EPIFANIA – Anno B
(Is 60,1-6; Sal.71; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12)
“Prostratisi, lo adorarono”. Tutto qui!
Adoriamo il Signore nella riconoscenza del cuore e della mente per averci resi coscienti, nella fede, del suo amore, della vocazione di tutti i popoli alla sua casa.
“Cammineranno i popoli alla tua luce…
I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”
(Is. 60,4)
Isaia vede da lontano – sei secoli prima della venuta di Cristo – e moltiplica le immagini, perché l’annuncio sia stampato nella memoria e nella speranza di Israele.
Matteo racconta quanto è già avvenuto e lo consegna al patrimonio di fede della comunità cristiana, alla memoria che si fa responsabilità per la Chiesa e per i singoli fedeli. Dalla luce dell’Epifania, subito, nasce lucidamente la riflessione di fede, la lettera scritta da Paolo o da un suo collaboratore ai cristiani di Efeso, circa 20 anni dopo la passione e la resurrezione del Signore:
“I Gentili sono chiamato in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo” (Ef.3,6)
Siamo colmi di riconoscenza verso il Signore: come Paolo, per la grazia della rivelazione, conosciamo il “mistero”, l’azione di Dio nel tempo e nella storia. Come lui facciamo l’esperienza che, quanto più approfondiamo il dono ricevuto, tanto più comprendiamo la ricchezza immensa e l’ampiezza sterminata dell’amore di Dio, che, nella persona di Gesù, raggiunge tutti gli uomini, senza escluderne nessuno.
Ci viene donato uno spiraglio di luce anche sul mistero del rifiuto di Gerusalemme, la città del popolo chiamato per primo. Dice Paolo nella lettera ai Romani:
“L’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti.
Allora tutto Israele sarà salvato” (Rm.4,25-26)
C’è una provvidenza anche nei rifiuti, perché essi possono essere, per Dio, occasione di adesioni sempre nuove di popoli e culture. È bello vedere Israele stare sulla soglia per tenere aperta la porta, finché non siano entrati tutti i popoli. Come si svuota la mente di tutti i luoghi comuni, e le labbra di tutte le parole che suonano giudizio e separazione. Come si impara la gratitudine per il popolo di Maria e di Giuseppe, che è stato battistrada del regno e si desidera il giorno in cui tutti saremo a Gerusalemme. A maggior ragione oggi, perché tutti siamo angosciati per la situazione in cui viene a trovarsi lo stato di Israele.
Donare il dono che è in noi.
Dove ci conduce la stella, la luce della rivelazione? A donare il dono che è in noi. Viene fatto di guardare ai pellegrinaggi di oggi, da quelli più facili e consueti ai luoghi della fede, a quelli più difficili e scomodi di quanti cercano casa e lavoro, come naufraghi nel gemito del desiderio di approdo, a quelli non meno angosciosi di quanti si accostano alla comunità cristiana nel nome delle nuove povertà, delle solitudini, della violenza giovanile, della delusione…
“Dove è il re dei giudei che è nato?
Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti ad adorarlo” (Mt.2,2)
Quanti avvertono questo richiamo, e non sanno interpretarlo, quanti guardano alla Chiesa. C‘è un pellegrinaggio verso Gesù, che ha consegnato la sua presenza alla Chiesa, come quel giorno si era consegnato all’unità di Giuseppe e di Maria, e che ogni comunità cristiana deve custodire nei luoghi del suo vivere e del suo incarnare il Vangelo, come presenza viva da mostrare e donare perché possa essere riconosciuto e adorato Gesù in mezzo a noi.
E c’è un pellegrinaggio della comunità cristiana verso la presenza misteriosa del Signore nel cuore dell’uomo di oggi. Dobbiamo eliminare dentro di noi tutto quello che è contrario alla vastità immensa, all’universalità dell’amore di Dio, senza rimpicciolire il cuore.
Così saremo donne e uomini diversi, universali, perché Dio è universale.
Così gioiremo ogni volta che incontreremo persone dal cuore puro, che cercano la verità.
Anche se non sono occidentali o cristiani o della nostra condizione sociale , o del nostro gruppo.
Perché Dio è il Dio di tutti i popoli, e i suoi figli devono essere “raggianti” per questo, gente cui è detto “palpiterà e si dilaterà il tuo cuore”
È il punto di arrivo per Isaia, il punto di partenza per ogni Cristiano.
Questa è l’Epifania.
