I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2021-2022
“Patris Corde”
Quest’anno ci accompagnerà la considerazione e applicazione della Patris corde, lettera apostolica di papa Francesco, datata e pubblicata l’8 dicembre 2020 nel 150º anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale.
Dopo il momento iniziale proposto da d. Giuseppe, consistente nella preghiera (invocazione alla Spirito, salmo 120), lettura del Vangelo (Mt 1, 18-25) che racconta la scelta di S. Giuseppe di aderire alla volontà di Dio, testimonianza e preghiera di papa Francesco, preghiera di S. Teresa d’Avila, si è passati alla condivisione di riflessioni ed esperienze suscitate dalla lettura dell’introduzione e del I paragrafo (Padre amato) della Patris corde
Don Giuseppe: S. Giuseppe è rimasto un po’ nell’ombra; poco si è scritto di lui, mentre ha un ruolo importante nella storia della salvezza. Consiglio la lettura della “Lettera a S. Giuseppe” di don Tonino Bello (vedi)
Anna P: nelle situazioni difficili coi figli, bisognerebbe rivolgersi con fiducia a S. Giuseppe
Fulvio: colpisce e attrae la semplicità e umiltà dell’uomo Giuseppe, che sentiamo vicino, come uno di noi. Perciò è ancora più grande. In quanto sa dire di sì a Dio, si fida ed affida, pur in una condizione difficile (prende una ragazza madre, rinuncia ad avere figli), sottolineata in un vangelo apocrifo, il protovangelo di Giacomo, dove si adombra un suo iniziale sconcerto e quasi ribellione; il che ce lo fa ancora più vicino e simpatico. Ma lui sa dire sì, si fida, e così diventa fondamentale nel disegno della salvezza: custodisce e orienta il piccolo Gesù, proteggendolo dai pericoli. Inoltre, è il prototipo di una genitorialità scelta e perciò più donata, diventando il precursore, il modello, lo stimolo per chi fa la magnifica scelta dell’adozione. E’ anche il prototipo del padre amorevole e attento; ed in questo induce alla riflessione sul ruolo del padre, per molto tempo visto come autoritario e distante; oggi forse da rivalutare e ricentrare nel ruolo di un padre presente. Per tutto questo, nel tempo, pur non essendo molto risaltato, è sempre stato amato e venerato dal popolo. Anche nella nostra chiesa c’è l’altare dedicato a S. Giuseppe, con ben due delle cose riportate nello scritto della Patris corde: Ite ad Joseph e il pensiero di S. Teresa. Questo induce ad una riflessione. La devozione al santo (descritta bene da Eduardo nella “Vincenzo De Pretore” che consiglio di leggere) non deve distogliere da quella per Dio. Si rischia che la devozione allontani dalla fede, così. Mentre deve favorirla, in quanto i santi sono mediatori, facilitatori, aiuti per arrivare a Dio: Lui è il termine e il solo corrispondente della Fede.
Brunella: concordo che non si sia dato sufficiente risalto a S. Giuseppe, che però è personaggio fondamentale proprio nel suo essere “persona comune”. Come capita per tanti. Ricordo il bidello Nando che era preziosissimo, uomo semplice che rendeva più facile il lavoro di tanti. Il ruolo del padre è da riscoprire: da autoritario si rischia di passare all’eccesso opposto. Mio padre, pur nel silenzio e nel non protagonismo ha sempre sostenuto mia madre che invece brillava per la sua forza e presenza e azione.
Lilly: d. Giuseppe disse una volta che bisogna aiutarsi con la fantasia, nell’immaginare le scene del Vangelo. Se penso a quando S. Giuseppe seppe della gravidanza di Maria, comprendo tutta la tragicità di quel momento per lui. Allora penso: ti sei preso una ragazza madre, allora ti affido tutte le ragazze sole che devono crescere figli, fa’ la parte del padre. Te le affido: entra nella loro vita
Sergio: vorrei comprendere meglio la frase della preghiera a S. Giuseppe che abbiamo recitata: ”sa rendere possibili le cose impossibili”
Don Giuseppe: questo è reso possibile dalla grazia di cui i santi sono invasi, e cioè da Dio. Così si comprende come sono possibili le rinunce, come quella al matrimonio (come per S. Giuseppe). Nella preghiera, Dio diventa la nostra forza. Le rinunce umane sono presentate come un “entrare nel campo di Dio”
Franco: sono stato colpito dall’espressione: “uomo forte e silenzioso”. In un mondo di protagonismo, S. Giuseppe fa le cose in silenzio.
Pino: è importante in quanto agevola una scelta del Signore. Il Signore abita le cose piccole
Franco: la società è costruita sulle famiglie, e qui c’è uno stimolo per ripensarle e rifondarle
Giuseppe: S. Giuseppe, nella sua semplicità, dice che la nostra vita può ascendere. Possiamo vivere il nostro quotidiano come lui.
Franco. Si fida di Dio, sostanzialmente
Lilly: anche a noi la volontà di Dio si manifesta, a volte in modo chiaro, a volte in modo nascosto. Dobbiamo fare come S. Giuseppe. Fidarci e affidarci
Linda: S. Giuseppe ha saputo rinunciare a grandi progetti umani; noi non siamo disposti a perdere anche piccole cose, e ne sono testimonianza le discussioni/litigi in famiglia
Al termine dell’incontro, Brunella ha presentato di nuovo il calendario dell’anno, sottolineando che si è scelto di proporre due film, uno dei quali è stato individuato ieri sera stessa: “Per amore, solo per amore”, proprio adatto, in quanto incentrato su S. Giuseppe. I coniugi Branda cureranno questo aspetto, come di consueto. Si ripropone la colletta per i nostri sostegni a distanza. Si invita ancora qualche coppia a rendersi disponibile per “aprire” l’incontro; Anna e Leonardo Pacesi sono “prenotati” per febbraio.
Linda informa e sollecita alla partecipazione attiva per il Sinodo generale della Chiesa e per quello diocesano.
Fulvio ricorda la giornata dell’adorazione eucaristica permanente del secondo giovedì del mese (14 ottobre), culminante con la messa comunitaria delle 19, invitando soprattutto quelli di Piedigrotta a partecipare.
Maurizio e Francesca:
Noi non eravamo presenti al primo incontro sulla Patris Corde il mese scorso. Anche se abbiamo letto il resoconto che è stato pubblicato sul sito di Piedigrotta non sappiamo se alcune considerazioni di carattere generale, non riportate nel testo, siano state già fatte. Scusate se ci ripetiamo.
Riteniamo che il testo della Patris Corde vada letto nel suo insieme e che un’analisi particolareggiata di ogni appellativo attribuito a san Giuseppe possa essere limitante nel parlare della figura del santo ma che possa essere quindi solo il pretesto per spaziare su temi paralleli che potrebbero aiutarci nella nostra vita.
Questa sera analizziamo il paragrafo 2, San Giuseppe, Padre nella tenerezza.
La lettura del testo di papa Francesco, ma anche i commenti che abbiamo cercato, interpretano i sentimenti di Giuseppe come padre pieno di tenerezza verso il figlio Gesù utilizzando le poche descrizioni che si trovano nel vangelo (“Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).”). Inoltre vengono attribuiti a Giuseppe altri testi della sacra scrittura che descrivono un padre affettuoso (“gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare” (cfr Os 11,3-4) ed anche (“«Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono» (Sal 103,13).”).
Il sentimento della tenerezza nella Sacra Scrittura è spesso riferito a Dio Padre nei salmi («la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,9).). In particolare, come dice il Papa, la storia della salvezza si compie attraverso le nostre debolezze piuttosto che attraverso la nostra forza e la nostra capacità di combattere. Quindi le nostre fragilità non vanno disprezzate e trascurate ma anzi accolte con tenerezza.
Nella tenerezza di san Giuseppe noi possiamo comprendere che il Signore può operare attraverso le nostre fragilità e le nostre paure. Dobbiamo sempre vedere Dio Padre come il padre misericordioso della parabola che ci attende a braccia aperte nonostante i nostri sbagli e il nostro allontanarci.
