II DOMENICA DOPO NATALE – Anno B
(Sir 24,1-4.12-16; Sal.147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)
Abbiamo nuovamente ascoltato la proclamazione solenne del prologo del Vangelo di Giovanni. La liturgia ne rinnova l’annuncio per invitarci alla contemplazione della sapienza di Dio.
Le tre letture ci guidano e ci aiutano ad entrare in questo mistero: ascoltiamone le espressioni. “Fin da principio… Prima dei secoli … Per tutta l’eternità… non verrò mai meno …” leggiamo nel libro del Siracide. E nel Vangelo “Il Verbo era presso Dio … era Dio”. E Paolo: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, … predestinandoci ad essere suoi figli adottivi …”.
Per l’Antico Testamento la sapienza è attributo personificato di Dio. La convinzione di fede di Israele, derivata dalla preghiera e dalla consuetudine con la Parola di Dio, considera la sapienza depositaria della verità di Dio, della verità di ogni creatura. Essa riceve la missione di porre le sue radici nella città degli uomini per aiutarli a prendere coscienza del loro essere “eredità di Dio”. L’anelito alla sapienza, alla conoscenza del principio di tutte le cose, delle ragioni della nostra esistenza, è proprio del mondo antico, anche fuori della Bibbia. Tutto l’Antico Testamento è teso alla ricerca della luce divina, del principio, che è chiarezza irraggiungibile, mistero. I Salmi sono voce di questa ricerca, tesa a trovare il senso della vita. Perciò viene esaltata la figura di Salomone, il re che non ha chiesto al Signore né fama né potere, ma solo la sapienza. Tuttavia l’Antico Testamento non va al di là di questo anelito, di questa tensione.
Il Vangelo ci fa compiere un salto di qualità: Gesù è la sapienza fatta persona. Giovanni ci invita a guardarlo, a contemplarlo in tutta la sua vita, con la docilità del cuore. Per mezzo di lui – ci viene annunciato – tutte le cose sono state create, egli è in grado di farci diventare figli di Dio. Essere credenti significa esclusivamente guardare all’umanità di Gesù, nella concretezza della sua persona, liberandoci da tutti i condizionamenti. Per chi lo vuole seguire non deve esserci altra esigenza, perché Gesù è lo svelamento di Dio. Non è esatto dire che Gesù ha comunicato Dio, perché è proprio la realtà tutta di Dio che in lui si comunica. Come leggeremo domenica prossima, nel momento del Battesimo il Padre fa sentire dai cieli la sua voce che annuncia: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Come dice il Concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica sulla divina rivelazione: “Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso… attraverso Gesù”. L’infinita distanza tra Dio e l’uomo è colmata dall’Infinito che si è fatto suo prossimo fino ad assumerne la realtà. La Parola eterna, che l’Antico Testamento aveva potuto solo invocare, si rende comprensibile nelle parole, nei gesti, nella concretezza della vita di Gesù, che, come dice Ignazio di Antiochia, “ è il Verbo uscito dal silenzio di Dio”. Gesù è la Parola divina piena e definitiva. La fede non può avere altro fondamento al di fuori di lui, ogni realtà creata trova senso in lui. Ogni altra manifestazione della fede è secondaria.
Agostino, commentando il Salmo 42 : “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio”, dice di avere a lungo cercato Dio nella realtà delle cose. Egli è altissimo e nascosto, ma ha qui, tra noi, una tenda, che è strada per raggiungere la verità delle cose: Gesù. Tutto il resto non conta nulla. Anche Paolo ci dice che il mistero di Dio si può conoscere solo in Gesù, uomo amato da Dio.
Il Prologo di Giovanni così conclude: “A quanti … lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio …”. Nell’uomo c’è ora la possibilità di diventare anche lui figlio di Dio. In che modo? Somigliando al Padre, divenendo sempre più, dinamicamente, come il Padre. Gesù, immagine vivente di Dio, ci ha detto più volte: “Siate misericordiosi come il Padre vostro …”; “Come il Padre ha amato voi, così amatevi gli uni gli altri …”; “Quando pregate dite: … sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”… Vivendo, praticando sempre più questo “come” realizzeremo progressivamente la nostra somiglianza con il Padre. Non ci viene chiesta l’obbedienza ad una legge, ma la crescita in questo dinamismo del “come”. Amare come il Padre ama. Come il Padre genera la vita, così chi vuol diventare figlio suo non può avere se stesso come misura, non può chiudersi nel suo io, ma andare verso l’altro per suscitare in lui la vita.
L’uomo può diventare Parola di Dio. Questo è l’augurio per il nuovo anno. L’uomo si può scoprire segno di Dio, presenza di Dio: la vocazione del credente è proprio quella di essere presenza di un Dio, che sembra assente. La vita di fede non può essere indicata solo dai segni di un’appartenenza esteriore, da un intrupparsi ed aggregarsi insieme. Essa è accoglienza profonda e cosciente della presenza di Dio in noi, realizzatasi in Gesù. Si tratta di un’accoglienza che non deve pretendere di anticipare Dio, suggerendogli la nostra sapienza, ma deve solo accogliere la sapienza del suo Verbo eterno, facendo tacere le pretese della nostra individualità. Facendo silenzio in noi stessi, per accogliere Dio che parla in Gesù. Assumiamo la responsabilità di questo silenzio per far nostro il Vangelo che abbiamo contemplato in questo tempo di Natale.
