VIII DOMENICA T.O. – Anno A
(Is 49,14-15; Sal.61; 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34)
È una pagina bella ed emozionante del vangelo di Matteo, un’esortazione per i cristiani di Siria e, forse, per i missionari del vangelo. Tutti quelli che sono stati definiti “beati” nell’inizio del discorso del monte, i poveri, gli affamati di verità e di giustizia, gli afflitti e i perseguitati, quanti vivono la parte oscura, negativa, di cui è detta la beatitudine, sono esortati alla fiducia, alla perseveranza, alla serenità, dalle parole di Gesù che è il rivelatore dell’amore paterno e materno del Padre per ogni suo figlio. Matteo dice che il Signore sa quanto la fatica del vivere e l’assillo per le necessità quotidiane possono mettere in pericolo la fede in Dio chela Scrittura annuncia come Padre premuroso.
La preoccupazione è ostacolo grave alla pace del cuore: perciò il Signore sottolinea l’importanza di essere ben radicati nella certezza della provvidenza, sicura come lo è l’amore materno e anche di più, come dice la pagina di Isaia, nella prima lettura.
Chi ha dato il più, la vita e il corpo, può dare anche il meno, il cibo e il vestito!
La grande lezione della natura – dice Matteo con le parole di Gesù – invita a contemplare gli uccelli e i fiori, che vengono nutriti e vestiti più splendidamente dei grandi della terra!
Gesù parla con insistenza affettuosa, con tenerezza dolcissima, per convincere di un amore che raggiunge ogni creatura personalmente. Non è retorica, ma esperienza di tutti i giorni, che i cristiani trasmettono ai lettori del Vangelo, ai “cercatori di Dio” di tutti i tempi, come una realtà testimoniabile, di cui tutti siamo portatori. Un’esperienza di cui tutti siamo fruitori e di cui forse siamo poco capaci di essere consapevoli e riconoscenti.
La memoria è importante nella vita di fede per non perdere la certezza della mano amorosa e potente di Dio nella vita di ciascuno dei suoi figli. È la verità della paternità, ben diversa dal miracolismo facile e fantasioso! Domandando di essere radicati in questa certezza, il vangelo dice che i discepoli di Gesù devono mantenersi vigilanti perché quanto occorre per le necessità della vita non diventi un pensiero in concorrenza con la certezza della provvidenza, che indurrebbe all’affanno. “Non preoccupatevi” non è invito al disimpegno, ma a spostare il pensiero dai propri limiti alla certezza di essere amati, anche se può accadere, e accade, di avvertire la fede povera e inerme, mentre la sicurezza che il danaro promette appare più rassicurante.
“Non potete servire Dio e la ricchezza” dice Gesù. Ciascuno di noi è invitato a vincere l’insidia del dubbio nelle difficoltà specchiandosi nelle parole che Isaia rivolge a Sion che si lamentava: “Il Signore mi ha abbandonato, mi ha dimenticato”, credendo al Dio che le risponde: “Io non ti dimenticherò mai”.
Al principio di ogni vita c’è dunque l’amore materno di Dio!
Letto troppo frettolosamente, l’insegnamento di Gesù rischia di venir preso come invito al quietismo, ad essere parassiti; questo sarebbe rifiuto del volere di Dio che attende dall’uomo il compimento della creazione: “… riempite la terra, soggiogatela e dominate … su ogni essere vivente” (Gen.1,28).
Forse tra i lettori di Matteo c’erano alcune diffidenze, tipiche dell’Antico Testamento, verso altri popoli, i “gentili”, troppo immersi nell’impurità del mondo, con la conseguenza di ritenere che la ricerca dei beni terreni fosse propria dei pagani ed indegna dei credenti, che devono attendere da Dio quello che occorre per la vita.
Matteo sembra ammonire che la fede non è fondamentalismo religioso. È Dio che affida all’uomo l’impegno nel mondo, che comporta la ricerca, la fatica, l’affanno persino, per liberare la terra di triboli e dalle spine e renderla portatrice di fiori e frutti. La ricerca costante e appassionata perché tutti gli uomini possano sperimentare la provvidenza è, forse, sinonimo di amore di Dio e del prossimo, più di quanto non lo sia il distacco dalle cose. Perché è Dio che ha affidato alla ragione dell’uomo e al suo amore creativo il compimento della sua opera, impegnandosi ad accompagnarlo nella grande dimensione dell’umanità intera e nella soluzione dei piccoli problemi quotidiani. Così il Regno di Dio e l’impegno per la terra coincidono nel giusto equilibrio tra beni “ultimi e penultimi” che sa fare attenzione alla precedenza per quello che rimane.
Così tutte le cose che cercano i pagani non possono non costituire il programma del cristiano. Perciò la giustizia è un comportamento di vita corrispondente al volere di Dio, nel cuore e nelle opere.
In questa domenica, dicendoci “cercate il regno”, il Signore sembra dirci: “occupatevi della vita interiore, delle relazioni profonde, del cuore; cercate pace per voi e per gli altri, giustizia per voi e per gli altri, amore per voi e per gli altri. Così sarete segno e braccia della mia premura per l’umanità”.