XXVII DOMENICA T.O. – Anno B
(Gen.2,18-24; Sal.127; Eb.2,9-11; Mc 10,2-16)
Con il decimo capitolo del Vangelo di Marco la liturgia di questa domenica ci invita a continuare il nostro cammino dietro a Gesù, che va verso Gerusalemme, dove dovrà affrontare la passione e la morte, culmine della sua missione. Mettiamoci con Marco alla scuola di Gesù, affrontiamo con lui questo viaggio verso la croce, in tutta la sua drammaticità.
Oggi il Signore dà un insegnamento prima a tutta la folla, poi ai soli discepoli nell’intimità della casa. La casa è il luogo dove, dopo la Pasqua, i discepoli inizieranno a celebrare l’Eucarestia. Qui egli ci parla del matrimonio, del suo profondo significato. I punti toccati sono tre. Il primo è il momento della discussione, poi l’approfondimento nell’intimità della casa e infine l’indicazione dei bambini: solo divenendo come loro potremo capire la Parola di Dio.
La discussione con i farisei è centrata sulla liceità del ripudio, con cui il marito congedava la propria moglie. È il costume di un’epoca in cui la dignità della donna non aveva alcun peso e si differenzia dal divorzio. Gesù, con la sua risposta che richiama il momento in cui il Padre creò l’uomo a sua immagine, ci fa prendere coscienza di quanto l’ordinamento umano sia diverso da pensiero di Dio creatore. Egli “li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola”. Gesù non contesta Mosè, che aveva permesso il ripudio, ma spiega questa norma con la “durezza del cuore umano”. Con questo termine, che in greco è chiamato “sclerocardia”, viene indicato il cuore dell’uomo, quando, indifferente all’ascolto della Parola, diventa incapace di obbedire perché è stato incapace di comprendere. Gesù tollera le leggi che non corrispondono al progetto divino nella misura in cui – come dice il profeta Ezechiele al capitolo 20 – esse consentono all’uomo di prendere coscienza della negatività delle proprie azioni, di aver disgusto per le malvagità commesse e riconoscere che solo Dio è il Signore. La provvidenza divina permette lo sprofondamento dell’uomo nella bassezza e nel dolore del peccato, perché, come il figlio minore della parabola di Luca, possa avere nostalgia per la propria casa e tornare dal Padre.
Gesù, però, non può limitarsi a questa funzione della legge. Non smentisce Mosè – perché nulla nella Scrittura si contraddice – ma sottolinea che il permesso concesso da Mosè ai “duri di cuore” non è espressione del pensiero del Padre, è solo una concessione successiva, dettata dalla compassione per i peccatori. Egli si richiama invece ai fondamenti della creazione, quando Dio dice dell’uomo e della donna che essi non sono più due, ma “una sola carne”. Essere una sola carne non indica tanto l’unione dei sessi e neanche l’unità sociale della famiglia: è molto di più. Queste parole vogliono dire l’unione totale tra due persone, unione senza riserve né limiti. Qui è la volontà di Dio e nessuno può modificarla né contrastarla. Non si tratta di condanna per gli adulteri – Gesù ha accolto la donna adultera – ma della condanna dell’adulterio. Quando Gesù si ritrova all’interno della casa, solo con i suoi discepoli, ribadisce questa condanna.
Al Signore non interessano le leggi dello Stato che regolano i matrimoni. Le leggi dipendono dalle situazioni politiche. A lui interessa solo il pensiero di Dio, che ha esposto nel Discorso della Montagna: ” …Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli… Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore… chiunque ripudia sua moglie… la espone ad adulterio e chiunque sposa una ripudiata commette adulterio” (Mt.5,20-32).
Questo insegnamento viene dato sulla strada verso Gerusalemme, verso la passione e la croce. È la strada della fatica, che chiede all’uomo e alla donna di essere capaci di ricominciare, sempre. I bambini cui, alla fine del passo, Gesù ci chiede di assomigliare, non esprimono solo tenerezza, essi sono i piccoli, i poveri, che Luca chiama beati, perché loro è il regno di Dio (Lc.6,20). La fede è un dono che il Signore ci fa singolarmente. Il Vangelo ci dice di accoglierlo come solo i bambini sanno accogliere i doni. Il discepolo deve cercare di vivere nella fede anche cose che vede molto più grandi di lui. Non può porsi dal punto di vista della propria piccolezza. Il dono di Dio ci permette di andare incontro all’altro in tutto. Si tratta del dono della fede, non di una legge.
