XVIII DOMENICA T.O. – Anno B
(Es 16,2-4.12-15; Sal.77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35)
“Maestro, quando sei venuto qua?”
È la domanda che mostra quanto la gente sia presa ancora dalla ricerca del meraviglioso, dopo il prodigio del pane moltiplicato. E Gesù svela la banalizzazione della sua presenza, cercata per l’interesse immediato e materiale. Parla usando il doppio “amen”, “in verità, in verità vi dico”, con grande autorevolezza. Ed esorta la folla a procurarsi, a lavorare per conseguire – come dice il verbo greco – non il pane che riempie lo stomaco, non il cibo che perisce, ma quello che dura. C’è un genere di nutrimento che trascende, va oltre il pane materiale, e questo deve essere l’oggetto della ricerca della gente, è per ottenere questo che ognuno deve operare.
“Il cibo che dura per la vita eterna” sarà donato dall’unico che può far conoscere Dio perché è il mandato da Lui. Egli lo darà. Cosa sarà? Quando lo darà? Come? Le domande si moltiplicano. Nel racconto del vangelo, più avanti, ci sarà un momento in cui la rivelazione si compirà nell’innalzamento del Figlio sulla croce. In Lui il Padre darà il cibo che dura per la vita eterna. In quel momento Dio, nel suo amore eterno, metterà fine al tempo della preparazione in cui tutta la fame del cuore umano, tutta l’attesa si doveva esprimere nella speranza, al futuro. Nel dono del Figlio crocifisso Dio darà compimento al presente che non finisce, che è definitivo, come la firma, il sigillo che garantisce il presente e che, pienamente attuato, rimane per sempre: “Ecco l’uomo!” (Gv.19,5).
Gesù parla ancora al futuro, ma ormai il tempo del presente che non finisce sta per compiersi. Mentre si avvicina la Pasqua, Gesù insegna che è giunto il tempo di un pane di vita che è opera del Padre, un pane che sorpassa ogni nutrimento umano. Credere a colui che il Padre ha mandato, perciò, è l’opera a cui i credenti sono chiamati, l’opera che frutta la vita eterna, introduce nell’eternità del suo amore fedele, nel suo presente.
Il popolo di Israele non poteva dimenticare, nella sua memoria di fede, il dono del pane ricevuto nel deserto. Dio stesso, attraverso Mosè, aveva per lunghi anni nutrito il suo popolo. Per un popolo che aveva conosciuto la fame e la fatica per guadagnare il pane, non solo al tempo del deserto, ma anche tante altre volte, quella del pane che non sarebbe mancato costituiva la promessa più grande. Per conseguenza, la figura di Mosè con i suoi gesti ed i suoi insegnamenti era divenuta sempre più grande ed esemplare. Egli aveva indicato per il popolo di Dio la fine di ogni necessità, l’eliminazione della fame per sempre. Ma Mosè non poteva vedere Dio, neppure domandandolo nella preghiera, perché Dio stesso gli dice: “Il mio volto non lo si può vedere” (Es.33,20). Ora Gesù dice di sé: “Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e da la sua vita al mondo”. E Giovanni dirà espressamente anche nel prologo del suo vangelo: “Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv.1,18). Una conseguenza per tutti noi, spesso legati più al passato, che attenti al presente. Soltanto chi è in Dio, vede Dio. Gesù parla della sua visione del Padre, del suo dialogo ininterrotto con Lui, quel dialogo che costituisce tutta la sua vita. In lui non c’è il “vedere di spalle” concesso a Mosè, ma la Parola, espressione della contemplazione viva e continua, dell’unità senza parzialità e incrinature.
Anche il pensiero ebraico più profondo aveva intuito che il vero pane del cielo per il nutrimento del popolo di Dio, è la Sapienza di Lui, la sua Parola, il suo pensiero. Quello è il pane vero. È in questa prospettiva che Gesù si propone come il pane che da la vita, Sapienza che rende accessibile il divino nella sua realtà di pane di cui perciò occorre nutrirsi. Parola da mangiare e assimilare. Perciò la dialettica delle domande e risposte tende a far emergere dal vangelo che il dono di cui l’uomo ha bisogno non può essere atteso e cercato al livello dello sfamarsi materiale, ma su un altro piano. L’uomo credente in Gesù può e deve fare della Sapienza il proprio nutrimento di ogni giorno, momento, avvenimento.
Perciò accogliamo la Parola del Signore : “Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e da la vita al mondo”.