“Venne ad abitare in mezzo a noi”
Leggere e meditare ancora il prologo di Giovanni conduce alla consapevolezza sempre più chiara del Dio che “viene ad abitare in mezzo a noi”, mistero di amore e di vicinanza donato all’umanità che può solo accoglierlo come grazia di Dio; non un’astrazione, ma amore e vicinanza che rendono Dio prossimo all’uomo.
Il fatto che il mistero sia arduo per la comprensione razionale, che lo sporcarsi di Dio “in mezzo a noi” appaia incredibile, non esime dall’atteggiamento della ricerca appassionata e dell’accoglienza umile: c’è, infatti, una vita che l’uomo può e sa trasmettere e c’è una vita che l’uomo può solo ricevere come dono di Dio. È quanto abbiamo contemplato e celebrato a Natale.
Bernardo di Chiaravalle esprime l’amore e la gioia dell’anima che si arrende alla luce;
Dio ha fatto anche se stesso per te:
il Verbo si è fatto carne e ha preso la sua dimora in mezzo a noi;
è diventato lui stesso come una sola carne con te;
egli ti renderà un solo spirito con lui”
È quello che la fede ci propone come verità fondamentale della vita, nello stupore e nel silenzio, vangelo da custodire come Maria, da comunicare agli uomini, fino alla fine dei tempi. Ogni uomo viene al mondo perché “pre-amato” – dice Paolo ai cristiani di Efeso – perché diventi figlio di Dio. Da qui nasce la speranza nel suo significato più alto e radicale, perché l’amore che sta all’inizio svuota, rende “debole” e redimibile ogni peccato.
“Ha dato il potere di diventare figli di Dio”
Come si diventa figli?
Il Padre, che genera e comunica vita, è in me, in ciascuno che fiduciosamente lo accolga; questo suo “abitare”, rimanere, costituisce nella relazione stabile di figliolanza e nella possibilità di sollecitare, rinnovare, rinverdire in ogni creatura la sorgente della vita, al punto che ogni realtà sia tirata fuori dall’oscurità e dalla chiusura in se stessa e resa capace di positività, nell’amore del dono di sé ad ogni altra realtà con cui abbia relazione.
La meditazione attenta al mistero dell’incarnazione non si ferma al momento contemplativo, ma introduce alla coscienza sempre più responsabile, intima e concreta, del singolo credente e della comunità intera, ad abitare con il Signore “in mezzo a noi”, a condividere tutto quello che l’umanità vive, le conquiste, le tragedie, gli eroismi, le notti. Tutto viene avvertito come proprio da chi segue Gesù, fatto proprio assieme ad ogni donna e uomo disponibile, perché sia annunciata a tutti la possibile uscita dall’oscurità, alla luce dell’incarnazione, in ogni campo del vivere umano. Il dimorare “in mezzo a noi” è l’evento straordinario in cui Dio assume il linguaggio dell’uomo e fa propria la logica di ogni realtà. Lo fa con il criterio della piccolezza che abbiamo contemplato nel Natale e che Gesù adulto annuncerà come regola costante della vita cristiana, regola del “chicco di frumento”, del “lievito nella pasta”, degli “uccelli del cielo” e dei “gigli del campo”. Non c’è trionfalismo nell’incarnazione: i pastori, ma anche gli uomini di scienza, troveranno solo “Maria, Giuseppe e il bambino, che giaceva in una mangiatoia” (Lc.2,16).
Gesù dice che il mistero di Dio è nascosto nella logica interna di ogni realtà, per cui i credenti non avranno paura di parlare il linguaggio di quelle stesse realtà a cui dovranno essere dedicati. Si direbbe che, entrando nelle cose con l’incarnazione, Dio si faccia silenzio per farle essere, non dica se stesso perché il creato lo dica. Ogni cosa viene alla luce nella sua bellezza non quando parla il linguaggio sacro, o non solo allora, ma quello attento e competente del suo essere scienza, medicina, economia, politica, vissute seriamente per il bene comune. Allora ogni realtà manifesta Dio.
Se, per vivere il mio lavoro, ho ancora bisogno di citare il vangelo, questo significa che non lo ho vissuto al punto di manifestarlo in quello che opero, oppure che non ho amato sufficientemente quello che opero, perché appaia bello e dono per tutti, come è il fiume per il mare, la pioggia per la terra. Non devo lavorare rassegnato passivamente alla volontà di Dio, ma amare il mio lavoro: allora Dio si rivela.
Quando, nell’Eucaristia, Gesù ripete nell’intimità della comunità che celebra: “fate questo in memoria di me”, ci consegna la sua incarnazione perché continui nell’esistenza cristiana il suo stile di Parola che “venne ad abitare in mezzo a noi”. È quello che ci dice la Chiesa nel Concilio Vaticano II: i credenti “quali cittadini del mondo, sia individualmente, sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia i quei campi” (G.S.43). È il compito stupendo e tremendo del discepolo di Gesù, che è pienamente nel mondo senza essere del mondo, facendosi carico delle piaghe, delle lotte, delle angosce. Può essere testimone del vangelo non tanto nell’annuncio astratto quanto nella rifondazione della realtà umana in tutti i suoi aspetti, che perciò acquistano dignità e qualità impensate e condivisibili anche da fratelli e sorelle di altre convinzioni.
Domandiamo una comprensione forte del “venne ad abitare in mezzo a noi”