Nel cercare di trovare ulteriori sostegni a preparare questa introduzione, abbiamo riascoltato l’intervento del prof Luigi Santopaolo, docente presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, negli incontri organizzati dall’Ufficio Famiglie della nostra diocesi all’inizio di quest’anno sul tema “Le famiglie nella Bibbia”. Nel quarto incontro si è soffermato sulla famiglia di Nazaret e sul rapporto familiare tra Giuseppe e Maria. Sarà il caso poi di pensare se alla fine di quest’anno vogliamo riascoltarla tutti insieme. Nelle sue parole ci è sembrato di cogliere un particolare che si può associare a questo appellativo della tenerezza di san Giuseppe.
In particolare, sunteggiando molto quello che ha detto, ci ha colpito particolarmente l’interpretazione che lui ha dato del brano del vangelo di Matteo riguardante il primo sogno di Giuseppe quando l’angelo gli annuncia di prendere con sé Maria.
La sua attenzione si è fermata sul versetto Mt 1,19 “Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.”
La decisione di Giuseppe, che non riusciva a comprendere quello che era accaduto, è quella di ripudiare Maria in segreto che significa farla allontanare prima della nascita del bambino senza accusarla pubblicamente di adulterio. Tale accusa, infatti, resa pubblica, avrebbe comportato la lapidazione di Maria, secondo quanto stabilito dalla Legge, indipendentemente dalla volontà di Giuseppe di non condannarla.
Giuseppe quindi, anche senza comprendere, si preoccupa innanzitutto di proteggere Maria che era la sua sposa e doveva continuare ad esserlo, nonostante la legge. Giuseppe voleva veramente bene a Maria prima ancora di accettare la consegna dell’angelo di custodire il bambino che Maria portava nel grembo.
Questa descrizione ci è parsa un po’ una novità rispetto all’interpretazione di questo brano del vangelo; ci ha fatto pensare alla caratteristica di Giuseppe su cui stiamo riflettendo questa sera. La tenerezza che riserva a Maria sua sposa, prima ancora di essere guidato dall’angelo nella missione che gli viene affidata.
Patrizia: Giuseppe può essere il timone della nostra vita. Io cerco di tenere tutto sotto controllo ma sento che se condivido con il Signore la mia angoscia, mi sento sollevata.
Francesca: Ho sentito sempre mio il brano della tempesta sedata perché il Signore ci dice: “Sono io, non temete”
Linda: Giuseppe ha una fede molto grande.
Fulvio: Giuseppe riceve il messaggio dell’angelo in sogno e non con un’apparizione e quindi ha anche una fede più grande. Mi colpisce che Gesù veda in Giuseppe la tenerezza di Dio. Gesù conosce la tenerezza del padre e la riscontra in Giuseppe. Si conosce l’amore di Dio attraverso la conoscenza diretta. Questo paragrafo si svolge sulla tenerezza di Dio che si fa conoscere. La tenerezza è una grande componente del rapporto di coppia. Il suo contrario è la durezza e l’inflessibilità. E questo succede quando non siamo capaci di mostrarci attenti verso l’altro. Occorre coltivarla e non lasciarci andare. E’ la promessa che abbiamo fatto al momento del nostro matrimonio. “Onorare” significa essere attenti che si formi la felicità dell’altro.
Giovannella: il maligno e l’accusatore in contrasto con la Misericordia e la capacità o meno di discernere tra l’uno e l’altro è il segno della nostra fragilità. Non è facile riconoscere le nostre fragilità. Occorre accettarle con tenerezza così come fa Dio con noi. Quanto più ci intestardiamo contro una nostra debolezza tanto più non riusciamo a superarla.
Lilly: è di grande aiuto che la dimostrazione della tenerezza di Dio ci viene dall’altro. Siamo entrati all’adorazione di giovedì in uno stato di stanchezza per le fatiche della giornata. Un gesto di una persona in chiesa ci ha dimostrato che l’aiuto reciproco di uno verso l’altro può aiutare tanto nel sostenerci l’un l’altro. Ci rendiamo conto di che responsabilità abbiamo nei confronti degli altri nel trasmettere la tenerezza che Dio ha per noi?
Ulrica: non dobbiamo guardare alla propria debolezza con durezza. Cerchiamo di mantenere il controllo su di noi e questo non ci consente di avere il controllo verso l’altro. Il grande lavoro che faccio su di me non mi fa accettare gli errori degli altri. Dio ci chiederà conto specialmente delle cose che Lui ci ha mostrato nella sua vita.
Francesca: ricordo la parola “tenerezza” come un motivo ricorrente nei discorsi con don Giovanni. Ora nella mia condizione di nonna riesco ad entrare meglio nel significato vivendo con i nipotini. La mia tenerezza per loro è il saper accogliere il loro affidarsi.
don Giuseppe: guardiamo l’immagine sul foglietto che mostra Giuseppe che si cura del bambino mentre Maria riposa. La tenerezza chiede di toccarsi, di stringersi in un abbraccio. Maria e Giuseppe hanno vissuto la loro tenerezza. Nella sacra scrittura ci sono molte immagini che esprimono la tenerezza di Dio (vedi Osea). Visitando un ammalato io cerco sempre di prendergli la mano, di chiamarlo per nome perché penso che questo contatto aiuti a sentirsi vicino.
Brunella: mi ha colpito il discorso della fragilità. Se non viviamo questi limiti nella tenerezza finiamo per viverli con aggressività. La non consapevolezza dei propri limiti sollecita a prendersela con le persone vicine. Altro punto è quello di controllare tutto mentre è importante anche affidarsi sapendo che siamo ben guidati nel nostro cammino.
Maria: sono stata coinvolta quasi per caso nella riunione di stasera e le parole che ho sentito e che ho letto dal libretto mi hanno coinvolto. Questo mi ha fatto comprendere che il Signore ha sempre la capacità di guidarci specialmente quando gli cediamo la guida della nostra vita.
Fulvio: i modelli della società moderna chiedono di essere duri, volitivi per poter comandare ed affermarsi nel mondo di oggi. Ci vuole invece la capacità di essere disponibili per gli altri ed attenti e gentili verso gli altri. Quindi occorre proporre modelli alternativi che indirizzino su questa strada
Ulrica: associamo la tenerezza al sorriso o alla gentilezza ma dobbiamo prestare attenzione perché a volte occorre anche avere fermezza nelle decisioni da prendere e nei contatti con gli altri. Quindi occorre saper bilanciare la fermezza usando anche la tenerezza rispettando sempre i punti fermi che occorre darsi.
In preparazione al Natale don Giuseppe ha guidato una serata di riflessione con canti, salmi e meditazioni su brani del vangelo. Qui si riporta il foglietto che è stato distribuito.
- L’ATTESA
CANTO: MARANATHA’
ISAIA 60 1-3
Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta, e la gloria del SIGNORE è spuntata sopra di te! Infatti, ecco, le tenebre coprono la terra e una fitta oscurità avvolge i popoli; ma su di te sorge il SIGNORE e la sua gloria appare su di te. Le nazioni cammineranno alla tua luce, i re allo splendore della tua aurora.
SALMO 62
O Dio, tu sei il mio Dio,
all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz’acqua.
Così nel santuario ti ho cercato,
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia
vale più della vita,
le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Mi sazierò come a lauto convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia
e la forza della tua destra mi sostiene.
Ma quelli che attentano alla mia vita
scenderanno nel profondo della terra,
- L’ANNUNCIO DELLA NASCITA A GIUSEPPE
CANTO: COME TU MI VUOI
MATTEO 1, 18-25
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù.
SALMO 120
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra
Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà,
non prenderà sonno,
il custode d’Israele.
Il Signore è il tuo custode,
il Signore è come ombra che ti copre,
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
Il Signore ti proteggerà da ogni male,
egli proteggerà la tua vita.
- LA NASCITA
CANTO: QUANNO NASCETTE NINN0
LUCA 2, 8-16
C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia.
SALMO 95 (96)
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.
Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli.
