SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – Anno C
(Gen. 14,18-20; Sal. 109; 1Cor. 11,23-26; Lc. 9,11-17)
In ogni celebrazione, ma oggi in maniera particolarissima, la Chiesa ci ricorda che, con l’Eucarestia, l’Incarnazione continua nel tempo. Cerchiamo perciò di entrare nell’intenzione del Signore, che traspare nelle letture ed impegniamoci a compierla nella nostra vita, liberandoci da concezioni sbagliate dell’Eucarestia, per avere la libertà di viverne il senso vero, in pienezza. Liberiamoci dal pensare l’Eucarestia come “precetto” – parola infelice – per entrare sempre meglio nell’intenzione del Signore!
Ascoltiamo il Vangelo di Luca: “Gesù prese a parlare alle folle del Regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”. L’intenzione di Dio è manifestarci la sua presenza, che ci accompagna lungo il cammino della nostra vita: la Bibbia ci racconta costantemente che Dio si accorge della nostra situazione, vede, provvede, si rende prossimo, accompagna, nutre, perdona… Tutti questi verbi si attualizzano nella presenza del Signore nell’Eucarestia. È una presenza che si rende concreta nel tempo dell’uomo. Luca prosegue così il suo racconto: “Il giorno cominciava a declinare…”. L’Eucarestia è l’iniziativa di Dio per il tempo della stanchezza, risponde al nostro bisogno di trovare nutrimento, riposo, guarigione. Non è solo il tempo fisico del tramonto, è il tempo storico della penombra, è il tempo in cui oggi ci troviamo a vivere, dopo la presunzione di un tempo illuminato, è il tempo in cui il non riuscire a vedere bene sembra autorizzare solo il sospetto, la paura per tutto. Anche nel capitolo 24 di Luca i discepoli di Emmaus incontrano, riconoscono il Signore risorto quando “si fa sera e il giorno già volge al declino”. Ma Luca ci dice anche che ai discepoli che si accorgono della folla che ha fame, Gesù risponde: “Dategli voi stessi da mangiare”. L’Eucarestia suscita la responsabilità della Chiesa verso l’umanità, domanda ai discepoli di dare il pane alla folla, aprendosi sempre più all’iniziativa di Dio, imparando a rendersi conto dei bisogni degli uomini.
Per comprendere meglio il mistero grande della presenza del Signore nell’Eucarestia, cerchiamo di vedere come lo ha accolto la Chiesa delle origini. Ce lo dice il capitolo 11 della prima lettera di Paolo ai Corinzi, che vi consiglio di leggere tutto. L’Eucarestia è iniziativa di Dio, è possibilità donataci di fare memoria di Gesù morto e risorto. Con questo termine, così spesso presente nella Scrittura, pronunciato da Gesù steso al momento dell’Ultima Cena, “Fate questo in memoria di me”, non si intende la memoria umana di commemorazione, ma il rendersi realmente presente del Signore morto e risorto tra noi. È il gesto di Gesù che i discepoli devono rinnovare, accogliendo la sua presenza salvifica, lasciandosi “prendere” da lui, mentre offre la sua vita, per condividere questo suo atteggiamento a favore dell’umanità. È una via lunga e faticosa, che richiede accoglienza dell’aiuto del Signore che ci viene incontro. Quando invece c’è rifiuto reale e consapevole da parte dell’uomo di accogliere la via del dono, indicataci da Gesù, quando c’è chiusura volontaria e cosciente, solo allora non c’è compatibilità con l’Eucarestia. Questo rifiuto di fondo impedirebbe al credente di andare all’Eucarestia, che ci vuole trasformare. Nell’accoglienza del dono senza limiti del Signore siamo chiamati a superare le divisioni tra fratelli, le divisioni nella società, siamo chiamati al rispetto per l’altro, all’attenzione costante verso il povero. La nostra partecipazione al pasto del Signore deve manifestare e rendere credibile l’iniziativa di Dio a favore di tutta l’umanità. Perciò una celebrazione eucaristica vissuta in maniera privatistica ed elitaria sarebbe contraddittoria con l’intenzione del Signore, sarebbe presunzione, perché ridurrebbe l’iniziativa di Dio per tutti a quella chiusura individualistica, che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Lascerebbe ancora una volta il povero solo con la sua fame. In ogni senso. Paolo è molto netto. La volontà di chi respinge il suo progetto di dono e di condivisione, rende impossibile celebrare l’Eucarestia, perché è in contrasto con l’intenzione del Signore. Perciò dobbiamo fare attenzione anche a purificare il nostro linguaggio. Se do un’offerta quando chiedo una Messa, non “pago” la “Messa mia”. Con queste parole renderei oggettivamente offesa all’intenzione del Signore. Purificare il linguaggio, liberarci dalla suggestione della solitudine intimistica. Anche se il Signore ci invita alla preghiera solitaria, l’Eucarestia ci dà la certezza che il vero incontro con il Signore avviene nella comunità: la reciprocità, la relazione cui sono chiamato, rende presente nell’assemblea il corpo vivo del Signore. Il segno della pace che ci scambiamo non è solo gesto di cordialità, ma espressione della nostra volontà di vivere con l’altro, di convertirci all’atteggiamento che Gesù ha avuto, ha per ciascuno di noi. Porgere la mano all’altro significa dirgli che, con l’aiuto della presenza del Signore in me, sono pronto a dare la vita per lui!
