I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2014-2015
“Le dieci parole dell’amore”
d.F.o
Sono emozionato e onorato a “sostituire” don Giovanni in questo ruolo di guida di quest’incontro. Cercherò di presentare al meglio lo spirito di questo incontro. Il quarto comandamento che esaminiamo stasera è ancora rivolto al positivo. Esodo e Deuteronomio lo pongono entrambi come una promessa (Es 20,12 – Dt 5,16). Onorare in ebraico vuol dire “dare peso”. Qual è allora il giusto peso per questo comandamento? Ognuno di noi ricorda le parole, i consigli, i desideri dei nostri genitori: quale peso deve avere questo per la nostra vita? Quello che ci hanno dato i genitori non dobbiamo dimenticarlo. Nella loro vecchiaia dobbiamo permettergli di vivere una vita serena e dignitosa.
Anche se si sono avute esperienze negative con i propri genitori, dobbiamo essere attenti a questa dichiarazione anche tenendo come riferimento il Padre Buono. In Isaia (19,15) leggiamo: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. “.
Di fronte a certe situazioni bisogna sempre amare i genitori anche quando loro non si sono comportati bene. Nel vangelo di Matteo (Mt. 15,4-6) Gesù si rifà al 4° comandamento. E’importante capire qual è il giusto valore da dare ai propri genitori. In Lc. 14,26 c’è un superamento dell’amore e dell’onorare il padre e la madre. Gesù dice “mia madre e i miei fratelli sono chi compie la volontà del Padre mio” (Mt. 12,46-50). Ci vuole un giusto rapporto per capire la volontà del Padre e quella della nostra famiglia di origine. I vescovi tedeschi hanno scritto una lettera sull’intrusione della famiglia di origine sullo stato della nuova famiglia. Bisogna tagliare il cordone ombelicale. Non sempre le famiglie di origine riescono a comprendere gli obiettivi dei figli. Onorare i genitori significa rispettare il loro amore ma saper anche portare avanti le proprie scelte (cfr Lc. 41-52).
Rispettare significa “guardare indietro”. Non dobbiamo quindi dimenticare il nostro passato. Onorare il padre e la madre quindi ma anche loro devono onorare i figli. In parallelo dobbiamo anche pensare di onorare il Padre celeste realizzando la vocazione che Lui ha pensato per me.
C.o
L’aspetto che vorrei mettere in evidenza è la differenza tra la famiglia che si costituisce e la famiglia di origine. Per me questa relazione ha un valore particolare perché ho perso papà a 12 anni e mamma a 18. Quando ho conosciuto mia moglie, mi sono legato a questa nuova famiglia, ho scoperto anche che voler bene e amare delle persone non è sempre semplice. Quando ci si sposa, i suoceri assumono, di fatto, un altro figlio o un’altra figlia. Anch’io mio sono legato a mio genero quando mi figlia si è sposata e sono rimasto legato a lui dall’affetto anche dopo che il loro matrimonio è finito. I genitori di mia moglie sono stati quindi anche i miei genitori. Per mia suocera ero come un figlio ma forse non mi sono accorto che questo non era accettato dagli altri componenti della famiglia. Forse sono stato visto da chi ha usurpato un posto all’interno della famiglia. Qualcuno era addolorato ed io non me ne sono accorto. Quando mio suocero è rimasto solo, mi sono ritrovato davanti un uomo ostile nei miei riguardi a farmi carico di tutte le scelte sbagliate che erano state fatte anche e non ero il figlio. Ho dovuto allontanarmi per non fargli più del male; ora le cose stanno cambiando in positivo perché tutti stiamo comprendendo qualcosa. Sul rispetto di “onora il padre e la madre” la posizione più difficile è stata quella di mia moglie che ha dovuto conciliare le scelte tra il padre ed il marito. Quando i genitori diventano anziani è difficile scegliere cosa fare. Il cordone ombelicale va staccato. Ho una figlia, come detto, il cui matrimonio non è andato bene; lei ha sempre cercato la figura di un uomo che le stesse accanto che fosse come suo padre. Spero che non sia questa la causa del disaccordo, ma credo che la maggioranza delle figlie femmine vogliano e cercano un compagno che sia come il padre.
A.a
Ho avuto grosse difficoltà con mio padre perché mio marito ha subito torti per me non giustificati; io mi sono trovata al centro. Però ho cercato di ricordare “onora il padre e la madre” e spero di esserci riuscita.
D.a
Papa Francesco ha detto: “un buon cristiano non può essere mai un infelice”. Se non stiamo bene con noi stessi stiamo male anche con gli altri. Dobbiamo stare molto attenti perché non possiamo regalare la nostra infelicità agli altri. Dobbiamo imparare quindi a non essere infelici. Nel rapporto con i genitori i fratelli entrano spesso in conflitto perché vogliono avere il primo posto. Ognuno h le sue capacità. Quando vogliamo fare una cosa, dobbiamo sentire che questa ci fa stare bene. Non tutti hanno la forza di dare perché nella loro vita hanno difficoltà. Per cui l’altro che fa, agisce, è come uno specchio che ci fa vedere cosa manca. Quello che critichiamo negli altri è quello che non ci perdoniamo a noi. Io sono stata educata come una figlia modello ed ho fatto le scelte che volevano i miei genitori. Poi ho scoperto che dovevo cercare altro e l’ho scoperto nei libri. Ho cominciato a dare la colpa a mia mamma dei miei fallimenti. Ci ho messo del tempo a capire che mamma ha fatto quello che per lei era il meglio per me. Se ha fatto qualche danno è perché non sapeva fare meglio. Io ho educato le mie figlie dicendole che hanno un cervello ed hanno le capacità di ricevere e di decidere per conto loro. I figli, come si dice, hanno bisogno di radici e di ali. Il bello ed il brutto della vita ci servono per capire il mondo. Se un bambino vive in una famiglia violenta è difficile applicare questo concetto. Noi possiamo avere un sentimento di compassione per chi non può vivere bene. Questa società ci sta portando ed essere sempre più individualisti e sempre più condizionati. Non si può vivere bene senza sentimenti buoni e i sentimenti buoni dipendono dai nostri sentimenti. La felicità è uno stato gioioso da vivere tutti i giorni. E un vivere in maniera gioiosa nonostante il bello ed il brutto della vita. Se regalo ad un bambino un gioco, gli regalo solo un attimo di felicità.
C.a
Rispetto per i genitori: io da figlia ho sempre pensato che noi figli facciamo quello che ci insegnano. Rispettare i genitori perché i genitori rispettano o hanno rispettato i nostri spazi. Io sento che i miei mi hanno trasmesso questo senso del rispetto ed io cerco di applicarlo ora che sono madre.
S.a
Si può rispettare questo comandamento nel modo in cui diamo questa immagine ai nostri figli. Quando i ragazzi erano più piccoli portavo sempre i miei figli dalla famiglia di mio marito che intanto mi aveva lasciato. Mio figlio rispetta il padre anche nella disaffezione di una lontananza e di una mancata presenza nella sua vita. Spero e prego che quel rispetto possa diventare il vedere nel padre e nella madre il nostro Padre celeste che è Dio. Da bambini possiamo non amare il padre violento ma se si cresce in comunione con Dio, si riesce poi da grandi ad amare i genitori anche se loro non ci hanno amato come dovevano.
R.a
Onora il padre e la madre è stato un percorso molto difficile da raggiungere perché mio padre ha avuto me che aveva 19 anni quando forse non era preparato a questo compito. Ho vissuto quindi male nella mia vita il rapporto con mio padre e mi sono sempre chiesta come conciliarlo con la mia scelta cristiana. Dopo tanti anni mi sono ritrovata a vivere una situazione ch non avevo mai pensato di dover vivere. Quando mio padre si è ammalato, anche se aveva una nuova compagna si è rivolto a me. Ed io ho dovuto nascondergli la realtà della morte che si avvicinava; in quel momento ho ricostruito un rapporto che non avevo mai vissuto nella mia vita.
F.o
Voglio lanciare tre domande:
- onorare è utilizzato anche nella promessa di matrimonio. Ci siamo chiesti cosa stavamo dicendo? Dicevamo di voler il bene dell’altro. Lo sappiamo applicare?
- ci sentiamo figli anche se non tutti abbiamo ancora i nostri genitori. E’ questa una sfida della nostra società: curarsi degli anziani, che è una cosa che deve essere fatta.
- noi siamo ora genitori: come ci poniamo ora nei confronti dei nostri figli?
Il comandamento è “onora il padre e la madre” ma non siamo chiamati anche noi genitori ad onorare i nostri figli? Obbedire significa “venire incontro”. Oggi è fuori moda questa debolezza. Chiediamoci allora cosa significa essere genitori per onorare i propri figli. Costanza Miriano nel suo libro “Sposati e sii sottomessa” sostiene che essere genitori significa innanzitutto accettare il figlio che nasce ma ance quello che non nasce. Tutti abbiamo passato o potremo passare problemi con i nostri figli. Loro hanno un’altra caratteristica, sono diversi da noi, sono condizionati dalla società.
L.a
Per onorare il figlio occorre aiutarli a far venir fuori la sua individualità. Non farne un nostro clone, un modello simile a me; occorre invece relazionarsi con una diversità ed aiutare a far venir fuori questa diversità; e tutto ciò va fatto solo per amore. Essere genitori quindi è aiutare essere umani che ci sono stati affidati e come dive Gilbran: le frecce che noi scocchiamo, prendono da noi la direzione ma hanno poi un loro cammino indipendente.
