I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2016-2017
“Le sette opere di misericordia corporale”
In comunione con tutta la parrocchia, anche Famiglie Insieme ha dedicato l’incontro di ottobre ad una riflessione sulla vocazione, soffermandosi, in un momento di preghiera e meditazione, sul tema “La vocazione è coltivata nella Chiesa”.
A documento dell’incontro, si riporta in questa pagina, lo schema che è stato seguito nell’incontro.
La vocazione è coltivata nella Chiesa
Guida: Diamo il benvenuto a tutti coloro che sono chiamati a comprendere la grandezza e la ricchezza delle vocazioni nella Chiesa.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen
Lett. 1: Papa Francesco nel suo Messaggio per la 53ª Giornata di Preghiera per le Vocazioni, dice: “Come vorrei che tutti i battezzati potessero, nel corso del Giubileo straordinario della Misericordia, sperimentare la gioia di appartenere alla Chiesa.”
Lett. 2: E, ancora, che tutti potessero capire che la vocazione cristiana nonché le vocazioni particolari nascono in mezzo al popolo di Dio e sono doni della Divina Misericordia.
Canto: VIENI E SEGUIMI
Lascia che il mondo vada per la sua strada. Lascia che l’uomo ritorni alla sua casa. Lascia che la gente accumuli la sua fortuna. Ma tu, tu vieni e seguimi, tu, vieni e seguimi. Lascia che la barca in mare spieghi la vela. Lascia che trovi affetto chi segue il cuore. |
Lascia che dall’albero cadano i frutti maturi. Ma tu, tu vieni e seguimi, tu, vieni e seguimi. E sarai luce per gli uomini e sarai il sale della terra e nel mondo deserto aprirai una strada nuova (bis tutta la strofa). E per questa strada, va, va e non voltarti indietro, va. |
AVVICINARE E SENTIRE LA REALTÀ
Guida: Abbiamo nella nostra Chiesa uomini e donne che hanno dato le loro risposte a Dio e alla Chiesa, e sono riusciti a sostenerle.
Ricordiamo Santa Teresa di Calcutta, S. Giovanni Paolo II, S. Giuseppe Moscati, S. Beretta Molla e molti altri, che col loro “Si” quoitidiano hanno fatto nella loro vita la volontà di Dio.
Lett. 1: Che cosa attira la nostra attenzione nelle vite di questi santi? Cosa hanno in comune nella loro vita? Hanno affrontato difficoltà? Come hanno superato le difficoltà? La Chiesa come ha aiutato questi uomini e donne nella risposta vocazionale?
Guida: Meditiamo su queste vite donate alla Chiesa e ricordiamo anche quei tanti che ancora oggi dicono il loro sì alla volontà di Dio.
(Condivisione su una qualunque storia vocazionale)
MEDITARE LA PAROLA DI DIO E DELLA CHIESA
Guida: Secondo Papa Francesco, il ministero dei sacerdoti ha una importanza fondamentale, in quanto essi sono chiamati ad assomigliare a Gesù, il Buon Pastore, che si prende cura delle pecore.
Lett. 1: Dice il Papa, “i sacerdoti devono accompagnare e aiutare coloro che sono alla ricerca della loro vocazione. “Chiede anche che la Chiesa assomigli a Maria, che generosamente ha accolto nel suo seno il dono dello Spirito Santo.
Lett. 2: Dopo il “sì” definitivo, il cammino vocazionale non finisce, ma continua nella disponibilità per il servizio, nella perseveranza, nei lavori della comunità e nella formazione permanente.
PAROLA DI DIO
Dal Vangelo di S. Luca (24,13-35)
Due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio di nome Emmaus, distante da Gerusalemme sessanta stadi; e parlavano tra di loro di tutte le cose che erano accadute. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. Ma i loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano. Egli domandò loro: «Di che discorrete fra di voi lungo il cammino?» Ed essi si fermarono tutti tristi. Uno dei due, che si chiamava Cleopa, gli rispose: «Tu solo, tra i forestieri, stando in Gerusalemme, non hai saputo le cose che vi sono accadute in questi giorni?» Egli disse loro: «Quali?» Essi gli risposero: «Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e i nostri magistrati lo hanno fatto condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose. È vero che certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire; andate la mattina di buon’ora al sepolcro, non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne; ma lui non lo hanno visto». Allora Gesù disse loro: «O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?» E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano. Quando si furono avvicinati al villaggio dove andavano, egli fece come se volesse proseguire. Essi lo trattennero, dicendo: «Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno sta per finire». Ed egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro. Allora i loro occhi furono aperti e lo riconobbero; ma egli scomparve alla loro vista. Ed essi dissero l’uno all’altro: «Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentr’egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?» E, alzatisi in quello stesso momento, tornarono a Gerusalemme e trovarono riuniti gli undici e quelli che erano con loro, i quali dicevano: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». Essi pure raccontarono le cose avvenute loro per la via, e come era stato da loro riconosciuto nello spezzare il pane.
Guida: Comprendere la cura che Gesù si é preso dei suoi discepoli, ascoltandoli, accompagnandoli nel loro cammino, accettando di restare con loro perché era tardi, offrendo loro il Pane della vita.
Gesù come cammina con noi e si prende cura di noi oggi?
Momento di silenzio e condivisione della Parola di Dio.
I NOSTRI IMPEGNI VOCAZIONALI
Guida: Alcuni punti concreti:
– Un modo per coltivare le vocazioni è la preghiera perseverante per le vocazioni.
– Non si può dimenticare la preghiera per coloro che già hanno risposto alla chiamata di Dio: i vescovi, i sacerdoti della nostra parrocchia, i diaconi, i religiosi/e, i consacrati/e e quelli che hanno assunto la vocazione matrimoniale.
PREGHIERA DI PAPA FRANCESCO
SULLE VOCAZIONI
Padre di misericordia, che hai donato il tuo Figlio per la nostra salvezza e sempre ci sostieni con i doni del tuo Spirito, concedici comunità cristiane vive, ferventi e gioiose, che siano fonti di vita fraterna e suscitino fra i giovani il desiderio di consacrarsi a Te e all’evangelizzazione. Sostienile nel loro impegno di proporre una adeguata catechesi vocazionale e cammini di speciale consacrazione. Dona sapienza per il necessario discernimento vocazionale, così che in tutto risplenda la grandezza del tuo amore misericordioso. Maria, Madre ed educatrice di Gesù, interceda per ogni comunità cristiana, affinché, resa feconda dallo Spirito Santo, sia fonte di genuine vocazioni al servizio del popolo santo di Dio.
Padre nostro, Ave Maria e Salve Regina.
ESCI DALLA TUA TERRA
Esci dalla tua terra e và dove ti mostrerò (bis) Abramo, non partire, non andare, Esci dalla tua terra e và dove ti mostrerò (bis) La rete sulla spiaggia abbandonata l’han lasciata i pescatori, son partiti con Gesù. La folla che osannava se n’è andata, ma il silenzio una domanda sembra ai dodici portar: Quello che lasci, tu lo conosci, il tuo Signore cosa ti dà? Il centuplo quaggiù e l’eternità. Parola di Gesù. Esci dalla tua terra e và dove ti mostrerò (bis) |
Partire non è tutto, certamente c’è chi parte e non dà niente, cerca solo libertà. Partire con la fede nel Signore, con l’amore aperto a tutti può cambiar l’umanità. Quello che lasci, tu lo conosci, quello che porti vale di più. Andate e predicate il mio Vangelo Parola di Gesù. Esci dalla tua terra e và dove ti mostrerò (bis) |
All’incontro ha partecipato Gianni Improta, diacono, che cura, insiema ad altri volontari, l’impegno della distribuzione settimanale dei pasti per gli “Amici si Strada”
G.i
La nostra prima uscita è stata del 2009. La nostra iniziativa è nata quando mi sono incontrato con un ragazzo della parrocchia di Sant’Antonio e vidi che lui era spinto a fare qualcosa di concreto.
Decidemmo di fare qualcosa di concreto e cominciammo con due tre persone e poi piano piano si sono aggiunte altre persone.
La cosa bella è che siamo riusciti coinvolgere la comunità. È È stato quindi non più un’iniziativa di poche persone ma il desiderio di una comunità.
Ogni domenica sono coinvolte molte famiglie, in modo che sia un atto della comunità.
Nel tempo è stato istituito un servizio di coordinamento. All’inizio vedevamo che altri gruppi facevano la stessa cosa e ci sovrapponevamo addirittura con il cibo in eccesso. È stata creata una rete in modo da assicurare un pasto tutti i giorni.
Il tema su cui state riflettendo è stata anche il tema della lettera pastorale del cardinale di due anni fa.