Che cosa ci fa comprendere oggi l’Eucarestia, la festa del Corpo e del Sangue di Cristo? Nel narrarci la moltiplicazione dei pani, segno che anticipa l’Eucarestia, Luca ci mostra i discepoli che si prendono cura della folla. Essi hanno atteggiamenti liturgici, perché la liturgia è obbedire al volere del Signore, è avere rapporti con la comunità, farsene carico. Lo Capirono i due discepoli, che, dopo avere incontrato il Risorto sulla strada di Emmaus ed aver cenato con lui, trovarono la forza di ripercorrere il cammino fatto, di tornare a Gerusalemme per annunciare ai fratelli: “Abbiamo visto il Signore risorto!”. Troviamo anche noi nel pane dell’Eucarestia la grazia di Dio che opera nel nostro presente. Gesù ci chiede di morire progressivamente a noi stessi, alla chiusura del nostro egoismo, per aprirci sempre più all’altro.
Come diceva Igino Giordani: con l’Eucarestia “mi sono messo a morire di questa morte che non muore più”. Qui è la ricchezza perenne dell’Eucarestia. Dio incontra ogni singolo, gli parla nell’intimità nel suo cuore, come un “tenue mormorio di silenzio”, analogo a quello che ascoltò Elia nel suo incontro con Dio sul monte. Il Signore ci comunica nell’intimità la sua comprensione per l’umanità e ce la affida, perché diventiamo segno della sua presenza nel mondo. Ci dice “Dà te stesso da mangiare al fratello”. Le parole non possono essere scontate. Gesù ci invita a farci sempre più dono per tutti. I credenti devono inter-cedere nella storia e nella città, a favore di tutti, devono porsi nel mezzo, camminare fra il mondo e Dio, perché egli si renda sempre meglio presente attraverso di noi. Anche l’esercizio del voto, oggi, deve essere a favore della comunità, della città. Dopo ogni Eucarestia, la Chiesa ci dice “Andate!”, non siate retroguardia brontolona, ma avanguardia che segue Gesù verso Gerusalemme, lì dove gli uomini sono tutti fratelli, dove non esiste il più grande e il più piccolo, il più ricco e il più povero, ma solo la famiglia dei credenti..
Questo comprendiamo e in questo crediamo.
Gesto di fraternità, dono di amore: così l’istituzione dell’Eucarestia appare nella narrazione degli evangelisti, che sembrano invitare alla contemplazione dell’Amore che è donatore e dono, iniziativa e presenza.
Il sacerdote, che è ministro della consacrazione, è semplice strumento di Gesù che, attraverso il ministero, mantiene la sua presenza in ogni tempo e in ogni luogo. È il testamento, come appare chiaramente nel vangelo con l’invito ripetuto “fate questo in memoria di me”, che Paolo fa suo nelle comunità che vanno sorgendo e organizzano la loro vita.
