I “passi” di Famiglie Insieme
nel 2024-2025
Le famiglie cristiane
12 ottobre 2024 | La santa famiglia di Nazaret | |
9 novembre 2024 | La preghiera | |
14 dicembre 2024 | Monica ed Agostino |
L’incontro è stato introdotto dal canto “Manda il tuo Spirito” e dalla lettura del Salmo 118 (119) 97-104.
E’ seguita poi la lettura del brano del vangelo Lc. 2,41.50
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Nel seguito sono riportati gli appunti di alcuni interventi che sono poi seguiti.
Vediamo la famiglia di Nazaret in un modo molto irreale. Qui invece è molto reale. In questo brano appare come una famiglia sconclusionata.
Angosciati è una parola forte, una sofferenza forte.
Molte famiglie vivono la dispersione e l’angoscia della mancanza. Questa differenza ha fatto parte della famiglia di Nazaret.
Pensiamo al primo giorno in cui Gesù non tornò a casa per iniziare la sua missione. In Marco c’è un episodio: i suoi andarono a prenderlo perché dicevano è fuori di sé.
È il dramma di parecchie famiglie. La famiglia soffre per le situazioni difficili. La famiglia di Nazareth ha subito angosce simili.
Le parole di Gesù in questo brano sono le prime parole di Gesù nel vangelo: “perché mi cercavate”.
Il poeta Gilbran dice: “ i figli sono nostri ma non sono nostri”.
In ogni persona c’è un progetto di Dio. Gesù non esiste solo per Maria e Giuseppe ma per l’umanità.
Spesso non ci ritroviamo con le scelte dei nostri figli e non è facile accettare quello che capita nelle vite dei nostri figli.
Nella comunità di Spello dei piccoli fratelli è stato sempre un tema attuale “vivere il proprio Nazaret” che significa capire come vivere la propria banalità.
I nostri figli a volte fanno scelte diverse da quelle che ci aspetteremmo. Sono scelte che, anche se accettate, lasciano l’amaro in bocca.
In un ciclo di conferenze del teologo Luigi Santopaolo sulle famiglie nella Bibbia viene sottolineato il profondo legame tra Maria e Giuseppe guardando proprio il momento di difficoltà che ha Giuseppe all’annuncio della gravidanza di Maria. La prima reazione è di “ripudiarla nel segreto”. Questa scelta è molto importante perché, nelle leggi dell’epoca, scrivere un atto di ripudio pubblico significava condannare la donna alla lapidazione. Ma, sottolinea Santopaolo, Giuseppe fa una scelta diversa perché vuole bene a Maria e la prima cosa importante è quella di preservarle la vita. Poi verrà, nella visione dell’angelo, l’accettazione del suo ruolo come padre di questa “strana” famiglia.
Ecco che ci viene presentato un modello di amore coniugale che va al di là degli avvenimenti e delle difficoltà che possiamo incontrare.
Cerco di capire le cose e in qualche caso giustificare le scelte dei figli attribuendo loro una scelta responsabile e di coerenza. Ed anche a me viene da dire “non capiamo”.
Ci facciamo uno schema mentale. Mettiamoci nella cultura del tempo per cercare di capire cosa hanno vissuto queste tre persone della famiglia di Nazaret.
Anche oggi molti fattori non rientrano in quelle che sono le nostre categorie mentali.
La santità passa attraverso tante realtà umane.
Dobbiamo rompere gli schemi che ci hanno chiuso relegandola nostra fede in una religione.
La santità è da ricercare nel rapporto che queste tre persone vivono con Dio. Ringrazio Dio che ci propone questa storia ogni giorno.
Guardiamo ai problemi grossi della famiglia, agli avvenimenti dei nostri giorni. Dobbiamo ridimensionare i nostri giudizi. Dobbiamo farci vicini ed affidarci.
È bello vedere le debolezze di questa famiglia che consideriamo perfetta. Si mettono di fronte al mistero e accettano di non comprendere. C’è una disponibilità ad accettare la situazione. Dobbiamo considerare queste debolezze ed accettarle. Di fronte a scelte contrarie alla nostra veduta dobbiamo dire “io c sono” per essere pronti a dare una mano.
Le posizioni drastiche non sono perseguibili; occorre accettare anche senza comprendere.
La famiglia di Nazaret è il modello che dovremmo seguire.
In famiglia è difficile trovare un accordo tra genitori e figli. Abbiamo vissuto un momento difficile per sostenere le nostre convinzioni, abbiamo lottato anche se non ci siamo riusciti. Ma penso che questo occorra fare.
