XIX DOMENICA T.O. – Anno B
(1Re 19,4-8; Sal.33; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51)
“Si misero a mormorare contro di lui”
Nell’Antico Testamento la “mormorazione” indica un atteggiamento di incredulità nei confronti di quanto Dio domanda e promette; Giovani utilizza il verbo per esprimere il rifiuto di quanto Gesù afferma: “Sono disceso dal cielo”. Un invito ad entrare in una fiducia senza riserve verso di Lui, accogliendo la sua parola ed affidandosi ad essa, perché la sola capacità umana non è sufficiente.
La fede si deve accogliere come dono a cui ci si prepara chiedendola.
“Dio che attrae”: È un tema che torna nella Scrittura e nell’esperienza di fede,: “ti ho amato di un amore eterno”, “mi hai sedotto, Signore” (Geremia), facendo sentire “funi di benevolenza” (Osea). Lasciarsi attrarre significa diventare “scolari di Dio”, uomini e donne di ascolto, che si accorgono della sua voce, che si lasciano istruire, in una attenzione non superficiale, interiore, disponibile a far proprio quello che si ascolta, nella certezza della vita che la Parola porta in sé. Dice l’antico autore ella “Imitazione di Cristo”; “tu ispiri e illumini tutti i profeti, essi mostrano la via; tu dai la forza per mettersi in viaggio”. Proprio come insegna oggi l’esperienza di Elia nella prima lettura.
L’esperienza di chi ascolta con attenzione e accoglie l’attrazione di Dio è che la sua voce pronuncia sempre la stessa realtà, il Verbo, la Sapienza, e ne ripete il nome: “Gesù”.
Perciò chi è attratto da Dio trova inevitabilmente Gesù.
Egli è “il pane della vita” e chi lo accoglie deve “mangiarlo”. Il suo venire mangiato mentre si fa alimento per l’uomo è il massimo della rivelazione di Dio, della sua attrazione.
Tutti noi, infatti, sperimentiamo che il segno sacramentale della Eucarestia attrae, e la sua raffigurazione nel Crocifisso attrae.
Che cosa significa, per un credente, “il pane della vita”?
È innanzitutto la verità di Dio sulla creazione, tutta e nei singoli.
È la Sapienza. Perciò è alimento nel senso che è rivelazione di Dio, possibilità di conoscenza di Lui e della realtà creata da Lui, svelamento del suo “mistero” e del senso di ogni cosa, svelamento reso accessibile all’uomo per il messaggio che ne da Gesù.
Egli afferma di essere la Sapienza che entra in dialogo con l’umanità, libera di accoglierla o di rifiutarla, tuttavia accessibile nel pane del dono di sé da mangiare ed assimilare per entrare nel “mistero” della creazione a cui la razionalità e la tecnica non possono giungere.
Questo fa pensare.
Tutti viviamo la cruda verità di quanto aveva detto il profeta Amos: “Ecco, verranno giorni – dice il Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la Parola del Signore” (Am.8,11-12)
Spesso non riusciamo a vedere il senso, l’ “oltre” di Dio nelle vicende che viviamo, che ci avvolgono e nelle quali ci dibattiamo senza scoprirne il significato. Tutto ci appare piatto e senza motivazione.
La fecondità della vita credente, di una vita nella fede, nasce da questo alimento della sapienza che irrora la terra e la fa germogliare: perciò non dipende dalla maturità culturale della persona: ad essa viene domandato di disporsi perché l’opera di Dio si compia.
“Disceso dal cielo” è ripetuto per sette volte nel testo di Giovanni.
La Parola domanda accoglienza, che è svuotamento di sé per assumere “il pensiero di Dio” su ogni cosa (1Cor. 2,16).
Si tratta della “vita del mondo” che così appare lo svelamento del “mistero” nascosto nell’eternità e svelato da Gesù.
Vita nella fede è allora adesione forte alla sapienza di Dio; saldare la separazione tra precarietà e stabilità, contemplare nella fiducia la continuità tra presente e futuro, lavorare perché la storia sia in cammino di ogni penultimo verso l’ultimo, custodire la certezza che il futuro di Dio riguarda non solo le anime, ma i corpi e tutto il creato.
Questo è l’ideale cristiano che è alimentato dal pane della vita.
Dovremmo domandarci se siamo veramente convinti e se, insieme, come credenti, ci adoperiamo per non divenire schiavi del dominio della tecnica, che da un lato ci appassiona e dall’altro ci schiavizza e ci priva della libertà e della gioia di aiutare la natura, per amore, a camminare verso il compimento finale nell’armonia e nella pace: questa, infatti, è la dimensione ecologica della fede.
