Anno 2014 – 2015
L’incontro di Novembre del gruppo “Giovani Sposi” si è fuso con quello di “Famiglie Insieme”: il 15 sera, alle 18.45, infatti ci siamo ritrovati in tanti presso il salone parrocchiale per riflettere sul tema “ONORA IL PADRE E LA MADRE”.
L’incontro è stato guidato e moderato dalla coppia De Cesare (Carlo e AnnaMaria), ma l’introduzione è stata affidata a Don Franco Bergamin che con affetto ha ricordato la profondità spirituale di Don Giovanni Sansone che lo ha preceduto.
In merito al tema dell’incontro ha letto i versi di Es. 20, 12 e di Deut. 5, 16 in cui si legge che bisogna onorare il padre e la madre affinché la propria vita sia lunga e serena, e si è soffermato sull’”onus” ossia sul PESO che i modi di agire, i consigli, i ricordi dei genitori hanno sui figli: questi pesi talvolta possono essere negativi, ma un figlio per raggiungere il suo equilibrio deve comprenderli (e non giustificarli) in modo da trasformare il dolore, il rancore, la rabbia in tenerezza.
Su questa scia, infatti, si sono inserite le varie testimonianze come quella di Raffaella che, delusa da un padre giovane, inesperto, che ha commesso molti sbagli e che ha abbandonato la famiglia per un’altra donna, negli ultimi momenti di vita del padre è riuscita a perdonarlo e a ritrovare, con la consapevolezza dell’età matura, la sua pace interiore.
Altra testimonianza è stata quella di Diana Arcamone, autrice del libro “La felicità”: lei è stata una bambina modello, ma quando ha vissuto dei fallimenti personali ha incolpato la mamma che, con le sue imposizioni, l’ha costretta a mitigare sempre il suo essere. Con il tempo è riuscita a perdonare la mamma perché l’ha capita, ha compreso l’origine del suo modo di
essere e di conseguenza ha perdonato anche se stessa per la sua rabbia e le sue delusioni. Anche lei è madre, è consapevole del fatto che commetterà degli errori nei confronti delle figlie, ma dice loro che “i figli hanno radici, ma hanno anche le ali”.
Le ali sono per chi è credente gli strumenti della FEDE, intesa come FIDUCIA che poggia su pilastri quali la capacità di ascoltare, di pensare, di capire e di fare la scelta libera e “giusta”.
Anche Gesù, come ha argomentato Don Franco, ha fatto delle scelte giuste e finalizzate all’onorare il Padre: è rimasto nel Tempio per occuparsi delle “cose del Padre mio che è nei cieli”.
Sua madre, la Madonna, non vedendolo lungo la strada del ritorno con Lei si è preoccupata, si è arrabbiata, ma ritornata al Tempio ha capito. Suo Figlio aveva una VOCAZIONE e la stava perseguendo. Lei allora ha onorato la scelta di Fede di Gesù: ONORA IL PADRE E LA MADRE è sì un COMANDAMENTO, ma
questo si realizza, nella Fede, solo quando il rispetto è reciproco.
Su tale concetto, infatti, si è soffermata Cinzia: lei è cresciuta in una famiglia in cui il VALORE trasmesso è stato quello del RISPETTO RECIPROCO, per cui lei segue il Comandamento con naturalezza, così come con altrettanta naturalezza le è stato “impartito”. La sua osservazione, quindi, si è soffermata sul come un figlio che non rispettato dai genitori possa seguire il Comandamento.
Alla sua riflessione ha risposto Silvana, madre di due figli, credente e praticante, ma che ha vissuto il dolore della separazione: nonostante il divorzio ha insegnato a suo figlio e a sua figlia il RISPETTO verso il padre che ha scelto un’altra strada. Seguendo il messaggio cristiano ha donato ai figli la strada della comprensione e del perdono (che è, poi, la strada della serenità e della Fede).
La strada del perdono l’hanno seguita anche Carlo ed Annamaria: lui ha vissuto i suoceri come genitori (perché i suoi li aveva persi in gioventù), ma non ha compreso -per bontà d’animo- la gelosia dei suoi cognati che si sono sentiti derubati del posto di figli. Annamaria ha vissuto con dolore questa situazione venutasi a creare con i fratelli e il padre che l’ha anche potuta offendere, ma che lei ha perdonato e ora che è ultranovantenne lo accudisce con affetto perché ha compreso le sue motivazioni (forse non le avrà giustificate) e ha maturato (anche grazie alla complicità del Sacramento del Matrimonio) la serena via del perdono.
