III DOMENICA DI PASQUA – Anno A
(At 2,14.22-33; Sal.15; 1Pt 1,17-21; Lc 24,13-35)
Abbiamo ascoltato oggi uno dei testi evangelici più conosciuti: l’incontro del Signore risorto con due discepoli, sulla strada verso il villaggio di Emmaus. È un testo caro alla nostra meditazione e alla nostra vita, un testo ampiamente descritto dalla letteratura e dall’arte: qui, a Napoli abbiamo visto le due versioni che ne ha dato Caravaggio, all’inizio e alla fine della sua vita di artista. Si tratta di un testo presente nel solo Vangelo di Luca ed è costruito come un cammino in due tempi: un allontanamento da Gerusalemme, verso Emmaus, che costituisce come un distanziarsi dagli avvenimenti della croce del Signore, come un regredire dalla speranza alla delusione, e un ritorno, dopo l’incontro, un riemergere dalla delusione alla speranza. Nell’incontro con lo sconosciuto, che si rivelerà come il Risorto, nel gesto del pane spezzato, i due discepoli ricevono il dono di una nuova lettura degli avvenimenti. Lo scandalo della croce, la tomba vuota rimangono, ma essi imparano a cogliere e contemplare in modo nuovo la verità, che la presenza del Signore rende palese. C’è una prima osservazione importante e attuale, che emerge dalla lettura del racconto. I due si allontanavano da Gerusalemme, rinunciavano alla speranza, si arrendevano allo scoraggiamento, però stavano insieme e conversavano di tutto ciò che era accaduto. Erano due persone pensose, prese dall’impegno della condivisione della propria esperienza, del proprio incontro con Gesù. Si tratta di una “condizione previa”, perché il Risorto possa rivelarsi presente. Luca sembra dirci che la luce di Dio si rivela proprio agli uomini che cercano e che parlano tra di loro di problemi veri, sia per i singoli che per l’umanità. Ai primi cristiani e a noi, che ci domandiamo come riconoscere il Risorto, è detto che la Parola di Dio viene resa come muta davanti all’uomo superficiale, frastornato dal chiasso, dall’effimero. Gesù si rende presente dove c’è una riflessione: tutti possiamo, allora, cercare, camminando nei giorni faticosi della vita. Quanto dobbiamo essere riconoscenti a Giovanni Paolo II, per non essersi stancato di ripetere all’uomo del nostro tempo, di qualsiasi convinzione, che la sua altissima vocazione è cercare Dio in Cristo. È stata una scelta felice, nel giorno delle esequie, leggere le parole del suo annuncio, prese dal discorso di Pietro: “ In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli di Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo” (Atti 10,34-36). Nessuno è escluso, a tutti il Risorto si rende presente, entra in rapporto con tutti i discepoli che camminano conversando di lui, ma la “disposizione previa” è una mente senza pregiudizi, un cuore senza resistenze. Le genti venute a Roma da ogni parte del mondo ci hanno detto che il Risorto non è solo per la Chiesa, ma per tutti gli uomini. Con tutti si siede a tavola nei momenti della sosta e si svela nel gesto semplice di spezzare il pane. Il pane spezzato è memoria del giovedì santo, della vita donata: esso congiunge la storia con l’eternità, il presente al passato, dona la certezza della vicinanza del Signore nel momento che si vive, apre al futuro. E fa ardere il cuore. Di qui ci viene un’indicazione per la domanda: come cogliere e manifestare la presenza del Signore in un mondo sempre più secolarizzato, dove tanti rinunciano alla fede, dove la speranza sembra svanire e Dio sembra una favola, dove la liturgia lascia “il volto triste”, perché appare come la rievocazione di un passato, che nulla dice dell’oggi, dei problemi posti dalla famiglia, dal lavoro, da tanti aspetti della vita reale? Certo, sono importanti gli studi di storia e di teologia, è importante la liturgia ce ci dona la sensazione forte del Cristo presente, che ci conduce con la Parola e con i Sacramenti. L’immagine del Cristo Pantocrator, tanto spesso effigiata nelle antiche Basiliche, sembra dirci: “Sono con voi, non vi lascio”. Ma studi e liturgia non bastano. Per attuare la “condizione previa” all’incontro con il Risorto occorre soprattutto la vita di comunione fra i credenti: essere insieme, parlare insieme. Lo sottolineo con forza: è necessario lo sforzo di rinunciare alla solitudine individualistica, che dà tristezza, non conduce al Signore, ma fa solo arrampicare sugli specchi impossibili di un perfezionismo personale. Il Risorto si innamora, è attratto, dal rapporto umano sereno, onesto, fondato sui valori che contano, da quell’atteggiamento cordiale che fa della Chiesa e di ogni relazione tra credenti “casa e scuola di comunione” (N. M. I. 43). È questo rapporto, nuovo e visibile, reso percepibile non solo dal segno liturgico del pane spezzato, ma dal segno concreto della vita donata reciprocamente e pazientemente, secondo le possibilità di ciascuno, è questo che attua la “condizione previa” che attira il Risorto e gli fa spazio nell’oggi. È quello che aveva scritto Dietrich Bonhoeffer definendo l’essere della Chiesa: essa è “Cristo esistente come comunità”. Chiediamo questo per noi e per la Chiesa: diventare attraenti perché il Risorto si riveli tra noi. Che sia questa la “condizione previa” della nostra vita di credenti!