Ascoltiamo allora le parole che Dietrich Bonhoeffer, il pastore protestante condannato a morte dai nazisti, scriveva dal carcere all’amico che si sposava: “Il matrimonio è più del vostro reciproco amore. Esso possiede un valore e una potenza maggiori, perché è una istituzione santa di Dio, attraverso la quale egli vuole conservare l’umanità fino alla fine dei giorni. Nella prospettiva del vostro amore, voi vi vedete soli sulla scena del mondo; in quella del matrimonio voi siete un anello della catena delle generazioni che Dio fa nascere e morire a sua gloria, chiamandole al suo Regno. Nella prospettiva del vostro amore vedete solo il cielo della vostra gioia personale; il matrimonio vi inserisce responsabilmente nel mondo e nella responsabilità degli uomini… Come a fare il re è la corona e non la volontà di regnare, così non è il vostro reciproco amore, ma è il matrimonio, che fa di voi una coppia davanti a Dio e davanti agli uomini… Non è il vostro amore a sostenere il matrimonio, ma d’ora innanzi è il matrimonio a sostenere il vostro amore… Rendete grazie a Dio per avervi guidato fin qui e pregatelo di fondare, consolidare, santificare e custodire il vostro matrimonio; in questo modo voi sarete qualcosa a lode della sua gloria”.
Se si vive in questa realtà è possibile comprendere il debito, che i discepoli di Gesù hanno verso l’umanità. Non si tratta di moralismo di fronte al dolore, di fronte alla piaga aperta dalla rottura di tanti matrimoni. Non bisogna dire parole vuote, non pronunciare giudizi, ma cercare di capire la tragedia dell’umanità. Nessuna legge può salvare il progetto di Dio. Nessun uomo, neanche i bambini, possono essere protetti e garantiti dalla dimensione giuridica. Noi discepoli dobbiamo all’umanità la dimensione superiore del matrimonio che il Signore Gesù ci dona attraverso la sua passione e la sua morte.
Che attraverso il dono della sua vita il Signore ci riconduca alle origini del suo disegno sull’uomo!
L’insegnamento di Gesù sulla strada per Gerusalemme, è diretto a tutti i credenti: Marco al capitolo 10 parla nuovamente di folle. Sono parole che danno il fondamento alla fede di tutta la Chiesa.
Compiamo insieme un atto di fede nella parola di Gesù, che stacca nettamente la comunità cristiana dalla prassi non solo pagana, ma anche di tanta parte del mondo credente in una materia di prima importanza come il matrimonio. La legge ebraica, regolata dalla norme di Mosè, permetteva il libello di ripudio verso la moglie non più gradita. Essa viene sconfessata da Gesù, che la attribuisce alla “durezza del cuore”, alla “sclerocardia” che impedisce di comprendere ed attuare ciò che sta “all’inizio” (lo abbiamo ascoltato nella prima lettura, tratta dall’inizio del libro della Genesi) e richiede un cuore libero dai pregiudizi, ma anche dall’angoscia e dalla preoccupazione per la sofferenza di tanti fratelli.
Gesù risale alla Genesi, ne propone il testo come espressione del pensiero di Dio, più autorevole perciò della norma di Mosè. I due testi citati (Gen.1,27 e 2,24) portano alla certezza che Dio ha creato l’uomo e la donna in vista dell’unità, più forte di quella che lega alla famiglia di origine, pur fortissima. I due saranno “una carne sola”: l’accento è posto non su “carne”, ma su “sola”. Per Gesù uomo e donna che lasciano i genitori per sposarsi, vanno considerati come pura e semplice unità, quell’unità che è lo stesso essere di Dio.