- L’INCONTRO
CANTO: SPIRITUAL (DE ANDRE’)
LUCA 2, 25-32
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele»
SALMO 22 (23)
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
CANTO FINALE: VENITE FEDELI
Venite Fedeli, l’angelo ci invita,
venite, venite a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo, venite adoriamo,
venite adoriamo il Signore Gesù.
La luce del mondo brilla in una grotta;
la fede di guida a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo, venite adoriamo,
venite adoriamo il Signore Gesù.
La notte risplende, tutto il mondo attende:
seguiamo i pastori a Betlemme.
Nasce per noi Cristo Salvatore.
Venite adoriamo, venite adoriamo,
venite adoriamo il Signore Gesù.
Carlo e Annamaria: Nella Famiglia di Nazareth la parola obbedienza è stato pane quotidiano. Con l’obbedienza egli superò il suo dramma. A Giuseppe obbedire gli ha fatto bene. Giuseppe è obbediente alla missione del figlio in virtù della sua paternità.
Ci chiediamo dove è e se c’è obbedienza nella nostra famiglia. Si può obbedire per compiere un dovere anche senza condividerlo. Se si vuole convivere bisogna darsi delle regole e accettare e rispettare significa accogliere. Tutto questo fa pensare alla promessa di matrimonio. Accogliere significa accettare l’altro così come è senza condizione. Quindi accogliere e condividere significa obbedire.
Quando uno fa una cosa per far piacere all’altro fa un atto di obbedienza? Cosa significa obbedire? La parola obbedire viene dal latino e significa “ascoltare verso”, quindi ascoltare chi ci sta davanti Questo è un atto reciproco.
Anche nella preghiera c’è questo significato. Se non sentiamo la voce del padre che ci parla la preghiera non acquista la potenza che ci vorrebbe.
don Giuseppe: Nel rito del matrimonio è stata cambiata la formula modificando da “prendere te” a “accogliere te”. Ẻ un altro significato: per amore obbedisco a quelle che sono le tue esigenze, i tuoi desideri purché si possa crescere nella comunione.
San Paolo dice “prevenitevi nell’amore”. L’accoglienza previene i desideri dell’altro. Ẻ una reciproca disponibilità a fare felice l’altro. Il Signore ci ha insegnato che Dio ha amato noi. L’obbedienza può anche costare ma se alimentata dallo spirito dell’amore, l’obbedienza diventa più facile.
Le discussioni avvengono perché ciascuno pretende la propria disponibilità senza essere pronti a donarsi agli altri.
Fulvio: L’impegno che abbiamo assunto nel matrimonio è quello di far felice l’altro. Accontentare è fare contento qualcuno, sentire le esigenze e dare una risposta. L’obbedire deve essere reciproco, se c’è da una sola parte allora nascono i problemi.
Durante una visita all’Abbazia di Casamari dove ci sono i monaci circestensi la guida, parlando della crisi delle vocazioni, diceva che molti pensano principalmente al voto di castità. Invece quello dei voti che fa più paura è l’obbedienza. Chi si accosta alla vita consacrata spesso teme proprio l’obbedienza quasi come se fosse chiesto di annullare se stesso. L’obbedienza è un fidarsi dell’altro. Giuseppe è posto come esempio dell’obbedienza Dio perché non discute: riceve un comando da Dio ed agisce perché si fida di colui che glielo ha chiesto. Gesù impara da Giuseppe come obbedire al padre fino ad essere capace di obbedire completamente al Padre nella preghiera del Getsemani.
Lilly: La parola obbedienza mi ha sempre fatto molta paura. Con l’età vedo che l’obbedienza è giustificata se senti che l’altro ti ama. Quindi l’obbedienza a Dio scende dall’amore: so che Dio mi ama.
Nella vita di coppia non la chiamerei obbedienza perché nella coppia occorre prevenire perché l’altro mi ama. Ẻ un impegno personale e non sempre di tutta la coppia perché ciascuno può avere tempi diversi.
Maria: Prevenire nella vita di coppia è già un’obbedienza perché significa fare quello che l’altro desidera. Anticipare i desideri degli altri significa anche evitare problemi che poi possono generarsi.
Francesca. Anche io non amo la parola obbedienza perché la lego alla rinuncia e ad una accettazione passiva. Lego piuttosto l’obbedienza alla fiducia. Penso ai bambini che sono obbedienti perché hanno fiducia nei genitori. Mi domando se Giuseppe comprendeva quello che gli veniva chiesto. Ẻ certo che lui si fidava. Quindi obbedienza sì ma principalmente fiducia in chi mi indica la strada da percorrere per Il mio bene.
Pino: Non vedo l’obbedienza come una difficoltà. La cosa difficile da imitare è la capacità di Giuseppe di mettersi in comunicazione con il Signore e capire cosa vuole da lui.
Franco: Ẻ la fiducia che ci deve ispirare. La figura di Giuseppe ci viene richiamata dal Salmo 84. L’obbedienza al Signore deve essere un atto di fiducia perché Lui sceglie per noi la strada giusta.
Ulrica: Ho grande difficoltà a capire quale è la strada da prendere. Non ho sogni che mi guidano. Ma nella vita quotidiana mi risulta difficile prendere decisioni. Anche se si vuole seguire una scelta di amore molto spesso le strade sono molte e non facili da scegliere.
don Giuseppe: Giuseppe nella scelta si fa a guidare dall’amore e non dalla legge. Giuseppe davanti al grave problema di Maria incinta ha già scelto di amare Maria e di non denunciarla. Il Signore poi conferma la sua scelta: Non temere.
Adamo dormiva quando Eva fu creata. Quando si svegliò si trovò una meraviglia accanto. Le cose belle di Dio avvengono con sorpresa. A volte certe scelte sembrano un sogno e Dio viene a confermarci la scelta che abbiamo fatto. L’amore porta alla rinascita.
Fulvio: Per tutti c’è la difficoltà di capire quale è la volontà di Dio. Nella preghiera del Padre Nostro diciamo “sia fatta la tua volta” ma c’è la necessità di capire quale è la volontà di Dio. In certe situazioni occorre vedere le cose dal di fuori. Bisogna non pretendere di risolvere con la razionalità. Uscire quindi dalla situazione per confrontarsi con altri in modo da essere aiutati a comprendere meglio, mettendoci in ascolto.
Linda: Una frase della scrittura dice: bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. L’obbedienza è molto difficile ma si riesce ad obbedire ad una persona di cui si ha fiducia. Quando ho una difficoltà occorre uscire da sé e mettersi nella posizione di leggere le circostanze che viviamo nella giornata. In quella situazione Dio ci parla. Molto spesso mettersi nei panni dell’altro, “ascoltare l’altro”, mi permette di capire i suoi problemi.
Brunella: Vedo forte la presenza di Dio nella frase “fiat” che pronuncia Maria. Se siamo in comunione con Dio il nostro “fiat”, anche se doloroso, spiacevole diventa un punto di partenza senza rassegnazione. Da qui può crescere qualcosa di positivo se lo si guarda con ottimismo. Se non ci si sente in comunione con Dio, il “fiat” che si è costretti a pronunciare può diventare un momento di angoscia e di disperazione.