“Forse i cristiani saranno tra breve i soli ad attribuire un senso all’umano perché, ancora una volta non si salva l’umano dal disumano se non radicandolo in alto”
(P. Ricoeur: “La logica di Gesù”)
Quanto occorre custodire gelosamente e lasciarsi alimentare dal”pane della vita”!
Perché: “nei nostri occhi, nel nostro volto, in tutte le membra sono agli occhi di Dio – tutte le bellezze create nel regno minerale, vegetale ,animale e nell’anima è tutto Dio!”
(Chiara Lubich 1949)
“Io sono il pane disceso dal cielo”
L’affermazione ripetuta con insistenza e autorevolezza da Gesù suscita la “mormorazione”. La sua umanità, conosciuta nelle sue radici familiari, sembrava opporsi a quell’espressione “disceso dal cielo”.
“Mormorare” è un verbo ben presente sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento e significa incredulità, perciò resistenza, chiusura del cuore, all’opera di Dio. Gesù, con mitezza, invita ad andare oltre la difficoltà di credere, a porsi in atteggiamento di docilità, a cogliere il fascino silenzioso di Dio che attrae a sé e domanda di essere ascoltato senza pregiudizi. Già i profeti avevano utilizzato il bellissimo verbo “attrarre” per dire che Dio non costringe, ma attrae a sé con “legami di bontà, con vincoli di amore “ (Os.11,4) perché “ti ho amato di amore eterno, perciò continuo ad esserti fedele” (Ger.31,3). Quelli che si lasciano attirare non sono dei privilegiati, ma sono chiamati a diventare segno della possibilità di accostarsi a Dio, di percepire la sua vicinanza, non perché più bravi e meritevoli degli altri, ma perché “desiderosi di Lui”, l’infinitamente desiderabile che li accoglie e a loro si comunica.
Emanuel Lévinas, esperto di ebraismo e credente, dice: “La fede in Dio è il desiderio mai appagato di infinito”. Il divino non si mostra, resta in silenzio davanti alle tragedie, ma abita nel desiderio di Dio. E Dio è compreso come Colui che, per amore, suscita il desiderio di sé nell’intimo dell’uomo, che così sperimenta di essere attratto dall’amore e comincia a credere, a camminare senza stancarsi e senza rinunciare verso la sua presenza infinitamente lontana e infinitamente desiderata.
Questo, dice Gesù, è il desiderio che Dio ha del nostro desiderio. Perciò “attrae”.
Ora, dice Gesù, il tempo si è compiuto: è finito il tempo del desiderio ed è iniziato quello della comunione. Il Padre attrae attraverso il Figlio donato, la sua Parola è Gesù stesso da ascoltare, da mangiare. Perciò coloro che sentono la dolce forza dell’attrazione sono chiamati non tanto ad apprendere una dottrin
a, ma ad “imparare Gesù” come Figlio donato dall’amore del Padre. Perciò il culmine dell’attrazione e della bellezza di Dio è, lo dice Gesù: “Io, quando sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me” (Gv.12,32). Guardando il Crocefisso si fa esperienza personale dell’amore che attrae.
Tutti siamo chiamati a questa attrattiva di Dio, a desiderarla per essere riempiti del suo Amore fedele ed eterno, ad operare perché non si oscuri il desiderio di Lui, sopraffatto dai mille desideri immediati. Sant’Agostino, maestro del desiderio di Dio nella sua vita personale e nel suo ministero di vescovo, faceva l’esempio del recipiente da allargare per renderlo più capace di contenuto e diceva:
“Allo stesso modo Dio con l’attesa allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace.
Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, perché dobbiamo essere riempiti.
Dilatiamoci con il desiderio di Lui, cosicché ci possa riempire quando verrà”
(Trattato su 1° Gv. 4,6)
E proponeva l’esempio di Maria di Betania: “Affamata, si nutriva della verità; assetata, beveva.
Maria si ristorava e non diminuiva quello da cui attingeva.
Di che cosa si dilettava Maria? Che cosa mangiava?
Giungo a dire che mangiava Lui stesso, ascoltandolo.
Infatti, se mangiava la verità, non è forse perché egli stesso ha detto: “Io sono la verità”?
E che dirò di più? Si faceva mangiare perché era pane.
“Io sono” – ha detto – il pane che sono disceso dal cielo”.
Ecco il pane che ristora senza venir meno!”
(Discorso 179,5)
E infine pregava, come facendo una sintesi del suo cammino verso il Dio che lo aveva attratto:
“Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità.
Balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità.
Diffondesti la tua fragranza, respirai e anelo verso di te.
Gustai, e ho fame e sete di te.
Mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace”
(Conf. l. X, 27)