in quanto la maggioranza è scettica sul piano religioso; le leggi sono contro la famiglia: ecco la necessità perché si intervenga sul piano politico, perché spingiamo i nostri politici perché si intervenga in favore della famiglia. Vengo da un convegno Movimento ecclesiale impegno culturale tenuto a Roma dove è stata proposta un’idea del prof. Casavola: quando si crea e si porta avanti un progetto di vita, si è in due; nella conclusione di questo progetto non può essere uno solo a decidere. Mi riferisco all’aborto, che per noi cattolici è un delitto. Perché si inizia il primato della donna nell’ambito della famiglia. Nell’istituto della famiglia, quando si stabilisce di mettere al mondo una creatura, a un certo momento uno dei due non può venir meno; bisogna essere in due nella conclusione come nella partenza.
PAOLA CARRETTA: è necessario un chiarimento; stasera ci chiedevamo come mettere insieme famiglia, scuola, catechesi per vincere la sfida educativa; ci siamo detto che è molto difficile vincerla, che forse non ci riusciremo, ma abbiamo necessità di essere stabili, ma anche flessibili, in quanto se in passato contava soprattutto la continuità, la stabilità, oggi prevale la flessibilità e il cambiamento, ma li dobbiamo prendere in senso positivo, e quindi adeguarci ai nuovi valori della società, anche per quanto riguarda i nostri figli
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Ho notato che per quanto riguarda i giovani, esistono fasce di età che hanno enormi differenze; ci sono fasce d’età che hanno grande esigenze di comunicare di riunirsi in una comunità, anche attraverso i social network; c’è un’altra fascia d’età che va dai 20 in giù che ha altre esigenze: si isola; molto spesso i ragazzi sono molto attaccati ad es. ai videogiochi, che li fanno rinchiudere in sé. La cosa che accomuna le due fasce d’età è che entrambe vivono in un loro mondo che è distante da quello reale. Si dovrebbe coinvolgerli, far capire loro che quello che gli vogliamo dare può essere utile, poiché quello che siamo oggi, lo saranno loro domani. Bisogna far capire che quello che gli stiamo dando serve per la vita reale.
MANLIO MEROLLA: Voglio ringraziare per questo incontro, che ci fa confrontare; e vorrei apportare un suggerimento, un’osservazione, un’esperienza. L’alleanza: bisogna stare molto attenti, quando si usa questo termine nel processo educativo, perché dietro l’alleanza si può nascondere qualcos’altro, come la delega, come può essere nel caso dei genitori, che delegano ai nonni, agli zii o ancora peggio ai media, che comporta gravi danni. Per accogliere questa sfida, il nostro peggior nemico non è il processo educativo, nemmeno gli strumenti, e nemmeno i ragazzi; il nemico è il Maligno, il divisore che si frappone laddove ci può essere gioia. E come combattere? Con la nostra credibilità, attraverso il portatore di pace e di amore. Nella mia attività di criminologo, spesso mi ritrovo ad avere a che fare con bambini che hanno facce d’angelo, ma dentro ben altro. Un’esperienza: un bambino poco più che undicenne che aveva sgozzato un coetaneo per un giocattolo; alla domanda “Cosa faresti se potessi tornare dietro?”, ha risposto “Mi pulirei le scarpe”; erano le scarpe sporche di sangue della sua vittima. E quando i suoi genitori, due professionisti di altissimo livello, ci hanno posto la domanda: “Ma come mai?”, gli ho chiesto: “dove eravate quando vostro figlio stava davanti al televisore, alla play station, al computer?” Da un’indagine, la maggior parte delle cose che questo bambino percepiva erano immagini, di combattimento, di omicidi. E’ un bambino che non ha un codice di decodificazione, per cui la realtà virtuale diventa la realtà. E allora qual è la responsabilità dei genitori? La presenza attiva, essere presenti. La nostra presenza diventa anche garanzia di decodificazione, di dare un messaggio diverso da quello che il bambino può ricevere. Ci sono ragazzi di 15-16 anni che hanno introitato esperienze che poliziotti dell’anticrimine hanno acquisito in tanti anni di carriera., ma il poliziotto può decodificare, il minore no. Ecco la nostra responsabilità: essere presenti. Oggi noi genitori non giochiamo con i nostri figli; se i loro giochi sono diversi dai nostri, proponiamo