La riflessione conclusiva sul tema della serata è stata affidata alle parole di Fulvio e Linda: ONORARE significa RISPETTARE e tale verbo deriva dal “re-spicio” latino ossia al guardare indietro per trovare un equilibrio con il proprio progetto di vita che, in un’ottica cristiana, è il progetto di vita che Dio ha per i suoi figli.
Quindi, in tale ottica il credente si deve porre tre domande: Onoro il mio matrimonio e quindi rispetto mia moglie/mio marito? Quanto mi sento figlio e riesco ad onorare i genitori? Da genitore quanto onoro i figli che, secondo il Quarto Comandamento, devono rispettare i genitori?
L’incontro si chiuso con l’augurio a Lucia e Giulio che ci hanno presentato il loro angioletto Lorenzo, con il contributo per le adozioni a distanza, con la preghiera al Padre Nostro a cui si è chiesta l’intercessione per riflettere personalmente ed in coppia sul Suo Quarto Comandamento, con l’allestimento del tavolo per la vendita dei gustosi ed invitanti dolci il cui ricavato sarà devoluto per l’assistenza alle famiglie bisognose del territorio e alle adozioni a distanza.
Riguardo alle emergenze del territorio Raffaella ha condiviso l’invito allo “Spettacolo di solidarietà
2014 – perché rifiorisca la speranza” presso l’Auditorium “Santa Luisa di Marillac” il 29.11.2014 alle ore 17.30, organizzato dai Volontari del gruppo “CARCERE VI.VO”
Fausta, Giovani Sposi
L’incontro “Famiglie Insieme” e “Giovani Sposi” si è tenuto il 13 dicembre presso il salone parrocchiale ed è stato incentrato su una riflessione sul Quarto Comandamento “ONORA IL PADRE E LA MADRE”, avviata già nell’incontro precedente di novembre.
I punti che hanno dato l’avvio ai riferimenti biblici di Don Franco sono stati “ONORARE LE PROMESSE MATRIMONIALI, ONORARE I GENITORI, COME I GENITORI DEVONO ONORARE I FIGLI”.
Il Concilio Vaticano II parla di Chiesa Domestica dove il comandamento dell’ONORARE è reciproco perché è segno di DIALOGO, CONFRONTO e RISPETTO.
Il libro dei Proverbi( 6, 20-27) sottolinea il “non disprezzare i consigli della madre e i comandamenti del padre” e il non dimenticare il dolore della madre che ha generato il figlio.
Il libro del Siracide sottolinea l’educazione rigida, che va letta, però, anche come forma di amore (e di rispetto).
Nella Lettera agli Efesini, invece, si sottolinea il concetto di allevare i figli nell’educazione e nella disciplina del Signore in quanto i figli sono prima di tutto figli di Dio. Rispettando loro come persone, si rispetta Dio che per ognuno dei suoi figli ha un progetto di vita.
Il RISPETTO, quindi, passa attraverso i comandamenti evangelici della TENEREZZA, del PERDONO, dell’AMORE, della FEDELTA’ e del BUON ESEMPIO.
Il BUON ESEMPIO, infatti, fa ammettere e correggere i propri errori, educa alla fede cristiana senza essere assillanti, provvede ai bisogni sia materiali che spirituali dei figli perché vede la GENITORIALITA’ come una VOCAZIONE . E in quest’ottica i genitori comprendono e capiscono la VOCAZIONE DEI PROPRI FIGLI e li educano a capire quale sia la strada per perseguire tale vocazione che, poi, è il progetto che Dio ha per i suoi figli.
A tal proposito, infatti, basta citare l’episodio del Tempio: Gesù è tra i Maestri della Legge per seguire “le cose del Padre mio che è nei Cieli”; la Madonna era preoccupata per la scomparsa del suo Gesù che, però, stava seguendo la sua Vocazione. Quella Vocazione che lo porterà alla Croce, ma alla quale Maria non lo può sottrarre. Maria soffre, ma comprende e sotto la Croce aiuta Suo figlio a sopportare il dolore.
