I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2017-2018
“Le sette opere di misericordia corporale”
Ecco un sunto del suo intervento.
Le confraternite hanno varia origine e scopi. Un tempo anche la sepoltura veniva praticata all’interno delle confraternite, ma questo ora è vietato. Suggerisco una visita guidata alla chiesa dell’arciconfraternita dei Pellegrini dove, al disotto della chiesa madre c’è una chiesetta più piccola dove c’è ancora la terra sacra, dove un tempo venivano effettuate le sepolture.
Anche se alle confraternite si associa il concetto di sepoltura per l’attività che svolgono presso il cimitero, il grosso dell’attività delle confraternite è l’assistenza ai poveri. E’ il primo monito dell’arciconfraternita è di dare a chi non ha; i veri poveri non si fanno mai avanti e bisogna andare a cercarli.
L’ospedale dei Pellegrini, finchè era affidato al privato si manteneva sulla carità, sui lasciti dei confratelli.
Esiste ancora un banco alimentare dove una volta al mese si distribuiscono alimenti ai malati ed ai loro familiari facendo attenzione ad aiutare solo veramente che non riesce a mantenersi.
C’è anche un banco dei vestiti e quello farmaceutico, procurando medicinali secondo le indicazioni dei medici curanti.
L’assistenza che si faceva come privati (come arciconfraternita) è stato ora acquisito dallo stato come Azienda Sanitaria Nazionale e quindi il vecchio Pellegrini, il Nuovo Pellegrini (ora S. Giovanni di Dio) ed il convalescenziario sono passati allo stato con una perdita di efficienza notevole.
L’arciconfraternita aveva provveduto a ricostruire tutte le strutture dopo i danni della guerra.
Alle origini questa confraternita si è creata collegandosi ad una confraternita romana e quindi direttamente dipendente dalla curia romana. Era questa infatti all’epoca l’unico modo di poter esistere.
Attualmente la confraternita si mantiene in virtù delle donazioni ricevute gestendo al meglio le proprietà che le sono state conferite avendo come solo scopo la beneficenza. La gestione delle sepolture per ottemperare all’opera di misericordia “Seppellire i morti” si è resa possibile costruendo due cappelle all’interno del cimitero di Poggioreale.
La gestione amministrativa della confraternita è controllata da un consiglio degli eletti; si può entrare a far parte facendo domanda ed essendo presentati da almeno altri due confratelli; una commissione poi verifica la richiesta ricevuta.
I diritti sono quelli di poter frequentare le strutture della confraternita, avere un funerale, essere accolto all’interno della cappella cimiteriale.
Gli obblighi sono la mutua assistenza, la partecipazione alla messa domenicale presieduta dall’incaricato del vescovo, don Tonino Palmese. Una volta al mese tutti i confratelli presenziano alla messa domenicale con il saio rosso ed il cappuccio, il rosso simbolo della carità, il cappuccio simbolo delle segretezza nel fare la carità. Anche una volta al mese c’è la processione del Santissimo nelle corsie dell’ospedale, cerimonia che continua ad essere effettuata, nonostante le difficoltà.
Si richiede anche la partecipazione ai funerali dei confratelli, essendoci un rito molto particolare da svolgersi.
Tutte le operazioni amministrative sono controllate e dirette da un governo. I cosiddetti “monti” sono donazioni annuali dei confratelli che vengono utilizzati solo per la carità.
C’è una commissione che che giudica e verifica il sostentamento delle famiglie assistite; c’è un centro didattico organizzato per circa 60 ragazzi della Pignasecca con un doposcuola. Le “consorelle”, ammesse solo recentemente nella confraternita, si dedicano specialmente a questa attività di sostegno per i ragazzi.
C’è anche un centro culturale, una fondazione, che organizza conferenze.
Infine c’è il centro Giovino per l’assistenza sanitaria in molte branche della medicina. I pazienti pagano per il servizio prestato in modo da sostenere le spese e poter quindi aiutare chi non ha questa possibilità. I professionisti sono retribuiti in base all’attività svolta.
Il dibattito che è seguito ha sottolineato che, partendo da una conoscenza forse superficiale della confraternite, a cui si legava il compito delle sepolture, si è venuto a conoscere una realtà forse ignota a molti.