i nostri; attraverso il gioco, possiamo proporre valori, quali l’onestà, la lealtà; e da tante esperienze raccolte, questo ha sortito effetti positivi. La scuola; tante volte ho colto dei docenti che dicevano “Io ho ripreso qualche ragazzo, e i genitori, invece di allearsi, difendono ad ogni costo il figlio” Ecco l’alleanza che dobbiamo fare coi docenti. Come diceva il Prof. Gentile: i messaggi devono essere univoci, facciamo in modo di essere compatti, poiché se lavoriamo per lo stesso obiettivo, siamo noi adulti ad avere una responsabilità maggiore. E’ bello anche sapere che i figli non ci appartengono, come dice Gibran in una bella poesia. Appartengono alla vita. E se è vero che i figli appartengono alla vita, al mondo, tutti i figli, anche quelli degli altri sono figli nostri. Ecco quello che dobbiamo raccogliere. Essere genitori del nostro tempo, non solo per i nostri figli, ma per tutti i ragazzi, diventando uniti, diventando testimonianza. Nelle nostre famiglie, soprattutto con la preghiera. Siano chiamati ad essere testimoni e missionari nelle nostre famiglie; col silenzio, non occorrono parole, opere ciclopiche. L’ultimo esempio. Sono padre di due ragazze; quando erano più piccole si rifiutavano di partecipare alla preghiera del sabato e della domenica con noi; non abbiamo mai insistito, abbiamo continuato a pregare, e il giorno in cui ci siamo dimenticati, c’è stata la risposta: mia figlia, col Vangelo sotto il braccio, chiedeva di pregare con noi. Che cosa abbiamo fatto? Nulla, abbiamo continuato ad essere quello che siamo. Amiamo di più, parliamo di meno, e facciamoci “squadra”!
FULVIO FREDA: Vi ringrazio per le indicazioni che ci avete dato. Vorrei sapere se ho colto bene alcune cose. Innanzitutto, Antonio ha parlato di “non famiglia”, dunque la famiglia non c’è, e questo è grave, poiché se manca l’agenzia educativa principale, è ben difficile che ci sia un processo educativo. Manca il senso della famiglia; forse, e non è solo, secondo me, una responsabilità politica, è una responsabilità di educazione: se noi facciamo in modo che le nostre famiglie siano belle, induciamo anche a fare belle famiglie in futuro. Qui in parrocchia abbiamo capito che i corsi prematrimoniali non sono sufficienti a preparare alla famiglia: la cosa va a monte, e allora perciò pensiamo agli innamorati, a quelli che sono lontani dal matrimonio, la cosa va dopo che si è celebrato il rito del matrimonio, quando si celebra il Matrimonio, e perciò sono sorti i gruppi di Sposi Giovani e di Famiglie Insieme: è un’educazione continua, un po’ come viene richiesta a noi medici. E’ necessario mettersi in discussione, aggiornarsi continuamente, perché l’educatore deve essere soprattutto educato, in quanto non ci possiamo dire mai arrivati. Se abbiamo la volontà di dare qualcosa, dobbiamo avere anche l’umiltà di ricevere qualcosa. Se non sappiamo essere umili, non possiamo accedere a questa cosa grande che è l’educazione; e qualche volta, mi permetto di dire, invece di rompere la testa contro il muro, forse vale la pena di rompere la testa contro un’altra persona, col fratello, cioè confrontarsi con qualcuno: dal confronto, dalla relazione, scaturisce l’educazione. Perciò mi piace molto il termine “complicità” che Silvana ha usato: dalla complicità tra genitori nasce un’indicazione valida; dalla complicità tra agenzie educative, se si raggiunge l’accordo sugli scopi da perseguire, nasce qualcosa di buono. Infine, e lo chiedo soprattutto a Tonino che è stato impegnato negli organismi di partecipazione: servono questi organismi di partecipazione per favorire l’alleanza? Forse c’è preclusione, già da parte di chi li dovrebbe favorire: la partecipazione alle votazioni è così scarsa. Questi organismi che nascono per favorire la partecipazione, la democrazia, potrebbero essere utilizzati per costruire ed aumentare l’alleanza? Forse anche qui, è un problema di rapporti: forse bisogna far capire che non si è cosa fastidiosa, fumo nell’occhio, cosa che si deve fare per forza, ma soprattutto possibilità di rapporto, di confronto, come nella nostra esperienza familiare è capitato, in quanto Linda mia moglie è stata presente per 6 anni nel consiglio d’istituto, mirando a costruire soprattutto rapporti.