Anche se c’è molta indifferenza per queste persone che vivono per strada noi compiamo questa opera di misericordia. Con questo contatto ci rendiamo conto che c’è da fare qualcosa per queste persone che vivono per strada, specialmente per gli immigrati per cui va pensato un diverso modo di accoglienza.
Sperimentiamo che la fame non è solo quella del corpo ma è una fame che coinvolge la parte spirituale di queste persone. Sono persone ferite che hanno vissuto esperienze tremende che li spinge ad essere violente, irascibili ed a ribellarsi. Molti ci dicono: Tu mi dai da mangiare ma non mi dai un lavoro non mi porti da vestire. È quindi un mettersi in discussione di migliorarsi di cercare di ascoltare queste persone di entrare in contatto con loro. Di farli sentire persone. È questo il compito che sentiamo più importante.
Questo tipo di servizio è già una grande cosa soprattutto perché coinvolge la comunità. Molte realtà del territorio si stanno muovendo e si sta cercando di migliorare perché si possa dare a queste persone un aiuto. Noi non siamo semplici volontari, lo facciamo nel nome del Signore, all’inizio del nostro cammino incominciamo con una preghiera.
Molte persone ci aspettano, imparano il nostro nome, vogliono parlare con noi.
N.o
Venendo in contatto con queste persone molte volte ci sentiamo di essere ringraziati, ma essendo in contatto con le loro sofferenze ci rendiamo conto che spesso è il nostro modo di vivere che ha relegato loro in queste condizioni; quindi siamo noi che dobbiamo chiedere perdono loro per la situazione in cui si trovano . Molte persone, specialmente gli immigrati, non si rendono conto che cosa c’è dietro il semplice portare un pasto loro. Il lavoro che facciamo non è semplice perché dobbiamo guardarci anche dalle diverse intenzioni che i gruppi di volontari portano con sé. Troviamo a volte chi fa questo per vanagloria, in competizione con gli altri gruppi. Questo rende il lavoro difficile perché si rischia di perdere di vista il vero significato del nostro lavoro. Fare del bene è la cosa più difficile perché non si finisce mai di studiare come fare. Le persone che incontriamo accrescono la nostra fede e quello che ci danno non ha valore. Ci siamo sentiti dire: “Mio padre mi ha insegnato di non rubare mai, se qualcuno ti dà qualcosa accettala ma non rubare mai”. È questa una saggezza che non ha uguali e che è difficile anche per noi mantenerla.
G.i
Il lavoro di collegamento che si sa facendo sta dando frutti eccezionali, non solo perché dà modo di conoscerci e di condividere l’aiuto che ciascuno dà, ma anche perché permette di evitare sprechi di non sovrapporci. È quindi anche questa un’altra sfida.
Noi non vogliamo agganciarci alle nostre realtà per avere aiuti perché volevamo che fosse la comunità, le singole comunità delle parrocchie che si facesse carico di queste esigenze di cui noi siamo solo una mano operante.
Come coordinamento ci siamo divisi in modo che nella stessa zona ogni sera giungano diversi tipi di alimento per un servizio più completo.
Ci manca un piccolo deposito per raccogliere quello che ci viene donato. A volte riceviamo donazioni tutte insieme e dobbiamo distribuirle subito perché non sappiamo come conservarle per darle al tempo giusto.
N.o
Occorre capire la psicologia di queste persone; persone abbandonate dalla moglie. Persone che ormai hanno scelto di vivere in questo modo, gente malata e bisogna accettare le loro scelte cercando di condurli ad una vita migliore. Molte persone non vogliono essere soggette a delle regole. Per esempio al dormitorio occorre entrare presto la sera e poi andare via la mattina; e questo non viene accettato e scelgono la strada dove si sentono liberi di definire la loro vita.
F.o
Il problema è politico perché il numero non è tale da creare interesse per il politico. Noi non abbiamo neanche la forza di sollevare un problema politico. Questo non è la soluzione, è un tamponamento ad una situazione reale che dovrebbe trovare altre soluzioni. In una società opulenta come la nostra è una scandalo; possiamo parlare anche delle realtà lontano ma questa ci tocca da vicino. Noi come gruppo aiutiamo bambini lontani ma ci rendiamo conto anche dell’aiuto che dobbiamo dare a questa emergenza.
Il lavoro non è facile, a volte rischioso. Bisogna cogliere questi spunti per poi andare oltre.
Il Cardinale nella sua lettera pastorale si rivolge a noi e ci dice: “Date voi stessi da mangiare”. E continua: “È per incontrare lui che in tanti si sono mossi da lontano e hanno giocato il tutto per tutto. Vogliono ascoltare la sua parola, sperimentare la dolcezza dei suoi occhi, la profezia dei suoi gesti accoglienti. Chi non ha voce, chi è senza diritti e senza futuro sente nelle sue parole che un mondo diverso è possibile. Nel racconto della prima moltiplicazione dei pani e dei pesci, in cui l’evangelista Matteo prefigura la condivisione del banchetto eucaristico, Gesù si aspetta dai suoi discepoli che provvedano alla fame della gente che li seguiva: «voi stessi date loro da mangiare». L’intervento di Gesù a favore della folla è descritto attraverso tre momenti, in un crescendo d’intensità in cui i discepoli vengono progressivamente coinvolti e investiti di una diretta responsabilità. C’è, innanzitutto, l’osservazione obiettiva di una condizione di bisogno. Si prosegue con la valutazione realistica delle risorse utilizzabili e l’effettiva percezione del deficit con cui fare i conti. In ultimo si profila l’invito per un’assunzione di responsabilità nei confronti degli altri. Il tutto si realizza nello spazio creativo dell’iniziativa divina: «alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla». Qui, nella sequenza eucaristica, viene inserita in maniera significativa la consegna profetica del pane spezzato. Esso basterà per tutti e ne avanzerà ancora. “Date voi stessi da mangiare” è il monito che il Signore rivolge ancora oggi alla Chiesa di Napoli, perché i suoi discepoli si facciano loro stessi pane per il popolo. Qui, come allora, il deserto inospitale della disperazione può divenire un prato verde su cui sedersi e riposare. Un prato sul quale far giocare i bambini e immaginare con loro un futuro di condivisione a misura d’uomo. …
… La gente ha certamente fame di pane materiale perché oggi, nonostante una sfacciata opulenza messa in mostra da alcuni, cresce sempre di più il numero di coloro che vivono nella miseria e non sanno come fare per sopravvivere. Ma c’è anche una grande fame di giustizia e, soprattutto nei nostri giovani, una drammatica fame di futuro, un disperato bisogno di speranza. La nostra terra somiglia spesso ad un deserto dove nessuno offre il pane della vita, dove tante esistenze vagano nel vuoto, si consumano nella propria autosufficienza, sperimentano delusioni e solitudini …
… come è ridotta la nostra gente? Se per questo stato di arretratezza vi sono immancabili responsabilità a carico della politica e della società civile, non sono però meno lievi le negligenze della comunità ecclesiale. …
Il Cardinale dice il ruolo importante dei diaconi e della caritas.
… per contagiare il senso della fede autentica, incarnata nella storia e sul territorio, sarà opportuno scegliere alcune zone circoscritte e sperimentare un metodo di coinvolgimento delle risorse disponibili: le parrocchie, le scuole, il mondo delle professioni, le associazioni e i movimenti laicali. L’attenzione su determinati microterritori renderà possibile prendersi carico di alcuni problemi emergenti e contribuirà a sviluppare una coscienza critica, a creare dei veri laboratori di cittadinanza attiva. Mediante un’organizzazione semplice ed efficiente, potremo essere incoraggiati ad alzare la voce nei confronti delle istituzioni quando fossero assenti, a rimboccarci le maniche là dove fosse necessario, in ogni caso a prendere più viva coscienza della comune responsabilità nei confronti del territorio. L’adozione di un’aiuola o di un monumento, la costituzione di un centro d’ascolto, l’accompagnamento di alcuni studenti in difficoltà, la sorveglianza per la pulizia delle strade, la realizzazione di una struttura di sostegno per gli alcolisti e i ludopatici sono solo alcuni tra gli obiettivi possibili in funzione di una nuova presa di coscienza di responsabilità civica. ….