Maria “onora” il Figlio perché lo ama a e lo rispetta così come fa il padre del “Figliol prodigo”: questo giovane scialacqua tutto il patrimonio del padre, a differenza del fratello che onora questo patrimonio e onora il padre con la sua costante presenza e quotidiana disponibilità. Quando, però, il figlio prodigo torna a casa sporco, povero e bisognoso, il padre lo accoglie con una grande festa: il padre ha, quindi, compreso il desiderio di libertà del figlio, l’ha perdonato e l’ha atteso; nel mentre il figlio ha avuto il grande coraggio di saper tornare indietro e il grande coraggio di aver saputo chiedere “scusa”.
La domanda che è scaturita, quindi, dalla riflessione sulle Sacre Scritture è stata: “I genitori danno un insegnamento ai figli, ma se questo insegnamento viene letto in maniera sbagliata dai figli o non è onesto, come il rapporto di onore ci può essere tra genitori e figli?”.
In campo religioso un esempio è dato da San Francesco che non ha sentito, nel suo cuore e spinto dalla sua Chiamata, l’istinto di seguire la via del padre commerciante: lui ha dato gli scampoli di stoffa ai poveri, si è denudato nella pubblica piazza di Assisi e si è fatto umile servo del Signore e grande uomo di Dio.
In San Francesco non c’era cattiveria, non c’era egoismo: c’era solo un modo “diverso” di costruire la sua vita. Come pure, di certo, non c’era cattiveria nei genitori di San Francesco che volevano per lui una vita agiata e ricca: anche in loro c’era un modo “diverso” di vedere il senso e il corso della vita.
Ciò che, però, legava e che creava contrasto tra San Francesco e la sua famiglia era l’AMORE: quell’AMORE che, in molti casi, vuol tenere intrappolati e non liberare i sentimenti e il cuore, quell’AMORE che il verbo “ONORARE” lo considera come un obbligo e non come una scelta di “RISPETTO PROFONDO DEL SIGNIFICATO DELLA VITA ALTRUI”.
A tal proposito, infatti, è da consigliare il testo di GIOVANNI ABIGNENTE “LE RADICI E LE ALI”: ogni genitore onora il figlio mettendolo al mondo e dandogli radici, ma ogni genitore deve onorare il figlio dandogli le ali.
Quelle ali, infatti, contengono la tenerezza, la capacità di perdonare il genitore quando la sintonia tra genitori e figli può venire meno, la capacità di amare prima di tutto se stessi per poi poter essere capaci di amare il prossimo, la capacità di sapersi mettere in discussione e saper pronunciare parole come “permesso, grazie, scusa”, la capacità di essere autorevoli (con l’esempio) e non autoritari (con l’imposizione e la forza).
Fausta, “Giovani Sposi”
L’incontro di Giovani Sposi si è tenuto sabato 17 gennaio presso il salone caminetto della Basilica di Piedigrotta. L’incontro, incentrato sulla PRIMA PROMESSA del RITO MATRIMONIALE – «PROMETTO DI ESSERTI FEDELE SEMPRE», è stato introdotto dal Parroco Don Franco Bergamin che ha affidato il nuovo precorso (che ha visto l’arrivo di due nuove coppie: Ivana e Antonio; Denisse e Carlo) alla Madonna di Piedigrotta. L’Ave Maria recitata tutti insieme ha dato, così, il là al dibattito che è stato aperto da Carla e Alessandro (assente perché impegnato ad accudire i bimbi malati), coppia motrice della serata.
Il Verbo “PROMETTERE” significa, dal latino, “mettere davanti” ed esteso al discorso matrimoniale vuol significare mettere il coniuge davanti alla propria vita, con tutto se stesso, così come, reciprocamente, dovrebbe fare l’altro coniuge. Il promettere, dunque, si fonda sulla conoscenza piena dell’altro del quale si amano non solo i pregi, ma anche i difetti.
Il momento, infatti, che precede il matrimonio è quello della PROMESSA: questa è un giuramento che fonda il suo essere sulla FEDELTA’ (vocabolo che, non a caso, in lingua ebraica significa «VOCAZIONE AL PROGETTO DI DIO»). E la fedeltà affinché possa essere considerata un valore e un vincolo coniugale indissolubile deve, quindi, riconoscere che una coppia è un dialogo continuo tra pregi e difetti dei due coniugi. Se la fedeltà viene meno già prima della celebrazione del sacro rito nuziale, il matrimonio è nullo in partenza: la fedeltà, infatti, non è solamente quella fisica, ma è un progetto di coppia. E per la coppia cristiana la fedeltà è il progetto di Dio su marito e moglie e sui loro figli.