G.i
Essere figli e genitori nello stesso tempo crea delle domande. Prima di pensare che onoro i miei genitori debbo pensare come posso fare che i figli poi onorino me che sono il loro genitore. Nei film giapponesi c’è spesso sottintesa la missione, la vocazione. Il modo di essere onorati è cercare di far capire ai figli qual è la loro vocazione. E’ più facile perdonare i figli e non il padre perché in questi siamo capaci di vedere cosa ci hanno negato dimenticando cosa ci hanno dato. Sule loro basi abbiamo costruito quello che siamo. Teniamo presente la differenza tra felicità e gioia: la felicità dura un attimo, la gioia invece rimane più a lungo. Onorare i propri genitori è anche un modo per farsi onorare dai propri figli. Questo è difficile se loro non vedono come ci comportiamo noi.
F.a
Ho un alunno un po’ problematico che ha un padre severissimo. Dai suoi temi si vede il clima che vive in famiglia.
dF.o
Cito la frase di Giovanni (19,26): Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre. Gesù esplicita la sua missione perché con la morte in croce realizza la sua vocazione. Dobbiamo saper riconoscere il bene che ci è stato dato. Anche come cristiani dobbiamo saper amare il padre anche quando questi è violento o difficile, dobbiamo comprenderlo perché poi col tempo abbiamo modo di rivedere le posizioni. Riconoscersi come figli che stiamo onorando ed essere capaci di dare le indicazioni giuste come genitori ai nostri figli. Abbiamo sempre un esempio grande nel Padre nostro che, come disse Giovanni Paolo I è anche una madre.
d.F.o
Per il Catechismo della Chiesa Cattolica, il 4° comandamento, in termini positivi si rivolge ai figli ma anche ai genitori che guardano ai loro figli.
Il Concilio Vaticano II chiama la famiglia “chiesa domestica” luogo in cui si deve sperimentare la comunione.
Nel libro dei Proverbi (Pro 6,20-21) si legge:
Figlio mio, osserva il comando di tuo padre
e non disprezzare l’insegnamento di tua madre.
Fissali sempre nel tuo cuore,
appendili al collo.
imparare ad ascoltare, quindi, specialmente nei figli più grandi.
Il libro del Siracide, invece, dice (Sir. 7,27-28):
Onora tuo padre con tutto il cuore
e non dimenticare le doglie di tua madre.
Ricorda che essi ti hanno generato:
che cosa darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?
Con l’andare avanti dell’età noi dobbiamo restituire quello che abbiamo ricevuto. Educare i figli al rispetto dei propri genitori. Amare il padre perché ci ha dato la vita.
I genitori sono i collaboratori delle creazione di Dio. E’ quindi un segno di riconoscenza in quanto datori di vita.
Però ci sono anche i doveri dei genitori verso i figli. Ancora il Siracide dice: “Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta per lui, per gioire di lui alla fine.” (Sir. 30,1). Bisogna usare carota e bastone ma l’atteggiamento più importante è quello di avere tanto amore.
Nella lettere agli Efesini Paolo si rivolge sia ai figli (Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra. Ef. 6,1-3), sia ai padri (E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore. Ef. 6,4).
Il Catechismo dice: “I genitori devono considerare i loro figli come figli di Dio e rispettarli come persone umane. Educano i loro figli ad osservare la Legge di Dio mostrandosi essi stessi obbedienti alla volontà del Padre dei cieli.” (2222) ed anche: “I genitori sono i primi responsabili dell’educazione dei loro figli. Testimoniano tale responsabilità innanzi tutto con la creazione di una famiglia, in cui la tenerezza, il perdono, il rispetto, la fedeltà e il servizio disinteressato rappresentano la norma.” (2223).
Quindi: tenerezza, perdono, rispetto. Ancora: “Il focolare domestico è un luogo particolarmente adatto per educare alle virtù. … hanno anche la grave responsabilità di dare ai loro figli buoni esempi. Riconoscendo con franchezza davanti ai figli le proprie mancanze, saranno meglio in grado di guidarli e di correggerli” (2223).
Come quindi educare il figlio alla Chiesa Cristiana: “I genitori sono i primi responsabili dell’educazione dei propri figli alla fede, alla preghiera e a tutte le virtù. Hanno il dovere di provvedere, nella misura del possibile, ai bisogni materiali e spirituali dei propri figli.” (2252).
A volte pensiamo più all’educazione materiale, ma invece occorre pensare anche all’educazione spirituale e sentimentale. Dobbiamo amare quello che il Signore chiede a quel figlio; si sbaglia se non si pensa a quello che è un bene per lui. Dobbiamo quindi educare il figlio e scoprire la propria vocazione.
I legami familiari sono un bene assoluto? A volte non si ha il coraggio a tagliare il cordone ombelicale. In che misura è importante? In ognuno di noi c’è una vocazione di esprimere la sequela di Gesù nel modo in cui siamo chiamati a vivere la nostra vita. Il rapporto con la famiglia viene messo in discussione perché c’è una vocazione da seguire.: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini!” (At. 5,29).
In “Onora il padre e la madre” vediamo solo l’obbedienza dei figli. Attraverso l’episodio del ritrovamento nel tempio, Maria e Giuseppe scoprono che c’è un progetto più grande a cui obbedire.
D.a
E’ molto sottile la differenza tra rispetto ed obbedienza. Se c’è qualcosa che non va nel rapporto con il genitore, comincia ad amarlo e qualcosa ritorna. Una cosa che mi mette in difficoltà come cristiana è: una cosa è il rispetto ed un’altra è non dimenticare l’insegnamento del genitore. Gli insegnamenti dei genitori non sempre sono giusti; posso continuare ad amarlo ma non posso dar seguito alle sue richieste. Anche san Francesco si è distaccato dall’insegnamento del padre e lo ha rifiutato per seguire una strada diversa.
C.a
Dobbiamo sentirci liberi di accogliere tutto e poi scegliere tra cose buone e cose non buone.
F.e
Il genitore vede nel figlio il quadro incompiuto. Anche noi vediamo nei nostri figli le mancanze che non riusciamo a trasmettere.
F.o
C’è la fase dell’abbandono che è necessaria anzi indispensabile. E’ una cosa fisiologica che deve succedere. Qualcuno lo fa accettando gli insegnamenti ricevuti, altri lo fanno rifiutando gli insegnamenti ricevuti. In entrambi i casi però lo si deve fare con amore. “E’ bello sentire dire che si possono usare le fruste nell’insegnamento verso i figli.” In alcune situazioni le “fruste” non materiali sono necessarie.
F.a
A scuola ho due ragazzini che vivono situazioni difficili di violenza in famiglia. Alunni che hanno visto la violenza e comprendono i torti dell’uno e dell’altro e in questa serenità vivono la consapevolezza della separazione e del perdono; anche attraverso maniere forti i genitori possono insegnare il rispetto.
R.a
Mia figlia mi ha detto un giorno: “io penso che quando tu morirai non posso venire al tuo funerale perché sono impegnata.” Con i miei genitori ho avuto un rapporto non buono anche se ora che sono malati gli siamo vicini. Penso quindi che trasmettiamo ai nostri figli le nostre scelte. Riesco ad onorare mia madre ma non amarla; lei è stata una donna dura anche se riconosco che ha fatto tanto per la nostra famiglia.
M.a
L’obbedienza è stata per me al massimo perché avendo perso papà a 3 anni ho avuto con i genitori i miei fratelli molto più grandi di me.
F.a
Compito più grande dei genitori è aiutare i figli a camminare con le proprie gambe; mi torna in mente il titolo del libro “Le radici e le ali” di mio cugino Giovanni; in queste due parole è concentrata la fatica e l’impegno dei genitori: oltre a saper dare loro il senso delle radici familiari con tutti i limiti che questo comporta, contemporaneamente porta l’idea di aiutarli a volare in maniera autonoma.
Dall’altro lato invece leggiamo nella Bibbia “pure se perdesse il senno”, ma non è facile onorare i genitori quando perdono il senno per la loro età. Ed è proprio sulla parola onorare che faccio fatica perché l’affetto e la tenerezza non vengono mai meno ma è difficile onorare una persona con cui non riesci ad avere una sintonia.
F.a
Ciò che supera tutto è “ama il prossimo tuo.” Riuscire ad amare anche chi non entra in relazione con noi supera tutte le difficoltà.
B.a
Ho perso i genitori che ero ragazzina; erano due persone eccezionali di cui tutti dicevano bene; onorarli ed amarli è andato per me oltre ogni limite. Nella mia vita familiare il peggio che dico a Pino è: “mio padre avrebbe fatto così!” Quando è nata mia figlia facevo con lei quello che mia madre faceva con me; all’inizio penso di aver sbagliato perché non ho rivisto i suoi insegnamenti ma li ho solo ripetuti. Frequentando questo gruppo e confrontandomi con gli amici, ho poi visto che usando più libertà nel rapporto con mia figlia, dandole più fiducia, c’è stato un ritorno; più l’ho lasciata libera, più si è avvicinata a me.
F.a
E’ una sfida educativa: “voi genitori non inasprite i vostri figli”; me lo chiedo quando devo dire alcune cose perché alcune cose vanno dette; avverto il fastidio che le mie figlie hanno nel sentire quelle cose; forse devo rispettare di più che il messaggio venga recepito con i loro tempi e non i miei tempi; forse Dio si serve di questo per insegnarmi la pazienza e la tenerezza.