PAOLA CARRETTA: Purtroppo, questi organi si sono svuotati di contenuto, negli anni, perché si aspetta da tempo una riforma degli organi collegiali che non arriva. Quando sono nati, gli organi collegiali avevano ben altri scopi, ben altri obiettivi, e molti dei quali sono stati raggiunti.
GIOVANNI BARBARO: padre di 3 figli, e non so fare il padre; ho una grande confusione. Forse mi potete aiutare. Mi ha colpito l’introduzione di Antonio, quando diceva: le informazioni sono troppe, e forse andrebbero ridotte; ed Anna diceva: “allora mettiamoci d’accordo su quali informazioni dare”. La chiave della serata è questa. Riflettevo che una linea comune tra famiglia scuola e parrocchia esiste; forse non può essere utilizzata in tutti i contesti : è l’amore. Riflettiamoci un attimo: la famiglia è società naturale fondata sull’amore; anche la Parrocchia ci dice che qualsiasi regola Cristo ci dia, parte dalla proposta di amore. “Una regola ti do: Devi amare. Poi fai quello che ti pare; se agisci con amore, andrà sempre bene”. Questo è un messaggio che la parrocchia non dà in maniera sempre esplicita; si propinano delle regole, e tu cerchi di entrare faticosamente in uno di quei 10-12 schemi che ti hanno messo in testa, e magari non serve lo schema, serve superarli tutti, serve dire “tu devi amare, poi ti comporterai come l’amore ti fa sentire”. Quando facevo il corso prematrimoniale, venne fuori la domanda: è giusto punire un figlio fino a dargli uno schiaffo? Chi può dirlo al di fuori del contesto? Si può amare sia dandolo che non dandolo. La famiglia dovrebbe tenerlo presente, innanzitutto a partire dai genitori, che dovrebbero essere i primi ad essere educati ad amare, e in questo forse la parrocchia potrebbe fare molto, oggi. Antonio diceva che l’adulto una volta era detentore dell’informazione, e la cosa era più semplice. Parlando dell’insegnamento: ho qualche infarinatura di diritto, e so che per interpretare una legge bisogna chiedersi quali fossero le intenzioni del legislatore. Nella Costituzione ci sono i primi articoli che sono fondamentali: dire che le persone sono uguali e che dobbiamo darci da fare perché lo siano realmente. In una situazione di disparità, stai facendo di tutto perché ci sia uguaglianza, in altre parole: stai amando? Con i miei figli sto cercando di dirgli che un oggetto non è “mio”, ma di chi ne ha bisogno, è andare oltre il concetto di proprietà: l’oggetto può essere tuo, ma non si può privare del piacere di quell’oggetto chi ne ha bisogno. E questo, in parrocchia, in famiglia si chiama amore. Nella scuola forse si chiama diritto, interpretazione giusta delle norme giuridiche, ma è sempre amore. Se le 3 agenzie non educano all’amore, difficilmente si potrebbe giocare una partita, che è erroneo dire che si vince o si perde: si gioca, e questo basta. Siamo chiamati a giocare, con quello che abbiamo ricevuto, quello che riceviamo, e quello che diamo, con quello che veniamo imparando, con l’aiuto degli altri, ma soli; come ha detto d. Franco, indicando di sbattere la testa contro il muro, nel senso di saper fare silenzio. Se mio figlio ad es. trova difficoltà ad andare a messa la domenica, perché lo sente come obbligo, qualcosa che lo rende schiavo, l’unica cosa che dovrò insegnargli, come articolazione dell’amore, è dirgli: “C’è una cosa che ti può rendere libero: è il fermarti, almeno una volta la settimana, far tacere tutte le informazioni che sono intorno a te, di fermarti e di guardarti dentro; questo può renderti libero per considerare le informazioni ricevute, che non ti devono soggiogare. Tu sei il padrone della tua vita, e tu hai il dovere di cambiarla”. Kant afferma che la prima cosa per poter apprendere bisogna essere consapevoli che si è diversi dalle cose che si conoscono. Si è diversi da Facebook, che è uno strumento. Secondo come sei tu utilizzerai quello strumento. La scuola è uno strumento; secondo come sei tu, padre, la scuola sarà uno strumento, buono o cattivo, per tuo figlio, e anche per te. L’unica informazione che dobbiamo dare è che l’unica cosa da fare è amare, e come articolazione di questo comprendere che sei diverso da tutto ciò che ti circonda, e che sei tu il padrone della tua vita, potemmo aver indotto su una strada che possa percorrere da solo e possa utilizzare degli strumenti, senza che sia demonizzati o esaltati. Anche sulla comunione-separazione dei beni nel matrimonio non si può dare direttive; bisogna essere padroni del proprio agire, farsi guidare dall’amore. Forse se riusciamo a passare questo, abbiamo messo d’accordo tutte e tre le agenzie.