Proseguendo nella lettura/meditazione/considerazione dell’esortazione apostolica “Patris corde”, la condivisione è stata stimolata dal IV capitolo, “Padre nell’accoglienza”. Lucia e Sergio hanno aperto l’incontro
LUCIA: Per Giuseppe, già uomo buono, non è stato difficile ubbidire, accettare il disegno di Dio. Se Dio mi parlasse come ha fatto con Giuseppe, penso che farei anch’io come lui. Si riscontra in Giuseppe, uomo generoso, aperto, moderno, un abbandono totale a Dio. Spesso ci capita che invece noi ci sentiamo soli, abbandonati, specie nei momenti di dolore; ma nulla avviene a caso: dovremmo trovare risposte anche nei momenti tristi. Non c’è una parola nei Vangeli, riferita a Giuseppe: non parla, esegue: per quei tempi è una cosa eccezionale. Lui è il silenzioso custode di Maria, accetta la sua storia, comprende che il significato degli eventi era riconducibile a Dio. Nella mia personale esperienza, un evento doloroso mi ha allontanata da Dio, ma poi c’è stata una riconciliazione: in Dio ho trovato la forza per ricominciare. Proprio grazie a questo dolore, sono cresciuta, ho scoperto che potevo essere felice. In Dio potevo e dovevo trovare il conforto e le forze per andare avanti. Ho un esempio di accoglienza, nella mia vita: mia madre, che aveva una fiducia totale in Dio, quando veniva interpellata, diceva subito: “Dimmi, dimmi”
SERGIO: ai tempi in cui è vissuto Giuseppe, c’era un modo diverso di vedere la vita; avevano meno malizia; oggi siamo meno fatalisti. Il passo di questo capitolo di non facile comprensione: “Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto.” ci inquieta, in quanto siamo portati a dare un senso logico alle cose che succedono, non ci abbandoniamo alla fede. La fede porta ad accettare il bene ed il male.
Parlando di accoglienza, penso anche a quella dei sacerdoti per quanto riguarda la loro vocazione: sentirsi chiamati è un segno di accogliere la voce di Dio. Infine, penso che Dio non può darci il male, per cui l’accettazione dei momenti negativi è segno di fortezza.
FULVIO: anche per il Matrimonio parliamo ai nubendi di vocazione, per cui anche a noi come coppie viene riproposta la riscoperta di vivere il Sacramento come accoglienza e attuazione della voce di Dio.
Come parla Dio nella nostra vita? I modi possono essere tanti e bisogna riconoscerli. Personalmente, trovo nelle mie camminate all’alba la possibilità di pregare e di mettermi in ascolto della voce di Dio, nella solitudine ed intimità della mia coscienza.
L’esperienza dell’accoglienza si può fare anche al contrario: nell’accettare di essere accolti. A me è capitato quest’estate: abbiamo chiesto di passare dei giorni in una casa le cui chiavi ci erano state date, immediatamente dopo il suo acquisto, da cari amici che avrebbero desiderato che noi la utilizzassimo. Un po’ la voglia di non approfittare, un po’ un malinteso senso di orgoglio mi avevano sempre impedito di accettare. La necessità di non allontanarci troppo mi ha indotto ad accogliere l’invito di essere accolto.
FRANCO: una domanda rivolta particolarmente a don Giuseppe: come si parla con Dio? Penso che lo si possa fare nel profondo della coscienza, anche nel sonno. Il sonno spesso aiuta a mettere ordine tra le varie soluzioni di un problema ed a valutare meglio implicazioni e possibili conseguenze di esse. Quante volte ci svegliamo con le “idee chiare”? Mi chiedo se gli incontri onirici descritti nella Bibbia possano in qualche maniera essere ricondotti a questa attività chiarificatrice che spesso avviene durante il sonno. La coscienza retta vede cosa Dio vuole da noi.
DON GIUSEPPE: occorre cogliere l’esperienza della vita; a volte ci sono folgorazioni. La notte, il riposo sono utili. Le cose più belle avvengono quando dormiamo. Dio lavora con noi. S. Giuseppe accoglie qualcosa che non era nei suoi progetti; accoglie l’azione di Dio. Poi, come lui, si rimane stupiti di ciò che Dio è riuscito a fare.
LINDA: nella formula matrimoniale si dice: “Io accolgo te..” Scopro come la Chiesa è sempre in cammino: propone il Matrimonio come vocazione. Accoglienza incondizionata. Ripetendo la formula nei momenti difficili, possiamo ricominciare, nell’accoglienza. Nel momento che stiamo vivendo, è come se fosse venuta meno l’accoglienza; ma questa è alla base del discorso della pace.
Si dice di “riconciliazione con la propria storia”; bisogna accoglierla: mi è successo una ventina di anni fa.
Ripensando ad alcune cose vissute da piccola che mi hanno dato insicurezza, mi sono riconciliata con questa storia, ho compreso che Dio stava ricamando nella mia vita; ho dovuto accogliere la realtà e vedere come Dio la vedeva su di me.
FULVIO: qualche giorno fa, ho già condiviso, dopo che ci siamo interrogati sull’ascolto nell’ambito del Sinodo, un pensiero di Etty Illesum: “La mia vita è un ininterrotto ascoltare – dentro me stessa e gli altri -Dio. In realtà è Dio che ascolta dentro di me… Di sera, quando, coricata sul letto, mi raccolgo in te, mio Dio, lacrime di gratitudine mi inondano il volto ed è questa la mia preghiera”. Questa formidabile donna, ebrea olandese morta nel campo di concentramento di Auschwitz, ha trovato Dio, una profonda spiritualità, pur nella tremenda tragedia di un campo di concentramento: Dio, la sua voce, lo si incontra dovunque.
BRUNELLA: come madre, ho pensato ai miei genitori, al difficile momento in cui a 13 mesi io ebbi la poliomielite. Ho trovato il senso della loro vita. Abbiamo letto: “Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste” . Nel percorso della mia vita ho vissuto le difficoltà con molta naturalezza e guardando l’aspetto positivo, ciò grazie alla presenza e al modo in cui i miei genitori hanno saputo gestire e vivere il tutto, in totale accoglienza. Mio padre, credente ma non praticante, aveva sognato padre Pio dopo che fui colpita dalla polio, ciò fu per lui come un segno di grande speranza.
Accogliere il carattere degli altri è impresa continua, quotidiana.
CARLO per quanto riguarda l’incontro con Dio, non siamo consapevoli di averlo avuto. Ce ne accorgiamo dopo, “riavvolgendo il nastro” della nostra vita. S. Giuseppe ci aiuta a comprendere il rapporto con Dio: abbiamo bisogno di sentirlo padre, e per capire ciò, dobbiamo capire la famiglia. S. Giuseppe è stato eccezionale, anche in un momento difficile come il ritrovamento di Gesù fanciullo nel tempio, accoglie la sua risposta.
PINO: Giuseppe è una figura splendida, scelto dal Signore per la capacità di accogliere, già dalla decisione di non ripudiare Maria, per non esporla al pericolo della condanna. Il Signore ci chiede di metterci dietro l’altro, non davanti.
FRANCESCA: Inizialmente questo testo non mi aveva molto “parlato” ma sentire le riflessioni degli altri mi ha suggerito alcuni pensieri.
Spesso ci nascondiamo dietro le nostre incertezze e le nostre incapacità pensando che magari ci saranno altri più bravi e più capaci di noi nell’accogliere e nell’aiutare chi ne ha bisogno.
Ho ripensato all’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci e di un commento che mi aveva molto colpito: Quando vi chiedono qualche cosa che pensate di non poter dare, ricordatevi dei pani avanzati nei dodici canestri.
DON GIUSEPPE: è un capitolo bello ed utile. Nella nostra vita ci sono punti neri che facciamo difficoltà ad accettare: dobbiamo arrivare a considerare che fanno parte della nostra vita. Un errore mi può aiutare ad essere misericordioso, comprensivo. Di fronte alle difficoltà, spesso abbiamo due atteggiamenti: fuga o ribellione, ma nessuno di questi due ci dona pace. Dio parla anche in queste situazioni difficili: si deve cogliere la voce di Dio.
Don Giuseppe: una realtà stagnante non va mai bene e questo capitolo ci invita ad essere creativi
Giovannella: mi ha subito colpito il brano appena l’ho letto. Il coraggio creativo emerge quando si incontrano difficoltà. Bisogna accettare ciò che non dipende dalla mia volontà.
Ho dovuto accettare la mia sterilità che però ha spinto la scelta dell’adozione internazionale
L’impegno era già vivo perché avevo fatto due anni di volontariato all’estero.
Giuseppe si arrampica sugli specchi perché dalla difficoltà di far partorire Maria o per il rischio di Erode trova sempre delle soluzioni. Ho avuto il dono di non abbattermi di fronte alle difficoltà. Occorre sempre trasformare il problema in opportunità, Serve fede nel senso di “avere fiducia”.