Testo dell’incontro di riflessione e preghiera:
Famiglia luogo della accoglienza
Gesù accolto nella famiglia di Nazareth e dagli uomini di buona volontà rende la famiglia accogliente
Canto iniziale (Esci dalla tua terra)
Lettore 1
Ci stiamo avvicinando al tempo liturgico dell’Avvento, che vivremo nel mese di dicembre: esso non si caratterizza solo come tempo di attesa del Signore che è venuto nella storia e che verrà a dare compimento alla nostra storia personale e familiare, ma è anche tempo forte ed occasione per riflettere sul nostro modo di vivere e di valutare ciò che è veramente importante e prezioso, capace di realizzare il nostro essere uomo o donna che vive e cresce nella famiglia, chiamata da sempre alla formazione della comunione e della accoglienza tra le persone. Quindi è un invito anche a riscoprire la vocazione della coppia e della famiglia. Il Signore che viene si incarna e viene accolto in una famiglia, che quindi genera al mondo il Salvatore
“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi […] Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio”. (Gv 1). Chi accoglie Gesù è la sua famiglia, sia quella naturale, sia quella composta dai suoi fratelli, cioè da chi accoglie e mette in pratica la Parola di Dio, come Gesù stesso dice; Gesù nasce ed è accolto in una famiglia storica, reale, quella di Maria e Giuseppe, che nonostante i dubbi e le difficoltà, si fida della Parola di Dio, accoglie la Sua Parola e vive una avventura nuova, straordinaria che stravolge la loro stessa vita e li rende capaci di accogliere e donarsi come mai avrebbero potuto immaginare. “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente…”
Insieme, proclamiamo e facciamo nostro l’inno da cui è tratta questa frase, il Magnificat
L’anima mia magnifica il Signore *
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva. *
D’ora in poi tutte le generazioni
mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente *
e santo é il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia *
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, *
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, *
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati, *
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, *
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri, *
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.
Gloria al Padre e al Figlio *
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre *
nei secoli dei secoli. Amen.
Lettore 2
Meditiamo ancora il racconto di come Gesù viene accolto nella sua famiglia. Certamente non deve essere stato facile, sia per Maria, sia per Giuseppe. Oggi si parlerebbe di “gravidanza indesiderata”, e le soluzioni sarebbero a portata di mano, la via facile che forse non porta al bene.
Mt 1, 18-25 dal vangelo di Matteo
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù.
Accogliere una nuova vita in famiglia è una esperienza unica che porta gli sposi a ripercorre la fecondità dello stesso amore di Dio Padre. Nel tempo della gravidanza e dell’attesa «i figli sono amati prima che arrivino». Questo riflette il primato dell’amore di Dio che prende sempre l’iniziativa, perché i figli «sono amati prima di aver fatto qualsiasi cosa per meritarlo» (A.L. 166)
Lettore 3
Nel percorso pastorale che il nostro Cardinale Arcivescovo ha scelto per la Chiesa di Napoli, che ci propone di vivere le sette opere di misericordia, quest’anno la lettera pastorale “Accogliere i pellegrini” ci invita a riflettere e mettere in pratica la quarta opera di misericordia corporale. Essa si rivolge a tutti ed in modo particolare alle famiglie cristiane. A ciascuno di noi per aprire gli spazi del cuore. L’accoglienza, infatti prima ancora di essere un’azione esterna, è un atteggiamento dell’animo. Quante sono le persone che stanno nel nostro cuore? Quante sono le persone alle quali teniamo veramente? Certo ci sono i nostri figli, lo sposo, la sposa, i nostri genitori, i fratelli, l’amica del cuore… Ma quante sono in tutto le persone che amiamo, le persone con le quali desideriamo trascorrere del tempo, che ascoltiamo, quelle che ci rendono felici? Se ci interroghiamo sinceramente sul nostro mondo affettivo, potremmo scoprire che esso si riduce ad un piccolo numero.
Ecco perché diventa importante l’invito ad accogliere, ad aprire il cuore, a realizzare quella che si rivela la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano: nati per amore e chiamati ad amare. S. Giovanni Paolo II così si esprime nella Redemptor hominis: “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per sé stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” (GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, 10.)
Canto (Se mi accogli)
Lettore 4
Solo chi riconosce l’amore di Dio impara ad amare: chi si sente amato, ama a sua volta. Impara a fare a meno di tutto ciò che appesantisce la vita, diventa libero, capace di accogliere il suggerimento di Gesù: “Chi perderà la propria vita, la guadagnerà per davvero” (Lc 9, 24). Questa è la scommessa che ci sollecita, ci turba e ci mette in discussione.
Dalla lettera pastorale del Vescovo di quest’anno: “Aprire la propria casa e il proprio cuore all’altro mette in gioco l’intera esistenza; è un atto di coraggio e di fiducia smisurato e ci proietta già nell’abbagliante luce dell’ultimo giorno, quando ascolteremo le parole di Gesù: «Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20)”. (Lettera pastorale Accogliere i Pellegrini p.11).