F.o
E’ un mestiere difficile quello dei genitori: “tutti sanno come si fa ad educare tranne i genitori!” Si corre il rischio di non sapere cosa occorre fare; ci sono genitori che cercano di essere autorevoli e non autoritari: chi è autorevole si propone, chi è autoritario, si impone. Vorrei essere tra i primi e non tra i secondi. Occorre sempre mettersi in discussione perché siamo sempre in divenire; non siamo i più bravi ci sarà sempre qualcuno che è meglio di me; mi posso sbagliare: l’importante è mettersi in discussione. Bisogna essere capaci anche di dire “scusa” al figlio. Quando mi sento scoraggiato tengo presente il vangelo e osservo la Sacra Famiglia che è tutta anomala: Maria è madre prima del matrimonio, Gesù a 12 anni esce fuori dalla famiglia, Gesù va oltre, chiedendosi chi è mia madre? Il grande insegnamento è dalla parabola del Padre misericordioso: nel clima di 2000 anni fa, tanto diverso dal nostro, viene già suggerito un atteggiamento dove c’è libertà c’è rispetto c’è attesa. Gesù ci dice che non ci sono schemi precostituiti perché c’è la libertà di tornare indietro. Costanza Miriano nel suo libro dedica un capitolo all’obbedienza. Ne leggo le conclusioni:
Per cui ecco quello che ho imparato ancora una volta dai miei compagni dell’agnello, quelli dotati di prole più grande della mia: lavora su te stesso, sulla tua santificazione, sulla tua conversione, fallo seriamente, cerca di essere coerente meglio che puoi, essere convincente. Un figlio che vede un padre inginocchiarsi per la preghiera davanti a suo Padre, libero ma umile, non avrà più voglia di mancargli di rispetto. Un figlio che vede i genitori sforzarsi di assomigliare piano piano a Gesù avrà una gran voglia di stare con loro e anche seguirli perché li troverà incredibilmente attraenti (anche se ci saranno anni in cui si farebbero torturare pur di non confessarlo).
La seconda cosa che ho imparato è che se i figli vedono il babbo e la mamma divertirsi, è fatta. Due genitori che ridono fino alle lacrime (o come nel caso nostro un genitore che, imperturbabile, dice cose buffissime, e una genitrice che sghignazza) sono la garanzia che comunque la vita, anche da grandi non sarà poi così noiosa, e neanche tanto spaventosa, perchéi qualunque cosa accada andrà a finire bene: noi siamo a immagine e somiglianza del Capo Generale quindi siamo raccomandati.
La terza cosa che ho imparato è che a un certo punto la famiglia per i nostri figli non è più l’unico riferimento. Io lo sapevo, ne ero informata solo, che non pensavo che questo certo punto sarebbe arrivato subito dopo lo svezzamento (una quattordicina di anni dopo a dire il vero ma sono volati).
d.F.o
Stasera riflettiamo sul quinto comandamento non uccidere. Al giorno d’oggi si preferisce definire i comandamenti come le “dieci parole di Dio”.
In un’ottica positiva si può dire che il 5° comandamento significa: “voglio vivere”. Faremo riferimento anche ai temi attuali come la pena di morte, l’aborto, l’eutanasia.
Cosa significano per noi questi concetti? In Israele era una cosa ovvia uccidere in guerra a tal punto da non rispettare anche le donne e i bambini. Ad un certo momento si è arrivati persino a dire che si doveva ripagare questa colpa con la stessa pena: “uccidere per uccidere”, la legge del taglione. Gesù invece ci indica una nuova direzione. Nel discorso della montagna ci dice: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.” (Mt,5-21-22).
Gesù non abolisce il quinto comandamento ma lo completa perché viene ad aggiungere un significato nuovo. È troppo poco dire “non uccidere”; lui vuole portarci a vivere una relazione che vale anche al di là della vendetta. Gesù dice che non solo va protetta la vita ma occorre dare valore alle persone. Gesù ci mette di fronte ad un atteggiamento diverso.
Papa Francesco nella Evangelii Gaudium dice: “la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. … La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” (EG, 169). L’altro quindi è terra sacra ed è l’atteggiamento che dobbiamo assumere. La collera alimenta una dimensione ostile. In aramaico la parola “stupido” era usata dai rabbini per umiliare le persone e schiacciarle.
Anche nella nostra situazione politica odierna ci stanno togliendo la speranza. Vediamo intorno a noi giovani senza vita. Ci vogliono togliere la speranza perché l’uomo senza speranza è morto. In aramaico dire raca (stupido) era un abuso di potere; i rabbini lo facevano per tenere sotto scacco il popolo. Dire pazzo ad una persona equivaleva ad escluderlo dalla vita comunitaria come i lebbrosi che venivano considerate persone morte.
Il quinto comandamento per il nostro tempo dovrebbe significare anche la tutela della vita ed il rispetto della dignità personale.
Papa Francesco ancora ci dice: “Se tu hai fatto qualche cosa di bene hai già guadagnato la tua vita”.
Può succedere nelle comunità parrocchiali che qualcuno si senta allontanato, escluso, emarginato. La diversità può creare difficoltà ma crea anche armonia.
Riferiamo questo comandamento anche alla pena di morte ed all’aborto. Leggiamo ancora Papa Francesco nella Evangelii Gaudium: “Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo.” (EG, 213). “Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà.” (EG 214)
Non basta solo non uccidere ma occorre rispettare in ogni momento; per esempio quando siamo alla guida mettendo a rischio la vita degli altri se ci comportiamo in modo scorretto.
Un’altra lettura da dare a questo comandamento è nel rapporto con gli altri per esempio con la violenza psicologica che vale anche nell’ambito della famiglia. Il Catechismo della Chiesa Cattolica cita anche il mobbing, che si manifesta all’interno delle aziende ma che può trovarsi applicato anche nelle famiglie.
Possiamo estendere il concetto ancora di più alla calunnia o al ridicolizzare qualcuno. Non basta dire “non uccidere” ma dobbiamo dire “voglio vivere” ed anche “lasciar vivere”. Tutto ciò che è dono : accogliere ciò che Dio ci ha dato e mettere in esercizio i talenti e le nostre qualità e far sì che portino frutto. Gesù ci dice che non basta rispettare se stessi ma che dobbiamo amare i nostri nemici. Al capitolo V di Matteo ci dice: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,43-45). “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra” (Mt. 5,38-39). “affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt.5,45).
Non esisto solo io ma anche gli altri. Il rispetto della dignità dell’altro è anche accogliere l’altro per quello che è.
F.o
L’argomento a cui ci stiamo dedicando stasera è immenso. Per facilitare la discussione abbiamo preparato uno schema (allegato). Apriamo con l’immagine di Caino ed Abele; l’uccisione di Abele è il secondo peccato raccontato della Bibbia: prima il peccato contro Dio, poi contro l’uomo. Dall’origine ci viene ricordato cosa può essere, cosa può diventare il rapporto di un uomo verso l’altro.
Nello schema abbiamo suddiviso le “uccisioni” in quelle palesi e quelle nascoste.
Abbiamo riportato anche una frase di Gandhi, che non è un cristiano ma un uomo di fede che ha fatto della “non violenza” lo stile della sua vita: “io e te siamo una sola cosa non posso farti male senza ferirmi”.
Adamo ed Eva alle origini sono stati creati “uno di fronte all’altro”; in questo rapporto si può avere un incontro ma si può anche arrivare ad uno scontro.
L.a
Nell’elenco delle “uccisioni palesi” una voce che mi colpiva e che potrebbe non essere immediatamente associato al quinto comandamento è quella relativo ai disastri ambientali, sia quelli che sono nascosti come per esempio la terra dei fuochi sia a quelli che sono più visibili come le industrie, Taranto per esempio. Non solo non uccidere quindi ma anche fare qualcosa perché la natura non sia la causa di un omicidio anche se indiretto.
Anche la corruzione uccide perché toglie la speranza a chi cerca un lavoro, a chi vuole aprire un’attività. Quindi anche questa si può considerare una forma indiretta di uccisioni dell’uomo
F.o
Come medici ci sentiamo vicini a questo argomento perché lottiamo ogni giorno al confine tra la vita e la morte. E’ una scelta a cui a volte bisogna arrendersi: cosa dire ad un padre di un ragazzo di 28 anni colpito da un tumore senza possibilità di guarigione? Non si riesce a dire nessuna parola. Ricordiamo però anche una ragazza di 19 anni Chiara Luce Badano, colpita da un tumore in giovane età, ha offerto la propria vita ed è morta nella gioia per dare agli altri una riferimento. Anni fa ho dedicato attenzione a diffondere a Napoli l’associazione A.N.T. per la lotta contro i tumori; questa associazione si occupa non solo di trovare fondi per la ricerca ma anche di accompagnare i malati di tumore nelle fasi terminali; questi vengono assistiti nelle proprie case per vivere le ultime fasi della propria vita; è quindi un’azione opposta all’eutanasia perché cerca di attuare l’Eubiosia, la ricerca cioè “delle qualità che conferiscono dignità alla vita”
L.a
Ancora tra le uccisioni nascoste possiamo inserire il fatto di non saper perdonare. Quando infatti non si sa concedere il perdono, si uccide la circolazione dell’amore. Racconto la mia personale esperienza: non mi ero accorto che mio fratello era rimasto colpito da qualcosa che gli avevo detto o fatto. Ho dovuto dare fondo a tutta la mia pazienza nel rimette in circolazione l’amore tra me e mio fratello. Sentivo di averlo perdonato ma mi è rimasto sempre qualcosa che mi diceva che non tutto era chiuso. Mi sono affidato a Dio perché lui mi aiutasse a risolvere questa situazione. Quando a Natale ci siamo incontrati dopo tanti anni, ho sentito che tutto era stato risolto. Dio aveva colamato il vuoto che c’era tra noi: io ho fatto un poco ma Dio invece ha fatto tanto.
