VI DOMENICA DI PASQUA – Anno C
(At. 15,1-2.22-29; Sal. 66; Ap. 21,10-14.22-23; Gv. 14,23-29)
Nelle parole di addio, che il Signore confida ai discepoli nelle ore successive all’ultima cena e immediatamente prima dell’arresto, vi sono sottolineature forti per la loro speranza. Nel tempo dell’assenza non saranno lasciati “orfani” perché Gesù ritornerà e là dove troverà l’amore che li lega in Lui, lì abiterà con il Padre suo e di tutti.
Questa presenza permetterà di proseguire il cammino di fedeltà e testimonianza.
È l’annuncio di una assenza-presenza attraverso la quale la comunità sarà strumento costante della rivelazione di Dio. I discepoli, infatti, in quella assenza-presenza riceveranno ispirazione e forza dallo Spirito che il Signore invisibile porterà nei cuori.
È una promessa che riguarda tutto il tempo intermedio, perciò nostra, per noi. I discepoli che, animati dallo Spirito, ameranno Gesù, custodendo e vivendo la sua parola, giungeranno alla conoscenza esperienziale di Dio e si sentiranno amati, dello stesso amore che è la vita della Trinità, fino alla realizzazione della dimora definitiva di Dio (Seconda lettura, Ap.21).
Due sono i doni assicurati dalla presenza: lo Spirito e la pace.
La partenza imminente di Gesù coincide perciò con il dono dello Spirito, inviato in piena sintonia dal Padre e dal Figlio. È Lui che proseguirà la missione, insegnerà e ricorderà tutto quello che ha detto e fatto Gesù. Così il tempo di Gesù è intimamente legato al tempo dello Spirito.
L’incapacità perdurante dei discepoli di capire le parole e i gesti di Gesù verrà superata quando lo Spirito “ricorderà” loro il vangelo, rendendolo sempre attuale, contemporaneo di ogni uomo.
Perciò subito, tra i discepoli, si è cominciato a riflettere e proporre “la vita nello Spirito” come appare chiaramente dagli scritti del Nuovo Testamento.
Che cos’è? Gesù stesso dona la risposta: “Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
Il punto di partenza è far propria la Parola perché si ama Gesù. Non si tratta dell’osservanza di precetti, ma dell’interiorizzazione della Parola in chi ama Gesù. La Parola produce, realizza, per intimo suo dinamismo, il discepolato.
L’evangelista parla di “dimora”, presenza stabile.
I profeti avevano annunciato un uovo tempio, un nuovo luogo santo dove sarebbe rifiorita la comunione tra Dio e l’uomo. Ora, attraverso la parola di Gesù “ricordata” dallo Spirito, il sacrario del luogo santo dell’incontro è la coscienza credente. Lì il Padre e i Figlio dimorano stabilmente.
L’itinerario è dunque: dall’amore per Cristo alla conoscenza che egli comunica di Dio Padre, al diventare dimora.
L’azione dello Spirito, che è dinamica, perciò presentata dall’esperienza biblica come “vento gagliardo”, aiuta a camminare nella storia nell’amore di Cristo, perciò ricordandone la Parola e vivendola, in modo da esserne testimoni: essa apparirà vera perché trasparita dalla vita. È una grande, una graduale ma vera identificazione con Dio.
Questa, dunque, in termini estremamente semplici, è la vita interiore cristiana.
Il dono della pace.
Una pace che il mondo non può dare. La pace di Gesù scaturisce dall’unione con Dio e può abitare nei cuori in cui dimora lo Spirito. Viene da Dio, perciò non dipende dalla capacità umana, sempre parziale, molto spesso perché condizionata dal calcolo politico o dalla fragilità del sentimento o delle emozioni, per quanto sacre possano essere.
Viene da Dio ed è talmente profonda e forte che i discepoli potranno operala fino a portare nei cuori e nella società l’armonia interiore e la carità fraterna, che sono doni di Dio.
La pace, frutto dell’azione dello Spirito, fa pensare ad una nuova epoca in cui il timore non ha più motivo di esistere e dominare: da essa la gioia, la fine del turbamento, tipici frutti della conoscenza di Dio Amore che ama immensamente. Gesù ripete, all’inizio e alla fine di questo capitolo di Giovanni, “non sia turbato il vostro cuore”.
Dovremmo domandarci quanto siamo convinti della necessità di avere una vita interiore, tale da permetterci di non essere frastornati dal ritmo incessante delle sollecitazioni della vita, tale da aiutarci a dare delle risposte, frutto di comunione con lo Spirito e di pace.
Magdaleine Debrel, morta a sessant’anni nel 1964, passata dall’ateismo militante nel sindacato alla vita nella fede, radicale, come abbagliata da Dio, scriveva:
“Lo Spirito ci rende conformi nell’intimo al vangelo di Gesù Cristo e ci rende capaci di annunciarlo esternamente, con la vita.
Dovrebbe esserci in noi una sola realtà, una sola verità, uno Spirito onnipotente che si impossessi di tutta la nostra vita per agire in essa, secondo le circostanze, come Spirito di carità, Spirito di pazienza, Spirito di dolcezza, ma che è l’unico Spirito.
Tutti i nostri atti dovrebbero essere la continuazione di una medesima incarnazione.
