Mini-storia del “Campeggio Piedigrotta”
“Il Campeggio Piedigrotta non è altro che una continuazione più o meno ideale dei campeggi vissuti in altro ambiente, fra i miei ragazzi del 57°-58° Reparto Scout alla Parrocchia di Santa Agnese (Roma). Trasferito a Napoli, già dal primo anno della mia permanenza, abbiamo fatto il primo campeggio. Non avevamo niente. L’ambiente dei familiari dei ragazzi era quanto mai ostile: nessuno avrebbe voluto mandare i propri ragazzi e in sostanza si può dire che a Napoli allora la parola “campeggio” non era neppure conosciuta. Quindi decidemmo di fare il campeggio alle porte di Napoli: esattamente il primo campeggio è stato fatto ai piedi del monte Faito, alle porte dell’Albergo Quisisana di Castellammare di Stabia, sotto i castagni che ombreggiano il primo tratto dell’attuale strada che sale al Faito. Allora il Faito, nella sua realtà turistica, non esisteva ancora.
Trovammo, non so come, alcune tende militari, del tipo mimetizzate, chiamate i “quattro teli”; ne comprammo così alcune, in modo che con una mappatella ciascuno, i 25-30 ragazzi poterono partire per il primo campeggio. Si partì con la Circumvesuviana; coprimmo a piedi la distanza che separava la stazione di Castellamare dal Quisisana. Avevo scelto quel posto anche perché ero amico del padrone del Quisisana e allora, in caso di emergenza, sapevamo dove andarci a rifugiare.
Avevamo delle cucce, non erano tende. Le tende i quattro teli sono delle capannine alte 70-80 cm da terra dove si stava accucciati dentro, a due a tre per tenda, con un po’ di paglia.
Non mi ricordo, ma mi pare che facemmo una colletta tra le famiglie; colletta non di soldi, ma di pentole; di piatti ne avevo trovati qui, perché il parroco di allora, un simpatico vecchio italoamericano Don John Marchegiani, ha fatto una compera di questa roba di infima qualità, posate di latta, piatti bruttissimi.
Il servizio mancava completamente. Poca roba familiare, un po’ di fuoco, si mangiava come si poteva; si faceva all’arrembaggio per prendere quel po’ di rancio che veniva improvvisato. Lo spazio per il campo non era piccolo, avevamo a disposizione quanto volevamo di questo castagneto; eravamo sulla strada, una specie di scarpata, non era neppure pianeggiante, in notevole pendenza e li eravamo arrangiati. Tra i partecipanti illustri di questo campeggio ricordo i fratelli Colato e soprattutto me li ricordo perché di notevolissimo ci fu la gita al Faito.
Al Faito non c’era niente: la carrozzabile attuale era appena appena una carreggiata. Noi facemmo la strada in salita al Faito, più o meno una specie di direttissima, andando a naso guidati da Osvaldo che non sapevo come facesse a conoscere quei luoghi.
Arrivammo in cima al Faito, marciando forte ed io dovevo ancora dire messa; tempi duri, il digiuno eucaristico era forte, portavamo sulle spalle una specie di altare da campo che tutt’ora conservo, un residuo della prima guerra mondiale, che mi fu regalato a Roma da un mio confratello. Giunti al Faito, c’era solo una capanna, vorrei dire una di queste di bicocche con lamiere di ferro per metterci dentro il cemento, perché allora avevano incominciato a costruire.
Arrivati in cima al Faito, il tempo già non prometteva niente di buono; infatti si scatenò un uragano formidabile. Noi rimanemmo pigiati dentro questa bicocca, abbiamo messo l’altare su questi sacchi di cemento ed ho detto messa; abbiamo mangiato alla meno peggio. Speravamo che spiovesse, perché comunque dovevamo ritornare indietro; allora ci siamo abbandonati nell’acqua senza più neanche difenderci.
Vicino a noi c’era un piccolo gruppo di esploratori di cui era capo Pignatelli; noi facevamo vita come questi esploratori. Scendendo ci prendemmo tanta di quell’acqua che la sera io volevo dire il Rosario e la mia corona, bella robusta si era squagliata, sciolta come fagioli cotti, che la dovetti buttare via.
Non avevo con che cambiarmi, allora feci l’antologia di tutti i panni il giro: mi feci prestare i calzoni da Pignatelli, ma io allora ero magro come un chiodo e lui grasso grasso, cosicché io ci ballavo in questi calzoni. Le scarpe non so di chi, insomma feci un’antologia. A Napoli, per dire il tempo che fece, si allagò la metropolitana.
C’erano tra gli altri campeggiatori i fratelli Gargiulo. Dopo quella pioggia vennero tutti i genitori per portarli via disperati, mezzi morti di paura. Il giorno dopo tornammo a Napoli perché era finito il campeggio.
Era durato una decina di giorni, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. Nota caratteristica fu questa: i genitori, per stare tranquilli dopo pranzo, pigliavano la Circumvesuviana e venivano a scocciare l’anima a noi. Non dico poi le telefonate, il centralino dell’Albergo Quisisana lavorava più per noi che per gli ospiti dell’albergo. Questo più o meno è stato il primo campeggio”.
Note:
(2) – Il monte Faito è una montagna facente parte della catena montuosa dei monti Lattari: alto 1.131 metri, ha accesso sia da Castellammare di Stabia, che da Vico Equense. E’ inoltre raggiungibile con l’omonima funivia, gestita dalla Circumvesuviana, dalla stazione di Castellammare di Stabia.
“L’anno successivo, 1950, prendemmo un po’ di coraggio e ci allontanammo un poco di più.
Andammo ad Agerola e scegliemmo la località San Lazzaro, fuori del paese attaccato alla chiesa. C’erano un po’ più di ragazzi, perché ci stavamo abituando al concetto di campeggio e meglio attrezzati, però sempre con questa famosa tenda quattro teli.
Eravamo pochi, nella zona boscosa di questa chiesa, anzi ne approfittammo per avere la luce elettrica, perché stendemmo un cavo che portava la luce dalla Chiesa al nostro campeggio. Tra i partecipanti alcuni nomi notevoli che sarebbero Don Franco Mercurio, allora al secondo anno di Medicina, Franco Galgani e i fratelli Cocchia. Notevole perché tra l’altro Don Franco Mercurio diede un saggio della sua grande abilità di medico già allora, era medico del campo. Ricucì il sedere di questo ragazzo che si era spaccato letteralmente in due, perché si era strofinato lungo una siepe di filo spinato. S’era fatto un taglio maiuscolo e gliel’ha ricucito ben bene.
Per la gita andammo da Agerola ad Amalfi, 2000 scalini a scendere e 2000 a salire. Dicemmo la messa sulla tomba dell’Apostolo Sant’Andrea che si trova nel Duomo di Amalfi. Il 1950, anno Santo, cominciammo il campeggio con il pellegrinaggio a Roma per l’anno Santo. Facemmo le visite giubilari lungo la via Napoli-Roma. Ma dopo al ritorno, invece di ritornare a casa, siamo andati direttamente al campeggio. Facemmo in quell’anno una cosa singolare. A Bomerano c’era una troupe per cantare delle opere liriche. Mi ricordo che i ragazzi, tra cui Colato, erano così entusiasti, forse anche della musica, che di notte tempo andavamo a vedere queste opere. Poi l’ultima notte fu una notte un po’ drammatica, perché un contadino aveva fatto l’amore con quel filo, il magnifico cavo che collegava la Chiesa con il campo, il quale ripetutamente mi chiese di darglielo. L’ultima sera, ad un certo punto, siamo piombati nel buio: erano venuti a rubarci 40-50 m di filo. Per i ragazzi, erano piccoli e non provati dalla vita del campo, fu una notte poco simpatica. Ogni volta che vado ad Agerola non posso dimenticarmi quest’episodio di teppismo stupido”.