Questo è quello che ci dice il pastore della chiesa di Napoli e ci sottolinea ad una risposta ed un coinvolgimento
F.a
Come avviene il primo approccio con queste persone. Il bisogno corporale è primario ma ci sono anche altre esigenze che occorre curare. C’è disponibilità a raccontarsi ad entrare in contatto
G.i
La prima cosa gli chiediamo se vuole mangiare. È quello che noi andiamo a soddisfare. Poi con il tempo si può creare un rapporto più intenso che porta anche a condividere. Solo quando si crea un rapporto di fiducia si può estendere il contatto. Hanno sempre necessità di un’esigenza primaria, il pasto, i soldi, una coperta. Tale che a volte il portare il pasto diventa non accettato quasi non voluto.
d.F.o
Da quando sono arrivato a Napoli ho visto questa realtà come una bella realtà, un coinvolgimento della comunità. C’è una sensibilità bella nella città di Napoli nei confronti dei poveri. A volte si parla male di Napoli ma invece c’è un coinvolgimento specialmente per i poveri. Ci chiediamo spesso come mai si trovano qui. Conosco Bruno che sta qui vicino che è venuto a Napoli per stare vicino alla figlia malata e non ha trovato posto e si è sistemato per strada. Certe situazioni sono complesse e non semplice. Noi ci siamo interrogati, quando si è chiusa la mensa dei cappuccini ci siamo dati da fare. Abbiamo trovato uno spazio nell’ostello con un’entrata separata, dove pensiamo di installare le docce ed aprire una mensa. I costi per le installazioni sono già coperte e lì possiamo fare anche il servizio guardaroba.
G.i
La mensa delle Figlie della Carità si è dato un’impostazione con il coinvolgimento di tutte le parrocchie sia per il contributo dei volontari sia quello economico. Se tutti contribuiscono la spesa per ciascuno è accettabile. Il gruppo di Piedigrotta è stato coinvolto e fa il proprio servizio una volta a settimana.
d.F.o
Che cosa possiamo fare noi? Quest’anno il Cardinale ha pubblicato la lettere pastorale “Vestire gli ignudi” sottolineando che non vuol dire che ci dimentichiamo delle altre necessità già esaminate.
Ci dice il Cardinale che c’è un legame comune in tutto questo che ci sollecita ed è “interpellare e coinvolgere le autorità”.
Sappiamo che i napoletani che vivono per strada sono triplicati negli ultimi cinque anni.
G.i
Ognuno di noi può fare qualcosa, nelle proprie possibilità poi ci sono le istituzioni; e questo fa parte di una presa di coscienza da parte nostra che dobbiamo esercitare al momento opportuno. Queste sono le armi ma intanto come cristiani aiutiamo laddove c’è bisogno senza chiederci il perché. Dobbiamo anche sensibilizzare le persone che occupano posti importanti e di responsabilità, e chiederci ma non ci sono cristiani tra queste persone?
N.o
Dobbiamo evitare di costruire muri come ci dice papa Francesco, dobbiamo prima cambiare noi stessi per cercare di essere vicini a queste realtà e portare loro quello di cui hanno bisogno
Per la riflessione sull’opera di misericordia “Dar da bere agli assetati”, abbiamo avuto la grande gioia di poter avere con noi mons. Gennaro Acampa, vescovo ausiliario della nostra diocesi.
Della sua meditazione è stata eseguita una registrazione e se ne riporta qui una trascrizione.
La seconda opera di misericordia “Dar da bere agli assetati”, per noi che viviamo nei paesi occidentali non è qualcosa di molto coinvolgente e sentito tanto è vero che spesso si mettono insieme le due opere “Dar da mangiare agli affamati” e “Dar da bere agli assetati” come un unico scopo.
In realtà il problema in tanti parti del mondo è avvertito ed assai grave. Io voglio sottolineare questa opera di misericordia utilizzando quello che dice il cardinale Sepe nella lettera pastorale dello scorso anno proprio dedicata a quest’opera di misericordia.
Da alcuni anni stiamo riflettendo ogni anno su un’opera di misericordia. Siamo partiti dal giubileo per la città evidenziando alcune priorità per la città quando la nostra città viveva un momento di grande crisi e difficoltà. Lo è tutt’ora in difficoltà ma in quel momento ci sembrava che la situazione stesse esplodendo. Allora il cardinale disse: “Facciamo qualcosa!” e indisse questo giubileo per la città che non era un giubileo sacramentale o religioso ma era piuttosto un’occasione per riflettere e per mettere insieme tutta la cittadinanza in modo che si potesse fare qualcosa per rendere più vivibile la nostra città di Napoli.
In realtà la cosa partì in sordina, ma con l’andare del tempo, nel corso dell’anno ci fu un movimento sinergico che coinvolse tutta la comunità per fare qualcosa per Napoli.
Da lì scaturì l’idea di riflettere ogni anno su un’opera di misericordia e quest’anno siamo già alla terza opera di misericordia.
Prima di esaminare più nel dettaglio questo documento vorrei dire qualcosa in genere su quest’opera di misericordia.
Il fabbisogno di acqua è necessario così come quella del cibo, forse anche di più. Per esempio si contraggono tante malattie per la carenza di acqua. Noi nei paesi occidentali non abbiamo di questi problemi ma c’è il grande pericolo di una guerra per l’approvvigionamento dell’acqua. Da un dato statistico oggi muoiono nel mondo 4 bambini al minuto per mancanza d’acqua e ci sono nel mondo un miliardo di uomini che non hanno accesso all’acqua potabile e due miliardi e mezzo che non hanno acqua per mezzo di un rubinetto. Per noi è facile aprire un rubinetto ed avere acqua.
Ci sono donne nell’Africa che portano secchi di 20 litri di acqua sulla testa e fanno chilometri per approvvigionarsi di acqua. Se pensiamo ai nostri problemi e alle nostre difficoltà solo per qualche volta che si rompe una tubatura e restiamo senza acqua per qualche ora.
Quindi è un problema grosso e come dicevo potrebbe scoppiare una guerra. Questo ci deve far riflettere a non sciupare questo bene prezioso, essere quindi attenti all’utilizzo di questo bene.
Dalla lettera del Cardinale è scaturita l’idea di creare dei pozzi in Africa per cui alcune comunità parrocchiali del centro storico di Napoli hanno fatto raccolte economiche per inviare soldi in Africa perché venissero costruiti dei pozzi.
Siamo arrivati persino che in alcuni posti sono stati deviati i corsi d’acqua per accaparrarsi questa risorsa ed anche qui ci sono i presupposti per una guerra.
Il “Dar da bere agli assetati” è quindi un’opera di misericordia ma talvolta il bere insieme è anche un segno di socialità.
Il Cardinale imposta la sua lettera non solo dal punto di vista materiale, come ho illustrato finora, ma anche in chiave simbolica, cosa significa aver sete, quali sono le nostre “seti” e come si possono colmare.
Il Cardinale riparte dal quadro di Caravaggio “Le sette opere di misericordia” che è collocato nella quadreria del Monte della Pietà. L’immagine per questa opera è Sansone che viene dissetato nel deserto. Quindi dice che le nostre strade i nostri luoghi sono assimilabili ad un deserto, dello squallore che esiste in tanti quartieri, delle difficoltà che incontriamo dove si ha la sensazione di vivere nell’aridità più totale, come in un deserto dove non si vive ma si muore.
E collega questa immagine del deserto anche ad un riferimento biblico dove noi sappiamo che il deserto è un luogo invivibile ma è stato il luogo dove il popolo di Dio ha fatto l’esperienza della misericordia di Dio, si è avvicinato a Dio, ha fatto l’esperienza della grazia, dell’acqua che scaturiva nel deserto e la manna come cibo che Il Signore dava al popolo. Ed è importante dire questo oggi nel periodo di avvento dove ricordiamo Giovanni il Battista che è andato nel deserto dove si può incontrare Dio nel silenzio del deserto.
Dobbiamo tutti noi quindi sperimentare questo deserto nel senso positivo per avere più apertura e contatto nei riguardi di Dio.
Non si tratta, dice il Cardinale, di un insegnamento marginale di dare un bicchiere di acqua a chi ha sete ma significa anche rendersi custodi della natura e promotori della vita, perché l’acqua è vita. L’acqua è una risorsa tanto preziosa e siccome scarseggia nel mondo è accaparrata da alcuni. E c’è anche il pericolo di un inquinamento.
Nella nostra città abbiamo tante “seti” che vanno soddisfatte. La prima è la sete del necessario: in tante famiglie manca la casa, il lavoro, un’istruzione soddisfacente dove molti non possono continuare gli studi per mancanze economiche. VIvendo nel centro della diocesi ho avuto modo di constatare che queste lettere pastorali hanno dato una risposta molto positiva ai problemi umani. Sono sorte tante mense nella nostra diocesi che preparano pasti per i poveri, dove quotidianamente si distribuisce cibo ai bisognosi. E ci sono molti volontari che aiutano. Io ho toccato con mano la bontà della gente.
Ma in considerazione del tema di stasera dell’acqua, sono sorti anche molti luoghi dove sono state allestite delle docce per dare modo a chi vive per la strada di lavarsi e di cambiare la biancheria.