Nella preghiera, occorre penetrare e lasciarsi penetrare dal pensiero di Gesù, non preoccupati solo dalla tradizione deludente e dalle situazioni avvilenti. Liberiamoci da queste difficoltà, che derivano dall’esperienza storica e dalla nostra stessa esistenza: Dio non si pone contro i figli suoi sopraffatti dal peso del vivere concreto, ma il rifiuto di matrimoni successivi alla luce della creazione è un grande riconoscimento dell’altissima dignità della persona umana. La Bibbia – è da sottolineare – guarda la dignità della persona umana non in dipendenza dalla cultura corrente, che riteneva la donna inferiore all’uomo, e neppure in dipendenza del compito pur importante della procreazione, ma in ordine a Dio che ha creato “maschio e femmina”, perché fossero “una carne sola” a sua immagine. Come dice Agostino Dio è Padre, Figlio, Spirito Santo, l’Amante, l’Amato, l’Amore, e non si può sottrarre nulla da questa unità. Perciò il matrimonio è innanzitutto una “comunione di persone”, e quanto più questa unione personale viene realizzata, tanto più facile è il superamento delle difficoltà e delle tensioni che accompagnano il rapporto tra i sessi. Gesù, senza mezzi termini, definisce “adulterio” la rottura dell’unità della coppia, ma invita a scegliere l’unità per tuta la vita, con una scelta libera e liberatrice.
Dopo l’insegnamento lungo la strada, il Vangelo ci fa incontrare Gesù “in casa”, là dove la comunità è radunata nell’ascolto e nella preghiera. Ci fa capire come i primi cristiani abbiano accolto e interpretato le scelte di Gesù. Marco la riferisce e la propone ai suoi lettori, che provenivano dal paganesimo ed erano a conoscenza del diritto romano, che prevedeva l’interruzione del legame sia per l’uomo che per la donna (gli ebrei solo per l’uomo). Marco perciò propone un passo importante, che gli sposati non si separino è volontà di Dio: Paolo dirà: “agli sposi ordino non io, ma il Signore” (1Cor.7,10). È un passo, perciò, non tanto di natura etica, ma di fedeltà al Signore, un sì nella fede, che coinvolge anche chi si trovi nella necessità della separazione. La Chiesa primitiva conosce la separazione, ma non la fine del matrimonio. La Chiesa del nostro tempo si sforza di restare fedele a questa certezza iniziale, nonostante alcune interpretazioni differenti nelle comunità ortodosse e riformate e le difficoltà attuali.
Oggi tutti soffriamo nella realtà segnata dai fallimenti per fragilità, impreparazione, irresponsabilità, per condizionamenti economici e ambientali: in questi giorni sono stato profondamente scosso quando un giovane mi ha detto di essersi sposato a marzo e separato a settembre. Ma comprendiamo tutti che la legge non basta: la prosecuzione forzata di matrimoni distrutti potrebbe portare ad esiti tragici. Tutto appare più complesso per come sono pensati i rapporti, anche di coppia.
C’è per i credenti una certezza forte: Gesù educa i suoi all’indissolubilità del matrimonio in considerazione di Dio, che viene espressamente presentato come l’autore dell’unione maturata nella responsabilità morale degli sposi, unione che non è solo attrazione, ma volontà di unità nella reciprocità, nella volontà di essere l’uno per l’altra. Dio non è l’autore solo del primo matrimonio nel paradiso terrestre, ma lo è di ogni matrimonio, e permette di vivere sia la sofferenza di lasciare “il padre e la madre” con le loro sicurezze, sia l’inizio della vita di comunione, con le sue incertezze, ad immagine della Trinità. Dio è all’interno di unioni anche dolorose, è presente nella fatica dell’uomo e della donna, che vogliono diventare sempre più comunità di persone. Occorre la determinazione che ebbe la Chiesa dei primi tempi.
Non è semplice. Occorre non indulgere alla superficialità e all’egoismo, che condurrebbero inevitabilmente ad una prassi simile a quella rifiutata da Gesù. Occorre non rifugiasi in pensieri astratti, non puntare a sole rigidezze giuridiche e legali, che sarebbero opposte al suo spirito che sempre privilegia il bene delle persone e accoglie tutti.