Maria meditava… essi non capirono…
Loro in ogni caso sono lì pronti per essere presenti. Maria c’è all’inizio ed alla fine della vita di Gesù.
A lezione che ci danno è essere presenti anche senza capire per far parlare il cuore per l’amore che portiamo ai nostri figli.
L’incontro è iniziato con la lettura del vangelo di Luca cap. 11, 1-13.
Poi è proseguito con la lettura di un brano di Pasquale Foresi che riportiamo nel seguito:
Il pregare non consiste, propriamente, nel fatto di dedicare qualche tempo, durante il giorno, alla meditazione o nel leggere qualche brano della Sacra Scrittura o di testi di santi, e nel cercare di pensare a Dio o a sé stessi per una nostra riforma interiore. Questo non è il pregare nella sua essenza. Così pure la recita del rosario o delle preghiere del mattino e della sera. Una persona può fare queste cose durante tutto il giorno e non aver mai pregato un minuto. Il pregare, per essere veramente tale, esige innanzitutto un rapporto con Gesù: andare con lo spirito al di là della nostra condizione umana, delle nostre occupazioni, delle nostre preghiere, pur belle e necessarie, e stabilire questo rapporto intimo, personale con lui. È indispensabile che facciamo la straordinaria scoperta che Gesù ci ama e ci chiama. Che cos’è in fondo la vocazione? È stata chiaramente descritta nella forma più bella nell’incontro di Gesù col giovane ricco. Dice il Vangelo di Marco: Gesù, guardandolo, lo amò e gli disse: lascia tutto quel che hai… poi vieni e seguimi (cf. 10,21). Gesù ha questo sguardo per ciascuno di noi e ci ama, e noi sentiamo questo suo amore e possiamo scegliere di seguirlo. La vita di preghiera, nella sua essenza, consiste nel mantenere questo rapporto filiale e fraterno con Gesù tutto il giorno, tutti i giorni. La preghiera è un rapportarsi con lui e un silenzioso ascoltare quello che ci dice. La forma sostanziale Questo rapporto tra noi e Gesù si instaura se riusciamo a compiere la scelta di Dio, che consiste nel mettere lui al primo posto di tutta la nostra esistenza, in tutte le nostre azioni. Allora le preghiere possono diventare preghiera, la forma sostanziale di preghiera, poiché in essa si esprime profondamente l’essere umano nel suo rapporto con Gesù. I modi possono essere tanti. Un tipo di preghiera mentale è la meditazione, che si fa seguendo vari metodi. Uno dei più semplici è la lettura lenta e meditativa della Sacra Scrittura o di scritti di santi. Ma al di là del metodo con cui è fatta, la meditazione deve essere una occasione per trovare un momento di quiete, di tranquillità con Gesù. Può darsi che durante questo momento ci vengano alla mente delle preoccupazioni. Allora ne parliamo con Gesù, dicendogli: Pensaci tu, io non posso far niente, posso solo parlarne con te. E questa potremmo chiamarla preghiera di domanda. Ma nella sua sostanza, anche quando è di domanda, la preghiera è sempre di abbandono: anche quando chiediamo qualcosa, ci abbandoniamo a quello che Gesù vuole; se ci sono delle esperienze dolorose, nella nostra vita o in quella delle persone care, ne parliamo a lui con tranquillità, perché sappiamo che ci ama e ama tutte le persone molto di più di quanto possiamo fare noi. Certo, la preghiera più bella è quella di chi sa che Gesù conosce i nostri problemi, le nostre difficoltà, le cose di cui abbiamo bisogno (dice il Vangelo: Il Padre sa già ciò di cui avete bisogno: cf. Mt 6,8), e si abbandona appunto a parlare a Gesù in uno stato di donazione, di totale consegna di sé, di gioia dell’incontro che si può avere con lui. È un dire a Gesù, e in lui alla Santissima Trinità: ecco, tu sai tutte le difficoltà che ho, tu sai le mie miserie, la mia poca fede, tu conosci le mie mancanze, i dolori e le difficoltà che incontro nella vita: adesso voglio stare con te e contemplarti. Il ritorno a casa È il momento nel quale si esce da tutta una realtà contingente che ci affatica e ci addolora, per essere a contatto con lui, per trovare lui, per vivere nella nostra casa. La casa di ciascuno di noi infatti è la Trinità, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, e in loro Maria e tutti i santi. E noi che viviamo immersi in un mondo che ci sembra reale, ma è invece apparente, finalmente ritorniamo a casa, nel nostro vero mondo, il mondo della Trinità. La preghiera è il momento più bello della nostra vita terrena poiché viviamo in