C’è anche una sete di conoscenza; noi viviamo a Napoli una grande contraddizione. A Napoli ci sono sei università e siamo quindi super-attrezzati a livello culturale, ma questa università non si è aperta al popolo; così come ci sono tante persone illustri dal punto di vista culturale ed insieme tanta ignoranza. Questa cultura non è riuscita a mediare e dare un accesso al sapere alla gente comune.
C’è una sete di affetto. Mentre ci sono tanti che danno il loro tempo e le loro attenzioni per gli altri, ci sono ancora tanti, specialmente anziani che mancano di affetto, di vicinanza, di persone che si prendono cura.
C’è sete di dignità; con la mancanza di un lavoro onesto, la necessità di arrangiarsi. C’è quindi un bisogno di trovare qualcosa che dia dignità alla persona, con un lavoro che soddisfi e senza questo si ricorre a sistemi delinquenziali. È comprensibile che quando una persona non può soddisfare le necessità primarie ricorra a mezzi non leciti.
C’è sete di normalità e di legalità; a Napoli potremmo vivere veramente bene, abbiamo tutto intorno a noi, bellezze naturali, clima, ma ci manca la legalità e la normalità per cui tutto quello che abbiamo intorno sono improduttive e non aiutano la vita normale e ci portano nella difficoltà.
Ma la sete più grande che abbiamo, anche se tante volte non la avvertiamo e non la manifestiamo è la sete di Dio. S. Agostino che aveva fatto mille esperienze e aveva veramente tutto nella sua vita si accorse che il suo cuore era inquieto perché ci mancava Dio e quando scoprì Dio trovò la pienezza della vita e la felicità. È una sete che noi possiamo soddisfare se noi orientiamo bene tutta la nostra vita; non si tratta di sconvolgere la nostra vita, ma solo di mettere un po’ d’ordine e di mettere DIo al centro della nostra vita e fare la scelta di Dio. E quando riusciamo a fare questa scelta noi non perdiamo niente ma riacquistiamo tutto, vediamo tutto sotto un’altra luce e troveremo la pace e la gioia di vivere, la capacità di andare avanti. Il Signore non ci toglie il lavoro, l’amicizia, le bellezze naturali.
Prendiamo esempio da papa Giovanni Paolo II che è diventato santo vivendo la sua vita nella pienezza, ma vivendo anche intensi momenti di preghiera e di sofferenza.
È questa una sete che noi dobbiamo colmare e se riusciamo a fare questo passo e riempirci di DIo, la nostra chiesa potrà diventare la fontana del villaggio. Papa Giovanni XXIII utilizzava questo esempio ricordando il suo villaggio. Questa deve essere la parrocchia, la comunità, i gruppi che si riuniscono, che devono crescere in se stessi ma anche avvicinarsi.
E vi lascio ponendovi tre domande semplici che vogliono farvi riflettere:
L.y
Mi è stato chiesto di introdurre questa serata sull’opera di misericordia “Vestire gli ignudi”. Io ho solo da offrire la mia esperienza. Devo a mia madre la flessibilità del mio impegno. Ho visto che avevo del tempo disponibile ed ho voluto donarlo agli altri. Sto ora dedicando tempo a quello che è definito “l’armadio dei poveri” al convento dei cappuccini al Corso. ABbiamo cominciato a sistemare l’armadio che era all’inizio solo un cumulo di stracci; ma da subito l’obiettivo non fu quello di dare abiti ma di creare un rapporto di accoglienza per dare fiducia a queste persone.
Mi sembra che il cuore scoppi dalla gioia quando si realizzano rapporti così, perchè il mio obiettivo non è di dare roba, perchè a volte non riusciamo a dare niente e quindi potresti sentire anche inutile perché le necessità sono talmente tante che tu non riesci a colmarle; allora che cosa è importante? Importante è il rapporto e anche che queste persone si sentano accolte. Ed ho potuto anche dirlo esplicitamente: noi siamo qui certamente per aiutarvi se c’è qualche necessità, qualche richiesta specifica, dalle zingare con le gonne lunghe o altre esigenze, anche se alcune volte non c’è proprio niente da dargli, ma specialmente per accogliervi; ed allora io mi sono inventato di avere sempre con me delle caramelle e così quando proprio non riesco a dare niente gli dò una manciata di caramelle a dimostrazione che qualcosa possono ricevere. E devo dire che lo accolgono. Io penso che se si parte con le buone intenzioni di vedere Dio nell’altro loro colgono questa volontà, anche se ci sono di tutti i tipi e non sempre tutto è idilliaco.
Vi voglio raccontare qualche esperienza, che mi porto come una ricchezza incredibile.
Molti sono extracomunitari, nordafricani ed in particolare con qualcuno, non con tutti si riesce ad instaurare un rapporto di conoscenza perché vengono anche ripetutamente. Uno dei primi che era venuto, e poi non ho più rivisto, ho visto che non aveva preso niente ma non andava via, ed alla fina quando praticamente eravamo rimasti solo, io gli chiesi che cosa aveva e lui mi disse: Io sono musulmano!. ED allora a me venne in mente di raccontargli una storiella che avevo letto su un giornale e così iniziai a raccontargliela. C’erano due bambini in ospedale, uno cristiano e l’altro musulmano, che come avviene più facilmente nei bambini stabiliscono un bel rapporto. Ma i due bambini muoiono ed allora si dicono: ci dobbiamo dividere, tu devi andare da Dio ed io devo andare da Allah. E seguono le frecce “Allah”/”Dio” e per un lungo tratto cammino insieme seguendo sempre ognuno la sua freccia. Alla fine arrivano da un signore anziano e le frecce convergono verso le stesse persone e loro gli chiedono: come dobbiamo chiamarti. E il signore risponde: chiamatemi Amore.
Il signore, che era rimasto ad ascoltarmi mi ha ringraziato, mi disse che tornava a casa e non l’ho più rivisto. Era di Casablanca ed una volta voleva catechizzarmi sul Corano e sulle norme ed io gli dissi che c’è una legge comune nel Corano e nel Vangelo che è la legge dell’amore e non c’è bisogno di convertirsi a vicenda. Questo per dire che questo lavoro non è soltanto distribuire le scarpe o i vestiti ma c’è la possibilità di stabilire un rapporto.
Molto bello è stato con un signore di una sessantina d’anni molto grossa, una persona molto simpatica; pure lui rimase solo, perché quando vogliono parlare aspettano che passi la confusione iniziale. Lui mi aveva chiesto una Bibbia. Il gli avevo chiesto com’è che non si era mai sposato e lui mi disse che ad un certo momento della mia vita si era innamorato; “io ero stato sempre molto credente ed ho capito che quella donna, di cui mi ero innamorato, mi allontanava da Dio. Ed ho capito che Dio era geloso. E mi chiese: “secondo lei perché Dio chiese ad Abramo di immolare Isacco?” Perché Dio è geloso e gli ha chiesto Isacco per vedere se la presenza di Isacco oscurava l’amore di Abramo per lui e gli ha chiesto Isacco.” E quando Dio ha visto che Abramo accettava questa richiesta lo ha fermato perché ha capito che Abramo lo amava. Ricordo che c’era ancora don Giovanni e gli dissi che mi era stata spiegata una parte della bibbia, che per molti di noi è difficile accettare, da un vecchio che era venuto lì per prendere degli abiti. Questo per sottolineare che non è solo distribuire abiti e vestiti.
Una cosa molto difficile da procurare, per le richieste che ci sono, sono le scarpe. E molti di loro sono molto grossi ed hanno bisogno di misure larghe che non è facile procurarsi. Scherzando dico che a Napoli occorre tagliarsi un poco il piede perché quel numero è difficile trovare. Siamo consapevoli che molti prendono roba che poi vanno a rivendersi per procurarsi una scheda telefonica, un caffè; e questo lo sappiamo, ma anche questo è un aiuto che possiamo dare. Però le scarpe, essendo merce ambita, cerco di non darle via con questo scopo ma di darle solo a che veramente le può utilizzare. Una volta avevo due paia di scarpe numero 41; ma questa persona che mi chiedeva, anche lui molto grosso, aveva bisogno evidentemente del numero 44. Lui mi disse che aveva un amico a cui poteva portarle ed aggiunse: lei mi crede? Io gli risposi: “non posso mettere in dubbio quello che tu dici. Io ti dò le scarpe ma tu dovrai fare i conti con la tua coscienza, se veramente quello che stai dicendo è vero”. Lui le prese e rimase nella stanza ed alla fine venne da me e mi disse: “la mia coscienza mi dice, non so se il mio amico veramente ne ha bisogno!”, e mi ridà la scarpe. A quel punto non potetti che dirgli: “per quello che mi dici, le scarpe te le posso dare.”