La Chiesa deve fidarsi dello Spirito Santo ed ha il dovere di rivedere da capo a fondo tutta la problematica matrimoniale, dalla preparazione alla celebrazione, perché sia esplicitamente vissuta nella fede, dall’accompagnamento delle coppie all’accoglienza fraterna di quanti conoscono il dramma del fallimento, sapendo di essere responsabili davanti a Dio della fedeltà al Vangelo. Questa fedeltà chiede alla Chiesa di annunciare il Vangelo del matrimonio. E a farlo anche quando sa che tra i suoi figli vi sono dolorose esperienze di fallimento con tutte le conseguenze amare che sappiamo. A farlo con fraternità non ipocrita verso chi vive faticosamente tali situazioni, senza falsificare l’insegnamento, ma sapendo ed assicurando che, in qualsiasi situazione si trovi, nessuno deve sentirsi estraneo: si è sempre e pienamente figli di Dio.
Soprattutto annunciando a tutti che il Vangelo del matrimonio è donato dagli evangelisti dopo due annunci della passione, mentre i discepoli vanno con Gesù a Gerusalemme. Dove donerà la vita. Non si può separare il cammino del matrimonio dal cammino della croce, ma bisogna radicarlo in esso, sapendo che conduce alla vita più forte della morte.
È quello che oggi domandiamo nella preghiera, come hanno testimoniato Franco e Cristina in questi giorni, nel cinquantesimo anniversario del loro matrimonio: “Non siamo rimasti delusi, perché il focolare fondato sulla roccia è rimasto saldo, malgrado le tempeste della vita, grazie alla presenza del Signore al nostro fianco, che ci ha infuso coraggio e fiducia”.
È un augurio importante per tutti!
Nel decimo capitolo del suo vangelo, Marco continua a riferire l’insegnamento di Gesù, che, particolarmente per i dodici, tocca argomenti di importanza fondamentale per la vita cristiana, dal matrimonio ai bambini, dal regnare al servizio, dal possesso della ricchezza alla rinuncia. Oggi l’insegnamento verte sulla indissolubilità del matrimonio: esso è motivo di disagio per tanti e di sofferenza, specialmente per quanti ne avvertono l’inconciliabilità con la propria vita, fino a sentirsi esclusi dalla benedizione di Dio. Ma, a guardar bene, Gesù non appare preoccupato di condannare qualcuno, ma piuttosto impegnato a donare il pensiero eterno di Dio. La volontà del Creatore nel momento della chiamata alla vita è molto più profonda di quanto verrà proposto in termini di comandamenti e permessi. Cosa vuole Dio dal matrimonio tra un uomo e una donna? È quello che corrisponde al bene vero della natura umana. Questo bene è la chiamata a diventare una cosa sola, insieme e in profondità. Questa l’intenzione originaria alla quale Gesù rimanda citando i primi capitoli del libro della Genesi (Gen.1,27;2,24): che l’uomo e la donna, nell’amore del matrimonio, partecipino all’unità di Dio; che siano perciò testimoni di un dono di Dio a tutta l’umanità e che siano segno della vocazione di tutta la creazione, quella di essere una cosa sola con Dio. Perciò l’uomo non può dividere quello che Dio ha unito: la disunità genera sofferenza anche nel mondo inanimato. Non si tratta di un comandamento, ma della verità delle cose.
Questo significato profondo, come un archetipo rimane, anche quando la nostra povera storia personale sperimenta l’incapacità di realizzarlo. Per evitare sia l’ipocrisia di chi si vanta, sia l’angoscia degli sconfitti, Gesù non pronuncia un giudizio morale su chi vive il fallimento del proprio desiderio e progetto iniziale, non dice che Dio non lo ama più. Dice quello che è nel cuore di Dio Creatore per l’uomo e la donna chiamati alla vita e all’unità a propria immagine. Lo dice perché è certo che questo è il bene dell’uomo di ogni epoca.