È la “santa tradizione”, nel senso di autoconsegna, di amore vissuto nel dono di sé che rimane per sempre. Gesù non scrive libri, non lascia cose, ma il suo Corpo e il suo Sangue, “il Sangue che ha redento il mondo”, come scrive s. Ambrogio. Un gesto che non domanda di essere presente al suo primo realizzarsi, in senso di presenza fisica e cronologica, perché è Lui che si renderà presente nella sua identità ogni volta che i discepoli, obbedendo al suo comando, rifaranno la cena in sua memoria.
È il gesto in cui Dio Padre porta a compimento il suo dono, non c’è oltre al dono del Figlio, non può dare di più.
Oggi celebriamo questo e non c‘è altro da cercare oltre il silenzio dell’adorazione e della lode.
Annunciare la morte del Signore. Non una morte da piangere, ma quella che genera la riconciliazione ed ha come frutto la pace. Nella “Cena del Signore” è Lui presente che dona la sua morte “per voi”. Il dono raggiunge il credente, nell’intimo e accresce la vita.
Perciò l’Eucarestia non si esaurisce nella celebrazione liturgica, ma fiorisce inevitabilmente nella carità fraterna in cui il dono “per voi” si estende nel “per voi” dai credenti all’umanità. La Chiesa deve sempre invitare i fedeli a non puntare solo alla esteriorità della celebrazione, ma al segno radicale del dono di sé, che è il frutto inevitabile dell’Eucarestia celebrata e ricevuta nella fede.
San Paolo ai Corinti dice con chiarezza la fede e la prassi della Chiesa dei primi tempi. Il suo non è un insegnamento astratto ma invito a vivere la “cena del Signore” alla luce dei gesti e delle parole di Lui. Così sarà il “culmine e la fonte” della vita di fede (LG. 11).
Paolo si rivolge ad una comunità divisa su diverse questioni: sugli atteggiamenti da assumere verso l’esterno, sulle relazioni interne tra i membri diversi tra loro, sulla stessa celebrazione dell’Eucarestia. Paolo richiama all’unità, non tanto per una preoccupazione disciplinare, ma per fedeltà al Signore che si è dato e continua a darsi ai suoi. È necessario – dice – esaminarsi sulla propria disposizione verso il Signore, perciò sulla fede; e sulle relazioni verso i fratelli nella comunità, perciò sulla carità: l’Eucarestia è infatti, per natura sua, comunitaria. Viverla con criterio individualistico equivarrebbe a “mangiare e bere la propria condanna” (v.29).
Viene detto a tutti noi in questa celebrazione, non certo per incutere sgomento, ma per vivere con responsabilità il dono del Signore, con gioia e riconoscenza, che non si può vivere l’Eucarestia senza tensione ad essere una comunità di fede e di servizio, che si riunisce nella speranza della presenza del Signore e per crescere come Corpo di Lui che si spende nel lavare i piedi, nel servizio all’uomo.
La comunità deve sapere che il “per voi” significa puntare direttamente e con attenzione personale ai singoli, uomini e donne che ci vengono dati perché possano sperimentare di essere raggiunti dall’amore di Dio. Perciò non appartiene alla comunità la restrizione dell’accoglienza e dell’ospitalità a difesa del proprio individualismo. Se così dovesse essere, dice Paolo: “Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!” (v.22).
L’umanità dovrà conoscere Dio e la propria vocazione alla fraternità dal segno concreto di tensione all’unità destinata a tutti i popoli, che è la ragione per cui la Chiesa esiste (L.G.1). Questa possibilità di conoscenza passerà certo attraverso i contributi culturali e quelli delle scienze umane, ma necessariamente passa attraverso la fraternità cercata incessantemente e proposta come frutto del pane spezzato e del Sangue versato per tutti.
“Fate questo in memoria di me” è dunque il criterio di verità per quanti partecipano alla celebrazione dell’Eucarestia. Memoria di Gesù mentre dona la vita perché l’umanità, dei discepoli e di tutti, possa riceverla “in abbondanza”.
All’origine dell’Eucaristia sta il Signore Gesù. Nasce dalla sua iniziativa. È Lui che prende il pane, lo spezza, lo dona come suo Corpo; Lui porge il calice che contiene il suo Sangue, nel quale si compie l’alleanza di pace tra Dio e il suo popolo. È Lui perciò che si consegna interamente ai suoi, la sua “tradizione”, nell’interezza della sua Persona, non a parole ma a fatti reali con il Corpo dato e il Sangue versato.