Noi non sappiamo che tragedie ci sono dietro queste persone. Un giorno questa stessa persone, mentre cercava della roba ed io parlavo con altri, mi disse: “questo è amore al quadrato”. Io fui sorpresa e gli chiesi: “come fai a sapere queste cose”. E lui: “signora io ho fatto il primo anno di fisica e matematica al mio paese.”
Un’altra cosa molto bella è che in questa richiesta di abiti tra i nostri amici e tutti quanti ci sono intorno che ci impegna molto ma facciamo con grande gioia, abbiamo impegnato anche una signora anziana che amava lavorare a ferri; noi le procuriamo la lana e lei ci prepara cappellini di lana, rigorosamente scuri, perchè quelli chiari, a strisce non sono graditi. Ed io distribuisco insieme caramelle e cappellini. Racconto questo perchè si è creata una sensibilizzazione attorno e dietro di noi che siamo lì presenti c’è una folla di persone che sostiene il nostro lavoro. Persone che vivono la stessa tensione anche se in modo diverso.
E’ su questo che riflettevo preparando questo intervento. Ognuno ha il suo modo di interpretare questo comando “Vestire gli ignudi”. Sarebbe anche limitativo voler ripetere tutti la stessa esperienza, ognuno ha la sua caratteristica per vivere le opere di misericordia. L’essenziale è avere questa apertura, questa tensione.
Un’altra storia è di una signora napoletana che vive in un vagone ferroviario dismesso e l’ho vista anche partecipare al pranzo del 6 gennaio qui in parrocchia. Avevamo dei vestiti per neonati, lei li prese ed inizia a cullarli, come una nenia. Lei è di una certa età e non potevano interessarle questi vestiti. Le chiesi se ne aveva bisogno forse per qualche nipotino. E lei mi rispose: “io non ho mai avuto una bambola! Io ho il desiderio di una bambola”. Ora una bambola non è indispensabile. Ma io la settimana dopo le ho portato la bambola. E lei mi ha detto “Signora come sta bene sul letto!”. Il letto è un vagone ferroviario! Mi ha raccontato la sua storia, che ha perso due figli, uno in un incidente.
Capite perché quando vado via da lì ho dentro di me la pienezza della gioia.
Per esempio le zingare vengono con richieste particolari, le gonne lunghe. Hanno dei bambini stupendi, anche se sporchissimi. Quando lo facciamo notare, si illuminano. Perché non bisogna disconoscere la realtà e cogliere per ciascuno quello di cui hanno bisogno di esigenza non soltanto materiale.
Occorre stare attenti perchè una volta un signore anziano mi fece vedere che aveva un coltello che gli serviva per difendersi. Il modo in cui cerchiamo di porci, con amore, con attenzione, viene riconosciuto e nessuno si è mai ribellato. Se io dico che ne hanno preso troppo o invito ad avere rispetto anche per gli altri, questo viene compreso ed accettato.
Ci sono momenti in cui bisogna dimostrare polso per essere credibili, ma posso dire di non essermi mai trovata in situazione difficili.
Quando ho iniziato trovai questo armadio pieno di roba, più stracci che vestiti. Ed all’inizio usavo dei guanti usa e getta. Ma poi ci ho ripensato e mi è sembrato strano proteggermi a toccare della roba che poi altri dovevano mettersi addosso. E quando gli faccio notare che la molta roba è data lor ben pulita e sistemata loro mi rispondono che comunque non potrebbero lavarla e tutto è destinato a sporcarsi.
Questa è la mia esperienza.
F.o
Io penso che è importante conoscere e far conoscere queste cose specialmente per informare le persone che non hanno un punto di riferimento ed a chi rivolgersi per queste necessità. Ho sentito che quelle campane di raccolta di abiti usati sono gestite da una cooperativa che finalizza non tanto il guadagno ma il riciclo e d il riuso di cose che noi scartiamo; e questo ci introduce anche nel discorso della sobrietà. E bisogna far conoscere questi canali perchè c’è gente che vuole disfarsi di roba che non usa più e non sa come fare per non buttarli.
Oi ci avete raccontato di una necessità materiale del Vestire gli ignudi. Ma ci sono anche altre necessità, non materiali, come ci ricorda il cardinale nella sua lettera pastorale di quest’anno proprio con questo titolo.
Parte dalle necessità materiali che induce tutti noi ad introdurci in uno spirito di sobrietà e di aiuto. Mi colpiva la sottolineatura delle nudità imposte dalle circostanze esterne e la nudità scelta, laddove la nudità non è una mancanza ma una scelta. Il cardinale fa l’esempio di San Francesco che si spoglia di tutto che non è mancanza di dignità ma significa togliersi tutti gli orpelli che coprono la nostra vita, una libertà scelta.
E fa riferimento ad un significato più ampio, una nudità interna la mancanza di lavoro, per esempio. Occorre stare attenti a queste nudità nascoste che portano ad una mancanza di nudità. Tra le altre emergenze sottolineate dal cardinale è quella della famiglia. La famiglia educa a riconoscere ma anche ad accogliere queste situazioni difficili. Per esempio le famiglie ferite, separate, che a volte sono messe da parte.
Ci vuole quindi l’accoglienza delle persone che hanno sbagliato laddove c’è da curare le ferite.
Ed infine la mancanza di lavoro che è un’esperienza molto forte specialmente nella nostra città.
L.y
C’è un’attenzione a formare ed a prepare le persone anche nell’aiuto all’altro. Ci sono responsabilità che devono assumersi chi ha un compito istituzionale o chi occupa posizioni che possono permettere di cambiare le situazioni, ma c’è soprattutto necessità di un impegno quotidiano nel nostro piccolo che per ciascuno sarà un campo diverso dove impegnarsi. Anche per noi anziani che siamo chiamati a dare quello che possiamo ma anche per noi c’è qualcosa da fare. A me è stato dato una visione della nostra vita simile ad un mosaico o ad un puzzle. Ognuno di noi è un tassello, ma se manca quel tassello, il mosaico non è completo. Non dobbiamo farci prendere dall’ansia perché dobbiamo fare il nostro ruolo. Dobbiamo avere una visione d’insieme a guardare quello che ci sta intorno. Dobbiamo anche, seguendo i suggerimenti del Papa, continuamente alimentare la speranza, specialmente nei giovani, e fare quello che ci è richiesto. Il nostro uno, completato dall 9 che farà il Signore, ma il nostro uno dobbiamo farlo.
d.F.
Ringrazio della vostra testimonianza. Da quando sono a Napoli sono rimasto colpito dalla povertà che vedo intorno. Nel mio periodo a Roma, forse per la zona in cui mi trovavo, non avevo visto questa povertà; la povertà c’è anche a Roma, persone che vivono nelle macchine, specialmente i separati. Ma qui ho trovato, insieme alla povertà, una grande disponibilità al volontariato ed alla disponibilità. Il cardinale nella lettera cita tante povertà. C’è una nudità che va al di là del vestito. La raccolta di abiti usati a volte fa vedere che in questo gesto noi ci liberiamo la coscienza dando roba che non è possibile riutilizzare, perché usato, rotta, strappata. Anche questo gesto non basta se non fatto con amore. Molto spesso ci coinvolge anche un senso consumistico che diamo via quello che non si serve.
C’è anche una nudità morale che noi qualche volta spogliamo ancora di più mettendo ulteriormente a nudo le difficoltà e gli errori. Non facciamo come Dio che nel libro della Genesi, quando Adamo si accorge di essere nudo, Dio lo riveste di pelli. Dovremmo interrogarci e mi colpiva quello che veniva detto sulla necessità di un rapporto umano che è un di più del semplice procurare un vestito. Dobbiamo fare in modo di rivestire le persone che hanno una nudità interiore e che hanno bisogno di ritrovare la loro dignità. Molto spesso quando uno sbaglia viene già etichettato e non diamo la possibilità di essere rivestito.
C’è una poesia di Roberto Laurita a commento della parabola del Padre misericordioso che dice: “E tu l’hai inventato proprio perché ci mettiamo nei panni del fratello maggiore”. Ecco, metterci nei panni dell’altro per vedere cosa lui prova. Mi ha molto colpito recentemente la morte di Cristina una donna polacca che viveva fuori la stazione di Mergellina. Quale ricchezza aveva questa donna che abbiamo scoperto solo quando è morta e prima non sapevamo chi fosse. Era una povera ma ricca dentro, della sua esperienza. Mettersi quindi anche nei panni dell’altro per comprendere chi veramente sia.