La fedeltà può essere tradita da uno dei due coniugi. L’altro coniuge, innamorato, può anche perdonare la “scappatella”, ma il PERDONO non deve essere un abuso o un alibi. La “scappatella”, infatti, può essere sintomo di un ALLONTANAMENTO DEI CUORI. La fedeltà è, dunque, venuta meno perché qualcosa non ha funzionato. Quel “qualcosa” è stato segnalato da una “spia rossa”, ma che può essere stata non ascoltata.
Perché?
La coppia non ha avuto il coraggio di affrontare la crisi quando ha percepito che stava arrivando.
La coppia non ha avuto il coraggio di chiedere aiuto al partner o a terzi (come ad esempio al sacerdote che ha celebrato le nozze; ai testimoni di nozze; ai aprenti o agli amici più prossimi).
La coppia non ha avuto la forza di analizzare il rapporto fisico che, se manca, può portare alla mancanza di fedeltà e al venir meno al progetto di Dio sulla coppia.
La fedeltà, quindi, è un rapporto interiore che va oltre la fisicità. La fedeltà è un valore che rimane nel tempo anche quando la coppia cambia e, talvolta, subentra la malattia che può creare ostacoli alla fisicità della coppia.
Il MATRIMONIO che celebra la fedeltà è per il bene dei coniugi che devono ricordare di essere COPPIA anche quando arriva il FIGLIO che … non deve essere messo al centro del letto per tutta la notte (ma magari solo al mattino per iniziare con lo spirito familiare la giornata).
La fedeltà deve trovare lo spazio per la coppia: questa se trova lo spazio per la sua fisicità, anche dopo l’arrivo dei figli, si ricarica, sta bene e il bene lo riversa pure sui figli. Questi, infatti, respirano lo stato d’animo dei genitori.
Se lo stato d’animo è abbattuto, irascibile, nervoso, stanco l’infedeltà può sopraggiungere e l’infedeltà non va letta solo come tradimento fisico, ma anche come DISATTENZIONE durante i momenti di tempo libero che la coppia potrebbe dedicarsi per ricaricarsi.
Infedeltà è anche DEDICARE TROPPO TEMPO AGLI ALTRI a scapito della coppia.
Infedeltà è anche OPPRIMERE l’altro con le proprie ansie o le proprie gelosie.
FEDELTA’, infatti, è FIDARSI DEL PROPRIOCONIUGE; è AFFIDARSI AL PROPRIO CONIUGE (proprio come Gesù, sulla croce, si è affidato a suo Padre).
La fedeltà passa, perciò, attraverso i piccoli gesti quotidiani: come ha scritto San Luca “chi è fedele nel molto è fedele nel poco”.
La fedeltà passa attraverso la prima formula del rito nuziale PROMETTO DI ESSERTI FEDELE SEMPRE”: il “sempre” è un avverbio che spaventa, ma se questo avverbio lo coppia lo vive invece di pensarlo, la coppia il “sempre” lo costruisce giorno dopo giorno vivendo per il proprio coniuge e per i propri figli, vivendo per vedere felice il coniuge e la famiglia tutta.
La fedeltà richiede esercizio perciò l’esercizio che si chiede alle coppie:
- è quello di appuntare su un calendario o un post-it in cucina (o in un ambiente che la coppia vive insieme) ciò che il partner ha fatto (anche un semplice gesto, un “semplice” grazie per un’attenzione) per rendere felice il proprio coniuge;
- è quello di interrogarsi sul fatto se la fedeltà è solo questione fisica;
- è quello di interrogarsi sul fatto se la fedeltà è un valore;
- è quello di interrogarsi sul perché la coppia spinge all’infedeltà;
- è quello di saper leggere i sintomi dell’infedeltà (quando, caso mai, sta per giungere).
- La Lettera di Dio ai Fidanzati, tratta dal libro di Giordano Mauro “Prometto di esserti fedele sempre. Riflessione per fidanzati che si sposano in Chiesa”;
- Il cap. 2 del libro di Osea, versetti 4-25, relativi al “Signore e la sposa infedele”
L’incontro di “Giovani Sposi” del mese di febbraio 2015 si è tenuto sabato 21 presso il salone caminetto e ha visto la presenza di altre nuove coppie, Loredana e Stefano e Nicoletta e Luca, e il ritorno di Gabriella e Dario, oltre che quello di Melina ed Antonio.
