SANTISSIMA TRINITÀ – Anno B
(Dt.4,32-40 ; Sal.32 ; Rm.8,14-17 ; Mt 28,16-20)
Poche parole, molto solenni: è la conclusione del Vangelo di Matteo. Sono parole che definiscono la Chiesa e la sua missione, la grande chiamata ad essere discepoli, annunciatori del Vangelo nel mondo, malgrado la debolezza di alcuni, che ancora “dubitavano”.
“Ogni potere in cielo e in terra”: la prima comunità cristiana imparerà a chiamare il Signore “Kyrios”, come dirà, sotto dettatura dello Spirito, l’autore dell’Apocalisse. È la signoria universale, che richiama il gesto creatore del primo capitolo della Genesi, quando l’immensità del cosmo nasce dal gesto creatore del Padre: essa è donata all’uomo Gesù e da essa scaturisce la missione universale. C’è un ritmo incalzante nell’aggettivo “tutto”, ripetuto per quattro volte, “tutto il potere”, “tutte le nazioni”, “tutto ciò che ho comandato”, “tutti i giorni”.
“Tutto” non va inteso come valore numerico, di totalità da censimento, ma come riferimento a tutte le genti chiamate a formare l’unico popolo di Dio, da ogni cultura e provenienza, in una convergenza libera da imposizioni, nella responsabilità personale della coscienza, che ascolta, accoglie e serve.
“Ammaestrate”: i discepoli devono insegnare, ma restare discepoli, perchè la parola che ammaestra è del Signore e domanda fedeltà austera e senza riserve. Nei maestri e nei discepoli l’insegnamento nasce dall’ascolto, dal rimanere sempre in atteggiamento umile di discepolato. La Chiesa continua ad avere la chiamata all’ascolto e al servizio: ieri, nella Cattedrale di Napoli, sono stati ordinati diaconi ventotto uomini sposati, tra i quali Giovanni Improta, catechista della nostra comunità.
Ma il punto che la liturgia sottolinea è che il discepolo di Gesù non è battezzato nel nome di lui e nemmeno nel nome di Dio. È battezzato “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. L’esistenza cristiana inizia e cresce nel segno della Trinità.
“Nel nome” non significa solo “nella loro autorità” di Persone divine, ma significa “in comunione” con le Persone divine. Il battesimo introduce nel dialogo di amore delle tre Persone.
La verità di Dio è la verità dell’uomo. Il Vangelo ci rivela un Dio altro dal primo Motore immobile di Aristotele, divinità onnipotente e solitaria della filosofia greca. Un Dio che è amore e dialogo, in sè stesso, è la novità nella percezione del pensiero umano su di Lui. E, pensato così, nell’accoglienza della fede, induce, si direbbe “costringe”, a cambiare la verità dell’uomo in se stesso. L’uomo, messo davanti a Dio Trinità, scopre la relazione come realtà primaria della vita, che allora è pienamente vita quando è spesa nel dialogo, nel dono di sè, nell’amore.
La teologia e la spiritualità cristiana hanno cercato a lungo nella creazione le “vestigia trinitatis”, dei segni visibili della Trinità: perchè fosse possibile avvicinarsi al Dio invisibile e indicibile attraverso “la luce delle creature”. È un’esperienza anche nostra quando contempliamo la relazione armonica fra il bosco e il ruscello, fra il fiore e l’insetto…
Nel XII secolo Ildegarda di Bringen scriveva: “La creatura è contenuta dalla creatura e ciascuna è sorretta dall’altra”.
Vi sono delle immagini della Trinità che appaiono come delle spiegazioni, almeno come dei segnali. A cominciare dall’esistenza dell’altro, di qualsiasi altro. L’altro, anche se persona cara, ha un’esistenza diversa. Un papà si poneva il problema di come trasmettere verità sentite come valore universale al figlio adolescente, così lontano da quelle che erano state le sue esperienze. L’altro è un universo e come tale sembra che ci limiti e ci impedisca: invece si rivela un arricchimento! Si scopre la fecondità di ogni rapporto, nella natura inconsapevole e nel rapporto interumano, che genera la comunione tra le persone. Scoprire questa logica immanente aiuta a percepire quella trascendente, certo da lontano, nell’analogia, senza parole esaurienti. E l’impossibilità di parole esaurienti – anche per la teologia – non è totalmente muta, ma introduce in un atteggiamento in cui l’espressione finale è l’adorazione, a cui manca la voce perchè la verità di Dio non si può dire con le povere parole umane. L’amore appare fondamento della verità di Dio in sè, e della verità dell’uomo.