Ho letto in questi giorni le espressioni limpide di uno scrittore della Martinica: “La verità umana non è quella dell’assoluto, bensì quella della relazione. Ogni identità esiste nella relazione; è solo nel rapporto con l’altro che cresco, senza snaturarmi. Ogni storia rinvia ad un altra e sfocia in un’altra” (Eduard Glissaut, in “Corriere della sera”, 30-09-09)
Gesù dona il suo insegnamento sulla strada che va a Gerusalemme, dove il suo progetto andrà in fallimento, così come il matrimonio di molti va in pezzi. Ma quel Gesù che va in pezzi sulla croce verrà assunto nella vita di Dio, che non passa. Così – lo dico specialmente ai nostri fratelli separati – tutti i nostri fallimenti ricevono il dono della speranza, in un modo di cui noi non conosciamo la realizzazione e i tempi, ma che nasce dalla certezza di Dio, che è Amore e può dare forme nuove di vita e di dono. San Paolo lo annuncia con chiarezza e con una parola che si addice alle sofferenze generate dal fallimento: “Se siamo stati intimamente uniti a Lui a somiglianza della morte, lo saremo anche a somiglianza della sua resurrezione” (Rom.6,5).
Così il Signore si fa rivelazione del sogno di Dio che precede il peccato dell’uomo: “non è bene che l’uomo sia solo”.
Nella realtà “molto buona”! creata da Dio c’è un “non bene” per l’uomo ed è la solitudine. Perciò, un matrimonio che non si divide non è l’obbedienza ad una disposizione di legge, ma è “vangelo”, buona notizia della possibilità dell’amore fedele, sospinto dalla tenerezza, che sa resistere alla “durezza del cuore” che il limite umano e la legge che cerca di regolarlo portano nella vicenda della vita.
Pur di fronte alla inevitabilità della separazione e dei divorzi, come credenti, dovremmo tutti vigilare perché l’indurimento del cuore, che può essere generato dall’assuefazione al fallimento, non porti alla disistima del sogno di Dio, come avvenne agli stessi dodici, secondo il resoconto di Matteo: “se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi” (Mt.19.10). Comprendiamo che il matrimonio fedele non è qualcosa di isolabile dall’insieme dell’esperienza cristiana, ma è strettamente collegato ad essa, non solo nel senso di fede creduta e di prassi religiosa, ma di esperienza umana “contagiata” dalla fedeltà di tanti. Come amano dire le famiglie che camminano in fraternità all’interno della nostra comunità: “insieme è meglio!”.
Nel maggio del 1943, Dietrich Bonhoeffer scriveva a due amici che si sposavano:
“Il matrimonio è più del vostro reciproco amore.
Esso possiede un valore ed una potenza maggiori, perché è un’istituzione santa di Dio, attraverso la quale egli vuole conservare l’umanità fino alla fine dei giorni…
Il matrimonio è qualcosa di sovrapersonale, è uno stato, un ministero…
Così, avete udito la parola che Dio dice sul vostro matrimonio.
Rendetegliene grazie, rendetegli grazie per avervi guidato fin qui e pregatelo di fondare, consolidare, santificare, custodire il vostro matrimonio; in questo modo voi sarete qualcosa ‘a lode della sua gloria’ “
(Dietrich Bonhoeffer, “a due sposi”, maggio ’43)
Sulla via che porta a Gerusalemme continua la scuola di formazione dei Dodici perché abbiano chiarezza e determinazione sui contenuti del Vangelo. Gesù riconduce ogni realtà umana al progetto originario del Creatore e Marco ne riferisce nel capitolo 10 con tre grandi realtà: il matrimonio, i bambini, il danaro.
A cominciare dall’indissolubilità. Gesù ne parla sollecitato dalla provocazione di una domanda, richiama la legislazione di Mosè per dire che la norma della liceità del ripudio era stata causata dalla “durezza del cuore” del popolo. “Durezza del cuore” nella Bibbia è sinonimo di resistenza al volere di Dio. Gesù ribadisce il suo insegnamento anche nel secondo momento, nella tranquillità della casa, che consente maggiore profondità. Dice che fedeltà e indissolubilità riguardano in maniera identica l’uomo e la donna: Dio pone nella loro unità il segno visibile del suo stesso essere eterno dono di amore, per cui la loro unità domanda un sì reciproco all’altro, che non ammette ripensamenti.