Note:
(3) – Agerola è un comune di 7.394 abitanti della provincia di Napoli. Si tratta di un comune sparso in quanto la sede comunale è la frazione Pianillo.
“Il terzo campeggio ha una storia ancora più simpatica, è il campeggio fatto al Santuario dei Lattani(5) sopra Roccamonfina. Siamo nel 1951. Ricordo questo tra gli altri episodi carini: per andare a vedere il posto, mi accompagnai con il simpatico Ingegnere Labriola, che a quel tempo era liberale, poi diventato comunista, era anche un assessore al comune di Napoli nonchè nostro insigne parrocchiano, poiché abitava al viale Elena 21. Siccome lo avevo incontrato per le feste di Piedigrotta, gli avevo chiesto che mi desse la macchina del comune per andare a fare il sopralluogo. Lui gentilmente mi concesse la sua macchina, cioè quella del comune, e quindi non fece un grande sacrificio. Il suo autista aveva fatto dei calcoli esatti. Farò comparire il tragitto più lungo; però la strada più corta era attraverso la nazionale Appia, per andare via Teano e giungere a Roccamonfina. Eravamo nell’immediato dopoguerra, si può dire, nel 1951. Arrivammo in cima alla Roccamonfina senza un goccio di benzina e in quel luogo non c’era alcun distributore di benzina. Da Roccamonfina giungemmo a piedi fino ai Lattani per vedere il posto e prendere accordi con i frati. Poi da Roccamonfina abbiamo spinto la macchina in discesa fino al paese più vicino, dove abbiamo trovato un distributore per tornare a casa. A folle in discesa, per 14-15 km, raccomandandoci l’anima al Padreterno perché a folle la macchina non può dominarsi bene. Fra i campeggiatori ricordo De Curtis, simpatici e molto attivi, soprattutto Oreste. Ma anche questo Oreste, nella sua vitalità, una volta, per raggiungere rapidamente dal campo la Chiesa del convento, volle percorrere una scarpata, un pendio abbastanza ripido. Mise un piede in fallo e fece dei capitomboli. Insomma se non si è ammazzato è stato un miracolo, per questo è rimasto ingessato per quattro mesi. Questo è stato il più grosso guaio che mi sia capitato al campeggio.
A Roccamonfina feci la più grande sciocchezza di tutta la mia vita di campeggiatore. Siccome eravamo a contatto con certe colonie di ragazzi che stavano intorno ai nostri, mi avevano detto che per andare a Scauri si impiegavano tre ore di cammino dai Lattani. Così decidemmo di andare a fare il bagno a Scauri e tornare in giornata.
Noi, nella più completa disinformazione, per nostra sventura e soprattutto per nostro errore, partiamo puntualissimi alle quattro del mattino dai Lattani. Ci dirigemmo verso Sessa Aurunca. Avremmo dovuto prendere una deviazione che tagliava dritto e ci portava direttamente a Scauri. Se non che, intenti a mangiare le more lungo la strada, sorpassammo quella scorciatoia e ci trovammo, dopo una bella marcia, proprio a Sessa Aurunca. Da Sessa Aurunca, però, c’erano da fare ancora 20 km a piedi sulla strada nazionale fino a Scauri, sotto un sole implacabile. Sotto questo sole, che si ammazzava, mancai di fermare uno dei tanti camion che passavano vuoti, e così, in maniera testarda, andammo a piedi fino in fondo: otto ore di marcia.
Arrivammo a Scauri verso mezzogiorno. Io mi sono buttato a mare con tutti i panni addosso. Eravamo sfiancati, ma abbiamo fatto una bella mangiata. A sera, per tornare, poiché non potevamo ritornare a piedi, ci servimmo di un pullman, che si portò a Roccamonfina. Il bigliettaio voleva farci pagare il biglietto ridotto, però noi pagammo il biglietto intero, con la facilitazione di portarci oltre Roccamonfina fino al Santuario dei Lattani”.
Note:
(4) – Il Parco regionale di Roccamonfina-Foce Garigliano interessa i comuni di Sessa Aurunca, Teano e cinque comuni che fanno parte della Comunità montana Monte Santa Croce: Roccamonfina, per l’intero territorio, parzialmente Marzano Appio, Conca della Campania, Galluccio e Tora e Piccilli. L’intera area è dominata dal vulcano spento di Roccamonfina ed ha come limite geografico il fiume Garigliano, provincia di Caserta.
(5) – Santuario di Maria Santissima dei Lattani, fondato nel 1430 da san Bernardino da Siena e san Giacomo della Marca, che vi erano giunti in seguito alla notizia del ritrovamento di una statua della Vergine nello stesso anno o in quello precedente. Venne edificata una prima cappella, quindi una prima chiesa, allargata quindi poco dopo nelle forme ttuali tra il 1448 e il 1507. Nel 1446 papa Eugenio IV affidò il convento, sorto nel frattempo, ai Francescani.
Gli edifici del santuario si aprono su un ampio cortile interno, aperto sul panorama. Vi si affacciano la chiesa, il convento e un edificio costruito al momento della fondazione, detto “Protoconventino” o “romitaggio di San Bernardino”, recentemente restaurato nelle forme originali.
“E così arriviamo al quarto campeggio. Questo campeggio ha battuto il record della tranquillità, perché lo facemmo al Pian di Verteglia. Per raggiungere questo posto oggi c’è una strada abbastanza carrozzabile, ma ai tempi nostri, siamo nel 1952, ci si poteva arrivare solo attraverso un abbozzo di strada carrabile. Infatti mi ricordo che già da quegli anni ci prestava il camion Cozzolino. Aveva un autista spericolatissimo. Una strada per arrivare a Pian di Verteglia, talmente disagiata, che chi la faceva una volta non la ripeteva più. Noi però mandammo il materiale con il camion di questo nostro simpatico amico. Ma noi saggiamente facemmo la strada Avellino-Montella(7) e da Montella due ore di scarpinata per arrivare.
I genitori, avendo conosciuto questa circostanza, si guardarono bene dal fare due ore di marcia. Non venne nessuno-nessuno e campammo abbastanza bene. Stentatamente il nostro camion si avventurò al campo. Anche il Commendator Di Monte venne con la sua macchinetta, una robettina tascabile e giunse disfatto.
Aveva avuto da pochi mesi l’ultimo figlio Tony che portò con sé, gli altri due erano già al campeggio. Fu la prima volta che abbiamo avuto un’ospite al campeggio, il Commendator Di Monte, la Signora e Tony, un pupattolo di quattro soldi appena appena scodellato. Caratteristiche dei primi campeggi fu una grande povertà di mezzi, però c’era una grande fraternità. C’erano per esempio Pignata, Martino Panfilo, De Maria, ragazzi in gambissima. Ogni sera Don Franco Mercurio non mancava mai e le serate erano veramente splendide anche per l’apporto di questi ragazzi.