Se qualcuno dunque vuole realizzare la propria vita in pienezza deve donarla. Sembra un paradosso eppure, più doniamo, più si dilata il cuore e più l’uomo si realizza. Lo sanno bene i genitori che si consumano per i propri figli e sono felici di farlo, perché si donano per amore, anche quando, talvolta accade, non sono ricambiati.
Si dice che nella moderna società siamo passati dal «padre – padrone» al «padre assente». Alcuni padri si sentono inutili o non necessari, ma la verità è che «i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno», come afferma l’Amoris Letitia. (A.L. 176)
Per riscoprire la vocazione ad essere genitori, meditiamo il brano di Gibran (ognuno dei partecipanti legge una frase, in circolo)
I vostri figli non sono figli vostri…sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l’arco che rimane saldo.
Lettore 5
La famiglia, dunque, è esperta di accoglienza. Vive l’accoglienza in modo proprio e naturale: si accolgono gli sposi ogni giorno promuovendo l’alterità e la reciprocità come risorsa; si accolgono i figli, i genitori ed i nonni, imparando a comporre le diverse generazioni nella legge dell’amore parentale; si accolgono i fratelli attraverso relazioni di affetto sincero. Nella famiglia ciascuno impara a prendersi cura l’uno dell’altro, sostenendosi e stimolandosi a vicenda per crescere insieme, perché la famiglia sia il luogo dove nessuno si senta mai solo.
La famiglia diventa veramente feconda quando accoglie con lo stesso calore ed intensità anche l’amico, il vicino, l’anziano solo, in una parola il prossimo bisognoso.
Certo ci sono oggi altre istituzioni che si prendono cura di chi ha bisogno, enti, associazioni, assistenti sociali ed organizzazioni caritative, ma nessuno può vivere l’accoglienza come la famiglia nel suo stile unico ed insostituibile, perché la famiglia è esperta nel prendersi cura delle persone.
Prendersi cura dell’altro, nello stile familiare, significa non fermarsi al primo aiuto, significa farsi carico, preoccuparsi, assumere su di sé gioie, problemi e disagi dell’altro. Una mano tesa che abbraccia chi è più piccolo, debole, indifeso, sostenendolo nell’aiuto materiale e spirituale, donandosi senza misura come ha insegnato Gesù buon samaritano. Solo chi ha vissuto l’esperienza della cura vissuta in famiglia, sa prendersi veramente cura dell’altro.
Diceva un grande amante della famiglia, San Giovanni Paolo II : “Famiglia diventa ciò che sei”. Gli fa eco Papa Francesco quando scrive che l’accoglienza familiare vissuta bene è “un vero cammino di santificazione nella vita ordinaria e di crescita mistica, un mezzo per l’unione intima con Dio” (A.L. 316).
Per questo, cantiamo la gioia di essere famiglia, benedicendo il Signore
Canto (Questa famiglia)
Lettore 6
Infine, chiediamo l’aiuto di Maria, la nostra Madre celeste con le parole del nostro Cardinale Sepe: “Ci renda capaci, Maria, di gesti ospitali. Vinca le nostre apprensioni e paure. Abbatta le nostre frontiere. Ci insegni ad essere attenti e disponibili nei confronti del pellegrino della porta accanto, di chi è senza tetto, di chi arriva da lontano, di chi è senza affetti e legami sociali. Ci induca a rispettarli e ad accoglierli nella nostra terra, nel nostro cuore, nella nostra civiltà. Stringa noi e loro nello stesso abbraccio di Madre”. (Lettera pastorale Accogliere i Pellegrini p.15).
Affidandoci a Maria, terminiamo con la preghiera
Canto (Quel sì d’amore)
Domande per la riflessione/condivisione/preghiere:
1. Siamo coscienti della vocazione alla famiglia? Come la riscopriamo, la vivifichiamo e la manifestiamo?
2. Quante sono le persone che ci stanno a cuore? Quante sono le persone alle quali teniamo veramente?
3. In che cosa si distingue l’accoglienza vissuta secondo lo stile familiare da quella degli altri enti caritativi?
4. Quale esperienza di cura ed accoglienza vissuta nella famiglia è stata particolarmente importante per vivere oggi relazioni autentiche?
5. Donando sé stessi senza misura non si rischia di perdere la propria identità?
6. In che modo l’accoglienza familiare diventa un vero cammino di santificazione e mezzo per l’unione intima con Dio?
Il professor Gentile ha introdotto una lettura delle sette opere di misericordia spirituale. Nella sua presentazione si è soffermato non solo sulle prime due opere di misericordia, tema dall’incontro, ma ha preferito dare una lettura globale di tutte le sette opere per ispirare anche una chiave di lettura per i prossimi incontri.