L’Eucaristia è la verità e totalità di Gesù Cristo, che la Chiesa continua a ricevere da Lui stesso, dalle sue mani “sante e venerabili”, “nella notte in cui fu tradito”. Destinatari di quelle mani che offrono e porgono siamo tutti noi, ed Egli è presente per la forza del “Fate questo in memoria di me”, non per ripetere o rinnovare la sua morte, ma per avvolgere quanti si ritrovano a rinnovare la cena in memoria di Lui nella sua identità di Figlio donato da Dio all’uomo, in modo irrevocabile, alla cui irrevocabilità non c’è oltre. L’Eucaristia è il mistero dell’amore fedele.
Il primo sentimento è quello della riconoscenza, il “Rendiamo grazie a Dio!”.
Ai fedeli di Corinto, che stentavano a diventare famiglia di Dio per la sete rissosa di prestigio, fino alla perdita della carità fraterna e con essa fino allo smarrimento del significato stesso dell’Eucaristia, san Paolo scrive parole di rimprovero duro per non rendere evidente che il Signore ha dato la vita per la salvezza e la liberazione di tutti. Il loro ritrovarsi non può assomigliare alla commemorazione triste di un defunto o alla celebrazione orgogliosa di un eroe, ma deve essere accoglienza grata di una morte che dona redenzione, riconcilia, riscatta. È la morte di Gesù, che in ogni tempo e per ogni tempo è sorgente di vita, contemporanea di ogni esistenza, per la Chiesa che vive l’Eucaristia e ne riceve grazia, perdono, pace, partecipazione al suo mistero, assunzione di tutte le conseguenze che ne derivano per l’umanità.
Ai cristiani di Corinto, a noi nella celebrazione liturgica non solo di oggi ma di ogni volta che la viviamo, viene annunciato che l’Eucaristia professa e testimonia la carità. Secondo Paolo la Chiesa è radicata nel sacramento della Cena del Signore. Non si può separare la celebrazione del sacramento dall’atteggiamento di servizio verso i fratelli, dall’edificazione della comunità, dal territorio in cui avviene, dalla città degli uomini in cui i cristiani vivono al presente. L’egoismo è il peggior peccato contro il significato della cena del Signore, è il disprezzo della comunità di Dio. Perciò san Paolo scrive parole dure: “Non avete forse le vostre case per mangiare e bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!” (1Cor.11,22). È la dimensione sociale, strettamente legata alla natura stessa dell’Eucaristia. L’intenzione del Signore che ha offerto il suo Corpo e il suo Sangue è di trasformare i suoi nel suo Corpo dato e nel suo Sangue versato, in Se stesso. Questa è la continua attualizzazione dell’Eucaristia, il presente della Chiesa nel mondo: “Fate di voi stessi il pane da mangiare”.
Per questo motivo la lunga tradizione pone nel cuore della città il segno della processione che questa sera percorrerà le strade del nostro territorio, nella villa comunale, tra i segni di degrado che dicono bisogno di un patto nuovo di socialità, di convivenza, di fraternità. La memoria diventa ora in cui la comunità assume gli stessi sentimenti, la stessa prospettiva di Gesù, lasciandosi trasformare in Lui che è il Signore, “finché Egli venga”.
È la stessa lunga tradizione che custodisce nella liturgia l’Amen che conclude la preghiera eucaristica, che Giustino, laico del II secolo, dice che “era gridato da tutto il popolo” e che Agostino raccomandava ai fedeli di Ippona come un sottoscrivere, acconsentire: “Dire Amen è firmare”. E nel nostro tempo Romano Guardini ha individuato come qualcosa che “inserisce l’instabilità della creatura nella fedeltà di Dio”.
Agostino stesso spiega:
“Se vuoi comprendere il mistero del Corpo di Cristo, ascolta san Paolo che dice ai fedeli: “Voi sete corpo di Cristo e sue membra” (1Cor.12,27).
Se voi dunque siete il corpo di Cristo e le sue membra, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi.
A ciò che siete rispondete: “Amen” e rispondendo lo sottoscrivete.
Ti si dice infatti: “Il Corpo di Cristo” e tu rispondi: “Amen”.
Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen”.
(Discorso 271,1)