XVI DOMENICA T.O. – Anno A
(Sap 12,13.16-19; Sal.85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43)
Facciamo ancora la scelta di un’attenzione particolare al breve brano della lettera ai Romani, perché interpella certamente la debolezza che ci accompagna nel cammino di fede, senza per questo chiudere il cuore a quanto propongono il libro della Sapienza e il vangelo di Matteo.
Nei versetti precedenti del capitolo 8, Paolo aveva invitato i cristiani di Roma ad essere certi nella speranza, perché fondata sulla parola di Dio:
“se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza” (Rm.8,23)
Aveva invitato anche alla contemplazione della creazione che “tutta insieme geme e soffre”, quasi come in una gravidanza cosmica. I cristiani devono sapere di essere sotto un peso, insieme a tutta la creazione. È il peso dell’attesa del compimento della promessa di Gesù che ha detto: “Io verrò presto” (Ap.22,7). Un “presto” di cui noi non conosciamo i tempi: Paolo esorta a vivere il tempo e lo spazio dell’esistenza nella fede, con pazienza ed operosità, affrettando il suo compimento (2Pt.3,12,) con il lavoro e testimoniando la pazienza di Dio che attende la collaborazione dell’uomo (Gen.2,15).
È a questo punto che Paolo parla esplicitamente dello Spirito Santo, lo Spirito del Risorto che fa proprio il tempo dell’attesa perché i credenti non ne siano oppressi e vinti; fa suoi i gemiti dell’uomo portandoli, come per un’intima sinergia alla comunione con i suoi gemiti, con Lui che conosce i “segreti di Dio” e intercede secondo essi. È il dono del Risorto ai discepoli, noi “che – nel tempo e nello spazio – non sappiamo come pregare in modo conveniente”. La sua presenza fa sicuri di essere ascoltati. Nel corso dei secoli si moltiplicheranno le esperienze della “forza più grande” che avvolge la debolezza della piccola forza umana per elevarla alla “stanza superiore”, come è detto del luogo della sua venuta a Pentecoste, dove è possibile essere certi di Dio.
Conoscendo, per esperienza, le aspirazioni e le paure che resistono a Dio, Agostino dirà: “Ecco a chi devi indirizzare i tuoi gemiti. Accogli lo Spirito di Dio. Il tuo spirito non tema che lo Spirito di Dio, quando comincerà a dimorare in te si trovi a subire limiti in te. Egli non respingerà fuori di te il tuo spirito. Non temere!” E aggiungerà: “Accogli lo Spirito di Dio: ti troverai dilatato, non sarai coartato. Ti troverai a dire: non ha cacciato via me, ma la mia ristrettezza” (Disc.169,15). Nessuno può conoscere il progetto di Dio su di sé con certezza. Il valore del tempo sta nella pazienza fiduciosa che si abbandona a Colui che opera perché i desideri della debolezza siano sintonizzati con quelli di Chi ci ha chiamati alla vita. È la fatica della fede. Ancora Agostino: “È lo Spirito di Dio a combattere in te contro di te, contro quello che in te è contro di te. E, dal momento che sei diviso, sei l’avversario di te stesso, quindi sei contro te stesso. Niente in te sia contro di te e resterai integro” (Disc.128.9).
Ammettere di non essere in grado neppure di capire che cosa chiedere e come farlo, è una grossa conquista della vita spirituale, un passo verso l’abbandono alla santità paziente di Dio che oggi la prima lettura e la pagina del Vangelo evidenziano. Un abbandono che si fida dello Spirito che intercede.
Lasciar pregare Lui in noi. Lasciar pregare Lui per noi. Lasciar pregare Lui attraverso di noi!
Paolo ci propone questo. Metterci a scuola di preghiera con lo Spirito. E cominciare a sperimentare la sua relazione di comunione con Dio Padre, perché “egli interceda per i credenti secondo i disegni di Dio”.