R.a
Frequentando l’associazione “Carcere Vivo” ho avuto modo di incontrare in un colloquio a Poggioreale, una persona che aveva commesso un omicidio. Ho avuto difficoltà ad incontrarlo, come ho fatto invece con altri detenuti, perché non mi riusciva di non pensare a quello che aveva compiuto. Mi ha raccontato che lui era stato soggetto a mobbing nel suo lavoro; durante il nostro mi ha spiegato quello che aveva dentro e che lo ha portato a compiere un gesto inconsulto. Ho incontrato in fondo una persona razionale ed ho pensato come poteva essere diversa la sua vita se fosse stato aiutato. Mi ha chiesto di scrivere una frase che fosse un mio memoriale: “ai tuoi problemi quante altre soluzioni.” La domanda che ora mi pongo è come ci confrontiamo con questi problemi
R.a
Frequentando l’associazione “Carcere Vivo” ho avuto modo di incontrare in un colloquio a Poggioreale, una persona che aveva commesso un omicidio. Ho avuto difficoltà ad incontrarlo, come ho fatto invece con altri detenuti, perché non mi riusciva di non pensare a quello che aveva compiuto. Mi ha raccontato che lui era stato soggetto a mobbing nel suo lavoro; durante il nostro mi ha spiegato quello che aveva dentro e che lo ha portato a compiere un gesto inconsulto. Ho incontrato in fondo una persona razionale ed ho pensato come poteva essere diversa la sua vita se fosse stato aiutato. Mi ha chiesto di scrivere una frase che fosse un mio memoriale: “ai tuoi problemi quante altre soluzioni.” La domanda che ora mi pongo è come ci confrontiamo con questi problemi
F.o
Queste domande ci vengono dentro perché ci devono inquietare anche perché spesso non abbiamo una risposta. E’ l’inquietudine che ci spinge, a cominciare da noi stessi, da me personalmente. Dobbiamo riscoprire di essere responsabili, di dover rispondere del mio fratello. Non per nulla Caino risponde al Signore: “sono forse il custode (responsabile) di mio fratello?”. Mi colpiva anche l’insistenza con cui Papa Francesco ci invita ad evitare le chiacchiere, la calunnia, fino a definirle “omicidio a sangue freddo”, in quanto attenta al buon nome, alla fama del fratello.
L.a
Nel programma di Benigni sui Dieci Comandamenti, abbiamo sentito sottolineato: “fai vivere la vita in ogni forma”. Tante persone, anche molti di noi hanno a casa familiari anziani che vanno rispettati ed aiutati. Come cristiani dobbiamo essere l’animo della società. Non vanno uccise la dignità delle persone ma vanno rispettate anche nelle loro diversità.
P.a
La risposta a questa domanda sta nella nostra scelta quotidiana. Dobbiamo sempre tendere a migliorare
Prestiamo attenzione alla differenza tra eutanasia ed accanimento terapeutico; a volte si sottopongono i malati a delle cure anche senza speranza procurandogli dolori atroci solo per lo scopo di esplorare i potenziali miglioramenti.
S.a
Di fronte ai danni della vita è importante sottolineare perché il Signore permette che viviamo questi drammi. Ho preparato recentemente una meditazione sull’agonia di Gesù nel Getsemani; Gesù ha sofferto ed è stato tentato di allontanare il dolore; ma quando ha scoperto la figliolanza ha allora scoperto la comunione con il padre. Nei drammi della vita noi cristiani dobbiamo comunicare il valore della vita; nel riconoscere la paternità di Dio c’è la scelta del “non uccidere”.
Il pregare per il nemico diventa un bene per l’intera società.
F.o
Se si ha una sofferenza grande dentro non si riesce a perdonare. A volte anche l’omicidio nasce da grandi sofferenze; ognuno di noi si rende conto che in alcune condizioni, in alcuni stati dell’animo si trasforma totalmente.
T.o
Ancora, nel programma di Benigni, abbiamo sentito che “non uccidere” nasce da una mancanza di relazione. Si legge nella Bibbia che Caino ed Abele non si sono mai parlati tra di loro. Tante cose possono essere superate con il dialogo. Per esempio quello che è successo in questi giorni in Francia ci ha sconvolti tutti. Ma pensiamo anche che Israele e Palestina non riescono a mantenere un dialogo aperto e collaborativo ed anche se si fanno dei tentativi poi subito dopo questi sono rotti dai fatti successivi.
F.o
Meditando sul comandamento “Non uccidere”, mi ha molto colpito un episodio accaduto a Corigliano Calabro così come riportato da un giornale. È stata arrestata una coppia che aveva finto un incidente stradale ed in cui il feto in grembo alla donna era morto. Dopo indagini si ipotizza ora che la gravidanza era stata pensata ed attuata proprio al fine di creare questo incidente per ricevere i soldi dell’assicurazione; sembra addirittura che esista un organizzazione che arrivi fino a questo punto. È quindi diabolico pensare di manipolare la vita a tal punto ed a proprio piacimento solo ai fini di ricavarne un guadagno.
P.a
Pensiamo anche alle persone che sono morte a Lampedusa ed alle tante stragi di cui i giornali e la televisione ci raccontano; dovremmo dare dei segnali forti ed invece cosa facciamo? Come ci muoviamo?.
L.a
Siamo così abituati alla morte che questi fatti non ci sembrano più reali ma episodi solo visti alla televisione. La tragedia non ci tocca più perché non ci fa male e non ci colpisce direttamente. I mass media fanno bene a portare queste notizie ma sono così tante che ci arrivano che a questo punto non ci fanno più impressione.
P.o
Abbiamo un grande nemico nell’economia che per il suo interesse non rispetta la vita.
D.F.o
Dobbiamo prendere coscienza dei mali che ci sono. Noi cristiani siamo chiamati ad annunciare. Cosa possiamo fare? Per risolvere queste cose non possiamo di certo far niente ma dobbiamo vivere la logica del seme che deve crescere al male: il grano insieme alla zizzania. Possiamo prendere insegnamento dalla Polonia che per abbattere l’oppressione del comunismo, con costanza non ha mai mollato a vivere nella fede; non è stata una rivoluzione ma una costante dedizione a una scelta di fede che ha sgretolato la roccia che pesava su di loro. Il pessimismo ci schiaccia: se vogliamo togliere il male rischiamo di togliere anche il bene; se ognuno fa un poco, insieme diventa qualcosa di buono.
F.o
Questa avidità può condizionare la vita civile e la vita di fede; gli inchini che si fanno davanti alla casa del boss sono infiltrazioni che diventano complicità. Là dobbiamo essere attenti come chiesa anche a costo di fare dei tagli netti. Ascoltiamo con quanta frequenza ed irruenza il Papa si scaglia contro la mafia; come chiesa come credenti è un compito che dobbiamo prefiggersi per annunciare la verità. Gesù poteva cambiare il mondo, diremmo a colpi di bacchetta magica, ma era la tentazione del demonio. Lui ci ha indicato di vivere e di morire per queste difficoltà. Essere se stessi fino a dare la vita. È nella mentalità di molti che la vita non vale niente a cominciare dalla propria vita. La riflessione che dobbiamo fare è di essere sempre più la chiesa dei poveri.
P.a
C’è una considerazione degli immigrati ad un livello bassissimo; dobbiamo essere educati e dobbiamo educare ad un rispetto per queste persone in difficoltà; non dobbiamo pensare solo a noi che forse riusciamo ad avere questa consapevolezza. Ma ci sono tanti che non hanno questa sensibilità.
S.a
Multe di queste persone che vengono da fuori sono più capaci di noi di dedicare tempo per esempio ai nostri anziani
d.F.o
Pensando in negativo subito ci troviamo d’accordo mentre voler pensare al positivo ci troviamo in difficoltà perché. Ci sono cose da combattere ma l’unico metodo è quello di vedere il positivo. Come possiamo difendere? A molti desta più scalpore una persona serena che mille parole scagliate contro il peccato. Con pazienza e calma si hanno più risultati che incolpare gli altri quasi con anatemi.
P.o
Pensiamo alla parabola dei pani e dei pesci; questa ci ricorda che un piccolo contributo può saziare una moltitudine con l’aiuto di Cristo che trasforma. Siamo chiamati ad agire nel nostro piccolo.
F.a
Ci siamo allargati nella discussione sui grandi temi. In quelle che abbiamo chiamato”uccisioni nascoste”, mi colpiva “se non rimuoviamo le difficoltà di dialogo”. Questo sono dei grossi ostacoli. Quando si uccidono i rapporti, la reazione è la chiusura. È il voler stare tranquilli chiusi nel proprio guscio. Ringrazio Dio di avere una famiglia, la mia famiglia che mi consola ed in cui mi rifugio; però la chiusura è un rischio.
A.a
Non si ci riesce a stare dietro all’invidia di quelli che puntano alle tue piccole cose. Nella mia storia lavorativa, sono medico incaricato della concessione dei sussidi, ho ricevuto spesso il comando di tagliare i fondi e di non concedere i sussidi. Sono stata molto in crisi a tagliare i contributi dove vedevo una realtà di fame. Ho sofferto tanto di questa situazione ed ero emotivamente coinvolta dalle persone a cui dovevo togliere il pane. Sono poi passata ad un altro incarico ed ho dovuto sopportare l’invidia e l’ironia dei colleghi per aver ricevuto questo incarico. Non sopporto la malattia delle chiacchiere come risposta al giudizio. Un giudizio a volte può essere anche giusto ma invece non dovrebbe esistere per niente.