Mi ha colpito il brano di Luca del paralitico perché di fronte alle difficoltà gli amici trovano una strada.
Giuseppe è colui che protegge la famiglia e la chiesa affinché avvenga il mistero del dono della Madre e del Figlio. Questa protezione si fa in silenzio. L’adozione internazionale è un percorso difficile ed io ho fede e ho fiducia.
don Giuseppe: E’ questo un documento interessante perché ci aiuta a scoprire tanti aspetti di San Giuseppe che sono rimasti nell’ombra. Se Dio “ab aeterno” ha pensato a Maria certamente ha pensato anche a Giuseppe. Fa pensare questo aspetto creativo di Giuseppe; dinanzi alle difficoltà ci si può arrendere ma Giuseppe non lo fa. Questo capitolo ci presenta un Giuseppe nuovo con tanta fantasia e tanta originalità. Giuseppe è stato il custode di Maria e di Gesù ed ha saputo accompagnare loro negli avvenimenti della vita.
Fulvio: Il testo riprende “fare pace con la propria storia” dal capitolo precedente. Dio si affida a Giuseppe e chiede a lui di darsi da fare. Questo richiama tutti noi a rispondere al disegno di Dio. Il papa parla di “coraggio creativo”, che significa non sedersi ma cercare una soluzione, una forma attiva di vivere la fede che coinvolge. La rassegnazione non è del cristiano perché dobbiamo essere sereni per fare la nostra parte. Si deve avere il coraggio di non eccedere e sapersi fermare. Avere il coraggio della pazienza e della prudenza e preparare bene le cose prima di buttarsi.
Francesca: In questo testo c’è un accenno alla realtà che stiamo vivendo. Il testo dice: “A una lettura superficiale di questi racconti, si ha sempre l’impressione che il mondo sia in balia dei forti e dei potenti” ma la “buona notizia” del Vangelo sta nel far vedere come, nonostante la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni, Dio trovi sempre il modo per realizzare il suo piano di salvezza.
Il papa che ci dice che Dio trova il modo di realizzare i suoi piani è una parola di conforto nel periodo che stiamo vivendo. Con quello che sta succedendo nel mondo sembra cancellare anni di storia. Quindi il “Non dimenticare”. Queste parole sono un invito alla speranza e Dio troverà il modo di realizzare la salvezza anche nei tempi bui che stiamo vivendo.
Brunella: Trovo molto attuale il punto che dice “La Santa Famiglia dovette affrontare problemi concreti come tutte le altre famiglie”. Queste parole sono scritte proprio per questi giorni. Una parola del papa sempre molto forte e molto attuale
Patrizia: “Così ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono ‘il Bambino’ che Giuseppe continua a custodire”. In questa realtà di povertà e di guerra troveremo sempre il Bambino e sua Madre.
Carmine: Come Giuseppe è stato costretto ad intraprendere un cammino non voluto anche noi siamo costretti a farlo. Nel cammino si incontrano molto spesso persone cattive. Anche noi stiamo facendo e abbiamo fatto un cammino pieno di difficoltà. Noi siamo stati fortunati perché abbiamo incontrato persone di fede che ci hanno aiutato materialmente e spiritualmente e che ci hanno fatto vivere l’amicizia, la comunità, la fratellanza. Giuseppe ha sicuramente incontrato persone che lo hanno aiutato, per esempio: chi gli ha offerto la stalla?
Brunella: Riflettevo su “coraggio creativo”. Si può attualizzare questo concetto guardando le stagioni della nostra vita. Con il tempo cambiano le condizioni di vita ed è importante “riciclarsi” adattando la propria vita a quello che si può fare in quel momento altrimenti si è sempre insoddisfatti. Anche sapere che si è meno disponibili perché è più faticoso prendere delle responsabilità. Occorre quindi creatività nel sapersi mettere in gioco vedendo cosa si può fare al momento.
don Giuseppe: San Giuseppe non è solo un santo che vogliamo contemplare ma anche un esempio che dobbiamo cercare di imitare chiedendo di saper fare come lui. L’episodio degli amici del paralitico dà l’immagine della creatività per la forza di inventiva. Non bisogna arrendersi di fronte alle difficoltà che si incontrano. La crisi, qualunque crisi, può essere una tomba o può essere un riscoprirsi. Quando sono venuto a Napoli ho dovuto cambiare tanto: prima ero il capo, ora sono solo un prete; ho vissuto una grossa difficoltà fino a quando non ho saputo riprendermi e saper vivere la realtà di questo momento.
Luca: sono grato che si sia parlato di San Giuseppe perché mi sono avvicinato a Maria proprio tramite San Giuseppe. Avevo avuto un periodo di crisi personale e ho letto alcuni libri che sono dei romanzi ma che parlano della storia di Giuseppe e dell’amore di Giuseppe e Maria come lavoratore e come immigrato: “Giuseppe, l ‘ombra del padre”, “Giuseppe siamo noi” e “Maria e Giuseppe una storia d’amore”. Sono libri che danno un grande aiuto. Se Dio si è fatto uomo ha avuto un padre ed una madre con tutta l’umanità che questo comporta.
Riflettiamo stasera sul capitolo quinto di Matteo chiamato il discorso della montagna.
Gesù parte dall’Antico Testamento ma aggiunge: “ma io vi dico…” perché ci chiede qualcosa in più che lui è venuto a portare.
Nel “io vi dico” vediamo la Pasqua del Signore, “il passaggio”. Questo passaggio che il Signore ci chiede è proprio “fare Pasqua”.
Canto: Spirito di Dio youtube.com/watch?v=Tse9ojKbQeg
Primo momento
Mt. 5, 20-26
Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!
Il brano di Matteo del discorso della montagna è anche conosciuto come “le antitesi”: “è stato detto… ma io vi dico”. Il Signore non è venuto a portare qualcosa di nuovo; è venuto a portare a compimento, a portare la completezza.
Gesù vuole curare la radice del mare. La radice dell’uccidere è l’odio ed è questo che va eliminato.
La parola fratello introduce il concetto della comunità e vuole che venga ispirato in noi il concetto di “figli di Dio”. Il rapporto con il fratello deve essere bello e tranquillo. È in fondo lo stesso rapporto che c’è nella Trinità; nella Trinità il rapporto di amore è così forte che da tre diventa uno solo, l’Unità.
Anche la liturgia diventa vuota se non è praticata nella fraternità. Nella sua lettera Giovanni scrive: “chi dice di amare Dio e non ama il fratello è un bugiardo.
Nell’ultima cena Gesù ci ha lasciato il comando di amarci.
Avere una lingua da serpente è fare del male, è trasmettere del veleno. Il papa ritorna spesso su questo discorso e lui ci dice che parlar male è come gettare una bomba, la bomba distrugge sempre. È fare del terrorismo. Nella radice è vendere il fratello come fece Giuda, che ha venduto il Signore Gesù.
Parlare male del fratello è sporcare l’immagine di Dio che è in lui. Un altro verbo che il nostro papa usa è “spennare”. Vorrei dire che in tutto questo brano quello che il Signore ci raccomanda nei nostri rapporti è proprio questo: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. L’amore deve regnare all’interno dei nostri rapporti perché l’amore costruisce.
Canto: Abbracciami https://www.youtube.com/watch?v=zIM-QCGgEYI
Salmo 101
Amore e giustizia io voglio cantare,
voglio cantare inni a te, Signore.
Agirò con saggezza nella via dell’innocenza:
quando a me verrai?
Camminerò con cuore innocente
dentro la mia casa.
Non sopporterò davanti ai miei occhi azioni malvagie,
detesto chi compie delitti: non mi starà vicino.
Lontano da me il cuore perverso,
il malvagio non lo voglio conoscere.
Chi calunnia in segreto il suo prossimo
io lo ridurrò al silenzio;
chi ha occhio altero e cuore superbo
non lo potrò sopportare.
I miei occhi sono rivolti ai fedeli del paese
perché restino accanto a me:
chi cammina nella via dell’innocenza,
costui sarà al mio servizio.