Nei link che seguono sono disponibili sia gli appunti che il prof. Gentile ci ha messo a disposizione sia il testo integrale desunto dalla registrazione. Il testo non è stato però rivisto dall’autore
Appunti TrascrizioneMons. Lemmo ha introdotto una breve illustrazione dell’opera di misericordia “Ammonire i peccatori” per dare spazio alle domande.
Infatti è seguita una numerosa serie di domande che hanno permesso a mons. Lemmo di meglio precisare ed allargare l’illustrazione del precetto di ammonire i peccatori.
Qui di seguito è riportata la trascrizione del suo intervento e del dibattito che ne è seguito
L’incontro è stato preceduto da simpatiche condivisioni: Silvana ha riferito di un significativo apologo che ha inoltrato anche su WA: la grandezza di Dio.
Un ragazzino chiese al padre “papà, quanto è grande Dio?” Guardando il cielo, il padre avvistò un aereo e chiese al figlio: Che dimensioni ha quell’aereo?” il ragazzino rispose: “E’ piccolo, papà, quasi non si vede”. Così il padre lo portò in un aereoporto e guardando la pista si trovarono di fronte a un aereo e il padre domandò: “E ora che dimensioni ha questo aereo?” il ragazzino rispose: “Oh papà, questo aereo è enorme” A questo punto i padre gli disse: “Ecco, così è Dio! La sua dimensione dipende dalla distanza tra te e Lui! Più gli stai vicino e più Lui sarà grande nella tua vita!”
Don Franco ha proposto inizialmente la riflessione su II Cor 1, 3-7:
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.
Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo.
La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione.
Per introdurre il dialogo si è usufruito di due interventi particolari: la testimonianza che Carmen ci ha inviato e due video sui soccorsi nel terremoto di Amatrice del 24 agosto 2016. Sia la prima che tratta della vicinanza nei momenti della malattia (particolarmente nei malati di cancro in fase terminale), sia i 2 video che evidenziavano l’importanza del sostegno morale in coloro che sono colpiti da calamità naturali sottolineano quanto sia fondamentale non sentirsi soli nei momenti della prova e della sofferenza.
Testimonianza di Carmen
Quando nel gennaio del 2003 a mia madre venne diagnosticato un colangiocarcinoma, un tumore maligno e invasivo delle vie biliari, il dolore, lo sconforto, un terribile senso di impotenza mi colpirono all’improvviso come una frustata. Dopo il primo doloroso impatto con la malattia, un solo pensiero divenne predominante in me: quello di accompagnare mia madre facendole vivere il tempo che le restava circondata di cure e di amore, sentendo vicine le persone care in un ambiente familiare, circondata dalle sue cose. L’idea di farle vivere gli ultimi momenti in un ambiente freddo e distaccato come quello di un ospedale mi addolorava moltissimo. Mi sentivo terribilmente sola in quella situazione, abbandonata dalle istituzioni sorde a questa necessità: i malati terminali non interessano, sono una realtà scomoda che la società finge di ignorare. Ma la Provvidenza mi soccorse: venni a conoscenza di una associazione – poi fondazione – presente anche a Napoli, che si occupava di assistenza domiciliare ai malati terminali: l’ANT (Associazione Nazionale Tumori). L’ANT presta assistenza medica e infermieristica gratuita permettendo ai pazienti di vivere la fase terminale della malattia circondati dall’affetto dei propri cari, nella propria casa, tra le proprie cose. Fu un’esperienza bellissima per me, pur nel dolore: non ero più sola!
Dopo la morte di mia madre ho sentito la necessità di aiutare altri a provare la mia esperienza. Sentivo di avere un debito di gratitudine verso la vita e verso l’associazione che mi aveva aiutato in un momento tanto difficile e divenni volontario ANT, collaborando sia alla raccolta dei fondi, sia aderendo al Progetto Famiglia. guidato da uno psicologo, che si occupa di completare l’assistenza fornita da medici e infermieri con il sostegno psicologico ai pazienti e ai familiari che ne fanno richiesta. Come si può immaginare, è un tipo di volontariato difficile: l’assistenza a questo tipo di malati sembra poco gratificante perché senza speranza di un miglioramento e magari di una guarigione. Anche l’assistenza ai familiari sembra senza speranza: in che modo si può colmare il vuoto che crea l’ineluttabilità di un verdetto senza appello come quello di una diagnosi di tumore in fase finale? Mai come in questo caso “consolare gli afflitti” trova la sua massima espressione. Non si riesce a immaginare quanto sia utile in casi come questi la consolazione che viene dall’accompagnamento, dalla vicinanza, dal semplice “esserci” di chi con la sua presenza non ha altro da offrire, eppure diventa molto spesso l’unico antidoto al senso di smarrimento e di solitudine che senza questa solidarietà rischiano di sopraffare completamente chi si trova a vivere questa esperienza dolorosa. Consolare chi soffre senza speranza, significa partecipare al dolore del singolo assumendolo a dolore universale, vivendo nel profondo la convinzione di essere parti di un unico corpo: l’umanità.
