DOMENICA DELLE PALME – Anno C
(Is. 50,4-7; Sal. 21; Fil. 2,6-11; Lc. 22,14-23,56)
Sono i giorni che invitano alla contemplazione della passione, alla riflessione attenta su cosa significhi, nella vicenda di Gesù, credere in Dio come Padre, che ama immensamente il Figlio, ed ogni figlio; una paternità che si spiega nell’obbedienza della fede, che le lascia spazio di iniziativa e di creatività, che domanda perciò l’interiorità della preghiera, la dedizione fino alla fine, l’amore che non viene meno, il perdono per gli offensori.
Gesù crocifisso è la rivelazione di Dio esposto alla contraddizione ed al rifiuto, che si presenta come un amore offerto con tenacia e gratuità e tuttavia un amore fragile e disarmato. Così lo aveva annunciato Isaia, come il servo che “esporrà il diritto alle nazioni, senza gridare né alzare il tono, senza spezzare la canna incrinata né spegnere la fiammella smorta” (Is.42,2-3). La sofferenza del crocifisso, per gli evangelisti, è la realizzazione di quanto appare sconcertante anche per il credente. In lui Dio sembra nascondersi fino ad identificarsi con la sofferenza e la debolezza dell’uomo, “disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire” (Is.53,3), portando le malattie e i dolori che sono nostri. La sua sofferenza supplisce la nostra incapacità radicale di superamento del male. Le sue piaghe ci guariscono., la sua persona dona senso ad ogni cosa. In Lui è svelato il mistero d Dio, non solo come potenza creatrice, non solo come giustizia che domanda conto della verità di ciascuno e della storia, ma come Salvatore che raggiunge tutti nel Figlio sofferente e solo.
La profezia e la realtà si compiono, perciò, in Gesù e sono la storia di Dio con gli uomini, la seconda e piena alleanza, annunciata da Geremia (Ger.31,31-34): in essa la rivelazione di Dio svela l’uomo a se stesso, come amato, cercato, atteso fino alla fine, personalmente e gratuitamente come il malfattore che muore insieme a Gesù, come uomo chiamato a vivere la sua stessa gratuità per la nascita di una umanità autentica che prende le mosse da lui. Il dramma stesso della morte a cui il Signore va incontro e che, a prima vista, sembra il fallimento della sua missione, sta a dire una dedizione e un amore capaci di superare ogni resistenza, facendosi intercessione ed offerta per tutto il popolo. Questo modo di vivere fino alla fine e di morire nel dono di sé ci illumina sul modo in cui Dio salva e perciò sul suo modo di essere potente e vicino ad ogni uomo.
Perciò contempliamo il mistero di una nuova rivelazione di Dio come Salvatore che si mostra nella vicenda di Gesù. La profezia e la realtà si congiungono e si compiono in Gesù e sono la storia di Dio con l’umanità.
Questo racconto è il centro della fede cristiana e ci coinvolge.
Recentemente Paul Ricoeur così scriveva:
“La nostra fede ha un valore strutturale ed è sorgente di riflessione sulla condizione umana, sui rapporti dell’uomo con se stesso, e con gli altri … Ogni uomo può comprenderlo. Entrare nel movimento della fede è decidere di fare di questo servitore, di Gesù Cristo, il principio organizzatore della propria vita, della sua comprensione e del rapporto con gli altri.” (Paul Ricoeur, “La logica di Gesù”)”
“La passione del Signore è una figura del nostro tempo nel quale piangiamo. I flagelli, le funi, gli oltraggi, gli sputi, la corona di spine, gli insulti, gli scherni e, ancora, la croce, le sacre membra sospese al patibolo, cosa ci rappresentano se non il tempo in cui viviamo? Tempo di ambasce, tempo di mortalità, tempo di prova? Perciò è un tempo sporco. Occorre pertanto che tale sporcizia, che sa di letame, sia sotterrata nel campo e non resti dentro casa. Occorre che la nostra tristezza sia motivata dal nostro aver commesso peccati, non dall’aver dovuto rinunciare a passioni. Tempo sporco, è vero, ma se ne usiamo bene, tempo fertile. C’è forse qualcosa che superi in sporcizia un campo coperto di letame?.. ma lo si dovette ridurre a quella condizione di sporcizia, perché producesse l’abbondanza. È dunque la presente sporcizia una realtà simbolica: sia per noi la stessa sporcizia un tempo di fertilità. Volgiamoci al profeta e sentiamo cosa dice: Lo abbiamo veduto, non aveva bellezza né attrattive … Figura ripugnante quella del crocifisso! Ma dalla sua bruttezza venne fuori una splendida bellezza. Quale? Quella della resurrezione. Poiché: “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal.44,3)” (Agostino, discorso 254,5)
La liturgia invita alla lettura attenta e all’ascolto profondo, a porsi in contatto intimo con il racconto, in rapporto personale con il Signore che si svela nell’accoglienza del cuore. I quattro evangelisti narrano la passione di Gesù secondo la loro sensibilità personale, come quattro varchi che introducono all’unico mistero che, perciò, già nel secondo secolo, Ireneo di Lione definiva “quadriforme”. Nel racconto di Luca si susseguono alcuni “quadri” che possono favorire la meditazione.