Non abiterà dentro la mia casa
chi agisce con inganno,
chi dice menzogne
non starà alla mia presenza.
Ridurrò al silenzio ogni mattino
tutti i malvagi del paese,
per estirpare dalla città del Signore
quanti operano il male.
Gloria al Padre…
Secondo momento
Mt. 5, 27-32
Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Nel brano del vangelo delle beatitudini Gesù ci dice: “Beati i puri di cuore”; e Gesù attraverso una piccola parabola ci dice che non è ciò che entra nell’uomo che contamina l’uomo, che fa male all’uomo, ma è ciò che esce dall’uomo che rivela il suo intimo; è questo che fa male all’uomo.
La cura che il Signore ci chiede è quella di curare molto il nostro intimo, il nostro interiore perché la radice del male è dentro di noi.
C’è anche una richiesta molto forte di Gesù: “se la tua mano… se il tuo piede… se il tuo occhio… tagliala!” Questo sta a dire che non possiamo affrontare con leggerezza quelli che sono gli ostacoli, quelli che sono i pericoli della vita.
Le tentazioni dell’esistenza le ha avute anche Gesù e ce le abbiamo anche noi; però è importante ed il papa ci dice di non “dialogare con il diavolo” perché lui è più intelligente di noi. Allora lì in quella decisione che Gesù ci chiede sono decisioni molto forti ma proprio perché a volte ci illudiamo di dominare la situazione, di essere superiori alla situazione e poi capita che da una scintilla venga fuori un incendio. E allora non siamo più capaci di controllare la situazione della nostra vita.
Quindi curare il nostro cuore perché i nostri rapporti con gli altri siano rapporti sereni, rapporti tranquilli.
Gesù affronta anche uno dei problemi più attuali del nostro tempo: il problema del divorzio, il problema dell’adulterio.
È il fallimento un po’ del progetto di Dio; all’inizio della sacra scrittura è molto bello il momento in cui Dio presenta Eva ad Adamo. C’è quel canto: “Dio vide ed ecco era una cosa molto bella?” Gesù richiama questa giustizia più grande. L’armonia della Trinità è la cosa bella della famiglia. Però nel medesimo tempo Gesù ricorda anche: “vi fu detto: chi ripudia la propria moglie le dia l’atto di ripudio”. Cioè il Signore prende anche in considerazione la situazione per cui la persona non ce la fa. Quella situazione che in qualche modo non riesce a tenere il passo con l’ideale che ci viene proposto da Gesù. La chiesa custodisce questa verità che il Signore ci ha rivelato; questa giustizia più grande e si assoggetta ad essa e la custodisce in quanto è la parola di Dio per la propria vita. Però nel medesimo tempo la chiesa è discepola di un maestro e mentre ci addita l’ideale del Padre Celeste, il grande ideale, mentre ci chiede sempre quel di più della vita è anche maestro di misericordia.
E coloro che non ce la fanno? La chiesa deve sempre domandarsi come essere madre per coloro che non ce la fanno. C’è una delle prime encicliche di Papa Giovanni XXIII “Mater et Magistra”; la chiesa tante volte è stata Maestra e ha richiamato con franchezza la verità della parola di Dio; però non sempre ha tenuto conto di essere madre e quindi di avere una parola per tutte le situazioni anche le situazioni più difficili, scabrose della vita, situazioni matrimoniali in cui la convivenza, la comunione sembra così difficile; ecco la chiesa deve ricordarsi che nessuna situazione è al di fuori di Dio; anche nella situazione difficile di un marito e moglie che non si capiscono più, che non riescono più a dialogare, deve constatare che quella situazione c’è ed allora come madre deve aiutare le persone perché possano trovare un’armonia, perché possono trovare uno scopo, possano trovare un modo di vivere la propria vita nella serenità e nella pace. Non è facile! Però certamente la chiesa sa che c’è la verità però il Signore anche nel Vangelo di domenica scorsa dell’adultera ci dice che al di sopra della verità c’è anche un altro grande dono di Dio che è il dono della misericordia. E la chiesa non può mai dimenticare questo che è l’insegnamento del Signore. Un fallimento non significa che è una vita chiusa. Dio dà sempre una vocazione. La chiesa deve accompagnare questo fallimento per vedere come la persona possa ritrovare una vocazione di Dio perché possa vedere nella sua vita non solamente un naufragio ma possa vedere, possa sentire nella sua vita una voce di Dio che lo chiama a qualcosa di diverso. Ma Dio non lascia mai l’uomo senza una vocazione. È questa certezza, è questo accompagnamento di Dio, è questo essere presente di Dio nelle situazioni umane che veramente dà fiducia alla coppia e beneficia anche dell’accompagnamento della chiesa.
Canto: Un mondo d’amore https://www.youtube.com/watch?v=FuwRXCfgX8s
Salmo 128
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!
Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!
Pace su Israele!
Gloria al Padre…
Terzo momento
Mt. 5, 33- 37
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
Dio fa ciò che dice e dice ciò che fa. Il Signore Gesù vede la sua comunità, la comunità delle beatitudini, del discorso della montagna: è una comunità basata sull’amore, sulla fiducia, sul rapporto franco e sul rapporto reciproco, sereno, tranquillo; ma ci dovrebbe essere sempre nel nostro parlare quella trasparenza per cui c’è sulle labbra quello che c’è nel cuore, c’è all’esterno quello che c’è all’interno. La parola è una cosa sacra, è una cosa grande. Non aver paura della verità; però il Signore con quel “ma io vi dico non giurate per il cielo perché è il trono di Dio né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi né per Gerusalemme perché è la città del gran re”, ci dice che quando la nostra parola ha bisogno di supporti, quando abbiamo bisogno di chiamare Dio a testimonianza di quello che noi diciamo, vuol dire che i nostri rapporti non sono più rapporti fraterni, non sono più rapporti fondati sulla fiducia; vuol dire che non c’è più quel legame di sincerità, di fraternità che è caratteristica della comunità di Gesù.
Significa che le nostre relazioni sono logorate. E allora è molto importante che abbiamo tutti la carità, veramente è un’opera di carità quello di essere trasparenti per non dare all’altro motivi di incertezze, per non creare nell’altro un disagio. Il Signore ci chiede questa trasparenza nella vita. A volte il “sentito dire” è pericoloso.
Il Signore vuole veramente una trasparenza della nostra vita, come del resto è stata la sua vita. I figli di Dio sanno essere l’uno per l’altro quel libro aperto che non ha bisogno di nascondere le cose. È questa la carità che il Signore ci chiede l’uno verso l’altro per essere persone libere dove l’altro si possa rispecchiare e dove io mi possa rispecchiare.
Canto: Esseri umani https://www.youtube.com/watch?v=Z2fgwmd43ZY
Salmo 119
Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore.
Guidami sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in essi è la mia felicità.
Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso il guadagno.
Distogli i miei occhi dal guardare cose vane,
fammi vivere nella tua via.
Con il tuo servo mantieni la tua promessa,
perché di te si abbia timore.
Allontana l’insulto che mi sgomenta,
poiché i tuoi giudizi sono buoni.
Ecco, desidero i tuoi precetti:
fammi vivere nella tua giustizia.
Gloria al Padre…
Quarto momento
Mt. 5, 38- 48
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Sono due le antitesi ma hanno un tema comune che le unisce. Il signore che ci chiede di passare dalla logica della vendetta “sangue per sangue” alla logica dell’amore, alla logica del perdono; è la logica di Dio il quale fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi.
Dio non si vendica ma perdona e ci insegna a perdonare; insegna ad aver misericordia dei nostri fratelli; il Signore ci insegna a passare da quella che è la logica del “occhio per occhio dente per dente” alla logica della misericordia, dell’amore. C’era nel Vecchio Testamento una norma molto chiara cioè il male di colui che si vendica o di colui che si faceva giustizia non doveva essere mai superiore a quello che gli era stato fatto. Però il Signore è venuto per portare qualcosa di più è venuto a chiederci qualcosa di più grande: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei”; scribi e Farisei erano osservanti della legge ma il Signore vuole da noi qualcosa di più e questo qualcosa di più è la Misericordia.