Patrizia: tra coloro che sono afflitti, certamente ci sono anche i migranti. Un valido strumento di consolazione per loro è il progetto “fare Sistema Oltre l’Accoglienza”, che propone di accogliere un minorenne emigrato senza la famiglia, invitandolo a pranzo, provvedendo a pratiche burocratiche, facendogli passare ore serene, ecc. ecc. Quando si fa un atto di amore si riceve il triplo.
Silvana. Conta soprattutto la continuità, la fedeltà nello stare vicini a chi ha bisogno. È fondamentale il rapporto personale. Ci si deve chiedere: che cosa posso fare, nel mio piccolo? E molto spesso necessita una presenza silenziosa, che è il miglior sostegno morale.
Franco: ci sono due tentazioni, opposte: nascondere, mettere da parte le persone che sono nel dolore oppure ostentarle. Molto spesso nei momenti di dolore si vuole trovare il colpevole o in quale momento si è sbagliato. Chi vuole consolare deve mettersi accanto, stare vicino; ed è importante garantire questa presenza anche dopo l’episodio acuto.
Silvana: ho l’impressione, nei momenti di dolore, di avere sulla mia spalla il volto sanguinante di Cristo abbandonato. Sento la necessità di accarezzarlo.
Franco: distribuisco, come bagaglio da portarci a casa l’omelia di papa Francesco sulla consolazione
VEGLIA DI PREGHIERA “PER ASCIUGARE LE LACRIME”
MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Giovedì, 5 maggio 2016
Cari fratelli e sorelle,
dopo le testimonianze che abbiamo ascoltato e alla luce della Parola del Signore che rischiara la nostra condizione di sofferenza, invochiamo anzitutto la presenza dello Spirito Santo, perché venga in mezzo a noi. Sia Lui ad illuminare la nostra mente, per trovare le parole giuste e capaci di offrire conforto; sia Lui ad aprire il nostro cuore per avere certezza della presenza di Dio che non ci abbandona nella prova. Il Signore Gesù ha promesso ai suoi discepoli che non li avrebbe mai lasciati soli: in ogni situazione della vita Egli sarebbe stato vicino a loro inviando lo Spirito Consolatore (cfr Gv 14,26) che li avrebbe aiutati, sostenuti e confortati.
Nei momenti di tristezza, nella sofferenza della malattia, nell’angoscia della persecuzione e nel dolore del lutto, ognuno cerca una parola di consolazione. Sentiamo forte il bisogno che qualcuno ci stia vicino e provi compassione per noi. Sperimentiamo che cosa significhi essere disorientati, confusi, colpiti nel profondo come mai avevamo pensato. Ci guardiamo intorno incerti, per vedere se troviamo qualcuno che possa realmente capire il nostro dolore. La mente si riempie di domande, ma le risposte non arrivano. La ragione da sola non è capace di fare luce nell’intimo, di cogliere il dolore che proviamo e fornire la risposta che attendiamo. In questi momenti, abbiamo più bisogno delle ragioni del cuore, le uniche in grado di farci comprendere il mistero che circonda la nostra solitudine.
Quanta tristezza ci capita di scorgere su tanti volti che incontriamo. Quante lacrime vengono versate ad ogni istante nel mondo; una diversa dall’altra; e insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà, compassione, consolazione. Le più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si è visto strappare violentemente una persona cara; lacrime di nonni, di mamme e papà, di bambini… Ci sono occhi che spesso rimangono fissi sul tramonto e stentano a vedere l’alba di un giorno nuovo. Abbiamo bisogno di misericordia, della consolazione che viene dal Signore. Tutti ne abbiamo bisogno; è la nostra povertà ma anche la nostra grandezza: invocare la consolazione di Dio che con la sua tenerezza viene ad asciugare le lacrime sul nostro volto (cfr Is 25,8; Ap 7,17; 21,4).