Senza l’illuminazione della Parola di Dio, e senza la sua grazia, non si è capaci di accogliere e di far proprio l’insegnamento di Gesù. Solo la sua donazione radicale, quello che l’attende a Gerusalemme, il suo dare la vita per quanti egli ama, saranno la spiegazione dell’insegnamento e lo spazio per la comprensione dell’indissolubilità come bene dell’umanità, del male per tutti che è il divorzio, di cui il cristiano alla luce delle Scritture sente con certezza la profonda contraddizione con il progetto di Dio.
Quella fatta a Gesù non appare come una domanda di chi cerca la verità, ma piuttosto come quella di chi è preoccupato di ottenere un “permesso” per il proprio comportamento. Gesù non risponde direttamente. Domanda che cosa avesse ordinato Mosè nella legge del Sinai, per risalire – oltre di essa – all’intenzione originaria di Dio Creatore : “Ma dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina e i due diventeranno una cosa sola”. E conclude: “Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Non si tratta di un comandamento, di una norma giuridica che prevede il “permesso”, la deroga, ma di una ispirazione profonda, l’intenzione del Creatore che domanda alla donna e all’uomo di essere l’una per l’altro ad immagine della sua realtà trinitaria.
Che l’uomo e la donna, nell’amore coniugale, partecipino all’unità di Dio, è un dono inestimabile di Dio all’umanità. Come Paolo scriverà, questa partecipazione è lo scopo di tutta la creazione, tutta chiamata ad essere ricapitolata nell’unità (Ef.1,10). Gli sposi, aiutati dalla grazia del sacramento, lo sperimentano, e testimoniano con gioia che l’unità è possibile. Perciò la parola della Genesi non è un comandamento, ma una conseguenza. Gesù dice che quello che è diventato una cosa sola, per dono di Dio, nell’unità dei corpi e dello spirito, per natura sua, per intrinseca esigenza del dono stesso, deve restare tale, perché Dio non conosce ripensamenti. È il bene più profondo dell’uomo. E conseguente è anche la constatazione dell’adulterio, nella carne e nella dimensione intima del cuore, col frantumarsi dell’unità. Uomini e donne, sullo stesso piano, devono rendersi conto che il ripudio cozza contro il significato stesso del matrimonio.
La parola di Gesù ha valore anche oggi.
I credenti che vivono la rottura del matrimonio nel divorzio e nelle nuove unioni, soffrono per questo testo del Vangelo di Gesù, come fossero allontanati da Dio e giudicati con durezza dalla Chiesa. Sanno, nell’intimo, di vivere l’insuccesso di quello che avevano sentito come il loro progetto originario.
Gesù dona il suo insegnamento e lo fa come Figlio che vuole solo il compimento del progetto di Dio Padre per il bene dell’uomo, senza accusare di peccato e di colpe chi si trovi in situazioni difformi. Nessuno resta fuori dell’amore misericordioso e paterno di Dio, anche quando avesse coscienza di aver mancato lo scopo che si era prefisso. Dona il suo insegnamento mentre cammina vero Gerusalemme, dove lo attende la croce. Sulla croce il suo progetto di vita andrà in pezzi, così come per molti credenti va in pezzi il matrimonio. Marco ci dice, ed è la buona notizia del Vangelo, che Gesù, andato in pezzi sulla croce, viene risvegliato da Dio ad una vita nuova. Il suo parlare dell’intenzione di Dio mentre va alla morte in croce, dona a tutti noi la speranza che i nostri fallimenti, portati nella luce di quella croce, diventino passaggi, strade, anche se buie e fredde, verso spazi di luce e di fecondità, nuovi inizi e possibilità di amore. Le vie del fallimento, infatti, nell’esperienza cristiana, possono trasformarsi in vie di santità. Così, tanti vivono con pace nel cuore l’oltre della separazione.
Domandiamolo per l’umanità, per quanti amiamo.