Eravamo agli inizi e quindi molto fervore e molta voglia di collaborare. Questo sempre per i primi campeggi, finché non ci siamo imborghesiti. Le mosche furono protagoniste del campeggio al Pian di Verteglia, perché in giro c’erano un mucchio di vacche. Partecipò tra gli altri un bambino, oggi non è più tale Beppe Miele e siccome non era molto amante di lavarsi la faccia, gli dicevo: sai Beppe la vaccarella viene ogni sera a leccare la faccia, così te la lava lei. In complesso un campeggio simpatico. Da Pian di Verteglia siamo andati al Terminio(8), attraversando un piccolo paese”.
Note:
(6) – L’altopiano di Verteglia, vasto e ricoperto da faggi, è fra le più importanti valenze paesaggistiche nel comune di Montella. Tra le numerose grotte esistenti, la Grotta dei Cantraloni e la Grotta del Caprone. Il fiume Calore ha la sua sorgente nel comune di Montella.
(7) – Montella è un comune italiano di 8.013 abitanti della provincia di Avellino, in Campania, nella regione storica dell’Irpinia. La zona era abitata già nel periodo neolitico. Il paese nasce come villaggio sannita nel I millennio a.C., per poi diventare municipio romano, sede gastaldale e poi contea sotto i Longobardi. È nota per la produzione della Castagna di Montella, cui è riconosciuto il marchio IGP. Il territorio, compreso nel Parco regionale Monti Picentini e prevalentemente montuoso, è rinomato per la bellezza del paesaggio. È ricca di sorgenti, quattro della quali alimentano l’Acquedotto Pugliese.
(8) – Il Terminio (1.806m) è una montagna dei monti Picentini, nell’Appennino campano, nei comuni di Montella e Volturara Irpina, in provincia di Avellino, che rientra nel Parco regionale Monti Picentini.
“Siamo arrivati al 1953, che è l’anno centenario di Piedigrotta. Dalla fine del ‘52 cominciarono i lavori per restaurare la chiesa, per celebrare solennemente il centenario di Piedigrotta. Da allora a Piedigrotta, dove era radunato tutto il nostro materiale per il campeggio, si erano stabiliti fissi un mucchio di operai, muratori, decoratori, falegnami. È un po’ per ripararsi dalle piogge, un po’ per i loro comodi, si servirono di tutto il nostro materiale e al tempo del campeggio non trovammo niente. Così nel 1953 non facemmo alcun campeggio, un po’ per il centenario, perché eravamo legati e non potevamo assentarci, e poi perché non avevamo nulla. Come fecero portare via tutto, ancora oggi è rimasto il mistero, perché nessuno se ne accorse”.
“Nel 1954 eravamo già quasi maggiorenni e decidemmo di attrezzarci in modo più razionale. Non abbiamo rimpianto quel che ci hanno rubato, comunque fu una sorpresa per noi. Però noi ci arrangiammo diversamente. Eravamo rientrati in Abruzzo perché nei dintorni non trovammo niente di soddisfacente, anche perché crescevamo le nostre esigenze ed anche per sottrarci all’aggressione dei parenti al campeggio.
Quindi volevamo andare molto lontano. Feci un sopralluogo al Parco nazionale degli Abruzzi e vidi per la prima volta la Camosciara, così dissi ai miei ragazzi che avremmo fatto il campeggio alla Camosciara. Senonchè, l’ultimo giorno, mandando la pattuglia per l’ultimo sopralluogo, la sera i ragazzi tornarono desolati per dirci che il posto prescelto era già occupato.
In quei tempi non occorreva alcun permesso, poiché non esisteva ancora la legislazione per i campeggi.
Il giorno dopo improvvisai una visita al campeggio per constatare se il luogo era effettivamente occupato. Mi diressi allora verso la Val Fondillo, che anticamente si chiamava Valle fredda, poiché era veramente glaciale.
Io mi spinsi sino al Fondillo, luogo dove erano accampati gli scouts per il loro campo nazionale. Ebbi la fortuna di riconoscere che il capo di questi scouts, il Professor Salvatori che conoscevo da trent’anni a Roma.
Mentre parlavo con lui rievocando i tempi passati, arriva uno scout, si ferma nel saluto, da al capo una comunicazione. Sento quel che dice: è affogato uno scout nel lago di Villetta Barrea. Ebbi uno shock tremendo e mi precipitai anch’io con lui per vedere se si poteva fare qualcosa. Stetti lì due o tre ore. Ci vollero i sommozzatori per ripescarlo. Era un ragazzo o di Ancona o di Rimini: lui sicuro di saper nuotare bene, si era tuffato per fare il bagno, forse non era il momento opportuno, ma certo era rimasto incapsulato da alcuni rami degli alberi sommersi nel laghetto. Rimasi d’accordo con gli esploratori che sarei subentrato a loro quando andavano via, perché il posto era magnifico.
Arrivato a Piedigrotta quella sera convocai i dirigenti e dissi loro: sentite ragazzi faremo il campeggio a Val Fondillo, andremo in pullman. Sappiate bene che all’andata vedrete un laghetto e lo rivedrete solo dal pullman al ritorno. Quella non fu l’unica vittima di quel tremendo campo nazionale, perché quell’anno gli scouts persero tre ragazzi.
Dipendevamo logisticamente in modo particolare da Opi(10) e fra i tanti simpatici uomini di Opi interessammo e si interessò di noi un assessore. La gita la facemmo, al Passo dell’Orso, molto bello a metà strada tra Val Fondillo ed il Santuario di Canneto”(11).
Note:
(9) – La Strada statale 83 Marsicana, molto frequentata dai flussi turistici per la sua agibilità, nonostante i diversi tornanti panoramici, attraversa Pescasseroli, Opi, Villetta Barrea e Barrea dove costeggia interamente la sponda sinistra dell’omonimo lago. Più a valle incontra il bivio per l’altrettanto panoramica e frequentata statale di Forca d’Acero, e gli accessi per le riserve integrali della Val Fondillo e della Camosciara.
(10) – Opi è un comune italiano di 441 abitanti della provincia dell’Aquila in Abruzzo. Appartiene alla Comunità Montana Alto Sangro e Altopiano delle Cinque Miglia ed è situato nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Fa parte del circuito dei i borghi più belli d’Italia. Essendo interamente situato in una zona demaniale, le abitazioni sono costruite su suolo di proprietà dello stato.
(11) – Il Santuario di Canneto (nome ufficiale Santuario diocesano Maria Santissima di Canneto) sorge nel territorio di Settefrati a 1030 m s.l.m., in provincia di Frosinone, a circa 10 chilometri di strada carrozzabile dal centro del paese. A poche centinaia di metri si trova la sorgente del fiume Melfa, affluente del Liri. È meta di un antichissimo pellegrinaggio proveniente dal Lazio, dalla Campania, dall’Abruzzo e dal Molise, particolarmente intenso tra il 20 e il 22 agosto. Appartiene alla diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo.
“Il sesto campeggio fu un campeggio riuscito abbastanza bene, sui monti del Matese. Avevamo tre persone che ci aiutavano e tre Enti. Il territorio del Matese appartiene, in parti più o meno uguali, all’ex SME (Società Meridionale Elettricità, oggi ENEL), che ha lì un lago artificiale. Al Comandante Achille Lauro e all’onorevole Fiorentino. Noi ci siamo assicurati i permessi di questi tre per fare il campeggio dove volevamo noi. Lauro a quei tempi ci teneva, ecco un dettaglio privo di significato, perché ebbe il suo seguito. Eravamo confinanti con la colonia che Lauro teneva sul monte Matese, che ospitava sotto delle tende enormi.