In questo nostro dolore, noi non siamo soli. Anche Gesù sa cosa significa piangere per la perdita di una persona amata. È una delle pagine più commoventi del vangelo: quando Gesù vide piangere Maria per la morte del fratello Lazzaro, non riuscì neppure Lui a trattenere le lacrime. Fu colto da una profonda commozione e scoppiò in pianto (cfr Gv 11,33-35). L’evangelista Giovanni con questa descrizione vuole mostrare la partecipazione di Gesù al dolore dei suoi amici e la condivisione nello sconforto. Le lacrime di Gesù hanno sconcertato tanti teologi nel corso dei secoli, ma soprattutto hanno lavato tante anime, hanno lenito tante ferite. Anche Gesù ha sperimentato nella sua persona la paura della sofferenza e della morte, la delusione e lo sconforto per il tradimento di Giuda e di Pietro, il dolore per la morte dell’amico Lazzaro. Gesù «non abbandona quelli che ama» (Agostino, In Joh 49,5). Se Dio ha pianto, anch’io posso piangere sapendo di essere compreso. Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose. Mi scuote per farmi percepire la tristezza e la disperazione di quanti si sono visti perfino sottrarre il corpo dei loro cari, e non hanno più neppure un luogo dove poter trovare consolazione. Il pianto di Gesù non può rimanere senza risposta da parte di chi crede in Lui. Come Lui consola, così noi siamo chiamati a consolare.
Nel momento dello smarrimento, della commozione e del pianto, emerge nel cuore di Cristo la preghiera al Padre. La preghiera è la vera medicina per la nostra sofferenza. Anche noi, nella preghiera, possiamo sentire la presenza di Dio accanto a noi. La tenerezza del suo sguardo ci consola, la forza della sua parola ci sostiene, infondendo speranza. Gesù, presso la tomba di Lazzaro, pregò dicendo: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto» (Gv 11,41-42). Abbiamo bisogno di questa certezza: il Padre ci ascolta e viene in nostro aiuto. L’amore di Dio effuso nei nostri cuori permette di dire che quando si ama, niente e nessuno potrà mai strapparci dalle persone che abbiamo amato. Lo ricorda con parole di grande consolazione l’apostolo Paolo: «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,35.37-39). La forza dell’amore trasforma la sofferenza nella certezza della vittoria di Cristo e della nostra vittoria con Lui, e nella speranza che un giorno saremo di nuovo insieme e contempleremo per sempre il volto della Trinità Santissima, eterna sorgente della vita e dell’amore.
Vicino ad ogni croce c’è sempre la Madre di Gesù. Con il suo manto lei asciuga le nostre lacrime. Con la sua mano ci fa rialzare e ci accompagna nel cammino della speranza.
Franco: per i preti c’è il rischio di rimanere schiacciati, condividendo le situazioni di dolore, se non sei forte, se non ti riferisci al Signore, riconoscendo i propri limiti. E’ importante infondere speranza, intensificando la preghiera.
Silvana: nella preghiera c’è la certezza che, anche se non si vedono soluzioni, affidando la persona, la situazione a Dio, c’è sempre una soluzione. Questo affidamento dà consolazione.
Fulvio: non si può chiedere né pensare di risolvere tutte le situazioni. Anche nella pratica medica, bisogna arrendersi di fronte a tante patologie, che risultano incurabili; ma ciò non deve mai escludere che occorre aver cura della persona, sempre. Ci sono fulgidi esempi di come il dolore, la malattia possa diventare via di santificazione: Chiara Badano, denominata “Luce” da Chiara Lubich in quanto nei suoi ultimi due anni diffondeva luce e speranza dal suo letto, avendo accettato la malattia che l’ha portata a morte a 19 anni; alcuni hanno aderito alla “banca del dolore”, offrendo le proprie sofferenze per un bene superiore; esiste un ramo della congregazione di Madre Teresa di Calcutta, formato da persone sofferenti che “adottano” una delle suore impegnate in prima linea.
Franco: Ho avuto la grazia di conoscere a Roma Chiara Cordella, che viveva nella gioia la sua sofferenza. Andato da lei verso le 20 non ci siamo staccati dal suo letto se non alle 2 di notte, per la grande pace che emanava.
Franco: è la fede che dà grande consolazione
Don Carlo Ballicu, decano del decanato Chiaia-Posillipo, è intervenuto per una riflessione su “pregare Dio per i vivi e per i morti”.
Qui è riportato il suo intervento tratto dagli appunti presi nella serata.
Quando affrontiamo un tema siamo spesso portati a fare una lezione. Ma io non voglio fare una lezione ma una riflessione insieme, un lavoro di gruppo per capire cosa significa quanto ci viene chiesto nell’opera di misericordia spirituale: “pregare Dio per i vivi e per i morti”.
Detto in questo modo è chiaro cosa ci viene chiesto:
- cosa unisce i vivi ed i morti
- cosa significa pregare
- cosa significa pregare per i vivi
- cosa significa pregare per i morti
Dovremo uscire con l’idea di essere appassionati alla preghiera per i vivi ed i defunti.