quel momento insieme col Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, con Maria, in maniera cosciente. Questa contemplazione non vuol dire evasione dalla vita concreta; ma è la vera vita, per la quale possiamo affrontare cristianamente la realtà concreta di tutti i giorni, con i suoi scacchi, le sue tribolazioni, la stanchezza fisica e nervosa, con tutti i problemi, che posso e so affrontare proprio perché ho vissuto finalmente per un po’ di tempo, per mezz’ora, nella meditazione, la mia vita vera: questo colloquio con Gesù. Il silenzio interiore In questo incontro egli mi parla; e spesso è difficile saperlo ascoltare, perché siamo frastornati dal rumore delle cose di ogni giorno che tentano di insinuarsi anche in questo spazio di tempo dedicato alla contemplazione. Ma dobbiamo abituarci ad ascoltarlo, perché lui ci parla sempre. Non si tratta di realizzare un silenzio esteriore quanto di avere il silenzio interiore, cioè il dominio (relativo sempre alla nostra condizione umana) di tutte le nostre passioni (nel senso non solo negativo del termine), di tutte le nostre agitazioni, di tutti i tumulti psicologici interni: è un essere andati al di là di tutto questo per ascoltare Gesù che ci parla. La sua voce è sottilissima. Occorre veramente un silenzio interiore per coglierla (e la meditazione ci offre l’occasione per un silenzio esteriore, che è simbolo di quello interiore necessario per ascoltare Gesù). Egli ci dice sempre cose fondamentali. Ci dice, quando siamo affannati, turbati dai vari problemi della vita: Non temete, sono io. Ci dice: Non temete, io ho vinto il mondo. Ci dice: Io sono con voi. Gesù presenta se stesso come modello, la sua vita come modello per la nostra. Una vita fatta anche di successi umani, di miracoli, ma conclusa con un apparente fallimento totale, sulla croce. I romani non sapevano neppure chi fosse; dei suoi correligionari, gli israeliti, alcuni pensavano che fosse Elia o un altro profeta… E quando noi gli diciamo: Gesù, mi è andata male questa cosa, mi sta andando male quest’altra, egli ci risponde: Io ho gridato: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?. Questa è la meta che ti presento. Al resto ci penserò io; non è importante il successo o l’insuccesso, l’importante per te è mantenerti in questo rapporto con me. Questi sono solo alcuni esempi di quello che il Signore ci dice per portarci al di là della quotidianità della nostra esistenza, per farci vivere nel mondo eterno. E talvolta fa anche miracoli, in questo colloquio che possiamo avere con lui. Chi non ricorda, a questo proposito, l’episodio della donna che perdeva sangue ed era in mezzo ad una folla che non le permetteva di raggiungere Gesù per chiedergli di guarirla? Questa donna pensava: Se io potessi almeno toccare la stoffa della sua veste, sarei gua- rita. Si fa dunque avanti e riesce a toccarla con fede, con amore, e viene guarita. E Gesù sente una forza che da lui è uscita e dice agli apostoli: Chi mi ha toccato?. Gli apostoli gli rispondono: Signore, siamo in mezzo ad una calca di gente e tu domandi chi ti ha toccato? (cf. Me 5,25- 31). Tanti lo avevano pregato, ma una sola aveva trovato il modo di parlargli, aveva trovato la preghiera, e Gesù aveva sentito che una forza si era sprigionata da lui per quella preghiera umile, silenziosa, piena di fede e di abbandono. La preghiera che ci trasforma Se preghiamo con questa fede, gli altri ci troveranno sereni, perché abbiamo una pace che va al di là delle sofferenze, che pur patiamo come tutte le persone di questo mondo. E sentono la gioia di stare con noi, quella gioia che Gesù dice che il mondo non sa dare, perché portiamo nel nostro cuore un pezzettino di quel Cielo nel quale abbiamo vissuto durante il tempo della preghiera. Tutto il mondo è assetato di Dio, e se noi non riusciamo a dissetarlo è perché gli diamo soltanto delle parole nostre, che parlano di Dio. Invece il mondo ha bisogno di Dio, anche senza le nostre parole e anche senza che si parli di lui. Riusciamo a ciò se nell’ascolto della chiamata di Gesù rimaniamo in un continuo colloquio con lui. A volta oggi c’è una svalutazione della preghiera vocale, perché si ritiene che quella intellettuale sia più importante. Invece quel che importa è il rapporto con Dio, che posso trovare e nella preghiera mentale e in quella vocale, nelle giaculatorie, nel rosario, in