In seguito ai due incontri di gennaio e febbraio, riflettendo sul 5° comandamento “Non uccidere”, si era deciso di approfondire il tema sui conflitti in famiglia che sono spesso la causa che porta alla rabbia, all’aggressività ed alla violenza. Primi passi verso qualcosa di sempre più grave ma che sconvolgono la famiglia da una vita sereno, sia personale che di coppia. E’ stato chiesto perciò al prof. Antonio Gentile di affrontare questo tema dando alcuni spunti di riflessione. Antonio ha soffermato la sua attenzione specialmente sui conflitti e sulla gestione dei conflitti.
Nei due allegati qui presenti, potete leggere sia le note che Antonio ci ha lasciato, sia la trascrizione della registrazione effettuata durante la serata.
d.F.o
Parliamo stasera del sesto comandamento: i comandamenti, che possiamo definire anche come “le dieci parole”, è la parola che si incarna. Questo comandamento nel testo della Bibbia è: “non commettere adulterio” ma nella nostra memoria resta l’altra formulazione “ non commettere atti impuri”. Si potrebbe pensare che è stato un po’ deformato, ma anche la nuova proposizione è inerente al concetto. Nel passato è stato presentato anche come “Non fornicare”. “Fornicare” viene dai fornici che sono le aperture delle strade e dei palazzi dove la gente si nascondeva proprio per commettere adulterio. La formulazione che troviamo nel catechismo pone l’ attenzione sull’atteggiamento che abbiamo nei confronti dei pensieri impuri.
Cosa è l’adulterio nella Bibbia? La donna era proprietà dell’uomo; un uomo sposato che si univa ad una donna libera non commetteva adulterio mentre una donna sposata commetteva adulterio in ogni caso.
La donna era quindi proprietà dell’uomo: in proverbi al capitolo 5 leggiamo: «Tieni lontano da lei il tuo cammino e non avvicinarti alla porta della sua casa, per non mettere in balìa di altri il tuo onore e i tuoi anni alla mercé di un uomo crudele, perché non si sazino dei tuoi beni gli estranei, e le tue fatiche non finiscano in casa di uno sconosciuto e tu non debba gemere alla fine, quando deperiranno il tuo corpo e la tua carne» (Prv. 5,8-11)
L’adulterio era una rovina anche economica. Nella Chiesa l’adulterio è legato alla lussuria. Anticamente invece era più una difesa nei confronti della proprietà. Ci sono tante citazioni nella Bibbia (Levitico, Deuteronomio) circa l’adulterio. Nell’Antico Testamento nella relazione di coppia, l’adulterio non è una trasgressione sessuale ma è un’offesa alla coppia. Un’offesa alla comunione di intenti tra due persone, tra l’uomo e la donna. Se vivi una relazione di amore, se sono soddisfatto del mio matrimonio, non cerco altrove piacere o diversivo.
Il sesto comandamento si rivolge a chi vive la relazione di coppia suggerendo non il “non commettere adulterio” ma sull’essere fedele. Quindi il mio partner non devo considerarlo/a un soggetto, ma una persona che amo e a cui mi mantengo fedele.
La fedeltà è lo spazio nel quale la coppia cresce e questo non esclude che con il tempo si cambi. All’interno della vita di coppia c’è sempre un cambiamento e una crescita.
Gesù dice «avete inteso che fu detto, ma io vi dico«. Gesù cambia le regole della prescrizione ebraica e giudaica. Salvaguarda l’uomo e la donna dagli sguardi impuri.
Mette in evidenza che la voglia di possesso di qualcosa che non ti appartiene non può far parte di un legame stabile e fedele. Gesù riporta a quello che era il concetto primordiale di Dio: «quello che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi».
Quanto è importante il valore della fedeltà! Nell’essere fedeli, l’amore mette le radici nella vita di coppia. Quando si entra in crisi ma si continua ad affermare «io voglio essere fedele!» c’è la possibilità di recuperare un dialogo e ristabilire il rapporto rotto. «Anche nel periodo di crisi continua ad amare!» Mettiamoci dalla parte dell’amore. Quando sono fedele si aprono spazi di fiducia, l’altro si sente accolto e protetto. Il cuore dell’uomo e della donna è sempre lo stesso: ciascuno desidera essere amato.
Dio attraverso questo comandamento che cosa vuole dirci? Dio difende il legame che si forma tra due sposi e lo protegge da chi vuole metterlo a rischio. Il legame di una coppia non può essere spezzato da altri. Questo comandamento mi mette in guardia dal non separare l’amore dalla sessualità. Se la coppia sente che attraverso la sessualità si forma e si alimenta il legame, andare in crisi diventa più difficile. Anche il sacerdote è capace di comprendere i problemi dei rapporti coniugali anche se non si li vive. La sessualità non viene a sminuire il legame di coppia ma a rafforzarlo.
Nel vangelo di Giovanni possiamo leggere il racconto della donna adultera (Gv. 8,1-11).
Può accadere che nel tempo si cada in errore per tante ragioni, anche fortuite; il tradimento di un legame può essere qualcosa che si frappone nell’unione della coppia: ma nella fedeltà, nell’essere fedeli al coniuge che è manifestazione dell’amore di Dio, se succede un errore c’è anche il perdono. Non significa permettere di sbagliare ma significa avere la capacità di perdonare. Nell’episodio dell’adultera Gesù ribalta la situazione: «chi è senza peccato scagli la prima pietra». Forse anche quegli uomini erano stati con la donna e ora si sentono in dovere di condannare la donna ma di non condannare loro stessi. Gesù ci chiede di guardare nella nostra coscienza prima di giudicare gli altri. Nella relazione di coppia oltre alla fedeltà dobbiamo essere pronti a perdonare le colpe per vivere in pienezza il dono dell’amore di Dio.
M.o & F.a
Il sesto comandamento è, insieme al nono, quello che più ci interpella non solo come singoli ma come coppia.
La sua formulazione nel libro dell’Esodo risulta: Non commettere adulterio che poi nel catechismo della chiesa cattolica è diventato “Non commettere atti impuri”. Non è certamente una correzione o una modifica all’originario significato del comandamento, ma un’interpretazione più larga che include anche la visione neo testamentaria introdotta dall’insegnamento di Gesù.
Purtroppo questa formulazione più ampia, che racchiude tutta la dinamica della vita sessuale, ha scatenato una doppia reazione: sia da parte della chiesa, in periodi bui, sia da parte dei suoi contestatori, e ha fatto coincidere il sesso con il peccato.
Nella Bibbia la sessualità è il luogo della Creazione. Sin dalle prime pagine della Genesi leggiamo: “Dio creò l’uomo a sua immagine … maschio e femmina li creò”.
E il primo comando che Dio dà all’umanità è: “Crescete e moltiplicatevi”, aperto invito ad esercitare il dono della sessualità che Lui aveva donato all’umanità.
Il catechismo della Chiesa cattolica, esaminando questo comandamento, passa anche in rassegna i tanti temi legati alla vita sessuale dell’uomo, ai suoi problemi, e fa un’analisi dettagliata di tutto quello che riguarda la sfera sessuale ed i suoi comportamenti corretti e sbagliati.
Noi vorremmo invece dedicare la nostra attenzione alla formulazione che troviamo nell’Esodo. Così come abbiamo fatto anche per gli altri comandamenti, vogliamo vedere come tradurlo in un linguaggio più semplice che abbracci tanti aspetti della nostra vita personale e di coppia.
La formulazione originaria “Non commettere adulterio” si presenta, per i tempi in cui è stato scritto, come una novità fondamentale. Mette, infatti, una regolazione al concetto, ovviamente altamente maschilista, della donna considerata come proprietà dell’uomo. L’uomo poteva disporre del suo destino ed aveva potere su di lei. Il significato del termine, proveniente dal verbo adulterare, è quello che noi indichiamo come “perdere la purezza”, “contaminare” così come facilmente definiamo adulterato un alimento non buono. Quindi possiamo dire che il significato può essere: “Non sporcare la tua vita”.
La condanna dell’adulterio si rivolge sia all’uomo che alla donna, impedendo il rapporto con un uomo o una donna sposata. E’ un invito alla responsabilità della discendenza, che era tanto fondamentale per gli ebrei. Il rapporto singolo, unico con il proprio marito e la propria moglie impediva la dispersione della discendenza.
Era quindi una sconvolgente novità per l’epoca: la donna, proprietà esclusiva prima della famiglia, poi dell’uomo, veniva liberata.
Non fu facile accettare questo comandamento, tanto che Gesù più volte ha dovuto sottolineare che egli è venuto non per modificare ma per completare la legge, e ci dice: «Avete inteso che fu detto “Non commettere adulterio” ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore».
Già Mosè, per la durezza del cuore del suo popolo, aveva dovuto aggiungere altre regole che in qualche modo attutivano il significato originario del comandamento facendo alcune concessioni. Per inciso possiamo ricordare che anche Giuseppe si trovò nel dilemma di ripudiare Maria in segreto, cosa quindi possibile nella legge e nelle usanze del tempo.
Nel vietare i rapporti carnali con un uomo o una donna sposati, lo spirito del comandamento era quindi non solo e non tanto proteggere il matrimonio e la famiglia, ma salvaguardare nella sua fonte l’amore e la sua più alta qualità: la fedeltà.
Quindi possiamo subito dare un’interpretazione positiva al comandamento “Non commettere adulterio” leggendolo come “Sii fedele”.