Quando il Signore si manifesta, due sentimenti opposti possono verificarsi, e lo dice la storia personale di ciascuno:
- la fede che si fa premura, cammino, gioia, adorazione …
- la paura che si fa inquietudine, oppressione, istinto di nascondersi, fuga …
L’Epifania celebra la rivelazione di Dio all’uomo, in modo sensibile, capace di essere compreso dal cuore sgombro di pregiudizi, dalla coscienza aperta e sincera. Epifania è il tempo pieno della rivelazione di Dio e della possibilità umana di accoglierla con gioia e libertà. I Magi ne sono l’espressione. Ci dicono con la loro “grandissima gioia” che non è possibile pensare che il Signore non si faccia incontrare da chi lo cerca con sincerità, ma che ha in serbo vie impensate e personali che Egli solo conosce. Matteo lo mette in evidenza nel suo racconto dettagliato, senza omettere di mostrare l’impossibilità dell’incontro con Dio da parte di chi ha solo se steso al centro del cuore e dei pensieri. La trascuratezza nella ricerca della verità di Dio è trascurare Dio stesso e lascia l’uomo nell’oscurità della mente e del cuore. Invece, la ricerca onesta e perseverante conduce al chiarore crescente nel cammino – il dono della stella-, anche se si continuano a conoscere notti oscure, all’approdo del vedere “il bambino con Maria sua madre”, alla condizione interiore di “grandissima gioia” e della libertà di tornare “per un’altra strada”, con una nuova visione del mondo e della vita.
L’Epifania è la celebrazione dell’incontro di tutte le genti con questa vicinanza di Dio nella persona di Gesù, che Maria continua ad offrire maternamente all’umanità, figura e modello del compito della Chiesa nella storia.
Alla conclusione delle celebrazioni del Natale siamo chiamati a custodire in cuore, guardando Maria maestra di interiorità, la volontà eterna di Dio di comunicare totalmente come Colui che non tollera più di essere detto “separato”, che ha urgenza di farsi soggetto di relazione con l’umanità intera. Nel settimo secolo, Massimo il Confessore dice:
“L’Illimitato si limita in modo ineffabile,
perché il limitato si dispieghi fino alla misura dell’Illimitato”
Perciò l’Epifania sarà completa nella croce e nella pentecoste. Così l’uomo diventa “capace” di conoscere Dio. Da solo sarebbe impossibile.
Sperimenta la luce crescente nella vicenda della sua lunghissima storia, del suo sofferto itinerario di ricerca: l’abbandono della idolatria in Abramo, la sottomissione alla Trascendenza irraggiungibile in Mosè, la presenza nel cuore di ”una voce di silenzio sottile” in Elia, il fuoco del “manda me” in Isaia, fino alla fatica di questi saggi che dall’Oriente, luogo di ricerca del cielo, giungono all’incontro del “bambino con Maria sua madre”.
La liturgia della memoria dell’evento che celebriamo ci conduce alla realtà del presente, all’uomo del nostro tempo che si domanda: “Dove è Dio?”
La sua presenza – ci ha detto Giovanni – è in mezzo a noi. La carne umana di Gesù è il luogo della presenza di Dio, ogni carne umana è carne di Gesù e luogo della presenza di Dio. Ricordiamolo e portiamone il peso oggi, mentre non lontano da noi tanti fratelli e sorelle cadono sotto la violenza delle bombe. E quando il tempo della presenza carnale di Gesù si è completato, Egli ha lasciato un tempio vivo, non più di pietra, fatto dalla convivenza di quanti sono uniti dal suo nome, il nome che è la stessa sua presenza tra i discepoli. Questa l’epifania nel presente, assicurazione certa della sua verità.
C’è dunque una possibilità di approdo per i fratelli che camminano nella ricerca di risposta al “dove è Dio?”.
E questa è la nostra ragione di essere come singoli credenti e come Chiesa.
Lui, il Dio con noi, che è Dio tra noi, ci introduce alla grandissima gioia della certezza del suo futuro vuoto di templi e pieno della sua presenza in “cieli nuovi e terra nuova” quando Dio sarà “tutto in tutti” senza più la domanda “dove è Dio?”
Così il “frattempo”, l’ora che viviamo, diventa preparazione e attesa dell’Epifania pienamente avvenuta.
L’intervento di Dio nella storia povera ed intrisa di bassezze, può suscitare nello stesso tempo reazioni di fede che, nella docilità, pongono chi l’accoglie nella possibilità di mettersi in cammino verso quello che l’intervento propone, e reazioni di incredulità, scetticismo, avversione preconcetta e rifiuto.
