II DOMENICA DOPO NATALE – Anno A
(Sir 24,1-4.12-16; Sal.147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)
A Natale, nella Messa del giorno, abbiamo già letto il Prologo del Vangelo di Giovanni. Il pensiero della Chiesa, in queste festività, è di farci arricchire sempre più del mistero dell’Incarnazione, che continuiamo a celebrare, perché incida nelle nostre vite. È un mistero di grande importanza per la nostra vita di credenti, in un tempo, che cade facilmente nella superficialità di pensiero e rifugge tropo spesso dalla meditazione e dalla riflessione. Ascoltiamo perciò le parole di S. Teofilo di Bulgaria:
“La Chiesa è incinta e in travaglio fino a che il Cristo abbia preso forma in noi, affinché ciascuno dei santi, mediante la sua partecipazione a Cristo, divenga il Cristo”.
Ogni uomo è chiamato a diventare Cristo.
Nella fede, però, si affaccia più volte la domanda: “Perché Dio si fa uomo?”. Può essere anche una tentazione contro la fede. L’Incarnazione può sembrare un mito, quale quelli presenti nella mitologia greca, dove gli dei si inserivano nella vicenda umana, ma assai spesso in maniera negativa. Ci domandiamo: “Perché l’Incarnazione, dal Natale alla croce?”. La risposta non viene dall’ appagamento razionale, come esito della ricerca, ma viene dalla contemplazione umile e perseverante, che permette al Signore di spiegarsi alla nostra intimità, alla Parola di dirsi alla nostra coscienza.
I giorni di Natale stanno per concludersi. Nell’antifona di inizio la liturgia ricorda: “Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale” (Sap.18,14-15). Sempre più limpidamente la fede cristiana crede e annuncia Cristo, che è uguale al Padre nella divinità e uguale agli uomini nella umanità, che si è fatto quello che noi siamo perché noi diventassimo quello che egli è.
“L’illimitato si limita e il limitato si espande fino alla natura dell’illimitato” (S. Massimo il confessore).
È il mistero della carità di Dio, che può essere penetrato solo nel silenzio dell’adorazione. “A tutti quelli che lo hanno accolto, il Verbo incarnato ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Così dice oggi l’antifona alla Comunione.
Ma che cosa è l’accoglienza? A volte la pensiamo in termini riduttivi, come un lasciarci raggiungere dalla misericordia, dal perdono, per essere liberati dal male che ci pesa e ci paralizza. È tanto, ma non è tutto. La dottrina dei primi Padri della Chiesa parla di uno scambio. L’accoglienza nell’intimo di ciascun credente permette una maturazione dell’uomo, di cui da soli non siamo in grado di valutare la verità e la possibilità. Dice S. Basilio: “L’uomo è una creatura, ma ha ricevuto l’ordine di diventare Dio”. Così il tempo e lo spazio dell’accoglienza sono lo spazio per permettere a Dio di stare con l’uomo, per abituare l’uomo a stare con Dio. È qualcosa che cambia la nostra vita. Che Dio abbia in noi lo spazio per accoglierlo, senza aspettare il Paradiso! Nella persona di Gesù l’accoglienza è pienamente realizzata, perché egli è uomo e Dio: il progetto eterno è presente nella storia attuale per la sua vita umana e nella storia futura per la sua resurrezione. La morte non fa più paura, perché la carne è nell’eternità con il Risorto.
Stare con Dio, rimanere in Cristo e con Cristo, come dice l’Apostolo Giovanni. È questa la nostra responsabilità di credenti, che, alla luce dell’atteggiamento di Maria, crediamo, meditiamo, serbiamo nel nostro cuore.
Una vita vissuta nella fede non è moltiplicazione di pratiche religiose. La vita nella fede è tutta tesa all’unità con Cristo, vero uomo e vero Dio, tesa a pensare e a vivere come lui. Perciò quest’anno è particolarmente dedicato al mistero dell’Eucarestia. Consideriamo il tempo come una grazia per portare avanti questa gravidanza, secondo le parole che abbiamo ascoltato: la Chiesa è incinta, è in travaglio perché ciascuno di noi divenga Cristo, che porta misericordia, patisce per noi e in ciascuno di noi. Uniamoci a lui, che porta a compimento ogni cosa in tutti (Ef.1.23), e perciò viviamo nell’appartenenza alla Chiesa “che è il Cristo intero, nel capo e nel corpo” (Ag., su Gv.).
Vita nella fede è consapevolezza non solo del “Cristo in noi”, ma del “Cristo fra noi”, è ripensamento di tutti i rapporti umani. L’accoglienza del Verbo fatto carne è sapere che “Il Figlio di Dio può essere trovato soltanto nella comunità dei fedeli, perché egli non vive che in mezzo a coloro che sono unità” (Origene, comm. Su Mt.)