A noi ciò faceva comodo: perché disponevamo anche di Lauro, il quale mandava come servizio di spola i camion della nettezza urbana per rifornire i suoi 200 ragazzi. Noi usavamo per i nostri rifornimenti i camion di Lauro ed andavamo su e giù quando volevamo. Al Matese fu una cosa interessante la gita che facemmo al Monte Miletto(13), il punto più elevato del Matese, al confine tra la Campania e il Molise. Non abbiamo mai nominato fino ad ora Claudio Veltri, che era uno dei tecnici del campeggio. In questo campeggio inaugurammo la nostra cinepresa. C’era, tra gli altri partecipanti, Adriano Tarantino che è un nostro simpatico amico.
Quell’anno cominciammo ad usare il gruppo elettrogeno che ci fu regalato da Olimpo Ambrosio, un gruppo elettrogeno piccolino da 200 W”.
Note:
(12) – Il Massiccio del Matese, dell’omonimo parco regionale, è parte dell’Appennino sannita ed è compreso in due regioni (Campania e Molise) e quattro province (Benevento, Campobasso, Caserta e Isernia). Il massiccio del Matese si affaccia ad ovest sulla valle del medio Volturno in vista dei monti Trebulani, a est sulla zona preappenninica molisana, a nord è limitato dai monti delle Mainarde e dalla Maiella, a sud dal massiccio Taburno Camposauro.
(13) – Monte Miletto è la vetta più alta dei monti del Matese (2050 m s.l.m.). È posizionato al centro del Massiccio e divide le regioni Campania e Molise e quattro provincie: Caserta, Benevento, Isernia e Campobasso, anche se l’estrema punta si trova in provincia di Isernia, nel comune di Roccamandolfi. La vetta è priva di vegetazioni arborea, dall’estremità è visibile tutta la valle del medio Volturno, i Monti Trebulani e parte della provincia di Napoli oltre che i monti della Maiella, Taburno e Camposauro, e la zona preappenninica molisana. È possibile raggiungere la vetta tramite una seggiovia che ha come base Campitello Matese oppure dei percorsi a piedi tramite dei sentieri. Dalla cima si possono ammirare paesaggi mozzafiato.
“Siamo arrivati al settimo campeggio che ha una storia abbastanza notevole. Per trovare un posto nuovo mi avevano detto che di andare ad Agnone nel cuore del Molise. Arrivati ad Agnone, trovammo un paese pelato. Non c’era una pianta a pagarla 1 milione e continuando su quella strada arrivammo a Pescopennataro. Usciti da Agnone si scatenò un uragano, è da allora noi proseguimmo a tentoni. Andavamo in macchina sotto una pioggia così intensa che avevamo deciso di fermarci a Pescopennataro, dove la G.I.A.C. cominciava a fare i suoi corsi estivi. Abbiamo visto ad un certo punto un paese, ci siamo fermati: era Capracotta, avevamo superato Pescopennataro senza accorgercene. Decisi di continuare a scendere e siamo arrivati a Vastogirardi e dopo abbiamo letto fortunosamente un cartello Foreste demaniali di Monte di Mezzo, luogo per i campeggi.
Poiché il posto era magnifico mi precipitai a chiedere il permesso alle guardie forestali. Quell’anno feci una pazzia curiosa: chiesi a Guadagnelli, siccome avevamo molti materiali, di darci un camion con il rimorchio, che appunto si dimostrò una mia pazzia per le difficoltà di manovra.
Da quest’anno, comunque, il campeggio comincia a crescere sia in numero di presenze che in attrezzature. Ma a Monte di Mezzo sarebbero state sufficienti le sole tende; perché anche se non avessimo avuto niente, la cucina era già montata, la corrente era dappertutto e c’erano perfino i bagni con docce nel bosco. Però non eravamo molto uniti, perché essendoci poco spazio, eravamo sparpagliati un po’ di quà e un po’ di là. La gita la facemmo a Capracotta, a piedi. Fu una camminata abbastanza lunga, però il paese interessante ed ospitale. Come al Matese ci appoggiammo a Lauro, così a Monte di Mezzo ci appoggiavamo al Reggimento dei Granatieri di Savoia, che disponevano di un’immensa spianata da San Pietro Avellana sino a Castel di Sangro”.
Note:
(14) – La Riserva naturale Montedimezzo – San Pietro Avellana – Vastogirardi (IS) è una riserva naturale statale situata in Molise, in provincia di Isernia, che comprende circa 300 ettari ricadenti nel territorio del Comune di Vastogirardi. avessimo avuto niente, la cucina era già montata, la corrente era dappertutto e c’erano perfino i bagni con docce nel bosco. Però non eravamo molto uniti, perché essendoci poco spazio, eravamo sparpagliati un po’ di qua e un po’ di là.
La gita la facemmo a Capracotta, a piedi. Fu una camminata abbastanza lunga, però il paese interessante ed ospitale. Come al Matese ci appoggiammo a Lauro, così a Monte di Mezzo ci appoggiavamo al Reggimento dei Granatieri di Savoia, che disponevano di un’immensa spianata da San Pietro Avellana sino a Castel di Sangro”.
“Siamo all’ottavo campeggio. Ogni volta il problema di trovare il posto era sempre più impellente.
Mi avevano consigliato di andare a vedere una Guardia Regia, sempre nel Matese, verso Campobasso.
Invece di andare direttamente a Guardia Regia, chiesi all’ingegner Gellelli, direttore della Pirelli, se mi conduceva con la sua macchina. Erano con noi Claudio Veltri e Lorenzo Casola. Siamo arrivati fino a Guardia Regia e siamo andati a mangiare a Baiano. Siamo scesi al ristorante e appena mi hanno visto: o’ preveto.o’ preveto. Dopo pranzo da Baiano siamo ritornati ad Isernia e mentre ci disponevamo ad andare a Venafro,abbiamo notato una deviazione: Colli a Volturno.
Abbiamo continuato sino ad Alfedena e da Passo San Francesco abbiamo imboccato, sempre a casaccio, la deviazione che va a lago artificiale. Costeggiava la strada un bel prato. Lorenzo e Claudio scesero per vedere il posto e decisero di fare lì il campeggio.
Trovato questo posto, volevamo festeggiare. Mi feci dire chi erano i De Amicis. Si è saputo che erano di Napoli. Siamo a posto, dissi, andremo a trovarli. Per festeggiare siamo andati ad Alfedena, a Villetta Barrea, alla Camosciara e Valfondillo. Abbiamo preso la strada che da Opi sale fino a Forca d’Acero, siamo scesi a S. Donato Val di Comino, 30 km senza vedere anima viva, siamo arrivati a Cassino, quindi siamo giunti a Napoli. Il giorno dopo trovai sull’elenco il numero del Professor De Amicis e gli telefonai: “Professore. Professore vorrei parlarle, sono un prete, se può ricevermi.” Mi disse di andare al suo Studio di Dermatologo e io gli chiesi, una volta giunti al suo studio, se ci dava il posto. Se gli avessi detto che doveva darmi una zampa di sua figlia non era peggio. Si è arrabbiato. Ma io non mi sono scoraggiato, gli ho spiegato ed alla fine ha acconsentito.