L’ incontro guidato da Don Franco è stato aperto, stavolta, da me e Fulvio ed è stato incentrato sulla promessa matrimoniale “NELLA GIOIA E NEL DOLORE”.
A fare sue le parole “gioia” e “dolore” è stata Madre Tersa di Calcutta che proprio al dolore ha dedicato una preghiera: “IL DOLORE E’UN DONO DI DIO PER TE. NON DEVI SCIUPARE QUESTO DONO MA RENDERLO FRUTTUOSO. LA MIA PREGHIERA PER TE E’CHE TU NON DISPERDA IL DONO DEL SIGNORE”.
Le parole di Madre Teresa, ad una prima lettura, possono sembrare dure, ma se si analizzano con attenzione sottolineano momenti di dolore (in tutte le sue accezioni) che tutte le coppie possono trovarsi a vivere. Dolore è sentirsi rispondere dal proprio coniuge “non mi scocciare sono stanco/a anche io” quando gli/le viene confidata la propria stanchezza. Condivisione, invece, sarebbe sentirsi rispondere “ti capisco, sono stanco/a anche io”. Il dolore, infatti, va condiviso così come la gioia: a tal riguardo è stato citato Giobbe che, nonostante tutte le prove che il Signore gli sottopone, lo ringrazia. Si allontana, poi, dal suo Signore, ma si rende conto che la sofferenza del suo cuore è ancora più grande e perciò ritorna da Lui e lo ringrazia per la forza che gli dona. Il dolore, quindi, (come evidenziato da Luca) aiuta a gioire della bellezza delle piccole cose che fanno essere marito e moglie una coppia. Con il dolore, però, bisogna familiarizzare (come ha sottolineato Nicoletta) per poi trovarsi ad essere contenti delle singole giornate e degli imprevisti che possono presentarsi, ma che possono essere risolvibili. Il dolore (come sottolineato da Daniela e Maurizio) può essere il figlio che la coppia desidera, ma che non arriva. Nonostante ciò, però, la coppia è forte e cerca di rispondere con serenità alla domanda “se il matrimonio è il vincolo per la genitorialità e il figlio non arriva, qual è il progetto di Dio per la coppia?”. La domanda che, quindi, è seguita è stata la seguente: “A cosa porta il dolore?”. Può essere banale, ma forse il dolore porta alla gioia: Nicoletta, ad esempio, ha sofferto tanto a seguito della precoce dipartita della mamma e dei suoi cari, ma ciò ha rafforzato il suo carattere, le ha donato la forza di saper affrontare con sicurezza le avversità, le ha fatto comprendere che bisogna vivere l’attimo e godersi gli istanti di affetto familiare e circostante. Del dolore (come ha sottolineato Felice) non si deve essere, perciò, vittima: nella coppia bisogna trovare la strada per reagire. E la strada è la comunicazione. E il collante della comunicazione tra marito e moglie è Dio.
Il collante, dunque, è gioia e la gioia, quando c’è, va goduta e non deve essere fatta passare per cosa ordinaria. La gioia, anche se forse fa più paura del dolore, va vissuta, va trasmessa ai figli insieme alla coerenza. La gioia è sapersi e potersi fidare: Gesù sulla croce, soffrendo, gridava “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?”. Gesù, però, si affida al Padre (“Sia fatta la Tua volontà”) . E il Padre gli ha donato la gioia e la bellezza della Resurrezione. La proposta di Don Franco, in merito alla tematica dell’incontro, è stata quella di segnare sul calendario con colori diversi i giorni di gioia e quelli di dolore vissuti dalla coppia. La domanda lasciata alle coppie per riflettere sulla tematica è stata: “Può considerarsi bellezza la responsabilità di vivere la gioia e il dolore nel matrimonio?”
Fausta, “Giovani Sposi”
Sabato 14 marzo 2015 l’incontro di “Famiglie Insieme” è stato aperto alla comunità perché è stato affidato allo psicologo Antonio Gentile che ha incentrato il suo intervento “ALTRIMENTI CI ARRABBIAMO” sulla gestione della rabbia all’interno della vita di coppia.
L’uomo è un animale e in quanto tale non è, per sua natura, libero. Non è libero neanche nella percezione visiva e neanche nei comportamenti tenendo presente il fatto che alcuni comportamenti sono predeterminati ed altri sono acquisiti -consapevolmente ed inconsapevolmente- dalla società.