Il primo concetto è che cosa unisce i vivi ed i morti. Alcune risposte possono essere: la fede, il Padre celeste, la comunione dei Santi.
Mentre le prime due sono intuibili ci si chiede cosa è la “comunione dei Santi”. E’ innanzitutto una affermazione della nostra fede, infatti è contenuto nel Credo che recitiamo durante la messa. Chiediamoci: quale carisma ci dà l’idea della comunione dei Santi? E’ l’unità ma anche lo stimolo a vivere questa unità.
Nel catechismo della chiesa cattolica (947) leggiamo:
« Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è comunicato agli altri. […] Allo stesso modo bisogna credere che esista una comunione di beni nella Chiesa. Ma il membro più importante è Cristo, poiché è il Capo. […] Pertanto, il bene di Cristo è comunicato a tutte le membra; ciò avviene mediante i sacramenti della Chiesa ». 504 « L’unità dello Spirito, da cui la Chiesa è animata e retta, fa sì che tutto quanto essa possiede sia comune a tutti coloro che vi appartengono ».
Da questo nasce una circolarità: se uno vive e sopporta una sofferenza o acquisisce un merito coinvolge e diventa una crescita o una decrescita per tutti gli altri.
S.Paolo nella lettera ai Corinti dice: E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; (1Cor 12,13)
Viviamo in un periodo in cui l’individualismo ha un enorme valore. Il pensiero comune è che per avere valore nella vita devo crescere per me, per la mia persona.
Nella comunione dei Santi c’è una compartecipazione reciproca : Ancora S.Paolo: “Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi»” (1Cor 12,21).
Dal Catechismo (949):
Nella prima comunità di Gerusalemme, i discepoli « erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere » (At 2,42).
Un bene ricevuto da uno diventa bene anche per l’altro. L’esercizio della carità fa crescere il singolo ma anche tutta la comunità, tutto il corpo di Cristo.
Questa cosa è molto bella anche se non la comprendiamo fino in fondo. Siamo troppo legati alla logica del merito. La comprenderemo nell’ultimo giorno in Dio.
S.Paolo li chiama Santi perché ha la consapevolezza che tutti siamo Santi. Essere Santi è un lasciarsi andare nelle mani di Dio e vivere in comunione costante con Dio. Diventa anche riduttivo il “non commettere peccati” perché la vera vita cristiana è vivere in comunione con Dio.
Secondo punto: che cosa è la preghiera?
Nell’episodio della moltiplicazione dei pani Gesù dice: “Date voi stessi da mangiare”. Una frase ambigua. Possiamo intenderla come mettersi al servizio ma anche diventare pane per gli altri. Gesù nell’ultima cena diventa pane per tutti noi. Dobbiamo quindi diventare noi capaci di sfamare gli altri.
Quando parla della preghiera ci insegna il Padre Nostro che è una preghiera breve, semplice ma piena di contenuti e ci invita anche a “non sprecare parole”.
La giornata di Gesù, come possiamo desumerla dai racconti del vangelo, inizia con la preghiera al Padre, con un contatto personale, ma poi continua con l’incontro delle persone in cui Gesù continua l’incontro con il Padre che è nei fratelli.
La preghiera è essere amici del Signore Gesù; non è trascorrere del tempo a pregare ma è vivere in comunione con il Signore agendo nella nostra giornata in comunione con Lui.
S.Teresina dice: “Per me la preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo verso il cielo, è un grido di gratitudine e di amore nella prova come nella gioia”.
La preghiera non è unica o esclusiva, non c’è un solo modo di pregare, può avere diversi volti ma tutte le forme hanno valore se vissute in comunione con il Signore.
S. Agostino dice:“Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te”
Dio non crea Adamo perché ha bisogno di creare ma perché vuole effondere i benefici del suo amore su una sua creatura.
La preghiera è una richiesta a Dio di “ricordare” perché siamo convinti che Dio è fedele alla sua promessa.
Possiamo ricercare specialmente nell’Antico Testamento tanti testi che usano la parola “ricordati”.
Gesù nell’ora della croce dice: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” E’ questa una preghiera di intercessione e di mediazione.
Ma anche ricordiamo che ci sono dei momenti in cui è necessario solo stare in preghiera, senza parole. Ci è d’esempio Maria che sotto la croce “stava” (Stabat Mater) in silenzio trafitta dal dolore.
Tanti esempi della preghiera di Gesù in forme diverse: prega per Pietro “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli».” (Lc 22,31-32), prega per gli Apostoli: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14,16); prega per noi tutti: “Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore.” (Eb 7,25).