Dice ancora Laurita. “Noi, che sappiamo di aver bisogno sette volte al giorno della tua misericordia, non siamo disposti a fare sconti al nostro fratello che ha sbagliato…. Cambia, dunque, Signore Gesù, questo cuore duro di pietra, ostinatamente chiuso e pronto a giudicare e donaci un cuore nuovo, un cuore di figli, tenero con i fratelli, proprio come il tuo.”
Dobbiamo quindi noi rivestirci di qualcosa di nuovo per rivestire poi gli altri della propria dignità.
M.o
Come sapete ricevo le lettere che inviano i ragazzi che sosteniamo in giro per il mondo. Prima di Natale mi sono arrivate da ciascuno con un cartoncino di auguri. In una di queste mi ha colpito una frase di Santa Teresa di Calcutta che si può applicare molto a quanto stiamo dicendo stasera: “Quello che facciamo è una goccia nell’oceano, ma anche l’oceano sarebbe più piccolo senza quella goccia”.
E’ una cosa che vale per questo ma anche per tante altre situazioni ed a volte noi non sappiamo seguire questo consiglio perché ci scoraggiamo pensando che quello che possiamo realizzare non risolve i problemi: ed invece anche una goccia serve.
L.y
Ognuno di noi è frutto di tanti incontri che ha vissuto nella vita. C’è stato un momento della mia vita in cui ho dedicato parte del mio tempo a fare volontariato in ospedale stando vicino ai bambini ricoverati. Ricordo che questi bambini stavano in un reparto dove allora le mamme non potevano entrare. Noi li facevamo giocare, ci accoglievano piangendo, stavano poi con noi giocando e poi li lasciavamo piangendo. Ne parlai con il mio pediatra perchè mi interrogavo sul senso di questo se il risultato era comunque che li lasciavamo piangendo. Il mio pediatra, uomo saggio, mi sostenne facendomi capire che due ore d’amore dedicate a quei bambini gli dave modo di vivere un momento diverso. Era poco ma serviva. QUindi non mi devo tirare indietro anche se non posso risolvere le situazioni. L’esigenza di voler risolvere i problemi ci frena, invece dobbiamo saper vivere.
F.a
Pensando al pranzo degli amici di strada viene da pensare a cosa serve e cosa risolve tutta questa macchina organizzativa che sta alle spalle quando poi queste persone tornano per strada al freddo. Riflettevo però che è prima di tutto importante che ci sia un coinvolgimento di persone di estrazione, età, scelte diverse che si mettono insieme per realizzare un progetto, con una solidarietà nelle piccole cose che tante sentono e sono disposte a fare. E poi anche che è stata una giornata diversa per queste persone che hanno passato un giorno in cui sono stati accolti anche se poi sono ritornati da dove venivano.
d.F
Bisogna anche dire che queste occasioni stanno creando una sensibilità non solo nelle persone che partecipano direttamente e che hanno creato un rapporto di affetto, quasi di amicizia, ma anche nella comunità che partecipa indirettamente. Io vedo che le cassette di raccolta delle offerte per i poveri sono più piene di prima; c’è una maggiore sensibilità. Nel primo anno che abbiamo fatto la mensa ho ricevuto poche offerte per sostenere l’iniziativa; quest’anno abbiamo ricevuto veramente tanto.
F.o
E’ fondamentale il coinvolgimento; l’ho sperimentato qualche anno fa quando una persona anziana ha voluto contribuire per sostenere il sostegno a distanza. Quasi cercavo di persuaderla. Eppure lei ha voluto lasciare una traccia, quasi un’eredità, ora la figlia continua nel suo nome. Ma ci sono due componenti essenziali ed indispensabili: ci vuole continuità ed organizzazione. Sono due cose fondamentali per la nostra azione altrimenti la spontaneità non raggiunge gli obiettivi. Anche il Papa ha chiesto di lasciare aperte le chiese in questi giorni per aiutare i senza fissa dimora in questi giorni di freddo.
L.o
Vi ringrazio per l’invito. E’ stato un modo per riflettere sulla mia professione.
Curare gli infermi è molto “sentito” nel nostro sentire napoletano. Ma si diventa malati anche se non si mangia e non si beve. Questa attenzione è un modo nuovo di interpretare il medico. C’è di fatto una tendenza ad isolare l’atto medico che invece ora si vuole rendere anche un atto sociale.
In uno studio fatto a Torino sono state correlate le fermate dell’autobus con il reddito delle persone che le frequentano e da qui anche con le malattie. C’è una correlazione evidente tra il reddito e le malattie e le infermità.
D’altro canto invece si tende a far diventare una malattia cioè che non è; per esempio un fattore di rischio come il colesterolo è considerato una malattia; senza considerare per esempio la medicina estetica che non ha niente a che fare con una “malattia”.
E’ un aspetto di quello che possiamo chiamare la “mercificazione” della professione medica. Quando ero studente ho sentito di un’esperienza in Cina detta “dei medici con i piedi scalzi”. In ogni villaggio venivano assegnati 2 medici: per 6 mesi erano responsabili della salute degli abitanti del villaggio e per 6 mesi lavoravano la terra; un modo eccezionale per legare il medico alla situazione del malato ed al suo ambiente.
Ora invece c’è una tendenza a separare il medico dal malato come se non fossero entrambi uomini.
C’è un famoso medico tedesco della fine dell’ottocento che affermava che la medicina è una scienza sociale, e perfino la politica si può considerare una medicina su larga scala.
Curare la persona è quindi una grande azione che va al di là dell’atto medico.
Ero in Kenia in un ospedale alla periferia di Nairobi. Lavoravo con amici medici. C’era una anziano nel villaggio che lavoravo la pietra ed avevo deciso di andare ad acquistare qualcuno di questi oggetti. Partii con lui nel primo pomeriggio prima delle piogge equatoriali caratteristiche del pomeriggio; il sentiero era abbastanza distante e lui mi dovette riaccompagnare quando era già buio per un sentiero nella savana. Appena abbandonammo il villaggio non si vedeva niente; l’unica cosa che percepivo era il bagliore delle mie scarpe con alcuni lustrini. Non sentivo niente e decisi di concentrarmi sul rumore delle ciabatte del vecchio che mi precedeva. E’ stata un’esperienza di affidamento totale, quasi di fede. Dipendevo solo da lui.
Questa mi sembra sia la condizione di un infermo che viene da me come medico e se io posso offrirgli qualcosa lui non può che aggrapparsi a quel rumore, a quella lampadina che vede.
Un altro aspetto della condizione del medico è quello del successo; il medico è affascinato dal numero delle persone che lo cercano. E’ una tentazione: più si è cercati, più ci si adopera per dare il meglio.
E’ un circuito pericoloso che si può iniziare con semplicità ma pian paino porta ad una situazione che non è più “curare gli infermi”.
Sto lavorando ora in un ambulatorio per immigrati ed ho uno “sfizio” statistico: registro da dove vengono le persone che mi contattano. Una statistica che mi serve anche per dare indicazioni alla direzione sanitaria. E posso raccontare un episodio che è l’unico che ho in 3 anni di rilevazioni.
Una donna rumena venne da me per farsi visitare; aveva una tosse da circa 15 giorni. Nel mio ambulatorio ci occupiamo anche del problema della tubercolosi degli immigrati. La donna era molto preoccupata perché aveva perso il posto di lavoro in quanto lavorava in un bar. Le chiesi chi l’aveva indirizzata a me, al mio ambulatorio e lei mi rispose: “un angelo”. Continuammo il contatto e la cura (vengono ogni 3 settimane per il controllo) ed insistei nel chiederle chi l’aveva indirizzata a me. E lei ancora mi rispose: “un angelo”.
Questo episodio mi responsabilizza perché veramente non si sa il modo in cui si viene in contatto con le persone.
Ho visto recentemente un film “La ragazza senza nome” che parla di una ragazza belga che vive una situazione analoga mantenendo questa curiosità nella ricerca.
Un altro versante importante è la “distanza emotiva”, altra caratteristica che viene trattato nel film di cui vi dicevo. Noi siamo educati all’università che il medico deve essere distaccato dal paziente perché altrimenti non è un buon medico. Il padre di un mio amico mi consigliò, quando ero studente, di non curare i familiari.
Io invece ho fatto la scelta di non distaccarmi dal paziente anche se ho evitato professioni mediche più “cruente”, come per esempio il chirurgo, ma ho deciso di non fare a meno della mia emotività e continuo a seguire e consigliare familiari ed amici così come mi lascio coinvolgere da che viene da me.
Nelle mie statistiche cerco di mettere anche informazioni sulla famiglia del paziente, sulle sue condizioni di vita; queste servono per tirarmi dentro la vita del paziente perché stando dentro si studiano e si tenta di capire meglio le situazioni.