Le figlie poi, anni dopo, gli dicevano: papà come ha fatto quel diavolo di prete a non farti dire di no. Rispose: quando lo conoscerete vedrete che anche voi non potrete dire di no. Così trovammo quel posto splendido per il campeggio. C’era anche l’acqua nel campo. Ma De Amicis aveva anche un altro motivo per la concessione del posto, mai confessato. Nella sua tenuta obbligatoriamente ci andavano i soldati; in tal modo lui si volle liberare dalla schiavitù dei soldati. Ecco perché mise come paravento i miei ragazzi, poiché i soldati erano molto più rumorosi di noi e le loro necessità d’acqua erano maggiori. È per questo particolare motivo che nacque il campeggio ad Alfedena.
L’Alfedena primo era nato sotto magnifici auspici, ma sarebbe stato certamente l’ultimo se avessimo avuto l’ispezione sanitaria, perché noi inaugurammo l’asiatica, portata su da noi da Salvatore Ferrante.
L’hanno avuta al campo almeno 40 ragazzi, con una punta di 29 malati in una volta. Quel povero Don Franco Mercurio non sapeva da che parte girarsi, abbiamo esaurito il chinino in tutte le farmacie, non solo di Alfedena, ma di tutti dintorni, perché pare fosse, all’epoca, l’unica maniera di curarsi dall’asiatica.
Non era stata ancora battezzata col nome di asiatica, ma se l’avessero saputo ci sopprimevano il campeggio.
Io non fui assente per fortuna, si vede che allora ero refrattario ai guai. Questa fu la nota tremenda di quel campeggio.
Invece cosa splendida fu la gita che abbiamo fatto alla Meta con Sortino. Fu una gita improvvisata, perché fu decisa su due piedi a cena, alle otto di sera. C’era già allora padre Pellegrini e fu uno dei protagonisti. Io sarei andato avanti alle 10 per andare al Rifugio Campitello, dove avremmo bivaccato la notte, per poi rimetterci in moto la mattina e trovarci all’alba sulla Meta. Un freddo tremendo, tanto che nessuno ha potuto dormire quella notte, non c’erano né panche nè sedie. Fu una cosa eroica: come Dio volle, poi venne la mattina e ce ne andammo su.
Arrivati sulla Meta, celebrai la messa. Padre Pellegrini rinunciò all’ultimo tratto, ultimo pezzo della salita, perché era molto malato e ci aspettò di sotto. Poi siamo scesi insieme ed alle tre eravamo a mangiare al campo. Fu una splendida gita, anche per il piacere di aver celebrato la messa a 2241 m, con la magnifica guida di Sortino al buio. Un buio pesto appena appena rotto dalle fiaccole e dalle torce elettriche che avevamo con noi. Per giunta, oltre i nostri guai derivanti dall’epidemia di asiatica, ci viene segnalato che nel reparto esploratori, della Madonna della Pazienza, la Cesarea, accampato tra Barrea e Villetta Barrea, dove c’è quella deviazione con una magnifica fontana, avevano uno scout grave. Allora ci siamo precipitati con un nostro mezzo, lo abbiamo preso, lo abbiamo portato al nostro campo e poi guarito, è tornato tra i suoi”.
Note:
(15) – Alfedena (AQ) è una stazione climatica estiva situata sulle due rive del Rio Torto, alla punta estrema sudoccidentale del fondovalle dell’Alto Sangro, ai piedi dei massicci della Meta e del Monte Greco. Il piccolo paese di montagna è attraversato dalla strada regionale 83 che ne costituisce anche il corso principale. Il territorio comunale è compreso tra un’altitudine minima di circa 890 metri (al confine con Villa Scontrone), ed una massima di 2242 metri (vetta di Monte Meta). Dista circa 120 Km dal Capoluogo.
“L’anno dopo fu lo stesso De Amicis a far pressione perché noi tornassimo a fare il campeggio a S. Francesco-Alfedena, ma noi in quei tempi, avevamo ancora la regola di cambiare luogo ogni anno. Allora avevamo adocchiato la sorgente che c’era a Valcocchiara, a quattro passi da Alfedena. Allora io volli comunque mantenere i rapporti con i De Amicis.
Gli dissi che io non ci sarei andato, ma che ci avrei mandato un altro mio gruppo con un sacerdote. Così ci mandai Don Mario Arfè a fare il campeggio presso i De Amicis.
Don Mario Arfè è in sfasamento con noi di almeno cinque campeggi, cioè ha cominciato almeno cinque anni dopo di noi. Già allora era autonomo. Ha fatto 1 o 2 campeggi per imparare il mestiere, poi ha superato il maestro.
Siamo arrivati al nono campeggio a Montenero Valcocchiara – Fonte Tassete, che era il superlativo assoluto, piccolo, infossato ma con acqua buonissima e abbondantissima.
Quell’anno per poco non ci siamo ammazzati: perché nel prendere dalla nazionale il vicoletto, la macchina si rotolò, ma comunque non ci facemmo niente. Lì ci fu l’episodio di quel nostro aiutante, che veniva da Valcocchiara ed era il nipote del parroco di Montenero, che mangiava per quattro o per cinque persone. Poi c’è stata l’invasione delle vespe: li mangiai pane vespe e marmellata. Celebrammo la festa dell’Assunta nel fortino, di sera all’aperto”.
Note:
(16) – Montenero Val Cocchiara è un comune di 575 abitanti della provincia di Isernia in Molise, non molto distante da Alfedena. È un centro agricolo dell’alto bacino del Volturno, confinante con l’Abruzzo, situato in un paesaggio arido, quasi carsico, su un importante colle che si affaccia sulla vallata detta il Pantano. presso il rifugio Fonte Tassete, al confine con il Parco Nazionale degli Abruzzi. Alfedena a circa 1000m di quota chiamata Fonte Tassete, dal nome di una delle tante sorgenti che arricchiscono di acqua tutta la zona.
“Siamo arrivati al 10º campeggio che abbiamo fatto Pescasseroli, località Vittoria, nel parco nazionale d’Abruzzo.
Con le solite procedure ottenemmo il permesso e facemmo questo campeggio. L’acqua era abbondante, ed il posto abbastanza comodo. Tra l’altro ci fu un episodio di ammutinamento di cui faceva parte anche quel fetente di Nino Cirillo.
L’ultimo giorno mi imbestialii e mollai una pedata, talmente male che per quattro mesi ho avuto il piede rotto, una pedata formidabile. Facemmo la gita con Spada ed andammo sull’Adriatico”.
Note:
(17) – Pescasseroli è un comune di 2.204 abitanti della provincia dell’Aquila in Abruzzo. Ubicata in una conca a quota 1167m s.l.m. nel cuore dei Monti Marsicani, ad est dello spartiacque appenninico, il territorio comunale appartiene alla Comunità Montana Alto Sangro e Altopiano delle Cinque Miglia ed è il centro principale del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise di cui è anche la sede amministrativa centrale.
Note:
(18) – La Certosa di Trisulti è un monastero che si trova nel comune di Collepardo, in provincia di Frosinone. È monumento nazionale dal 1873. È collocata tra boschi di querce, nella cosiddetta Selva d’Ecio, alle falde del Monte Rotonaria (Monti Ernici), a 825 m di altitudine e a 6 km a nord-est del centro abitato.