Perdono è dare senso a ciò si che è subito rispondendo al male con il bene; dare la possibilità a chi ha sbagliato di correggersi, dargli la possibilità di capire il male che ha fatto; impedire che il male possa ripetersi possa moltiplicarsi. “Dente per dente occhio per occhio” sono a volte le situazioni che crea la mafia, per cui vendetta su vendetta. Questo di più che il Signore ci chiede è perché vuole che non sia il male a guidare la nostra vita. Il perdono è un dono gratuito; l’odio fa male a chi lo porta, avvelena la vita di chi ce l’ha dentro, rovina la vita di chi ce l’ha. Per questo ci dice come alternativa di non obbedire a quello che può essere il nostro istinto, la nostra sete di vendetta ma di obbedire alla legge dell’amore. Ci chiede di essere come il padre Celeste: il punto di riferimento non è l’altro, il punto di riferimento è Dio. Ma questo in tante situazioni della vita, non perché gli altri fanno così io faccio così. Il punto di riferimento è sempre la santità di Dio, la grandezza di Dio. Il Signore si rende conto che è difficile amare chi ci fa del male, pregare per chi ci maltratta però non è rispondendo che noi salviamo la nostra vita.
Dio non smette di amare anche il più malvagio degli uomini perché rimane sempre un suo figlio. Ed allora c’è il pericolo di trovarci che noi odiamo una persona che Dio ama. E proprio per essere in sintonia con Dio, proprio per essere figli del Padre celeste che siamo invitati a questo di più, a questo “io vi dico!”. È qualcosa di superiore, è qualcosa di più grande ma quel qualcosa di più che ci rende simili al Padre Celeste che è nei cieli.
Siamo in comunione con Dio se amiamo chi non ci ama, siamo in comunione con Dio se amiamo chi parla male di noi.
Il Signore si rende conto delle nostre difficoltà ma c’è vicino non solamente per guardarci, c’è vicino per aiutarci, c’è vicino per mettersi al nostro fianco, c’è vicino per fare quel passo che umanamente sembra quasi impossibile. Dio rende possibile ciò che all’uomo sembra impossibile. Nella mia esperienza di confessore vedo che una delle difficoltà più grosse è proprio l’odio, il rancore; io mi rendo conto che a volte sono delle ferite che sono ancora aperte, cicatrici che sono ancora visibili; è un cammino però Dio ci chiede delle cose grandi, il Signore non è venuto per lasciare il mondo come era ma perché diventiamo un segno e che risplenda la nostra luce, risplenda della luce di Dio non della luce nostra. Ed allora quando mi capitano queste cose, queste difficoltà dico sempre: “pregate, pregate per chi ti ha fatto del male, prega per lui”. A poco a poco. È un cammino lento, non è un cammino semplice; il Signore non ci ha proposto un’autostrada; ci ha detto che la via è stretta; e forse su questo punto come anche sull’adulterio, sul divorzio su questi punti ma anche sul primo quel chiacchiericcio, la prima antitesi, la trasparenza è sempre la cosa più grande.
Il Signore è venuto per rendere possibile ciò che per noi umani sembra impossibile.
Canto: Sono una preghiera in cammino https://www.youtube.com/watch?v=MDvmtxHkN7o
Salmo 103
Benedici, anima mia, il SIGNORE;
e tutto quello ch’è in me, benedica il suo santo nome.
Benedici, anima mia, il SIGNORE
e non dimenticare nessuno dei suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
risana tutte le tue infermità;
salva la tua vita dalla fossa,
ti corona di bontà e compassioni.
Il SIGNORE è pietoso e clemente,
lento all’ira e ricco di bontà.
Egli non contesta in eterno,
né serba la sua ira per sempre.
Egli non ci tratta secondo i nostri peccati,
e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe.
Come i cieli sono alti al di sopra della terra,
così è grande la sua bontà verso quelli che lo temono.
Come è lontano l’oriente dall’occidente,
così ha egli allontanato da noi le nostre colpe.
Come un padre è pietoso verso i suoi figli,
così è pietoso il SIGNORE verso quelli che lo temono.
Poiché egli conosce la nostra natura;
egli si ricorda che siamo polvere.
Gloria al Padre…
Credo che tutti quanti siamo coscienti come oggi il divorzio è un male. Io sento a volte il dolore di tanti genitori: mio figlio è tornato a casa. Veramente è uno dei mali che oggi avvertiamo in un modo particolare; non so se ci sia leggerezza, non so le cause, possono essere tante ma alla fine anche il fatto che oggi c’è, una comunione nel lavoro in tante cose in cui si possono creare situazione di simpatia. Allora vale molte quella parola del Signore “se il tuo occhio, se la tua mano”; cioè stare attenti ed essere decisi anche, avere le idee piuttosto chiare nella propria esistenza. Credo che queste questa pagina di Vangelo ci aiuti a vivere nella parola di Dio, a lasciarci rivestire, abitare la parola di Dio perché veramente questa parola ci comunichi la fortezza del Signore, ci dia quella prudenza, quella capacità di affrontare la vita con serenità, con pace: Il male ci fa male. Perché anche dietro queste situazioni come il divorzio ci sono lacrime, ci sono notti passate insonni, ci sono situazioni molto difficili. E da parte nostra il giudizio può essere molto pericoloso. Diceva ieri il vescovo che l’altro è Terrasanta per cui ci dobbiamo togliere i calzari, entrare veramente con quel rispetto, con quella carità che è propria di Dio. Il Vangelo è un libro però il Vangelo è la vita dei cristiani, il quinto evangelio. Il quinto evangelio è la nostra esistenza è la nostra vita per cui quello che abbiamo ascoltato stasera sono situazione concrete della vita e per noi sta lasciare che la parola di Dio veramente ci cambi, che la parola di Dio ci aiuti a vivere quel di più che è il Signore stesso. Perché nella parola di Dio noi incontriamo Il Signore è lui che ci rende capace di fare quel di più per cui “se la vostra giustizia non sarà più grande di quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli”. Cioè se vogliamo godere dei beni della Terra promessa, dei beni del vangelo, dei beni di Dio dobbiamo affrontare quella fatica, quel cammino che il Signore stasera come maestro ci ha proposto.
Canto: Risuscitò https://www.youtube.com/watch?v=GFESE8ZXcqk
Fulvio: Stasera meditiamo sul capitolo 6 della Patris Corde: San Giuseppe padre lavoratore.
In questo nostro tempo è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono.
Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia.
La persona che lavora, qualunque sia il suo compito, collabora con Dio stesso, diventa un po’ creatore del mondo che ci circonda.
Utilizzeremo tre parole chiave che, per coincidenza iniziano tutte con la stessa lettera:
DIRITTO – DIGNITA’ – DOVERE ED ONESTA’
La prima D è il diritto.
La nostra costituzione pone al primo articolo la frase: L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Quindi occorre garantire il lavoro a tutti perché la nostra repubblica funzioni. Possiamo quindi parlare di un diritto al lavoro che tutti hanno e che a tutti deve essere garantito. Il compito di riconoscere e garantire il diritto al lavoro è un’azione sociale e politica non solo delegata ai politici, ai nostri rappresentanti, ma è qualcosa che riguarda tutti noi, non solo perché scegliamo i nostri politici ma anche perché a nostra volta possiamo garantire che tutti abbiamo un lavoro.
Dobbiamo considerare anche che il diritto al lavoro non è il diritto ad un lavoro comodo. Diritto significa anche darsi da fare ed adattarsi.
Un esempio è don Antonio Loffredo che con i suoi giovani si sono inventati un lavoro. Ha fatto cooperative ristrutturando le catacombe di san Gennaro, una cooperativa di teatro, di azione sociale ed altro. Quindi il diritto al lavoro bisogna saperlo costruire.
La seconda D è la dignità
Ognuno ha il diritto a fare il lavoro che ha scelto e gli piace e di non essere sottopagato o addirittura sfruttato.