Infatti, se guardiamo all’episodio dell’adultera nel vangelo di Giovanni, Gesù dice «Non ti condanno ma va e non peccare più», quindi “sii fedele”. Il comandamento ci dice che l’amore va protetto e quindi non dobbiamo separare l’amore dalla fedeltà.
Ne è una bellissima espressione il libro del Cantico dei cantici che è un inno all’amore, il canto di un giovane e di una giovane che cantano la bellezza del loro incontro e dell’amore che scambievolmente si donano.
Nel nome stesso di Dio possiamo trovare il concetto di fedeltà; Iavhe, che significa “Io sono ed io ci sarò”, può essere interpretato come: qualunque cosa accada io ci sono ed io ci sarò sempre con te. E’ la stessa alleanza che Dio ha stipulato con l’uomo, patto al quale non è mai venuto meno, che include il concetto di una fedeltà eterna alla promessa fatta.
E’ un invito, o un comando, a non tradire chi hai detto di amare, e a non violare il legame che ci unisce.
Questo comandamento si applica alla nostra vita di tutti i giorni attraverso la fedeltà e la castità.
Ed esaminiamo ora questi due concetti per non rimanere nel vago e pensare che, parlare di adulterio, sia qualcosa di lontano da noi, che non ci riguarda.
Innanzitutto la fedeltà. Non pensiamo solo al tradimento con un uomo o una donna, ma applichiamo l’idea di fedeltà alla vita di tutti i giorni. Nel giorno del nostro matrimonio ci siamo promessi innanzitutto di accoglierci l’uno l’altro (è questa la nuova formula, tutti noi abbiamo forse detto: “prendo te” ma è lo stesso). Accoglierci in ogni circostanza che la vita ci può riservare, la buona e la cattiva sorte, la salute e la malattia; e di amarci e rispettarci.
La fedeltà quindi non può riguardare solo il tradimento inteso come il rapporto con un’altra donna o uomo. La fedeltà si esprime in tante piccole cose che riguardano l’attenzione all’altro, appunto l’accoglienza dell’altro nelle sue necessità, nei suoi bisogni, dichiarati o nascosti.
Nel catechismo leggiamo (punto 2381): «L’adulterio è un’ingiustizia. Chi lo commette viene meno agli impegni assunti. Ferisce quel segno dell’Alleanza che è il vincolo matrimoniale, lede il diritto dell’altro coniuge e attenta all’istituto del matrimonio, violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell’unione stabile dei genitori».
Agli incontri del percorso dei fidanzati dedichiamo una serata in cui esaminiamo quelle che noi chiamiamo le “mine” sulla vita della coppia. Ed insieme esaminiamo con loro anche le e-vitamine. Le prime sono gli ostacoli che si frappongono e che ci possono portare a tradire la fedeltà promessa: la trascuratezza, la pigrizia, la gelosia, il disimpegno; ma anche le dipendenze dal gioco, dai vizi, dall’alcool. Tante di queste fanno parte di noi e minano la nostra fedeltà, senza arrivare al tradimento tradizionalmente inteso.
E diamo anche dei suggerimenti su come evitare queste mine con verbi al positivo: coltivare un progetto comune, rivivere momenti belli, ritagliarsi momenti personali, saper perdonare e riconciliarsi.
Noi ricordiamo sempre ai fidanzati che quello che diciamo loro lo ripetiamo anche a noi stessi e diventa per noi uno stimolo a vivere questi valori anche dopo anni di matrimonio. Questo impegno è, infatti, innanzitutto una buona scuola per noi stessi. Il concetto di castità implica invece l’essere fedeli al rispetto dell’altro. Castità non è solo astinenza, ma è anche ricerca di soddisfare il desiderio dell’altro e attenzione alla persona che ci è accanto.
Sempre dal Catechismo leggiamo: «Ogni battezzato è chiamato a condurre una vita casta, ciascuno secondo lo stato di vita che gli è proprio. … La castità significa l’integrazione della sessualità nella persona. Richiede che si acquisisca la padronanza della persona».
E nella Gaudium et Spes è scritto: «Gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi».
E’ possibile dunque vivere ed esercitare la castità all’interno della nostra vita matrimoniale se alla base della nostra unione c’è il rispetto reciproco.
E vogliamo concludere con due proposte: la prima è leggere una frase dal Talmud che è una raccolta di commenti rabbinici scritta nel IV e V secolo dopo Cristo.
La frase dice: «State molto attenti a far piangere una donna perché Dio conta le sue lacrime! La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi, infatti non doveva essere calpestata; non è uscita nemmeno dalla testa per essere superiore all’uomo; ma dal fianco per essere uguale, un po’ più in basso del braccio per essere protetta, e dal lato del cuore per essere amata».
In quest’affermazione possiamo leggere tutta la tenerezza e l’amore con cui dobbiamo alimentare il nostro rapporto di coppia per amarci l’un l’altro.
L’altra proposta è di concludere il nostro incontro proclamando ancora una volta la promessa di matrimonio. Noi abbiamo reso questo appuntamento annuale, come impegno per rinverdire la promessa che ci siamo scambiati tanti anni fa. Stasera vogliamo confermare che la nostra scelta non è solo rispettare il comandamento “Non commettere adulterio”, ma alimentare giorno per giorno il nostro rapporto di coppia e la nostra vita condivisa. Interroghiamoci soprattutto cosa significa per ciascuno di noi essere fedeli.
F.o
L’argomento di stasera è molto bello perché è fondamentale nel rapporto di coppia. Tratta di due concetti e lo fa in maniera positiva: la fedeltà e la castità; due parole che al giorno d’oggi sembrano fuori moda. Viviamo in una in una cultura che nega sia la fedeltà sia la castità. Gli studi ci dicono che il 70% dell’umanità ha nel suo DNA il gene della infedeltà. Quindi sembra che non abbiamo la capacità di essere fedeli e questo non solo nel campo sessuale. Essere fedeli diventa quindi una scelta, ed è quello che tentiamo di proporre ai giovani innamorati che incontriamo mensilmente; ma nello stesso tempo lo proponiamo anche a noi. Come favorire questa scelta in una cultura che non ha più rispetto per la sacralità? L’unione della coppia è già sacramento e quindi non rispettare l’unione è già profanare il sacramento. La cultura attuale propone il cambiamento e l’infedeltà. Qual è la scelta che ci qualifica? È la scelta dell’amore come qualcosa che ci supera e ci travalica. Come anche è la scelta di fede che va contro la ragione ed i sensi. Anche questa scelta, che appartiene a Dio, è comprensibile solo in una scelta che va aldilà. Il comandamento dice di non rompere un unità uomo-donna che si sono scelti nel matrimonio perché sono immagine dell’Unità che è Dio stesso. Per costruire questa unità si devono riscoprire tante cose che non è solo la sessualità genitale ma anche la tenerezza, l’affettuosità, il rapporto vissuto con amore. Contattando i giovani innamorati e farsi coinvolgere dalla loro freschezza, ci aiuta a rinfrescare noi stessi e la nostra unione. Bisogna saper cogliere le spie di avvertimento, come quando si sente il calo del desiderio. Un sacerdote ci ha detto una volta che il matrimonio si celebra su tre altari: quello della Chiesa, quello della mensa, e quello del letto coniugale. IL matrimonio è completo e fecondo e quindi dura, se sappiamo renderlo vivo su questi tre altari.
L.a
Avverto un urgenza: tutta questa bellezza, questa grazia non può rimanere tra noi. Come si fa allora a trasmetterlo ai nostri giovani? Approfondire questa realtà significa arricchirci così tanto da farlo vedere ai nostri giovani per farli innamorare dell’amore. Spetta a noi far vedere come è bello amarsi, Dio non ha altri mezzi, altri metodi. Oggi è venuto meno questo patto coniugale tanto che i nostri giovani non scelgono neanche il matrimonio civile. In questo vuoto di valori nessuno riesce ad essere più se stesso. Dio ci chiede che questa bellezza dobbiamo farla vedere. È una grande responsabilità non solo per noi ma anche per l’umanità tutta. Avvertiamo e vediamo che i giovani fidanzati sono sempre più spenti nella gioia. E’ nel sacramento che si incardina la fedeltà e la castità. Se queste scelte non so radicate, su cosa si incardina il matrimonio se è fatto al di fuori di un percorso di fede?
F.o
Il discorso sta ora centrandosi sulla fedeltà. Negli Stati Uniti, la peggiore presentazione per un candidato alla Casa Bianca è l’infedeltà. Perché chi è infedele nella famiglia tradirà anche la patria. Interroghiamoci sul significato che diamo al matrimonio. Dobbiamo considerare il matrimonio come scelta di vita, in modo che anche quando si arriva ad un’età in cui scompaiono le pulsioni, si riesce comunque a condividere la propria scelta e la condivisione della compagnia. Quindi la fedeltà è anche fedeltà a un progetto. Quello che manca è l’idea del matrimonio come progetto di vita. Ho letto anni fa un libro di Papa Wojtyla “Amore e responsabilità”. La persona umana ha una dignità e non può essere quindi un mezzo ma deve essere il fine. Dobbiamo guardare quindi in maniera diversa alla sessualità.
R.a
Ho avuto nella mia adolescenza delle persone che sono state un riferimento per me ancor più dei miei genitori; recentemente le ho incontrate ed ho avuto modo di dirgli: “siete stati la mia coppia modello”. Ci sono tante coppie che trasmettono un’idea triste di matrimonio vissuto solo come compagnia. Il matrimonio viene vissuto in una maniera pesante e faticosa
L.a
È difficile sopportare i cambiamenti. La coppia cambia e non si non ci si accetta più. Viviamo il tempo del pensiero liquido. Non ci si attacca, non si mettono radici, non si è neppure legati alla propria terra. Tutto è unito alla provvisorietà. Il tradimento quindi è quello di non far vedere che il nostro matrimonio è vitale come primo giorno.