“Il 12º campeggio lo facemmo nei pressi del Santuario della Madonna di Canneto. Notevole perché da Canneto facemmo una gita al Passo dell’Orso fino a Val Fondillo.
A Val Fondillo c’era Don Mario Arfè che faceva il campeggio e mangiammo da loro. I nostri ragazzi trovavano che si mangiava meglio al nostro campeggio.
Ero andato a sbrigare la pratica a Frosinone ed avevo fatto sapere al segretario del Prefetto che lo invitavamo. Però gli avevo rivolto questo invito, quasi proforma. Il prefetto invece, che era napoletano, lo prese sul serio ed allora, proprio alla vigilia della partenza, il sindaco mi disse: domani viene prefetto al vostro campeggio! Aveva messo in subbuglio anche il comune di Settefrati, da cui dipendeva Canneto. Allora abbiamo dovuto più o meno interessarlo al montaggio del campo per fargli buona impressione. È venuto il Prefetto, il quale ha visto anche la strada tremenda che c’era da fare, e ha dato disposizioni per accelerare i lavori. Poi è rimasto sbalordito, non trovava parole per dire come è rimasto meravigliato del nostro campeggio”.
Note:
(19) – Settefrati è un comune di 809 abitanti della provincia di Frosinone, nel Lazio. Nel territorio comunale si elevano le cime di Rocca Altiera, 2.018 m, e del Colle Nero, 1.991 m., due rilievi dei monti Marsicani. Il Santuario di Canneto (nome ufficiale Santuario diocesano Maria Santissima di Canneto) sorge nel territorio di Settefrati a 1030 m s.l.m., in provincia di Frosinone, a circa 10 chilometri di strada carrozzabile dal centro del paese. Il Santuario di Canneto (nome ufficiale Santuario diocesano Maria Santissima di Canneto) sorge nel territorio di Settefrati a 1030 m s.l.m., in provincia di Frosinone, a circa 10 chilometri di strada carrozzabile dal centro del paese. A poche centinaia di metri si trova la sorgente del fiume Melfa, affluente del Liri. È meta di un antichissimo pellegrinaggio proveniente dal Lazio, dalla Campania, dall’Abruzzo e dal Molise, particolarmente intenso tra il 20 e il 22 agosto. Appartiene alla diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo.
Direttore di campo: Enrico Casola
Infermiere: Pedro Sotelo
Magazziniere: Luigi Rosiello
Cuoco: Sortino Paglia
“Con il 15º inizia una nuova fase del campeggio: rinnovato nei suoi dirigenti, assume anche dal punto di vista tecnico una nuova fisionomia. Viene acquistato un altro grande gruppo elettrogeno.
In questi anni viene tentato un nuovo esperimento dimostratosi subito inefficace.
Vennero portati al campeggio gruppi eterogenei di ragazzi, guidati da propri assistenti. Venivano così a crearsi inutili fazioni, dato anche il carattere, non certo dei migliori, di questi nuovi ragazzi.
Fra i gruppi ricordiamo quello di San Pietro a Patierno, guidato da Don Franco Jazzetta. Venne fatta una gita in pullman, che portò i ragazzi a visitare le principali località dell’Abruzzo, dal lago di Scanno fino all’Adriatico.
Grande pioggia il giorno di Ferragosto, l’ultima notte un vento fortissimo che portò tutti piatti e bicchieri lontano oltre 100 m dal campo”.
Direttore di campo: Enrico Casola
Infermiere: Michele D’Angelo
Magazziniere: Luigi Rosiello
Cuoco: Sortino Paglia
“Era presente Padre Pellegrini e Don Franco Jazzetta. Tra le visite illustri quelle del Cardinale Traglia e quella del nuovo Parroco di Piedigrotta Don Giovanni Sansone, accompagnato dal Padre Abate Don Mario Marchi.
Sono questi gli anni in cui il numero dei ragazzi aumenta sino a superare le 100 unità presenti al campo; oltre al cuoco, presta servizio anche un’inserviente dal paese per lavare i piatti ed accudire alle principali faccende in cucina. La gita anche quest’anno viene fatta in pullman in Abruzzo e nel Lazio, fino alle Cascate delle Marmore”.
DURATA: 27/7/1966 ÷ 18/8/1966 (con il montaggio 22/7/1966-20/8/1966).
PARTECIPANTI: Personale di Direzione: N° 3 sacerdoti, un medico con un infermiere, un direttore per i servizi tecnici con due assistenti, un cuoco con un inserviente di cucina, N° 110 partecipanti di cui N° 20 capi tenda.
N.B. Il personale tutto, dirigenti ed addetti al campeggio, ha prestato gratuitamente la sua opera con l’eccezione del cuoco e dell?inserviente di cucina, ai quali sono state rimborsate rispettivamente L. 2.000 (duemila) e L. 1.400 (millequattrocento) giornaliere.
ATTREZZATURA: n. 40 tende di cui: n. 2 Campania – n. 18 Mottarone – n. 12 Canadesi – n. 2 Pattuglia – n. 2 Sicea – n. 2 Le Praire – n. 1 Janette – n. 1 Tass – n. 1 Morettina. Brandine n. 120.
Cucina con attrezzatura completa: 5 grandi pentole-caldaie (due di rame stagnato e tre di alluminio) oltre tutti gli accessori. Oltre alla cucina a legna, con un consumo di 30 quintali di legna, il campo dispone di n. 4 fornelli a gas liquido.
Il campo viene illuminato elettricamente con corrente prodotta da n. 2 gruppi elettrogeni a 110 Volts, rispettivamente di potenza di 3000W e di 1500W
Per il rifornimento dell’acqua potabile e non, si provvede con un piccolo camion carico di un serbatolo e di una pompa aspirante, prelevandola dalla fontana “Vittoria” distante dal campo circa 6 Km.
TRASPORTI: L’attrezzatura del campo è sistemata in parte in loco, in un locale gentilmente messo a disposizione dal Sindaco di Alfedena dott. Marinelli. Per il trasporto della rimanente attrezzatura, depositata a Napoli, si provvede con: n.1 camion (Ing.Casola), n. 1 camion (Cirio), n.1 camion (D’Orsi), n.2 pullman per il trasporto dei ragazzi.
VIVERI: Durante il campeggio vengono consumati circa:
Kg. 1000 pane
Kg. 600 pasta
Kg. 600 frutta
Kg. 40 zucchero
Kg. 40 formaggio da grattugiare (parmigiano e pecorino)
Kg. 50 provolone
Kg. 30 tonno
Kg. 30 salumi
Kg. 15 mortadella
Kg. 80 latticini freschi
Kg. 40 riso
Kg. 20 carne in scatola
Kg. 12 cacao Nestlé
Kg. 40 marmellata
Kg. 50 conserva
Kg. 100 patate
Kg. 20 salsicce viennesi in scatola
350 scatole di corned bee
Kg. 200 vasetti Condicirio
Kg. 200 bicchieri di marmellata Cirio
Litri 650 latte
Litri 50 olio (di oliva e di semi)
VITTO:
Prima colazione al mattino: latte e cacao con pane e marmellata.
Seconda colazione: pasta asciutta, secondo con contorno, pane, frutta.
Cena: minestra in brodo, secondo con contorno, pane, frutta.