– la cena, “tanto desiderata” dal Signore. E’ come un atrio, una preparazione alla comprensione di quello che sta per essere vissuto da Lui e dal gruppo dei suoi. Gesù “si consegna” nell’istituzione dell’Eucarestia, rende consapevoli i discepoli della fragilità della loro fede, ma li incoraggia assicurandoli della sua vicinanza, mite e misericordiosa, attraverso il servizio autorevole di Pietro. Per noi la cena di Gesù è l’ambiente in cui matura l’esperienza della certezza della via della croce, il luogo che favorisce l’adesione a quella via che ci viene sempre proposta nella preghiera silenziosa dell’adorazione.
– la preghiera. “Padre” è la parola con cui comincia il racconto della passione e sarà l’ultima pronunciata prima di spirare. Così tutta la vicenda di Gesù appare come un’inclusione, dal Padre che lo ha voluto uomo al Padre a cui ritorna. Un itinerario che passa attraverso la lotta interiore e il dolore non condivisibile con nessun altro, se non da un angelo confortatore sopraggiunto mentre il suo sudore diventava “come gocce di sangue che cadono a terra”. “Se vuoi allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. In questa preghiera lunga e faticosa sta la radice dell’offerta che Gesù fa di sé per l’umanità. In essa Dio si dice Amore forte, paterno e misericordioso. Preghiera di Gesù, modello per noi quando siamo chiamati a scelte forti per quanti sono affidati al nostro amore.
– il processo giudaico e davanti a Pilato. Luca mostra Gesù innocente, in Lui nulla va contro la legge di Mosè o di Roma; e sottolinea il suo silenzio, la sua mitezza per evidenziare la sua via, la solidarietà con ogni innocente accusato e condannato ingiustamente e la sua proposta agli uomini di cercare la verità e il bene comune rompendo il circolo vizioso della violenza con la beatitudine del perdono e della pace.
– la croce, la morte, la sepoltura. Ancora la tentazione nel dolore insopportabile, ancora la supplica al Padre. La lotta intima del Getsemani raggiunge il suo acme nell’adesione al mistero dello svuotamento di sé, del non poter più vivere la propria identità di “Dio che salva” che tanto ha aiutato i sofferenti che lo hanno incontrato, del non poter scendere dalla croce, salvare se stesso. E’ il suo morire più intimo, l’abbandono che gli impedisce di mostrare in sé che l’amore di Dio vince tutto, come aveva proposto a tanti.
Ma, nel buio più fitto del suo non essere, continua ad amare; dona il Paradiso a chi, morendogli accanto, gli domanda di ricordarlo e spira “consegnandosi”, in pace, una pace così grande da suscitare la fede nel pagano centurione romano. Non allontana nessuno, ma anche nella morte che sembra vincerlo accoglie e spalanca le porte del regno.
È la vittoria dell’amore ed è la nostra pace.
La lettura della passione aiuta ad entrare nel mistero della vita che si spende, là dove chi ama suscita l’amore in chi è stato amato. È la legge della vita, creata dall’inizio ad immagine della Trinità. Gesù crocefisso, che muore nelle “mani” di Dio Padre, ci educa a vedere le cose, quelle della natura e quelle della storia, non più con il segno negativo, ma con quello positivo. Il mio positivo non è quello che io presumo, ma quello che è custodito nel cuore e nelle mani di Dio, un positivo che non sono in grado di vedere, ma posso avvertire mio guardando il Crocefisso che parla di Sé a me, e di me con Lui. Non è un misticismo culturale, una speculazione mentale, ma il dono della luce, della sapienza che irradia dalla croce.
Non c’è negativo, nelle mani di Dio, senza positivo in fiore.
È la vittoria della croce, che ci viene domandato di custodire.