Come ha intuito il teologo Hans Urs von Balthasar, morto nel 1988, il Padre si comunica per intero al Figlio, senza resto alcuno nell’amore. Il Figlio si restituisce al Padre senza resto. Il rapporto tra Padre e Figlio è totale: e, come nell’incontro tra due persone l’abbraccio non si serra infecondo, ma porta alla nascita di una nuova vita, così si può affermare che dall’incontro tra Padre e Figlio ha origine lo Spirito.
Il poeta Mario Luzi, dopo la tragedia delle torri gemelle, così scriveva:
“Quegli aerei che si avventavano contro le altere torri,
quel volo a capofitto di vite umane contro altre vite.
La mente vacilla, l’anima è soverchiata, oppressa.
Si preparano, forse sono già venuti tempi i cui sarà richiesto
agli uomini di essere altri da come noi siamo stati, Come?”
La sfida della contemplazione della Trinità è in questo “come”. È lo stesso “come” che cercava il padre del figlio adolescente e che ci assilla in tanti ambiti e momenti.
Ci vengono in aiuto le parole di Chiara Lubich, come una risposta che viene dalla contemplazione della Trinità:“Tutto è innamorato in me ed ogni cosa è innamorata fuori di me.
Ho sentito che io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino
e chi mi sta vicino è stato creato in dono per me.
Come il Padre della Trinità è tutto per il Figlio e il Figlio è tutto per il Padre.
Sulla terra tutto è in rapporto di amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa.
Bisogna essere l’Amore per trovare il filo d‘oro fra gli esseri”.
La vita della comunità fondata dal Signore Risorto è tutta nel segno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: la preghiera personale, la liturgia comunitaria, i gesti a cui si da inizio e compimento. Nell’intimità del singolo credente e del popolo radunato dalla fede si direbbe che non prevale quello che, con parola impropria, viene detto mistero – mistero, infatti, nel nostro parlare ordinario è detto di una realtà inspiegabile e complicata – ma si intende piuttosto qualcosa che, pur non inscrivibile nel novero delle realtà acquisibili attraverso il processo logico, dice grandezza che avvolge, in modo continuo e benefico.
Come i primi undici, dei quali non è nascosta la difficoltà provata nel credere, i discepoli sanno di non sapere e tuttavia si fidano perché fanno l’esperienza di essere abbracciati, non oppressi dal mistero. Per questo motivo è bello che la liturgia di questa domenica, che dalla Trinità prende il titolo, abbia, come atrio di ingresso alla rivelazione piena pronunciata con solennità dal Risorto sul monte dell’appuntamento in Galilea (il monte rimanda al luogo elevato della vittoria sulle tentazioni, a quello della moltiplicazione dei pani, a quelli delle beatitudini e della trasfigurazione ) l’invito alla lunga memoria di fede degli ebrei. I versetti del capitolo 4 del Deuteronomio richiamano alla mente e al cuore l’esperienza fatta dal popolo reso destinatario di una scelta da parte del Dio vicino e liberatore.
Piccoli, ma amati con un abbraccio di tenerezza, gli ebrei liberati dalla schiavitù, resi consapevoli – anche se in maniera imperfetta – di un mistero di amore che li precede e li conduce.
Esperienza di un Dio che fa udire la sua voce dal fuoco del roveto, senza restare sopraffatti da Lui, come si credeva.
Esperienza di un Dio che tenta di convincere il popolo, scelto con “prove, segni, prodigi e battaglie”, in un affacciarsi alla storia concreta con atti premurosi, dai quali uscirà la certezza di non essere soli, ma accompagnati,
Quando cominceranno a comporre i salmi e a cantarli, quando istituiranno il calendario delle solennità per non dimenticare, gli ebrei prenderanno coscienza che non sono loro chiamati a portare l’annuncio di questo amore che li ha cercati, ma è l’annuncio che li porta.
La loro è l’esperienza di colui / coloro che vengono a conoscenza di Qualcuno che ha rotto la saracinesca del mistero, ha varcato la soglia della propria irraggiungibilità per sporgersi, affacciarsi, nella piccola, forse sporca storia delle fatiche, delle guerre, delle insicurezze, degli scoraggiamenti, fino ad immergersi in essa con il dono del Figlio eterno.
La fede non sarà altro che l’immersione in questa memoria.
Gesù si farà rivelazione e luogo della memoria che dona la certezza della fede: pensiamo al padre che attende il figlio che si è allontanato (Lc.15,11-32), a Lui stesso che si invita a pranzo da Zaccheo, il pubblicano (Lc.19,1-10), o in casa di Simone il fariseo (Lc.7.36) dove mostra che anche il male è porta al molto amare, che è l’incontro con l’amore. Allo stupore quasi incredulo dei protagonisti di queste pagine del vangelo, Gesù replica invitando al battesimo, cioè all’immersione nell’oceano di accoglienza e misericordia del Dio che entra nella storia dell’uomo, perché è relazione di amore. Immergere la vita umana nella vita di Dio è la missione affidata ai primi ed oggi a noi, possibile perché ricevuta da Lui.