Quando vedo ricette di colleghi che ad extracomunitari prescrivono elenchi di medicine e di indagini mi rincresce perché so che nessuno di loro può permettersi di acquistare quei farmaci, di fare quegli accertamenti.
La distanza emotiva che viene richiesta mi sembra come se si chiedesse ad un genitore “fregatene di tuo figlio quando devi prendere una decisione per lui”.
E questa affermazione si lega all’ultimo punto di cui vorrei parlare che è quello dell’errore medico.
Questo è di fatto un altro tabù perché il medico per definizione “non deve sbagliare”. Invece io penso che nell’errore il medico fa esperienza. Invece se il medico sbaglia si tende a coprire l’errore del medico non aiutandolo a migliorarsi.
La federazione dei medici recentemente ha iniziato a fare dei corsi su come trasmettere al paziente l’errore del medico.
L’errore fa crescere; è un argomento di elevatissimo profilo cristiano. Se noi rifiutiamo l’idea che si possa sbagliare, rifiutiamo l’idea che un medico diventi bravo. IL medico bravo è quello che è disposto ad ammettere l’errore e farsi carico comunque del paziente per correggere l’errore. Il medico che non riesce a fare questo processo migliorativo, tende a trovare scorciatoie, tende a tentare terapie o abbandona e passa la mano ad un collega.
Invece se si è capaci di farsi carico dell’errore si riesce ad essere solidali con il paziente ed insieme a lui trovare una strada nuova per risolvere il problema.
Vi racconto ora di un mio errore che mi ha fatto enormemente crescere nel lavoro quotidiano, un episodio che ha la peculiarità che l’ho già raccontato proprio in questa stanza nel 1991. Quella volta mi venne da piangere, spero che oggi sia più capace di controllarmi.
E’ avvenuto in Senegal quando lavoravo in un dispensario con alcuni infermieri ed un guardiano. Nel rispetto ella cultura locale facevo preparare l’ordine di ingresso dei pazienti al guardiano. L’usanza locale è che i vecchi hanno la precedenza sui bambini. Una di queste mattine, dopo una decina di vecchietti, più volte il guardiano mi avvertì che c’era un giovane che voleva entrare prima degli altri. Gli ripetei sembra di organizzare lui la sequenza degli ingressi. E questa scena si ripeté più volte con lui che chiedeva ed io rimandavo a lui la scelta. Ad un certo punto entra un padre con una bambina piccolissima e mi consegna la bambina che stava morendo e di cui io potetti solo percepire l’ultimo batto della vita che finiva. Questo mi fece capire che avevo fatto un errore perché dovevo avere io il controllo della sala e delle priorità e non delegare ad altri questo compito. E da quel giorno, quando facevo il pronto soccorso, andavo sempre vicino all’auto per vedere chi stava arrivando, per giudicare immediatamente dell’urgenza dell’intervento.
Ora, interpretato come gesto di gentilezza e di saluto, vado sempre io a vedere chi è il prossimo che deve entrare per lanciare uno sguardo a chi è in attesa. E ricordo di sicuro almeno due volte che ho identificato persone che avevano urgenza di passare avanti per essere visitati prima.
In questo io identifico 4 categorie di persone: chi non ha problemi urgenti, può disturbare e può non disturbare per farsi visitare; così come chi ha problemi non urgenti, può disturbare e non disturbare.
C’è in realtà chi ha motivi seri e non è capace di pretendere di essere visitato prima. Quell’esperienza mi ha permesso più volte di percepire la presenza di queste persone che, pure nel bisogno, non sanno farsi avanti e dagli ascolto e priorità nel visitarli.
Come pure quell’esperienza mi ha segnato nel saper percepire gli attimi finali di una persona e mi sono trovato a volte, anche con mio padre, a radunare i parenti e gli amici presenti percependo la fine di un paziente che stavo assistendo.
L.a
Sono volontaria in un ospedale pediatrico. Sono 13 anni che segue i piccoli pazienti dell’ospedale Pausillipon nel reparto di oncologia pediatrica. Quando sono con loro cerco di non pensare che sono bambini malati.
L’attenzione all’altro ha condizionato sempre le scelte della mia vita. Ed ora con questo impegni sento di essere attesa. E solo quando esco che sento tutto il peso della sofferenza che ho cercato di allontanare nei momenti che sono stata nel reparto.
IN questi anni sono tanti gli episodi che mi hanno coinvolto.
Negli ospedali non c’è solo sofferenza fisica ma anche sofferenza psicologica. Ci sono anche condizioni che non facilitano la guarigione. Per questo c’è bisogno di un volontario che dona soltanto amore. C’è bisogno di volontari che aiutino che sta nella sofferenza.
C’è ora la tendenza ad allontanare chi è diverso non soltanto nel colore della pelle ma anche chi è malato. Non si è disponibili ad ascoltare chi sta nella sofferenza perché c’è già tanta sofferenza.
L.y
L’errore medico viene accettato da chi l’ha fatto e da chi l’ha subito solo se c’è un rapporto corretto tra le due persone.
Ci sono medici ed infermieri che si comportano bene e nella mi esperienza dolorosa ho avuto modo di conoscere tante persone ed ho sentito poi il bisogno di ringraziarli per il modo in cui avevano seguito il percorso di cura.
B.a
Io ho ricevuto due miracoli da medici. Quando ero piccola un amico di mio padre lo consigliò di portarmi a Bologna dove c’era un medico ortopedico che aveva lasciato tutto per seguire la figlia che aveva avuto la poliomelite. Un coinvolgimento emotivo senza uguali. E lui mi ha seguito passo passo applicando a me le cure che aveva sperimentato sulla figlia. Un grande esempio di coinvolgimento emotivo, senza eguali.
Il secondo miracolo è la presenza di mio zio ginecologo che ha seguito tutta la gravidanza per la nascita di mia figlia; anche in questo caso ho percepito il suo coinvolgimento nel seguirmi con trepidazione ma con tanta professionalità.
F.o
Ringrazio dei vostri interventi perché ci avete dato una luce toccando aspetti molto profondi. Ci sono degli esempi belli anche nel cinema. Per esempio ricorderete il dott. Kildare che negli anni della mia giovinezza si presentava come un medico carico di empatia e che forse in qualche modo ha condizionato anche la mia scelta.
Si è perso ora l’affidamento di farsi guidare dal medico e forse in questo modo si è perso anche la possibilità della guarigione.
Don Enzo Romano, che ricordiamo con affetto, diceva che si usa il termine “mi opero” quasi come se uno si operasse da solo semplicemente affidandosi al medico che realmente opererà su di me.
Il non farsi coinvolgere del medico è un modo per non soffrire. Noi medici dobbiamo non tanto “curare” ma “aver cura” della persona che è qualcosa di più che curare una persona.
ED in questo senso concordo che la politica è un interessarsi e “curarsi della persona”.
“Curare gli infermi” significa aver cura e rendersi conto anche nudità che investe il malato. IL malato è spogliato della vanagloria della superbia. Dall’altra parte il momento della malattia è il momento dell’egoismo totale, del pensare solo a se stessi.
Dobbiamo aver cura di questo ed è un comando che chiama tutti noi cristiani anche se i medici sono chiamati in prima persona ad agire.
L.a
Il “curare” è un ambito che riguarda tutti i cittadini. Dobbiamo prenderci cura quando ci troviamo a stare a fianco di una persona che soffre. Possiamo ricevere da questi tanti insegnamenti e come credenti possiamo essere capaci di vedere nell’infermo il volto del crocifisso.
Basta mettersi vicino per ricevere piuttosto cha dare. Si può sperimentare la preziosità degli ultimi atti. Chi non è medico avverte un senso di impotenza, il dubbio che assale ma che non deve prendere il sopravvento nel rapporto con il malato
d.F.o
Lettura del testo Genesi, 18,1-10. Incontro di Abramo alle querce di Mamre con i tre pellegrini.
Nei primi libri della scrittura si parla di un Dio forestiero e pellegrino perché Dio non era conosciuto. Tramite Mosè, Dio si fa conoscere nel roveto ardente. Poi Dio diventa pellegrino nell’Esodo accompagnando il popolo verso la terra promessa. I primi libri dell’Antico Testamento sono ricchi di espressioni sull’accoglienza ai forestieri ed ai pellegrini.
Poi, nel Nuovo Testamento, i pellegrini sono quelle persone che si muovono per andare verso le comunità facendosi pellegrini.
Dopo il 313 e l’Editto di Milano, sorsero chiese che richiamavano l’attenzione al pellegrinaggio. In alcune chiese furono issati obelischi, per richiamare l’attenzione della presenza della comunità. Nella Chiesa primitiva si sollecita molto ad alloggiare i pellegrini.