Ci è d’esempio anche Abramo che mercanteggia con Dio per salvare gli abitanti di Sodoma.
La preghiera è comunione che si apre all’altro ed è ricordare l’altro al Signore.
Ogni preghiera però dovrebbe terminare con la parole dell’orto degli Ulivi: “sia fatta la tua volontà e non la mia”. E’ questa fiducia che chiede di affrontare la vita di tutti i giorni”.
Mosè continua a chiedere la grazia del Signore anche di fronte alla durezza del popolo.
François Mauriac scrive: “Quando la grazia diminuisce in voi, diminuisce in molti altri che si appoggiano a voi.”
Più ci impegniamo ad amare più si crea calore che illumina e riscalda anche gli altri.
Nella preghiera di consacrazione, durante la messa, facciamo il memoriale dell’ultima cena cioè ricordiamo quello che Lui ha detto e questo ricordare diventa realtà presente, vero corpo di Cristo come Lui fece.
Ed ancora nella messa, dopo la consacrazione diciamo: “ricordati della tua chiesa…” E dopo “ricordati di tutti i fedeli defunti…”. Abbiamo la necessità di dire “ricordati” perché nel presentarli a Dio, Dio rinnova la sua promessa.
Nella preghiera portiamo a Dio le nostre preoccupazioni, i nostri affanni. Anche la recita del Rosario, che talvolta ci sembra di recitare pensando ad altro, è un ricordare ed un pensare alle preoccupazione che ci assalgono è un pensare alle persone che abbiamo a cuore a quelle per cui viviamo preoccupazione; tutto questo diventa preghiera nella recita del Rosario.
Interpellato dallo scriba sul comandamento più grande, Gesù risponde: “amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il contatto con Dio può avere tempi e modi diversi. In alcuni momenti lo si può sentire vicino con il cuore, come un amico che ci consola. In altri momenti in cui manca l’affetto e la mente che ci sostiene con il nostro ragionamento, la nostra cultura, gli insegnamenti ricevuti. Ed infine se tutto viene a mancare occorre aggrapparsi con tutte le forze per rimanere uniti a Dio che ci sostiene
Infine pregare per i defunti. La prima volta che nella Bibbia si parla di “pregare per i morti è nel libro dei Maccabei: “Fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dracme d’argento, (Giuda Maccabeo) la inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio per il peccato, compiendo così un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione. Perché, se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato” (2Macc 12,43-45).
Si parla qui di un’offerta che diventa dono di grazia per i defunti.
La teologia del suffragio è complessa. E’ ancora un “ricordare”. Ogni messa in suffragio di un fratello defunto è un dialogo, un “ricordare” quello che è stato.
In fondo noi, creature umane, parliamo dei defunti con le categorie umane dello spazio e del tempo.
Anche gesù ci parla del Paradiso dandoci delle immagini perché non ci può descrivere in realtà perché esso è al di fuori delle nostre categorie.
Il suffragio, quindi, è preghiera che io faccio per il defunto perché riceva grazia ma questa preghiera va fuori dello spazio e del tempo; in questo modo questa preghiera può essere applicata anche alla vita del defunto per quello che ha fatto nel momento in cui ne aveva bisogno.
Nella celebrazione del funerale si “prega per” ma anche si “prega con” ed in quel momento devo avere la certezza che Dio dona vita sempre. Nell’Apocalisse quando si parla dei 144.000 lavati dal sangue dell’Agnello si intende parlare di tutte le creature e ci impegna non a sforzarsi di salvarsi ma ci impegna a vivere da salvati.
Nella preghiera classica dei defunti diciamo “Eterno riposo”. Ma che cosa è il riposo? Il riposo non è ozio ma godere di quello che si è fatto così come nella Genesi il settimo giorno Dio si riposò per godere di quanto di bello e di buono aveva creato.
Quindi nell’Eterno riposo per i defunti chiediamo che per sempre godano del compiacimento dei Signore.
Il pregare per i vivi ed i defunti significa, quindi, dare linfa alla chiesa, dare luce, dare calore.
L’augurio è quello di avere sempre accanto nel cammino della vita qualcuno che bruci d’amore, per poter essere sicuri di non rischiare di morire di freddo.
Rino e Rita Ventriglia, sono una coppia del Movimento dei Focolari che sono già venuti a portare la loro esperienza e testimonianza al nostro gruppo alcuni anni fa.
Questa sera hanno sviluppato il tema del “Perdono della coppia” con riferimento all’opera di misericordia spirituale, su cui stiamo riflettendo: “Perdonare le offese”
Sono qui riportate le registrazioni del loro intervento e del dibattito che ne è seguito.
Intervento: prima parte
Intervento: seconda parte
Dibattito