R.a
Non dobbiamo sempre dare l’idea di essere una famiglia come quella del Mulino Bianco. Molti dicono della mia famiglia: “sei fortunata”, ma dietro questo c’è anche un sacrificio e uno sforzo.
S.o
Sto leggendo che la Chiesa si sta aprendo al discorso dei separati. Da laico comprendo che è un fatto positivo; da un altro punto di vista contraddice al concetto di matrimonio come sacro vincolo. Occorre scegliere dalla Bibbia brani più adeguati per parlare ai giovani con facilità; in questo è più vicino a noi il Vangelo che non l’Antico Testamento. Un giovane difficilmente riesce a far sua una lettura dell’Antico Testamento.
B.a
Uno dei tradimenti più forti è quello di perdere l’entusiasmo dell’inizio. All’inizio eravamo gioiosi. Ricordo queste sensazioni di gioia. Presi dalla stanchezza, ci dimentichiamo di questo entusiasmo. Io ogni giorno ripenso a come fare; di certo non posso tornare a quella che ero trent’anni fa, ma cerco almeno di riavvicinarmi. Cercare le modalità di ritrovarsi insieme nella semplicità e nella intimità della famiglia
L.a
È la forza del sacramento chi mi aiuta a superare le difficoltà.
d.F.o
Se ci crediamo, ci affidiamo alla grazia del sacramento. Non si pensa, e quindi non si crede abbastanza, al matrimonio come sacramento. Il matrimonio è in crisi perché le coppie non sono più capaci di dare testimonianza. Ripensate alla preghiera che Abramo fa per salvare Sodoma. Chiede di salvarla se sono trovate 50 persone buone. E piano piano scende fino a 5 persone. Ecco, se ci fosse una sola coppia che vivesse il segno sacramentale del matrimonio, il matrimonio esiste ancora. Dio va oltre e guarda le tante coppie belle che ci sono. Stiamo attenti a comprendere cosa è l’infedeltà: non è solo il tradimento con un’altra donna o un altro uomo, ma passa anche attraverso la trascuratezza, per esempio all’attaccamento al computer e quindi al disinteressamento dell’altro. Guardiamo le cose al positivo: che cosa ci unisce? Partire dalla grazia del sacramento ed arricchirsi delle tante cose che sono dentro di noi.
F.o
“Nella buona e nella cattiva sorte”, come ci siamo detti nella nostra promessa di matrimonio, possiamo applicarlo anche ai cambiamenti che possono avvenire. E’ la grazia sacramentale che ci spinge a cercare la preghiera condivisa e a scoprire la presenza reale del Signore nella nostra coppia. Il matrimonio, come ci siamo detti tante volte si fa in tre con il Signore che aiuta a mantenere il nostro legame. Oltre al legame deve sostenerci la misericordia reciproca e su tutto questo Gesù che ci dice: “va e non peccare più”.
M.o & F.a
Riprendiamo il discorso sul sesto comandamento: “Non commettere adulterio”.
Richiamiamo quanto abbiamo detto lo scorso incontro. I due punti su cui abbiamo soffermato la nostra attenzione, come coppia per vivere questo comandamento sono: la fedeltà e la castità. Per introdurre l’incontro, proponiamo la lettura di due testi.
Il primo testo è un articolo del giornale del Messaggero Veneto che riferisce di un incontro a Pordenone di Vittorino Andreoli, noto psichiatra, durante la presentazione di un suo libro:
«Preferisco i ragazzi agli adulti». Con questa premessa, Vittorino Andreoli, uno dei massimi esponenti della psichiatria mondiale, circondato sul palcoscenico da decine dei suoi preferiti, ha spalancato ieri le porte del mondo giovanile ai pordenonesi, e non, accorsi al teatro Verdi per ascoltarlo. L’occasione era data dall’incontro legato al progetto di educazione teatrale “Adotta uno spettacolo”, a cura dell’associazione Thesis.
La famiglia: Lo spunto per un’anteprima del suo nuovo libro – “L’educazione (im)possibile”, sottotitolo “Orientarsi in una società senza padri”, edito nella collana Saggi Rizzoli – si trasforma, con la partecipazione di Patrizia Baggio, in un’avvincente conversazione a ruota libera, con l’abilità speciale di portare alla luce concetti seri e importanti anche con la battuta e l’aria scherzosa.
Si comincia dalle fondamenta: la famiglia. In una società in continuo movimento non si può pretendere di rimanere legati al modello di famiglia del nostro passato. Tutto cambia, così i ragazzi. Essere adolescente significa essere parte del mondo presente, e la famiglia dev’essere, per eccellenza, il luogo dei sentimenti e degli affetti, dell’amore e anche della fatica. «In questa società stiamo perdendo i legami affettivi – spiega lo psichiatra – ma ci perdiamo nei dettagli inutili». Lancia più di un allarme Andreoli, che procede come un torrente in piena toccando tutti temi cari all’adolescenza («L’adolescenza è una roba che finisce! Dobbiamo aiutarli senza drammi e senza paura che diventino piccoli eroi»).
I ragazzi: Il noto psichiatra si rivolge ai ragazzi, seduti al suo fianco, incitandoli a comprendere la grandezza del vero eroe, ad esempio Ettore che prima di morire in battaglia contro Achille, consapevole della sua fine imminente, va a salutare il figlioletto. Commenta: «I ragazzi oggi, si buttano via e noi abbiamo il compito di insegnare loro a vivere. E vivere significa sapere gestire le relazioni ma soprattutto, i legami affettivi. Cari ragazzi, dovete distinguere tra emozioni e affetti». Le prime sono risposte che si danno agli stimoli, i secondi invece, sono legami e perdurano anche nell’assenza dell’altro. Una chiave per vincere la paura di vivere.
La scuola: Sul piatto della bilancia, in definitiva, meglio salvare la “storia piccola” della famiglia che quella grande, con la S maiuscola, che insegna battaglie e nomi d’imperatori. Compito difficile per una scuola che deve insegnare ad una generazione che non sente il futuro. Dovrebbe trasformarsi nel primo laboratorio degli affetti, un luogo speciale, dove la classe diviene l’orchestra, e l’insegnante il suo direttore. Dove tutti possono capire la cosa più importante: imparare a dare il massimo secondo le proprie capacità, imparando a vivere insieme.
Il secondo brano è il discorso di Papa Francesco in una recente udienza generale dove sta trattando il tema della famiglia:
Cari fratelli e sorelle,
nella precedente catechesi sulla famiglia, mi sono soffermato sul primo racconto della creazione dell’essere umano, nel primo capitolo della Genesi, dove sta scritto: «Dio creò l’uomo a sua immagine: a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (1,27).
Oggi vorrei completare la riflessione con il secondo racconto, che troviamo nel secondo capitolo. Qui leggiamo che il Signore, dopo aver creato il cielo e la terra, «plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (2,7). E’ il culmine della creazione. Ma manca qualcosa: poi Dio pone l’uomo in un bellissimo giardino perché lo coltivi e lo custodisca (cfr 2,15).
Lo Spirito Santo, che ha ispirato tutta la Bibbia, suggerisce per un momento l’immagine dell’uomo solo – gli manca qualcosa -, senza la donna. E suggerisce il pensiero di Dio, quasi il sentimento di Dio che lo guarda, che osserva Adamo solo nel giardino: è libero, è signore,… ma è solo. E Dio vede che questo «non è bene»: è come una mancanza di comunione, gli manca una comunione, una mancanza di pienezza. «Non è bene» – dice Dio – e aggiunge: «voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (2,18).
Allora Dio presenta all’uomo tutti gli animali; l’uomo dà ad ognuno di essi il suo nome – e questa è un’altra immagine della signoria dell’uomo sul creato –, ma non trova in alcun animale l’altro simile a sé. L’uomo continua solo. Quando finalmente Dio presenta la donna, l’uomo riconosce esultante che quella creatura, e solo quella, è parte di lui: «osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne» (2,23).
Finalmente c’è un rispecchiamento, una reciprocità. Quando una persona – è un esempio per capire bene questo – vuole dare la mano a un’altra, deve averla davanti a sé: se uno dà la mano e non ha nessuno la mano rimane lì….., gli manca la reciprocità. Così era l’uomo, gli mancava qualcosa per arrivare alla sua pienezza, gli mancava la reciprocità. La donna non è una “replica” dell’uomo; viene direttamente dal gesto creatore di Dio. L’immagine della “costola” non esprime affatto inferiorità o subordinazione, ma, al contrario, che uomo e donna sono della stessa sostanza e sono complementari e che hanno anche questa reciprocità. E il fatto che – sempre nella parabola – Dio plasmi la donna mentre l’uomo dorme, sottolinea proprio che lei non è in alcun modo una creatura dell’uomo, ma di Dio. Suggerisce anche un’altra cosa: per trovare la donna – e possiamo dire per trovare l’amore nella donna -, l’uomo prima deve sognarla e poi la trova.
La fiducia di Dio nell’uomo e nella donna, ai quali affida la terra, è generosa, diretta, e piena. Si fida di loro. Ma ecco che il maligno introduce nella loro mente il sospetto, l’incredulità, la sfiducia. E infine, arriva la disobbedienza al comandamento che li proteggeva. Cadono in quel delirio di onnipotenza che inquina tutto e distrugge l’armonia. Anche noi lo sentiamo dentro di noi tante, volte, tutti.