ORARIO:
ore 7,00 sveglia, ginnastica, pulizia personale –
ore 8,00 colazione, meditazione, in cappella –
ore 9,00 S. Messa, gita. –
ore 13,00 prima colazione, riposo, giuochi, sport –
ore 20,00 cena –
ore 21,00 fuoco di bivacco –
ore 22,30 silenzio.
Alle ore 7,00 del mattino e del pomeriggio tutti devono trovarsi al centro per la cerimonia dell’alzabandiera e dell’ammainabandiera.
GITE ED ESCURSIONI: Durante la nostra permanenza sono stati perlustrati i più riposti angoli della zona circostante il campo, spingendoci fino a Montenero Valcocchiara, a Rionero Sannitico, a Pizzone, al lago artificiale di Montagna Spaccata. Notevole la gita al rifugio di Campitelli e quella dei più volenterosi sino al monte Meta (m.2.241).
SALUTE: La salute di tutti i campeggiatori è sempre ottima. Rare volte si sono verificate leggere escoriazioni, comunque inevitabili, dato il rilevante numero dei presenti; una volta due ragazzi hanno ricevuto piccole suture alla testa; pochissime volte qualche ragazzo ha accusato lievi disturbi o piccola reazione febbrile, cui si è fatto fronte con la larghissima scorta di medicinali portati al campo.
ISPEZIONI E VISITE: Domenica 7 Agosto ispezione del Sig. Scarlattei, funzionario del gabinetto del Prefetto di Aquila.
Fra le altre visite istituzionali: quella dell’On. Gaspari del Ministero degli Interni, del Prefetto di Aquila, del Sindaco di Alfedena dott. Marinelli, del Padre provinciale e Visitatore dei Canonici Lateranensi, del Vescovo di Campobasso, dell’Ing. Grippo del Comune di Napoli.
L’on. Gaspari, che peraltro ricopre la carica di Sottosegretario nell’attuale Governo, promette per il nostro campeggio notevoli aiuti in denaro e in attrezzature. Una menzione a parte, dato il loro tono familiare, meritano la visita del Padre Abate della Basilica di Piedigrotta Don Mario Marchi e del Parroco della stessa basilica Don Giovanni Sansone, il quale, fraternamente, ha passato anche una notte al campo in tenda.
SPESE: Non è possibile trarre il bilancio conclusivo, perché molte ditte, fino a questo momento, non ci hanno ancora inviato le fatture.
Chiudendo questa mia relazione, sento il bisogno di ringraziare a nome di tutta l’Organizzazione e quanti, Autorità, Enti Pubblici, Privati, hanno reso possibile la realizzazione di questo Campeggio Piedigrotta, giunto ormai alla diciassettesima edizione.
I ragazzi, tornando alle famiglie, hanno riportato il beneficio di uno splendido soggiorno in montagna, e quel che più conta il beneficio spirituale che proviene dal sano contatto con la natura e dal più intimo contatto con Dio.
L’ASSISTENTE IL DIRETTORE
Don Vincenzo Giusto Vito Miccoli
ELENCO GENERALE DEI PARTECIPANTI AL XVII CAMPEGGIO PIEDIGROTTA
E LORO DISPOSIZIONI IN TENDA (il nome del capo tenda è sottolineato)
Tenda N° 1: Magazzino – Rosiello – Ferrante Salvatore
N° 2: Deposito del magazzino
N° 3: Tenda attrezzi
N° 4: Ferdinando Ametrano – Pina Ametrano
N° 5: Marino – Orizzonte – Bussetti – Aleardi – Scisci
N° 6: Iuliano (deposito bibite)
N° 7: Miccoli – Cotena – Taraschi
N° 8:
N° 9:
N° 10: Colato M. – Colato F. – Vacca Dario – Iapoce
N° 11: Abbate Giulio – Abbate Giovanni – Salerno Giovanni – Salerno Giuseppe – Sannino Giuseppe
N° 12: Mosca R. – Mosca P. – Mosca G. – Schiavo V. – Schiavo A.
N° 13: Ippolito – Palmieri – Greco S. – Nobili
N° 14: Freda F. – Freda L. – Ferrante G. – De Santis – Pirone
N° 15: Melluso – De Luca – Vanacore – Marlorenzo – Maglione
N° 16: Don Giovanni
N° 17: Ametrano Marcello – Ferraro Giuseppe – Ferraro Gaetano
N° 18: Aiese – ParascandaIo – Lamberti L. – Piscicelli – Finamore
N° 19: Perrella – Petilio I – II- III – Chiariello
N° 20: Fiertler – Taraschi – Gemma – GambardeIla – Lamberti
N° 21: Mosca Gennaro – Massa G. – Massa P. – Bosco – Bregoli
N° 22: Fricchione – Gaudieri – Falci – Alberto – Vado
N° 23: Moscone – Capodanno
N° 24: Apa V. – Stella – Manfredi – D’Auria – Varriale
N° 25: Chianese – Bolognini – Cierro I – II
N° 26: Giancarlo Borsella – Don Vincenzo Giusto
N° 27: Rufolo Donato – D’Avino I- II – D’Angelo Raimondo – Cannavacciuolo
N° 28: D’Angelo Michele – INFERMERIA
N° 29: Gaudieri – Soggiu – Marra – Annunziata
N° 30: Zorzato Mimmo – Buono Nello
N° 31:
N° 32: Padre Pellegrini
N° 33: Sig. Locatelli Carlo
Si è tentato di completare quanto iniziato da Vito Miccoli, tracciando una ministoria anche dei restanti campeggi; quanto pubblicato proviene dai ricordi e considerazioni di Fulvio Freda. Chiunque può arricchire la memoria qui riportata con contributi di tutti i tipi (testimonianze, foto, racconti ecc. ecc.)