Così la Trinità diventa inabitazione, luogo in cui dimorare.
Questa, e non altra, è la missione della Chiesa, il senso del suo esserci: introdurre gli uomini nella vita di comunione della Trinità, per imparare a integrare la realtà, non a disintegrarla:
“Perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te”.
Perciò Gesù, il Figlio eterno con noi, ripete: “insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”,
Che cos’è questo “tutto”? È il suo comando, dell’amore reciproco, donato all’umanità come un’arte che si conosce, una strada dell’anima che si è sperimentata davvero.
Il comando di Gesù alla Chiesa è di avere memoria fatta carne nei rapporti, perché gli uomini imparino ad amare, che i loro figli imparino ad amare.
Trinità, dunque, come “norma” dell’uomo, la realtà più importante da conoscere e da vivere.
Trinità, materia del teologo e passione del santo!
La vita della Chiesa è tutta segnata dalla fede nella Trinità.
Ogni preghiera liturgica inizia “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e così ogni preghiera personale desiderosa di vivere un rapporto vero e profondo con Dio.
Noi non siamo in grado di comprendere, ma la parola del Deuteronomio ci dice che la cosa grande che avviene nella storia umana è che Dio abbia fatto dono della sua voce al popolo ebreo rivelandosi come il “Dio vicino”. E quando viene il tempo, l’umanità si trova fra i propri figli Gesù Figlio di Dio che permette di conoscerlo come “Dio con noi”. La nostra incapacità di credere, il dubbio che ci abita, non lo arresta: “Gesù Risorto – dice Matteo – si avvicinò agli undici che si prostrarono, ma dubitarono”. È il Dio che continua a “farsi prossimo” della debolezza umana, anche della fatica di credere. Si fa prossimo perché l’uomo libero possa conoscere Dio come Padre che ama senza riserve e desidera condividere con le creature il suo oceano di amore, e perciò ha desiderato che Lui, Gesù, si facesse uomo per prendere per mano l’umanità e condurla a sé. Perciò tutto l’insegnamento di Gesù si riassume nell’invito a tornare al Padre con lui, per abitare in Lui per sempre.
Per il potere universale che il Padre gli comunica, Gesù condensa tutto il suo pensiero morale nell’invito a vivere come egli vive nei confronti del Padre, lasciando che la propria volontà coincida con la sua. Perciò il suo comandamento è l’espressione concreta della fede trinitaria : il “come il Padre ama me” “io vivo per il Padre” svela che cosa significhi la fede trinitaria. Nella vita i discepoli dovranno allenarsi a volere quello che Dio vuole, certi dell’amore, e nella più piena libertà dei figli amati. Questa proposta ardua, che sembra essere superiore ad ogni forza umana, è accessibile per il dono dello Spirito che viene donato a chi si apre all’amore di Dio.
Lo Spirito Santo ricorda in continuazione che l’unità di Dio non significa soltanto che Egli è l’unico, ma significa che Egli è relazione, vissuta con tale radicalità e pienezza da rendere le tre Persone un’unica realtà completa e perfetta che chiamiamo Dio.
La Trinità perciò è l’unico Dio che vive la perfezione dell’amore. Per dire Dio Gesù spiega questa relazione e la mostra in sé. E lo Spirito, il respiro di Dio che il Risorto ci dona, dice che la vita respira pienamente quando ci sentiamo accolti ed abbracciati da Dio, perché in Lui non c’è solitudine.
Il mistero della Trinità ci riguarda e ci tocca intimamente, se vogliamo vivere “a immagine e somiglianza” di Lui.
Ci mette in cuore la comunicazione di questa rivelazione, che è “il tutto” per ogni uomo, a “tutti i popoli”, tutti i giorni”.
Ci fa capire che la natura ultima dell’uomo è quella di essere “legame di amore”. Perciò la fede nella Trinità impegna nel comandamento dell’amore scambievole, coinvolge i rapporti familiari e quelli sociali, mette in cuore l’unità delle persone e dei popoli.
Non è un’utopia, perché il Risorto non lascia soli.
La possibilità di realizzare l’unità viene dalla presenza di Lui che è vivo nella Chiesa come una sorgente continua di dono e di pace.
Sul monte di Galilea Gesù non si congeda perché non si allontana. Quest’ultimo appuntamento ai discepoli, che Matteo pone alla fine del suo vangelo, è il primo per l’umanità intera.
Ed Egli dice: “Sarò con voi fino al compimento del tempo”, fin quando vi porterò con me nella casa del Padre mio, del Dio Trinità.