Un lavoro particolarmente sconosciuto ma forse il più bello è quello che fanno molte delle nostre donne a casa, nei lavori domestici. E’ il lavoro di Maria che faceva nella casa di Nazaret quello che fanno le nostre donne nella vita di tutti i giorni.
Pensiamo anche a quelle che uniscono alle fatiche della casa l’impegno di un lavoro all’esterno della famiglia.
Linda: il lavoro delle “casalinghe” è poco apprezzato, poco conosciuto ma sostiene tutta la famiglia. Tante donne lo fanno come secondo o terzo lavoro perché hanno già un lavoro fuori casa. La mia esperienza personale è che, quando mi sono sposata, non essendo ancora laureata ho fatto la “casalinga”. E’ un lavoro che mi è sempre piaciuto perché consideravo e considero ancora un’attenzione a tutta la famiglia accudire la casa e attraverso questa le persone che la frequentano.
Purtroppo questo lavoro, anche se fatto con attenzione e cura, è spesso mortificato. Quando qualcuna mi dice, quasi vergognosamente “sono casalinga”, io rispondo “complimenti lei fa tutti i lavori”.
Fulvio: La terza D è quella del dovere. E’ una parola desueta che non ci piace. Occorre riscoprire il senso di fare bene il proprio lavoro. Tutti staremmo meglio. A tutti i livelli; anche il lavoro più umile, se fatto bene porta vantaggi a tutti.
Associato al dovere c’è l’onestà perché fare il bene il proprio lavoro significa farlo innanzitutto con onestà.
Significativa è l’esperienza da riportare di un imprenditore che era costretto ad utilizzare il lavoro nero, senza coperture pensionistiche, per ridurre i costi dell’azienda. Ma questa situazione gli ha impedito di partecipare a degli incontri di spiritualità che considerava stridente con la sua posizione.
Abbiamo preparato alcune domande che ci posso aiutare nel prosieguo del nostro incontro:
- La nostra società, la politica favorisce e tutela il lavoro?
- E’ importante o essenziale fare ciò che piace o si è scelto?
- Diamo il giusto tempo e spazio al lavoro e al tempo libero?
- Conosciamo esempi di lavoro negato o sottovalutato, oppure di sfruttamento?
- È importante o essenziale fare bene il proprio lavoro?
- il rapporto coi colleghi e i superiori Influisce sulla rendita e efficienza del nostro lavoro?
Lucia: Mi è stato insegnato il rispetto per il lavoro. E penso di averlo trasmesso anche ai miei figli. Sono stata recentemente a Valencia ed ho visto che tutti lavorano con il sorriso e con rispetto per il lavoro che fanno, qualunque esso sia. Mi chiedo perché qui non funziona così. Non si vede che ognuno si prodiga a dare buon esempio agli altri; sta mancando il senso civico.
Maurizio: per essere concreti dobbiamo considerare che è presente nel nostro gruppo, perché a leggere tutte le domande che ci vengono poste sono tutte domande al passato perché gran parte di noi è in pensione; quindi il lavoro concreto, fattivo è ormai alle nostre spalle. per noi pensionati che stiamo “a riposo” c’è da vedere e capire come essere ancora attivi perlomeno finché le forze ci sostengono. Sono domande che dobbiamo coniugare in maniera diversa perché non ci interpellano giorno per giorno; dobbiamo invece vedere come dare il nostro contributo per utilizzare il tempo a disposizione per renderlo effettivo, capace anche per gli altri. Io che sono ormai da sei anni in pensione ho la fortuna di poter fare quello che mi fa piacere fare e di questo ringrazio molto; spero di essere anche utile agli altri cercando di non essere troppo egoista a fare solo quello che mi piace.
Franco: Far bene il proprio lavoro è anche l’atteggiamento che si ha. Far capire di avere anche piacere di fare le cose che sta facendo.
Noi associamo san Giuseppe al lavoro ma nella sua vita lui ha fatto anche il padre, il marito; quindi andrebbe meglio associato alla figura del laico.
Lilli: questo libro tratta i diversi di san Giuseppe di cui “il lavoratore” è solo uno degli aspetti della vita di san Giuseppe.
Sergio: E’ facile rispondere a queste domande perché compendiano il modo in cui ho inteso il mio lavoro. Sono però anche provocatorie. Ieri sono stato a Nisida dove l’arcivescovo ha voluto dare una sferzata alla nostra società chiedendo di fare qualcosa in più per i giovani. In quell’ambiente si tocca con mano che la società e la politica non sono stati capaci di proporre e creare situazioni di lavoro per i giovani e non farli cadere nelle grinfie della criminalità.
Patrizia: riferendomi alla domanda “Conosciamo esempi di lavoro negato o sottovalutato, oppure di sfruttamento?” vorrei richiamare il problema dei migranti che fanno un lavoro sfibrante, mal pagato che vivono in catapecchie. Non ricordarlo in questo momento mi sembra di dare un’ulteriore offesa a questa gente mancando di rispetto alla loro dignità. E’ una vergogna che in un paese civile quale noi ci riteniamo ci siano persone che vivono in questa situazione.
Purtroppo la cattiveria e la malafede di alcune persone rendono inutile e negativo anche interventi di sostegno e di aiuto a chi ha veramente bisogno. Molti paesi civili hanno questo sostegno mentre nel nostro paese questi sostegni vengono accaparrati principalmente da chi non ne ha bisogno per imbrogli e malversazioni.
Maria: tutte le domande che ci siamo poste le interpreto più per i miei figli che stanno subendo questi problemi nel mondo del lavoro ed a loro che devono essere risolte.
Occorre ringraziare il Signore quando un lavoro è presente anche se non è nelle nostre preferenze.
don Giuseppe: penso anche io al lavoro del prete. Il lavoro è una coscienza. Voglio ricordare una poesia di Grazia Deledda che si chiede cosa trasmettere ad un bambino:
io gli dirò che la vita è nel lavoro
io gli dirò che la patria è nel perdono
di tutto ciò che è giusto grande e buono
farò della sua vita grande un tesoro
dobbiamo cercare un senso nella nostra vita. Mi soffermo a guardare queste persone che vivono davanti alla stazione. E mi chiedo io come prete quale è il mio lavoro. La disponibilità per gli altri. Il prete ha del tempo libero da dedicare agli altri. Allora o si ha una coscienza o riesce difficile sapersi gestire. Quello che dobbiamo trasmettere ai nostri figli è la coscienza per il lavoro. E’ triste vedere persone che vorrebbero lavorare e non hanno questa possibilità.
Mio padre era artigiano e non c’era la sicurezza di uno stipendio. Ognuno di noi deve chiedersi alla fine della giornata che cosa ho fatto.
Come prete c’è il rischio di avere un senso di fallimento perché sembra che la giornata non sia stata utilizzata come doveva essere. Il lavoro del prete non è quantificabile, bisogna “inventarlo” ogni giorno. E’ la vita che è “lavoro” e devi pensare che stai facendo qualcosa che serve. Il lavoro non è solo ciò che mi aiuta a vivere ma è anche un dono che io faccio agli altri.
Lilli: mi sembra che don Giuseppe ha sottolineato la cosa più importante: il lavoro è vita. Tutte le domande che ci siamo poste presuppongono “la vita”; se io vivo, ho rapporto buono con i miei colleghi, ho la dignità del mio lavoro, qualsiasi cosa faccio io vivo, io dono. E’ questo che dobbiamo passare ai giovani: non esiste un lavoro migliore dell’altro; esiste tu come fai un lavoro, come ti poni con i colleghi, con i compagni di classe. Ognuno di noi deve vivere a 360°. Io rispetto il lavoro della commessa se le sorrido e la ringrazio. Vicino casa un giornalaio è stato chiuso 10 giorni per malattia e quando gli ho chiesto perché era stato chiuso si è illuminato perché ha capito che avevo pensato a lui. C’è possibilità di dare dignità al lavoro.
I grandi problemi vanno affrontati e capiti ma occorre sempre chiedersi “io che posso fare”.