località passo S. Francesco tenuta De Amicis Alfedena (AQ). Qualche ricordo personale: nell’elenco componenti tende risulta responsabile del deposito bibite Elio Iuliano. Con grande suo piacere fu rimosso dall’incarico di dispensatore di bibite, che fu assegnato al sottoscritto e a suo cugino. Le bibite erano a pagamento, anche se per poche lire: prima di arrivare al campo, si passava per il deposito Coca Cola e Peroni a Capodichino e si caricavano cassette di bottigliette (i mitici peroncini, ad es.). La vera difficoltà era la gestione del servizio: assicurare un adeguato raffreddamento, essere presenti e distribuire ai momenti dei pasti e alla richiesta, ma soprattutto far quadrare i conti. E qui veniva il difficile; era una specie di sfida tra chi non voleva pagare, e proponeva di mettere in conto, e chi doveva riportare i conteggi a don Giusto (noi due). Alla fine, per l’insistenza e la perseveranza si riusciva a mettersi d’accordo. Anche mezzucci come mettere per soli 10’ le bibite in apposito contenitore con acqua fredda e servirle ai soliti gitanti occasionali servivano a portare soldini alle asfittiche casse del campeggio: facevamo dei giri appositi tra i crocchi, e poi dovevamo recuperare anche i vuoti (all’epoca a rendere) che diventavano trappole per i numerosi insetti. Quanto a fastidiosi coinquilini, quello che uscì da uno dei tubi innocenti che sorreggevano il tendone della cappella non era certo simpatico: un serpentello che assomigliava molto ad una vipera; ero addetto al servizio liturgico, e da quella mattina presi l’abitudine di percuotere insistentemente i tubi: era una specie di scampanellio per la Messa, allora momento fondamentale della giornata, rigorosamente di mattina, prima di colazione; c’era ancora l’obbligo del digiuno dalla mezzanotte, e non infrequenti erano gli svenimenti. Ricordo anche alcune particolarità gastronomiche: ad es. padre Pellegrini, forte dei suoi trascorsi di missionario, non disdegnava di mangiare le rane e persino i topini di campagna, che in vero abbondavano. Segno che forse un po’ di fame si faceva: la carne fresca si intravedeva solo a Ferragosto, mentre abbondavano la carne in scatola e i wurstel. Ci si arrangiava molto, anche per il ristretto budget, e soprattutto non si aveva a disposizione frigo o congelatore. Abbondavano, chiaramente, anche gli insaccati. Molto spesso capitavano anche di venerdì; alle preoccupate e bigotte proteste dei piccoli (allora vigeva ancora l’astinenza dalla carne), don Giusto replicava con un : “Mangiate, ca..sottini”, rivelando sì uno spirito profetico rispetto a quello che avrebbe stabilito il Concilio, ma soprattutto il suo risaputo spirito pratico
Località passo S. Francesco tenuta De Amicis Alfedena (AQ) : l’ultimo campeggio con don Giusto; una struttura e organizzazione collaudata. Fu proposta e attuata l’elezione del “sindaco”. Ricordo un episodio, in qualche modo significativo. Durante un pranzo, ci fu una fischiata non autorizzata (solo don Giusto poteva scandire i momenti del campo col suo fischietto, che conservo ancora); questo creò un grave dissapore anche col gruppo dirigenti (tra i quali qualcuno era stato il “reo”), per cui si creò una specie di “Aventino”: qualcuno si rifugiò ad Alfedena, meta di tutte le trasgressioni e “fughe”. Forse, era un segno dei tempi; una sorta di piccola ribellione a metodi autoritari. Ma il tutto durò davvero poco; come al solito si ricompose il bel rapporto, dando a d. Giusto la possibilità di confermare un suo tratto caratteristico: essere capace di grandi intemperanze, ma anche di grande affetto
Erano epiche le sfide calcistiche con alcuni romani che facevano parte di un fan club della Roma e venivano puntualmente a fare scampagnate nella tenuta De Amicis. Ci scappava sempre la partitella, e per noi era una vera sorpresa vedere come correvano quei signori, certo più attempati e pingui rispetto a noi. Non ricordo però che siano degenerate, queste sfide, nonostante le occasioni e le tentazioni fossero tante. Forse alla lunga prevaleva sul loro abbiocco post prandiale la nostra gioventù e il buon senso di concludere il tutto con una cocomerata, anche se mi sembra che i risultati fossero ampiamente a nostro sfavore. Vero è che su tutti sorvegliava don Giusto, che impediva ogni tentativo di degenerazione. Questo significa avere un punto di riferimento sicuro. Questa sua funzione fu colta e apprezzata un po’ meno quando ci venne a trovare un gruppo di Lugo che campeggiava vicino; al fuoco di bivacco cantarono canzoni goliardiche, che a giudicare ora fanno sorridere, tipo “viva l’amore che vien che va”. Don Giusto si indignò e impedì che continuassero le visite, e soprattutto che si cantassero ancora le canzoni incriminate (che nonostante tutto però entrarono nel repertorio dei momenti di ritrovo e anche dei fuochi di bivacchi dei campeggi successivi ). In ogni caso, fu per noi una lezione su quello che è l’Amore per eccellenza. Don Giusto ci disse: “Ma sareste contenti se i vostri genitori facessero così?” Oggi che molti fanno così, forse si dovrebbe riscoprire anche questo messaggio e comprendere l’indignazione di chi crede che l’amore possa e debba essere unico, saldo, sacro, eterno, particolarmente per chi sceglie di celebrare l’unione davanti a Chi è Unico, Saldo, Sacro, Eterno: l’amore di coppia come emanazione e testimonianza del suo Amore. Ah, quanti ricordi…e insegnamenti
Località pianoro Campitelli Alfedena (AQ). Il primo campeggio senza don Giusto; il primo campeggio a lui dedicato. La struttura e i momenti ricalcavano quelli degli anni precedenti, anche se ci fu qualche apertura, nel segno dei tempi: a Piedigrotta si era costituita la “comunità”, sotto la guida del Parroco, don Giovanni Sansone, alla quale partecipavano diversi “ragazzi di don Giusto” più grandi e altre persone provenienti da varie esperienze. Per questo negli ultimi giorni di quel campeggio furono presenti anche delle donne. Persistevano strutture quali il gruppo dirigente, con riunioni serali nella tenda Campana (una delle quali interrotta dal lancio di “bombe ad acetilene”, le maleodoranti lampade portatili, da parte di scherzosi dissidenti). Memorabile l’ascesa al monte Meta, tre ore di cammino in salita, con l’ultimo strappo a 4 zampe. La località, sebbene fornita di abbondante acqua (un lusso rispetto ai campi precedenti) non fu più riutilizzata per l’altura e il cattivo tempo che ha contraddistinto quel campo (pioveva tutti i giorni, e qualche volta si doveva passare col pulmino tra le tende per distribuire il pranzo. Negli anni successivi, Campitelli è stata sede di campeggi Enel per diverso tempo.
località riserva Montedimezzo San Pietro Avellana (CB). Disposizione un po’ sparsa, con tre campi autonomi e distanti (uomini, donne, famiglie). Si abbandonarono certi momenti tipici del campeggio (alza- e ammaina- bandiera, conta e preghiera del mattino e della sera), anche se persisteva la figura del Direttore di campo (Antonio Giardina); anche qui grave difficoltà per la mancanza d’acqua, per le zanzare e in parte per la distanza (2 Km) del campo dove i ragazzini potevano scorazzare
località Camposauro Vitulano (BN). Pochi della “vecchia guardia” garantirono il montaggio (davvero faticoso, in quanto si doveva valicare una collina a piedi) e la strutturazione dei 3 campi (maschi, femmine e famiglie) secondo i parametri tradizionali, rispettando la disposizione circolare. Un vento impetuoso nel secondo giorno di campo sconvolse quella disposizione, distruggendo parecchie delle vecchie tende ed obbligando a ricostituire i campi, compattando anche i campeggiatori. La disposizione perfettamente circolare non fu più rispettata da lì in poi. Anche qui ci fu grave problema per la mancanza d’acqua (le abbondanti fonti furono incanalate in acquedotto proprio in quei giorni), per cui fu necessario acquistare dei serbatoi (alcuni in Eternit, ahimè, come depositi, e alcuni in materiale plastico per il trasporto) e fare la spola almeno due volte al giorno fino al paese. Il tutto fu possibile grazie alla presenza di Ferdinando Ametrano e alla sua esperienza per i molti anni ad Alfedena.
località Fonte Romana –Passo S. Leonardo Casa Cantoniera Pacentro (AQ). Vicinanza alla strada statale e rapporti non sereni caratterizzarono questo campo, che è stato l’ultimo, per il venire meno del gruppo della nuova generazione. Nonostante la vicinanza con la Maiella, non la si esplorò per le difficoltà di percorso (Monte Amaro). Memorabile la “supercaccia la tesoro del 25°” tanto bene preparata quanto fallimentare nel suo epilogo, con mappa finale sbagliata.