Per l’ultima volta nel ciclo liturgico di quest’anno la Chiesa ci propone un ulteriore approfondimento del mistero della resurrezione. È un racconto tipico di Luca, forse proveniente dalla comunità di Gerusalemme ed inserito qui per parlare ai tanti “Teofilo”, quei discepoli, “amici di Dio”, che non hanno visto in prima persona i fatti e stentano a comprendere. Fra questi siamo anche noi. L’Antico Testamento conosceva visite del Signore a persone cui veniva affidato un messaggio o un compito, senza che esse potessero conoscerlo direttamente. Le persone avevano una certezza interiore, ma non potevano vedere il suo volto: così fu per Abramo, per Tobia, per Giuseppe di Nazaret. Il racconto che abbiamo ascoltato oggi si direbbe quasi che non riferisca una vera apparizione, come era avvenuto nel cenacolo, perché i due discepoli vedono un compagno di strada straniero che non riconoscono e sul punto di riconoscere Gesù in lui, sparisce. Il significato del racconto va allora cercato non nel senso di appagamento del bisogno di vederlo da vicino, come per Tommaso, ma nel senso della presenza del Risorto per le generazioni dei discepoli successive a quella iniziale dei testimoni oculari. È un elemento importante per il nostro cammino di fede. “L’apparizione del Risorto ai due discepoli che non erano dei dodici inaugura l’era dei discepoli, dei Teofilo, che non hanno avuto e non avranno il privilegio della presenza fisica di Gesù” (Léon Dufour) Una prima parte del racconto – fino al versetto 24 – evidenzia separazioni e dissensi. I due, delusi, si allontanano da Gerusalemme e dal gruppo degli undici, sono divisi e discutono tra loro: il verbo greco che usa Luca significa ribattere, lanciarsi frecce. Sono distanti dal Signore stesso, perché lo vedono “straniero”. Sono “tristi”, senza speranza. Gesù , “mite ed umile di cuore”, come Egli stesso si era definito, entra in questa situazione e la fa sua “in persona” e “cammina con loro”. È una persona, non un’immagine, un mito, un’idea. Si interessa di loro, lascia che si dicano, si sfoghino, buttino fuori tutta la propria amarezza: li conduce a sentirsi a proprio agio. Solo dopo, a partire dal versetto 25, prende l’iniziativa, diventa il soggetto, spiega gli eventi alla luce delle Scritture, infine compie il gesto della frazione del pane. Così annulla ogni distanza e può essere riconosciuto nell’ardore, nella capacità di tornare a Gerusalemme, nella comunità. Non è più importante che sia visibile: la fede fa gioire e non conta più il “vedere”. Gesù risorto non bisogna cercarlo, perché cammina con noi, ma è necessario fare silenzio, per ascoltare il fruscio dei suoi passi. Il punto più alto del racconto è nel riconoscimento che avviene all’atto della frazione del pane. Per chi legge, è un insegnamento fondamentale: la Scrittura prepara l’incontro con il Signore, ma nell’Eucarestia Gesù è riconosciuto come persona che parla, che ama, che ci viene incontro. Dice ancora Dufour: “Per superare gli ostacoli che impediscono agli occhi di vedere chiaro, occorre senza dubbi ascoltare la Scrittura interpretata in e da Cristo, ma se il cuore ne arde, il riconoscimento avviene soltanto al momento della frazione del pane. Soltanto l’incontro personale con il Risorto può produrre la fede”. Domandiamoci allora che significa per noi “fare Comunione con Gesù”, incontrarlo nell’Eucarestia, che, come dirà il Concilio Vaticano II è “culmine e fonte della celebrazione liturgica”. È la convinzione che Luca passa alla Chiesa, con conseguenze importanti per il modo di partecipare e di celebrare. Da queste pagine emergono alcuni temi di fondo per la Chiesa.
- Il tema del viaggio, caro a Luca: cammino di Gesù verso Gerusalemme, luogo del suo “esodo”; cammino della Chiesa verso il mondo che attende; cammino del discepolo, che non è solo perchè c’è, compagno di viaggio, Gesù. Il cammino è esperienza della presenza – assenza di Lui che si rende presente e poi sparisce per invitare a raggiungerlo definitivamente nella casa del Padre. La morte, allora, non fa più paura.
- Il tema della Scrittura: “tutta la Scrittura”, tutta la Bibbia, spiegata da Lui, è conoscenza di Lui nel cuore attento e ardente, dalla Genesi all’Apocalisse. Gesù sta accanto a noi per aiutarci a comprenderlo: la docilità all’ascolto di Lui, nel tacere di altre voci chiassose, permette di “credere alla Parola”.
- Il tema del rapporto cristiano: Luca non dice quello che Gesù ricordò ai due, come per dire che ora è il tempo in cui la Parola è custodita dagli Apostoli, è il patrimonio della comunità, ed è là che occorre sempre ascoltarla, ricordarla, attualizzarla. La Chiesa, nel suo mistero di grazia e di debolezza, è il tramite per incontrare il Risorto, vivo e maestro per sempre. Non solo il rapporto liturgico e gerarchico: Luca ci trasmette la preziosità del rapporto fraterno, anch’esso abitato da grazia e debolezza. A questo rapporto vissuto con semplicità e convinzione, il Risorto si accosta, quasi calamitato, e si fa riconoscere.