La rabbia, quindi, è innata nell’uomo: basta far riferimento anche al Vangelo di domenica 8 marzo che racconta di quando Gesù si è arrabbiato nel Tempio che era diventato più un logo di commercio che di religiosità.
L’uomo è, perciò, prima di tutto un animale individuale, ma che diventa animale sociale per interesse anche se poi è in grado di creare relazioni positive che vanno oltre la mera logica dell’interesse, del tornaconto personale e dell’autoprotezione.
Il conflitto, dunque, è un fatto naturale: ritornando alle Sacre Scritture, ad esempio, anche i discepoli di Gesù talvolta si trovano a litigare tra di loro, ma non arrivano ad uccidersi vicendevolmente perché la gestione del conflitto è una pratica sociale.
Ne scaturisce, quindi, che, per natura, è impossibile non arrabbiarsi.
L’arrabbiatura, però, è gestibile a patto che i litiganti riescano a stare nel conflitto tenendo presente il fatto che il conflitto costituisce l’essenza della relazione.
La violenza che, talvolta, può scaturire è generata dal fatto che i litiganti non riescono a stare nel conflitto e non riescono a gestire. Il loro equilibrio instabile.
Il conflitto si crea ogni qual volta che l’atro non risponde alle necessità di chi comunica con lui. Ciò, ovviamente, accade anche nella coppia: se il partner non risponde alle richieste dell’altro partner, questi va in tilt. Se l’altro, infatti, non capisce il proprio partner diventa un avversario e lo percepisce come un diverso.
La mente umana, di base, non accetta la diversità: il bambino, ad esempio, dagli otto mesi decide a chi rivolgere le sue attenzioni e l’oggetto delle attenzioni è colui/colei che gli è più simile.
Con il diverso ognuno è costretto a lavorarci: si deve superare la diffidenza iniziale, si deve recuperare l’altro nella similitudine con il proprio comportamento. E, all’interno di un discorso di coppia, è questo il lavoro che fanno uomo e donna per arrivare al matrimonio.
Il litigio, di conseguenza, fa parte del matrimonio perché talvolta le esigenze del coniuge di turno possono non essere soddisfatte dall’altro coniuge: si può avere il caso che uno dei due -inconsciamente- scarica sull’altro le proprie frustrazioni e i propri drammi interiori (e trovare la soluzione è problematico perché non sempre la “vittima” ha il desiderio di guarire da se stessa); si può avere il caso del partner che vede il bisogno dell’altro di nascondere il proprio dramma e vuole impegnarsi per risolverlo, ma senza che il diretto interessato lo voglia (e in questo caso scoppia il vittimismo e viene anche meno il desiderio di risolvere il conflitto e creare un nuovo equilibrio).
Il conflitto, dunque, è parte integrante della famiglia: ad esempio, basti pensare al pranzo familiare domenicale durante il quale emergono tutte le specifiche diversità che, la società attuale, ha per di più amplificato.
La soluzione?
Vivere nel conflitto, arginare la sofferenza, trovare la propria sicurezza, guardarsi ed ascoltarsi, saper controllare il proprio mondo emotivo e saper raccontare le proprie emozioni.
Anche durante questo incontro il prof.Gentile ha brillantemente trattato la spinosa questione con la sua verve, la sua spontaneità, la sua vitalità e la sua preparazione che, in modo empatico, ha trasmesso alla comunità di Piedigrotta che avrebbe prolungato all’infinito la conversazione ed il confronto.
Quindi, ancora un affettuoso GRAZIE al dott. Gentile per averci aperto nuovi orizzonti e averci dato la possibilità di riflettere sul “quinto comandamento” conciliando FEDE e PSICOLOGIA.
L’incontro si è concluso nel salone caminetto con una lauta cena comunitaria, cui ha partecipato il dott. Gentile, a base di gustosi primi, secondi e dolci preparati dalle coppie della parrocchia.
Fausta, “Giovani Sposi”
Nel sacramento del matrimonio l’uomo e la donna che si sono incontrati ed hanno scoperto l’amore totale, unico come la cosa più bella e preziosa della loro vita, decidono liberamente di affidarla a Dio , di metterla a disposizione di Dio perché si fidano di Lui.
Dio allora accoglie questo dono ed interviene nella loro vita unendoli per sempre e rendendo possibile un cammino insieme
Il matrimonio, come scelta radicale, è prendersi per mano sempre, anche quando sembra che non ci sia più speranza, guardarsi negli occhi e dirsi, magari con un po’ di insicurezza, “Insieme ce la faremo!”.