Anche Gesù è stato accolto in casa da molte persone così come ci descrivono i Vangeli.
Paolo scrive di essere attenti ai pellegrini. Nell’Apocalisse leggiamo che Dio si fa viandante.
La lettera agli Ebrei infine dice: ”Non dimenticate l’ospitalità ”
N.a
Vi porto la mia lunga esperienza di volontaria presso il centro “la Tenda”.
Il centro “la Tenda” nacque nel 1980 per l’assistenza ai tossicodipendenti secondo il progetto di don Mario Picchi. Ora si occupa dei senza fissa dimora ed recentemente anche delle famiglie del rione Sanità.
La Tenda è un centro dove non si chiedono i documenti per alloggiare le persone diversamente dal dormitorio pubblico. C’è una roulotte all’ingresso dove le persone possono “accreditarsi” ed avere ospitalità per 15 giorni. Per questo il centro è preferito perché si semplificano le procedure burocratiche (permessi di soggiorno ed altro).
Passato il periodo di 15 giorni, si dice che “vanno in emergenza” nel senso che dovrebbero andare via ma invece restano solo se c’è posto. In sostanza il posto esce sempre anche se occorre utilizzare i sacchi a pelo.
Ho conosciuto Antonio Vitiello molto tempo fa. Il centro non ha un grande sostegno. Il Comune ci dà 14 euro al giorno per 30 persone per 10 mesi. Ma noi ne ospitiamo 130; forse quest’anno avremo i contributi dell’anno 2000. Questo significa che dobbiamo fare da soli.
Da poco tempo si è aperta la casa Crescenzio, dove si accolgono i senza fissa dimora affetti da malattie.
Lo scopo di questa casa sarebbe quello di accoglierli per tutta la giornata. Ma per ora sono ospitati solo per la notte.
Non voglio sembrare retorica nel dire noi che andiamo a “la Tenda” riceviamo sempre qualcosa perché in ciascuno di queste persone esiste e resiste un minimo di dignità. Non dobbiamo dare il posto o la medicina ma attenzione ed è quello che cercano perché il resto riescono a procurarselo in tante maniere.
I problemi sono tanti; molto spesso occorre anche chiamare la polizia perché arrivano persone ubriache e avvengono ovviamente delle risse.
Oggi purtroppo, invece di fare la lotta alla povertà si fa la lotta ai poveri. Anche il quartiere Sanità, che non è mai stato un ghetto, incomincia ad avere paura e pretende l’allontanamento di queste persone.
La nostra presenza in questa realtà è un modo di guardare i fratelli che hanno più bisogno del nostro aiuto.
F.o
Il senso del pellegrinaggio deve essere riscoperto come senso di un viaggio, della ricerca di qualcosa. L’andare verso qualcosa e desiderare insieme di giungere ad una meta.
Noi siamo pellegrini sulla terra perché siamo di passaggio anche se dobbiamo porci una meta e riscoprire questa insicurezza per mirare ad un senso.
L.y
C’è qualche piccola cosa che possiamo fare. Nel Movimento dei Focolari ci sono persone che si dedicano come consacrate. Queste girano per i focolari che esistono in tante parti del mondo. Hanno ovviamente bisogno di ospitalità. Ho fatto esperienza di ospitare queste persone con un’accoglienza piena. anche di disponibilità.
Anche questo è un modo di accogliere il pellegrino.
Ho fatto volontariato nel nome di San Vincenzo. Sono entrata in carcere con le suore vincenziane, esperienza bella ma non priva di sofferenza.
Chiunque di noi si sente partecipe a quello che vediamo. A contatto con le persone che vivono in carcere ho imparato a vivere diversamente la vita. Mi rendo conto di essere diversa.
Le persone che sono recluse sono persone che hanno sbagliato. Quello che mi ha fatto sempre tenerezza e la moltitudine di giovani che commette errori perché sono abbandonati dalle famiglie. Oppure nel caso che la famiglia ci sia, non è idonea ad educare.E’ meglio una famiglia sbagliata che una famiglia che è assente.
A volte i giovani difendono le loro famiglie di origine sostenendo che i genitori non hanno colpa delle loro scelte.
La famiglia alle spalle aiuta i figli a sbagliare di meno. Sono ragazzi la cui colpa è non aver avuto una guida, un insegnamento che li aiutasse a vedere diversamente la vita. Vivono in quartieri dove la violenza è di casa. Molto spesso hanno ritrosia a dire la loro sofferenza, non frequentando la scuola o abbandonandola presto.
Partecipare al dolore degli altri aiuta a ridimensionare i desideri della vita ed anche a vedere la propria vita in un’ottica diversa.
Di solito releghiamo i carcerati in un angolo mentre, invece, se aiutato, chi ha sbagliato può riprendersi.
Ci sono due modi di venire in contatto con queste persone : o vengono le famiglie che chiedono di andare dei loro familiari oppure dall’interno del carcere, direttore, cappellano, segnalano la necessità di un colloquio personale.
C’è necessità di un percorso per venire in contatto e conquistare la fiducia. La prima “regola” da trasmettere e il rispetto delle regole perché è fondamentale far capire che nella vita in ogni momento, le regole vanno rispettate.
I primi tempi in cui si fa questo tipo di volontariato sono molto duri; poi pian piano l’esperienza aiuta ad entrare in contatto e trovare le parole giuste.
Il primo contatto, specialmente se non è stato richiesto esplicitamente, occorre stabilire un rapporto di fiducia in modo da acquisire un rispetto reciproco di comprensione.
Si percepisce il bisogno di sentire qualcuno che racconti che la vita ha dei valori che a loro non sono mai stati insegnati. Per esempio il rispetto della compagna di vita o il rispetto dei genitori. Molto spesso non hanno percezione del mancato rispetto che hanno avuto nei confronti delle persone intorno a loro e specialmente del dolore che hanno provocato a queste persone.
Il colloquio deve essere personale e la presenza di altre persone altera il rapporto che si instaura ed interrompe il cammino che si riesce a creare. Fondamentale perciò è la continuità delle visite.
Per questo è difficile trasmettere ad altri volontari un’esperienza che si è costruita giorno per giorno.
All’inizio dell’incontro sono stati letti alcuni spunti delle omelie che papa Francesco ha tenuto durante le udienze del mercoledì nello scorso anno giubilare proprio sul tema delle opere di misericordia che sono state il tema degli incontri di quest’anno.
Il testo completo delle omelie sono qui riportate. Omelie papa Francesco La discussione ha sottolineato il bel percorso fatto quest’anno specialmente per le concrete testimonianze che abbiamo ricevute da persone che si impegnano nel quotidiano nell’applicare le opere di misericordia. E’ stato sottolineato che sono tutte iniziative che possono sembrare piccoli gesti nei confronti dell’umanità ma che, con un atteggiamento di fiducia nel Signore, portano a grandi risultati perché arricchiti dalla Sua potenza.
Sono state testimonianze che ci hanno fatto capire che “si può fare” e che ciascuno di noi può essere chiamato, nella sua specificità, ad essere portatori di questo messaggio. Abbiamo ricevuto in particolare testimonianze di costanza per lunghi anni a dedicare tempo a chi ha bisogno, avendo ricevuto una ricchezza che ci deve aiutare a diffondere il messaggio anche quando non possiamo partecipare in prima persona a queste iniziative.
Abbiamo capito che il bene agisce nel silenzio e non fa rumore. Molte delle persone che ci hanno portato la loro testimonianza sono vicine a noi ma di molte sapevamo solo qualcosa di quello che facevano e ci sfuggiva la ricchezza del loro operare.
Resta il desiderio che queste esperienze condivise all’intero del gruppo famiglie Insieme possano essere conosciute anche all’esterno negli altri settori della comunità. E’ un proposito che potrebbe essere tenuto in considerazione negli anni futuri.
Considerando che la prossima lettera pastorale del cardinale sarà incentrato sul tema “Alloggiare i pellegrini”, sulla base delle riflessioni di quest’anno e su quanto ci verrà proposto dal cardinale, si dovrà avere particolare attenzione per le tante necessità che sono in torno a noi, non solo per la situazione degli immigrati ma anche delle tante forme di povertà che ci sollecitano ad agire.
In linea di principio, come programma per il prossimo anno, sembra consequenziale che il cammino prosegua con la riflessione delle opere di misericordia spirituale. Anche per queste possono e debbono essere trovate testimonianze che ci possano presentare nel concreto cosa vuol dire agire con misericordia verso gli altri.
Un impegno preso per ripensare nel periodo estivo ai modi in cui questo cammino possa svolgersi, utilizzando le cose positive viste quest’anno.