Così avviene con l’evento del Natale, con la premura e la gioia degli umili e dei semplici di mente e di cuore, che hanno il loro culmine nell’adorazione del Bambino, mentre nei luoghi che contano neppure le persone che conoscono la Scrittura con le sue profezie sono in grado di sintonizzarsi con il manifestarsi del Signore. I pastori e i Magi da un lato, i capi dei sacerdoti e il re dall’altro lato. Così il Dio che vuole farsi conoscere dall’uomo può essere riconosciuto e celebrato nella gratitudine da una parte dell’umanità che comprende il suo amore di condivisione dei limiti, della sofferenza in cui si dibatte, disatteso e rifiutato da chi resta indisponibile. É il mistero di Dio che si propone in una fedeltà senza pentimenti, ed è il mistero dell’uomo: sulla sua soglia di libertà il Creatore rischia.
Non è pensabile che il Padre, riproposto nel Natale come Colui che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv.3,16) non si faccia incontrare da chi, con tutta la sincerità che gli è possibile e per le strade che Egli solo conosce, lo sta cercando, magari con fatica. È però pensabile e sperimentabile che quando il cuore è pieno della preoccupazione di sé, che lo rende sospettoso e pauroso di ogni novità, può trovarsi a trascurare Dio e a diffidare dell’uomo. Forse, nell’intimo della coscienza, la liturgia di oggi propone di interrogarsi su questi atteggiamenti fondamentali per la vita di fede e di impegnarsi a superare atteggiamenti sbagliati o superficiali. La rivelazione, infatti, conduce a lasciarsi coinvolgere da quello che Dio comunica all’uomo, ribaltando la prospettiva – oggi così dominante – di realizzare ad ogni costo se stessi ed i propri progetti. In questo senso la Scrittura propone la vicenda di Gesù come il centro della storia. C’è un prima in cui il mistero era ancora nascosto – dice Paolo – e un dopo della verità fatta visibile. In questo senso il racconto antico si rivela attuale e denso di insegnamento. I personaggi che giungono alla gioia grandissima di vedere il Bambino e di riconoscerlo nell’adorazione, hanno un solo desiderio, una sola domanda, che pongono, per essere aiutati, con molta semplicità e franchezza. Si assoggettano all’umiltà di leggere con pazienza i segni che non reputano trascurabili, modificano i calcoli e la direzione del loro cammino che avevano ritenuto più probabili sul luogo e sulle persone da consultare, non si avviliscono per lo sparire della luce a cui avevano fatto credito nella loro riflessione.
Agostino parlerà della propria esperienza, della necessità di superare la sfera della sola conoscenza:
“Ho meditato la ricerca del mio Dio e bramando di contemplare la realtà invisibile di Dio comprendendola per mezzo delle cose create, ho portato la mia anima sopra di me, e ormai non mi resta altro da raggiungere se non il mio Dio.
Là è infatti la casa del mio Dio, al di sopra della mia anima; là egli abita, di là mi osserva, di là mi ha creato, di là mi sprona, di là mi chiama, di là mi guida, di là conduce, di là spinge”
(comm.Sal.41, 8,5)
Vale la pena di ricordare che proprio quanti hanno maggiore dimestichezza con la conoscenza, anche nello stesso studio biblico, rischiano di non arrivare al Bambino. Perché occorre il desiderio, che è più della razionalità, che è come una fiamma che non si spegne e alimenta la fede e la speranza. Ancora Agostino:
“Con tanta maggiore capacità riceveremo quel bene molto grande, che occhio non ha veduto perché non è colore, orecchio non ha udito perché non è suono, né è entrato nel cuore dell’uomo perché tocca al cuore dell’uomo elevarsi fino ad esso, con quanta maggiore fede crediamo ad esso, con quanta maggiore fermezza speriamo in esso, con quanto maggiore ardore lo desideriamo. Più degno sarà l’effetto che sarà preceduto da un desiderio più fervoroso.
Perciò quello che dice Paolo: “pregate senza interruzione” che altro significa se non: desiderate, senza stancarvi, di ricevere da Colui, che solo ve la può dare, la vita eterna?
Se sempre la desideriamo da Dio, non cessiamo di pregare”
(lettera 130,8)
I personaggi che abbiamo amato da bambini, e restano significativi in ogni età, adorano il Bambino. Ci dicono che l’essenza della fede cristiana non risiede nella sola dottrina, nella sola cultura, ma nella persona di Gesù, carne di Dio. La strada più breve e più diritta tra l’uomo e Dio è la carne di Gesù, ora in braccio a Maria, un giorno in braccio alla croce.
Chi cerca Dio deve amare l‘umanità di Cristo, per trovare la divinità,
Perciò Agostino scrive: “Cammina attraverso l’uomo e raggiungerai Dio”
E la preghiera della ricerca sarà sempre: “Che io cercandoti ti trovi, e trovatoti ti cerchi ancora”.