E Il sacramento, immenso e potente dono di Dio, correda i due sposi degli strumenti adeguati per affrontare le situazioni più assurde ed umanamente incomprensibili, perché niente è impossibile a Dio e niente del mondo può separare ciò che Lui unisce.
Un esempio tangibile di tutto questo è stata la storia di Chiara Corbella Petrillo
Chiara Corbella è una ragazza andata in cielo il 13 Giugno 2012. Aveva 28 anni ed era sposata con Enrico Petrillo. Una coppia normalissima
Dopo essersi conosciuti a Medugorje hanno fatto un cammino da fidanzati con l’aiuto di alcuni frati di Assisi, e si sono sposati nel settembre 2008.
Chiara è rimasta subito incinta di Maria. Ma purtroppo alla bimba, sin dalle prime ecografie, è stata diagnosticata un’anencefalia. Senza alcun tentennamento l’hanno accolta e accompagnata nella nascita terrena e, dopo circa 30 minuti, alla nascita in Cielo.
Qualche mese dopo, ecco un’altra gravidanza. Anche in questo caso l’ecografia non è andata bene. Il bimbo, questa volta era un maschietto, era senza gambe. Senza paura e con il sorriso sulle labbra hanno scelto di portare avanti la gravidanza. Purtroppo, però, verso il settimo mese, l’ecografia ha evidenziato delle malformazioni viscerali con assenza degli arti inferiori e incompatibilità con la vita. Anche in questo caso i due giovani con il sorriso hanno voluto accompagnare il piccolo Davide fino al giorno della sua nascita in cielo avvenuta (anche in questo caso) poco dopo la nascita terrena.
Finalmente una nuova gravidanza: Francesco… Tutti noi amici abbiamo gioito non poco per questa notizia e per la speranza di Chiara ed Enrico verso la vita. Molti avrebbero – comprensibilmente – desistito dal riprovarci. E mentre le ecografie confermavano la salute del bimbo, al quinto mese di nuovo la croce. A Chiara è stata diagnosticata una brutta lesione della lingua e fatto, un primo intervento i medici le hanno detto che si trattava di un carcinoma. Nonostante questo, Chiara ed Enrico hanno voluto difendere questa vita. Non hanno avuto dubbi e hanno deciso di portare avanti la gravidanza mettendo a rischio la vita della mamma. Chiara, infatti, solo dopo il parto si è potuta sottoporre ad un intervento più radicale e ai successivi cicli di chemio e radioterapia. Tutte queste prove sono state portate avanti con il sorriso e con un sereno e incomprensibile affidamento alla Provvidenza.
Chiara ed Enrico in tutte queste prove mai si son lasciati sconvolgere, ma solo hanno accettato la volontà di Colui che non fa nulla per caso. E di come, sempre, hanno ripetuto la loro preghiera quotidiana di consacrazione a Maria terminante con Totus Tuus…
Raccontando questa storia sicuramente triste umanamente, abbiamo cercato di evidenziarne l’aspetto positivo cioè come sia effettivamente possibile affidarsi completamente al volere di Dio e di come sia possibile che Lui ci dia la serenità di affrontare certe situazioni.
Abbiamo cercato di esaltare il fatto che dalla difficoltà possiamo riscoprire l’amore che può superare ogni cosa.
Abbiamo riflettuto inoltre sul fatto che Chiara più volte ha detto che il giorno in cui ha abbracciato Maria e poi Davide è stato uno dei più belli, che avrebbe ricordato per sempre.
Se avesse abortito invece, avrebbe desiderato dimenticare quell’esperienza.
Chiara ha sempre esaltato il valore della vita che continua, che non finisce mai. Per questo ha voluto che anche il suo funerale fosse una festa con canti di gioa e che ognuno avesse alla fine in regalo una piantina come simbolo della vita che continua.
Questo è stato un grande esempio. Noi nella nostra vita ci auguriamo di poter superare ogni difficoltà, di qualsiasi genere con l’amore di Dio.
Sono nate riflessioni sul fatto di come si possa applicare questo anche nelle piccole cose di tutti i giorni e per questo abbiamo poi raccontato la nostra testimonianza, quando abbiamo dovuto affrontare difficoltà appunto anche di salute.
E per concludere: A COLAZIONE CON MIA MOGLIE… “Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi è lei”
Gabriella e Dario