FULVIA STELLATO: volevo chiedere una cosa al Prof. Gentile. Si è notata la differenza tra un comunicatore consapevole come lui e gli altri che comunicavano la loro esperienza in maniera semplice. Oltre che il messaggio, e su quello ci possiamo mettere d’accordo, non ci serve anche un veicolo, non bisogna essere anche dei buoni educatori? Se stiamo parlando di sfida educativa, dobbiamo raggiungere i ragazzi con un messaggio che arrivi loro. E allora mi chiedo: come mai, nella scuola gli insegnanti non conoscono tecniche di comunicazione? Se un’agenzia sclerotica come quella nella quale lavoro, l’agenzia delle entrate, che ha a che fare con i numeri, nel momento che si è messa al servizio delle persone, ha fatto fare ai dipendenti dei corsi, non è importante che ci sia questo anche per gli insegnanti, ma anche per i catechisti, nel cui compito è essenziale che si conoscano tecniche di comunicazione? E forse anche i genitori, che devono cambiare, come gli allenatori che in corso d’opera cambiano la tattica, pur di raggiungere lo scopo. Non sarebbe giusto?
ANTONIO GENTILE: Posso rispondere solo con una battuta, altrimenti dovremmo fare un corso universitario di tecniche della comunicazione. La Chiesa, nella sua esperienza antica, aveva sempre proibito che i preti parlassero in chiesa; l’omelia quotidiana non era prevista, quella domenicale era affidata ad un predicatore, tanto che anche quando c’era il vescovo era sempre il predicatore a parlare. Può sembrare un’eresia, detta oggi, ma obiettivamente era giustificata. A seconda dei ruoli che si occupa, bisogna imparare a comunicare. Ogni comunicazione dovrebbe essere complementare e non simmetrica. Invece utilizziamo sempre la modalità simmetrica: se tu dici A, io dico A, se dici B, io dico B. Se il ragazzo alza il tono, io alzo il tono, e così via: si crea rottura delle relazioni. Il modello di comunicazione dovrebbe essere complementare; non posso andare sulla stessa lunghezza d’onda dell’altro, altrimenti entro in conflitto. Bisogna imparare a comunicare esprimendo la volontà di comunicare e bisognerebbe avere l’umiltà che se non so comunicare, riduco la mia comunicazione. Tanti insegnanti, tanti sacerdoti, tanti urlatori televisivi dovrebbero avere l’umiltà di ridurre la comunicazione, se non la sanno gestire, se non sanno gestire la dinamica comunicativa. Questo, il mio punto di vista.
MARIA SPAGNUOLO: un’ultima parola, a nome anche del Centro Profetico, per ringraziare tutti voi, sperando che questo incontro porti dei frutti. Ringraziamo il Parroco, che ci ha dato questa possibilità; ringraziamo i nostri amici “esperti”, e vogliamo consegnare loro, come un piccolo segno, il documento “Educare alla vita buona del Vangelo” che ha dato al Centro Profetico lo spunto per questo incontro; lo consigliamo anche a tutti voi, in quanto sono le linee pastorali dei Vescovi italiani fino al 2020. Inoltre, avrete anche un memorandum: vogliamo proporvi degli incontri mensili sul tema dell’educazione, indirizzati soprattutto a genitori ed educatori. Chiudiamo ancora con la musica, come ulteriore indicazione: non facciamo morire i sogni dei nostri ragazzi