Bisognerebbe che consegnassimo tutte le nostre azioni allo Spirito che è in noi, in modo tale che si possa riconoscere in ciascuna di esse il suo volto”
(Dalle lettere)
Nel lungo colloquio che il vangelo di Giovanni, dopo la lavanda dei piedi, racconta con ricchezza di particolari e che si conclude con la grande preghiera al Padre e con l’inizio della passione, Gesù
dona ai discepoli presenti e a quanti “crederanno in me mediante la loro parola” (Gv.17,20) frasi dense di affetto e di rassicurazione per il futuro. Egli non sarà più con loro visibilmente ed essi dovranno testimoniarlo nel mondo donando il Vangelo a quanti crederanno alla loro parola. Mentre lo ascolta, il gruppetto fedele è già avvolto nel turbamento per il dramma che ha cominciato a consumarsi con l’uscita di Giuda dal Cenacolo: “Era notte” evidenzia il testo. Al turbamento si aggiungono dubbi e incertezze di prospettive, per cui si moltiplicano le domande con le quali Piero, Tommaso, Filippo chiedono qualcosa a Gesù e a loro si unisce Giuda Taddeo che vorrebbe una risposta sul perché la rivelazione sia svelata al loro piccolo gruppo e non al mondo. Tutti noi vorremmo che ci fosse spiegato.
E Gesù parla. Dice che l’unione con Dio deve essere concepita in termini di amore. All’amore è data la priorità. Il discepolo che ama Gesù crederà alla sua parola e la metterà in pratica per amore; per cui la capirà dal di dentro, non solo nel senso di conoscenza di una dottrina, ma con tutto il proprio essere. Sarà un seguace, uno che segue con la vita, pellegrino lungo la strada dell’accoglienza della parola.
Gesù fa una promessa che è come una vetta a cui conduce la sua visione del rapporto con Dio. Se uno, amando, crederà e agirà in conformità, diventerà luogo, ambiente della presenza di Dio! Il Padre e il Figlio verranno e si stabiliranno nell’intimo del credente, in modo permanente, come in una “dimora”. Pensiamo, per un momento, a questa parola che – dal libro dell’Esodo a quello dell’Apocalisse – è presente in tutta la Scrittura, dall’inizio del popolo ebreo con la tenda della dimora, al traguardo del “Dio dimorerà con gli uomini”, come un progetto realizzato per sempre (Ap.21,3).
Il tempo intermedio, il “frattempo” tra la partenza imminente del Signore e il suo ritorno definitivo, sarà guidato e riempito dallo Spirito, l’amore che lega il Padre e il Figlio da sempre e per sempre. Per questa presenza dolce e forte, sempre viva e fedele, i discepoli non saranno “orfani”. Quelli che credono ed amano, cercando di essere veri nell’osservanza di quello che credono, sperimenteranno la presenza viva di Colui che è assente e ne attenderanno con fiducia il ritorno definitivo. È l‘esperienza che il vivere insieme l’Eucarestia rende possibile a tutti i discepoli, bambini ed adulti, capaci o meno di meriti, solo perché credenti e perciò liberi di fidarsi e affidasi al Signore.
Questa promessa che si avvererà pienamente nel futuro, è legata alla sua accoglienza nel presente. Perché Dio che continua a rivelarsi nel tempo intermedio, il tempo della storia che viviamo, sta alla porta della libertà che Egli stesso dona a ciascuno, perché la relazione non sia imposta, ma reciproca: “Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap.3,10).
Il rifiuto di comportamenti coerenti con la verità delle beatitudini, della giustizia nella mitezza e nella pace, può equivalere al rifiuto di Dio: perciò ogni uomo che si ponga sinceramente l’interrogativo su Dio, deve imparare umilmente ad interrogarsi sull’accoglienza di lui.
Lo Spirito Santo sostituisce la presenza visibile di Gesù, insegna ai credenti ogni cosa che Gesù ha rivelato della verità di Dio, le ricorda loro perché le attuino. La missione che Gesù, Figlio di Dio, ha iniziato, è proseguita dallo Spirito, che aiuta i discepoli a non ricordare solo nel senso di chi guarda al passato e lo rimpiange, ma a superare le incertezze e le titubanze con una conoscenza sempre più profonda e capace di penetrare il mondo attuale. Perciò il ricordo di Gesù che lo Spirito opera è radice e forza per l’oggi della Chiesa e dell’umanità.
Così, la distanza, che a volte può apparire incolmabile, tra la verità del Vangelo e il bisogno di verità dell’uomo, si salda per l’azione dello Spirito che ricorda le parole di Gesù e le attualizza nel cuore e nell’esistenza di ciascuno.
Ancora una volta riceviamo un invito alla vita interiore, alla memoria della fede, alla docilità del cuore che a volte appare rischiosa e bigotta, ma che è vita. Bisogna non aver paura di essere donne e uomini spirituali, dimora dello Spirito. Egli viene promesso proprio perché il Vangelo si faccia storia; come per Lui la Parola di Dio è diventata carne umana nel seno di Maria, così, nel tempo della presenza-assenza del Signore, il tempo della Chiesa nella storia.
Lo Spirito non è il realizzatore dei sogni e delle illusioni, ma l’energia divina che Gesù sulla croce ha effuso sugli uomini perché siano certi e non sospettosi della sua parola, energia che illumina perché quelle parole non siano solo ricordate e celebrate, ma messe in pratica. È lo Spirito che conforta quando quelle parole appaiono perdenti, che aiuta d introdurle nella storia che si evolve.
È il dono di Dio per la nuova creazione che il Signore assicura come realizzazione del suo sogno sull’uomo.