tutte le forme di pietà più popolari e semplici, troppo semplici per la nostra superbia, ma tutte occasioni, in realtà, per avere un rapporto con Dio. Un rapporto che, naturalmente, non nasce nella preghiera se non nasce nella vita. Cioè non si può pregare se non si ha una vita impostata completamente su Dio. La realtà più bella Se abbiamo questo rapporto autentico con Gesù, la preghiera diventa la cosa più bella e più viva della giornata. Diventa per noi una fonte di acqua viva, come Gesù dice: Chi crede in me, nasceranno da lui torrenti d’acqua viva (cf. Gv 7,38). Il nostro atteggiamento dev’essere di pace radicale e totale: dobbiamo riuscire ad avere quella pienezza umana che solo Dio ci può dare, e che irradia la pace e la serenità intorno a noi. Per questo – ripeto – il pregare è il momento più bello della nostra giornata; perché è l’unico momento nel quale ritorniamo a casa: usciamo lentamente dal mondo che ci circonda, pur rimanendo sempre immersi nel mondo; è il momento nel quale parliamo con Gesù, abbiamo questo rapporto con lui. Un parlare che non è fatto di parole, come egli dice: Quando pregate dite poche parole (cf. Mt 6, 7). È un rapporto di amore profondo, di domanda profonda, di abbandono profondo al Padre, tramite il Figlio, nello Spirito Santo, con l’aiuto di Maria che – come alle nozze di Cana – si esprime per noi quando noi non sappiamo farlo. Questa è la nostra vera vita. Noi siamo stati chiamati a vivere nel seno del Padre. La nostra vera chiamata è seguire Gesù e vivere in questa famiglia divina. La preghiera non è altro che il parlare in casa, nella nostra vera casa. Questa vuole essere e deve diventare la nostra preghiera. E lo diventa sicuramente se nella nostra vita viviamo totalmente per Dio.
E’ seguito quindi un dibattito sull’argomento.
La preghiera come la definisce C.M. Martini è “Qualcosa di così personale”. Nella storia c’è stata una tendenza al numero, a dire tanto (p. es. in una mattinata tutto il salterio). Oggi c’è la tendenza a fare una ricerca di una sola frase che scenda nel cuore.
Ci vuole un atteggiamento contemplativo nella preghiera. Si impara ogni giorno a pregare perché è un progresso continuo.
Scegliere una preghiera, una singola frase, che meditata con attenzione ci fa entrare in una diversa dimensione.
Bisogna anche essere capace di adattare le preghiere tradizionali alla propria necessità perché la preghiera non diventa monotona e definitiva.
Pregare è sentirsi amati da Dio. Ognuno ha la sua preghiera, ognuno vive la propria preghiera.
In tutto quello che facciamo se mettiamo Dio al primo posto possiamo entrare in relazione con Lui.
Leggere soltanto il brano del vangelo del giorno forse fa mancare la relazione con Dio e può diventare solo un approfondimento.
Cerco il rapporto con Gesù molte volte nel corso della giornata. Sento che deve diventare un incontro con una persona reale.
Cerco di far parlare Lui. Far parlare Lui non diventa ripetizione di formule. Per far questo, per ascoltarlo occorre fare tacere la nostra voce, fare silenzio dentro di noi.
Occorre cercare un rapporto reale e non spirituale.
L’aiuto di Maria è fondamentale perché lei può arrivare dove noi non possiamo arrivare. Lei chiede per noi.
Io cerco di vivere quello che abbiamo letto ma spesso mi fermo.
Alcune volte parlare con le immagini che ho in casa mi aiutano a rendere reale il rapporto con Lui.
Mi ha colpito la differenza tra “le preghiere” e “la preghiera” ed è un punto di arrivo giungere a questa intimità con il Signore.
Io mi rendo conto che faccio preghiere; la preghiera fatta bene è la testimonianza di una fedeltà.
Vedo nei mussulmani una testimonianza di una fedeltà anche nella posizione fisica.
Nelle nostre comunità non c’è questo fervore.
La preghiera di contemplazione è difficile. Nella giornata di preghiera ci sono persone che dedicano del tempo per adorare il Signore perché sia preghiera e non devozione.
Un padre della chiesa dice che è preghiera non dire “Aiutami a fare la tua volontà” ma è “fare la tua volontà”.
Papa Francesco ha nel suo studio la statua di san Giuseppe dormiente ed a lui affida le richieste che riceve. La preghiera è affidarsi nelle manidi Dio senza pretendere la sua risposta.
portiamo ai nostri figli.
L’incontro è iniziato con la recita del salmo 24 e la lettura del brano della lettera di san Paolo ai Romani (cap. 13, 8-14).