Il peccato genera diffidenza e divisione fra l’uomo e la donna. Il loro rapporto verrà insidiato da mille forme di prevaricazione e di assoggettamento, di seduzione ingannevole e di prepotenza umiliante, fino a quelle più drammatiche e violente. La storia ne porta le tracce. Pensiamo, ad esempio, agli eccessi negativi delle culture patriarcali. Pensiamo alle molteplici forme di maschilismo dove la donna era considerata di seconda classe. Pensiamo alla strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica. Ma pensiamo anche alla recente epidemia di sfiducia, di scetticismo, e persino di ostilità che si diffonde nella nostra cultura – in particolare a partire da una comprensibile diffidenza delle donne – riguardo ad un’alleanza fra uomo e donna che sia capace, al tempo stesso, di affinare l’intimità della comunione e di custodire la dignità della differenza.
Se non troviamo un soprassalto di simpatia per questa alleanza, capace di porre le nuove generazioni al riparo dalla sfiducia e dall’indifferenza, i figli verranno al mondo sempre più sradicati da essa fin dal grembo materno. La svalutazione sociale per l’alleanza stabile e generativa dell’uomo e della donna è certamente una perdita per tutti. Dobbiamo riportare in onore il matrimonio e la famiglia! La Bibbia dice una cosa bella: l’uomo trova la donna, si incontrano e l’uomo deve lasciare qualcosa per trovarla pienamente. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre per andare da lei. E’ bello! Questo significa incominciare una nuova strada. L’uomo è tutto per la donna e la donna è tutta per l’uomo.
La custodia di questa alleanza dell’uomo e della donna, anche se peccatori e feriti, confusi e umiliati, sfiduciati e incerti, è dunque per noi credenti una vocazione impegnativa e appassionante, nella condizione odierna. Lo stesso racconto della creazione e del peccato, nel suo finale, ce ne consegna un’icona bellissima: «Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelle e li vestì» (Gen 3,21). E’ un’immagine di tenerezza verso quella coppia peccatrice che ci lascia a bocca aperta: la tenerezza di Dio per l’uomo e per la donna! E’ un’immagine di custodia paterna della coppia umana. Dio stesso cura e protegge il suo capolavoro.
d.F.o
Dalla lettura del libro della Genesi, nel racconto della creazione, comprendiamo che l’uomo senza la donna manca di qualche cosa. Nel celibato dei preti c’è invece una donazione verso l’altro. I coniugi hanno bisogno l’uno dell’altro.
F.o
Al giorno d’oggi, invece, non è scontato nemmeno riconoscere la propria identità di “maschio” o “femmina”. Abbiamo partecipato recentemente d’un Congresso Nazionale dal titolo “Maschio e femmina li creò”. In questo convegno si è a lungo parlato della teoria del gender, che non molti conoscono. La teoria del gender dice: nessun bambino deve essere condizionato a considerarsi maschio o femmina. Se ognuno di noi nasce libero, deve essere libero anche di determinare i suoi istinti sessuali. Per i sostenitori di questa teoria c’è anche una motivazione scientifica.
Questo discorso che sta entrando anche nelle scuole in maniera dirompente e sconvolgendo in modo subdolo la nostra società. Nell’individualismo imperante questa realtà sta entrando con forza. Si sta arrivando a follie. Queste teorie si sono introdotte ed ora non si riesce neanche a comprendere chi le ha originate. Si dice che bisogna conquistare nella propria vite l’essere maschio o l’essere femmina, considerando anche l’omosessualità come una possibile scelta.
Occorre, invece, riscoprire la bellezza della diversità nella vita; si riesce a colmare questa distanza solo con l’amore. I ragazzi nell’adolescenza scoprono la realtà pulsionale; seguire solo queste pulsioni conduce a relazioni che asservono l’altro ai miei desideri. La società moderna tende a spingere nell’assecondare le pulsioni sui sentimenti; finché tutto va bene il legame esiste. Dovremmo cercare di trasmettere ai nostri figli ed alla nostra società la bellezza della relazione.
Questo comandamento, su cui stiamo meditando, ci dice di non adulterare il rapporto e di accettare non il corpo di una persona ma la persona tutta intera. Willy Pasini dice che i giovani bruciano la sessualità pulsionale e perdono quella relazionale che è quella che dura nel tempo. Dobbiamo viverlo non solo nel rapporto di coppia ma diffonderlo nella società.
L.a
Dobbiamo evitare di cancellare l’immagine di Dio che è nella coppia perché in questa maniera restiamo solo una coppia senza più essere simili a Dio. Nel legame della coppia c’è la pienezza dell’amore. Quando leggiamo “nel principio” significa che è l’origine, significa che la relazione della coppia è il pensiero di Dio. Queste teorie moderne hanno interesse a cancellare l’immagine del Dio trinitario. Si parla della “morte del Padre” ma si va al di là perché lo si vuole cancellare del tutto. Ci è chiesto di essere, come chiesa, accoglienti. Non deve essere un combattimento ma un dialogo che deve essere di aiuto; dove i toni si smorzano ma nello stesso tempo occorre tenere gli occhi bene aperti.
Al convegno è stata portata anche l’esperienza di un insegnante da poco arrivata nella sua scuola. Ė stata chiamata ad un collegio docenti a discutere sul gender. Lei è molto preparata sulla teoria del gender che ha esaminato attentamente. Prima del collegio si è recata dall’insegnante che lo aveva proposto ed a scoperto che la sua collega non ne sapeva niente o solo che era una cosa “che si porta molto”. Ha quindi dedicato del tempo a spiegare alla collega questa teoria ed allora la situazione si è ribaltata. La collega ha portato in collegio una mozione diversa; e tutta la scuola è divenuta consapevole di fronte a questo problema ed ha invece iniziato un’attività di diffusione e conoscenza proprio per combattere. Da questa esperienza comprendiamo che la nostra responsabilità è grande per non adulterare la realtà e testimoniare in ogni momento la nostra fede. Il modello che dobbiamo proporre è quello della Trinità: la coppia legata nell’amore.
G.i
Non si può isolare una persona dal suo contesto finché non diventa matura; è noto che la scelta omosessuale a volte viene generata da traumi vissuti nell’infanzia nel rapporto con il sesso. Se leggiamo la Bibbia, Adamo ed Eva sono nel paradiso vivono bene insieme la relazione e non comprendono di essere diversi. Quando avviene il peccato scoprono la differenza e nasce la rottura della relazione. La relazione di coppia non è solo nell’atto sessuale ma anche nella capacità di vivere il rapporto personale. Anche la teoria del gender nasce dal temere di essere diverso. Occorre superare gli stereotipi che ci siamo creati. Si parte dall’idea di togliere le diversità per arrivare a conclusioni errate.
M.o
Voglio leggere un altro intervento di Papa Francesco durante l’itinerario di catechesi sulla famiglia che sta facendo in questo periodo che riguarda proprio la teoria del gender:
La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione.
D.a
Il problema è il rispetto e l’accoglienza dell’altro. In qualche modo è facile ottenere questo in famiglia ma è certamente difficile a farlo con chi sta fuori.
V.o
In qualche caso se non tiriamo fuori le unghie non si riesce a vivere occorre anche difendersi.
F.a
Una collega mi ha raccontato che i genitori si sono separati dopo 39 anni di matrimonio. Per la figlia, la mia collega, si sono invertiti i ruoli per stare dietro a questa nuova situazione. Mi ha fatto riflettere su tanti equilibri nella coppia che è difficile mantenere nel tempo. Quasi riesco a comprendere e spiegarmi che dopo tanti anni, quando subentrano le stanchezze, è difficile rimanere fedeli a impegni presi in circostanze troppo diverse da quelle attuali. Bisogna veramente scegliersi ogni giorno.
F.o
Quando c’è una vera unione si cambia insieme. Che ci siano i cambiamenti è fuori discussione ma la crescita comune diminuisce il rischio di non comprendersi più.
S.a
La fedeltà richiede una riflessione ed un silenzio e questo non c’è nella società moderna: nella relazione con l’altro c’è fretta e superficialità. Ho una profonda tristezza a guardare la gioventù: loro conoscono ed anche presto la sessualità ma non conoscono l’affettività: la sessualità schiavizza e rende meno liberi per scoprire l’affettività. Si è detto che in queste infiltrazioni che vediamo nella società c’è l’influsso del Maligno: non avevo mai visto la teoria del gender come un disegno del Maligno. Dobbiamo pensare che sia proprio il maligno che sta distruggendo la famiglia ed il maligno si insinua dove c’è la perfezione di Dio.
d.F.o
Io tento sempre di pensare in positivo: il diavolo c’è ma c’è anche la presenza di Dio che ha sconfitto la morte. Noi, come cristiani, dobbiamo testimoniare la sconfitta della morte. Il vangelo di Giovanni ci dice: “che la vostra gioia sia piena”. Mettiamo da parte il negativo e testimoniamo il positivo. Forse i giovani non si sposano più perché la nostra generazione non è stata capace di testimoniare la bellezza del matrimonio. Così anche con le vocazioni sacerdotali: la scelta del sacerdozio non è sollecitata da testimonianze di veri e santi sacerdoti. Abbiamo adulterato la nostra vita, dobbiamo rendere sempre più puro il nostro rapporto con Dio e con l’altro. Nella nostra vita l’adulterio è il nostro non essere fedeli a Dio. Forse non basta più rinnovare solo la promessa matrimoniale ma occorre anche testimoniare la bellezza della famiglia che combatte le difficoltà ma ha in sé la gioia.