DOMENICA DI PENTECOSTE – Anno C
(At. 2,1-11; Sal. 103; Rm. 8,8-17; Gv. 14,15-16.23-26)
Per comprendere oggi il mistero grande di Dio e del suo Spirito che pervade la terra, torniamo al Venerdì Santo, al racconto della Passione secondo Giovanni. Egli ci dice che Gesù è stato consegnato da Giuda nelle mani dei Giudei, è stato consegnato da Pilato alla morte… ma nel momento supremo, ci dice Giovanni, al culmine dell’agonia, Gesù consegna il suo Spirito. La vita del Padre, attraverso l’amore del Figlio diviene dono per tutti i credenti.
Oggi noi tutti siamo qui ad accogliere questo dono che ci rende uomini e donne dello Spirito. È lo Spirito rivelato dall’Angelo a Maria, lo Spirito di Dio, che rende possibile ogni impossibile. A Maria che si domanda come sia possibile che da lei nasca un figlio, l’Angelo risponde: “Lo Spirito Santo scenderà su di te…”. Ai discepoli, timorosi per l’annuncio della sua partenza Gesù dice: “Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera” perché vi dirà tutte le mie parole. È lo Spirito che dà alla Chiesa la possibilità di essere e conservarsi una nella complessità della storia, di parlare ogni lingua, perché tutti possano comprendere la verità. Lo Spirito prende dimora nel nostro cuore, ma con discrezione, senza imporsi. Così convince il cuore dell’uomo, apre la sua vita alla Parola. Convince dapprima il cuore. Solo dopo aver reso il cuore consono alla Parola di Dio, lo Spirito convincerà l’intelligenza, le renderà possibile capire il senso della vita che egli ci trasmette.
La presenza dello Spirito è così profondamente inserita in noi che permette alla Parola di Dio di diventare linguaggio umano. Meditiamo a lungo l’importanza di questo dono: la Parola di Dio entra nelle parole umane perchè esse diventino strumento del suo relazionarsi all’umanità. La parola umana viene così elevata ad una dignità impensata. Essa non è più condannata alla chiacchiera, alla banalità del salotto, ma diventa portatrice di vita, se davvero la custodiamo nell’intimo del nostro cuore. Nel cuore le Parole eterne di Dio si fondono con lo spirito degli uomini, che, trasmettendole, possono farle conoscere a tutti, farle amare da tutti, in ogni tempo, in ogni condizione storica. Lo Spirito non si sostituisce alle persone. Lascia ciascuno alla sua libertà, alla sua autonomia, ma comunica incessantemente la santità eterna di Dio a quest’uomo, che pur sembra incapace di santità. E i nostri cuori crescono per l’energia dello Spirito, che si inserisce nella nostra piccolezza. Tutti noi, uniti insieme, realizziamo la presenza di Dio nel mondo e nella storia. Questa azione dello Spirito all’interno dell’umanità permette la nascita del giorno nuovo, apre il nostro cammino verso il giorno definitivo. E i suoi frutti sono “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, come scrive Paolo nella lettera ai Galati. Non lasciamo il nostro cuore indurito. Come dice Reiner Maria Rilke, il poeta tedesco, vissuto alla fine dell’Ottocento, non dobbiamo aspettare che lo Spirito scenda su di noi e ci dica: “Io sono”. Egli si esprime in noi nel momento in cui il nostro cuore avvampa e allora dobbiamo lasciare che si esprima.
Ogni credente ha un impegno di fronte la vita donatagli dallo Spirito, un impegno di amicizia, di accoglienza, di affetto verso i fratelli. La presenza dello Spirito ci chiama ad una grande responsabilità. Ma per essere disponibili alla sua voce dobbiamo diventare liberi da tutti i condizionamenti che ci opprimono. Per avere la libertà di rispondere allo Spirito, nella disponibilità dell’amore, è necessario ricercare prima la libertà da, la libertà dagli ostacoli, dai condizionamenti economici e sociali che da ogni parte ci attanagliano e ci opprimono. Si tratta di una fatica interiore, personale, che allarga le dimensioni del nostro cuore, lo apre all’universo. Quando Gesù ci ha consegnato il suo Spirito era sospeso fra cielo e terra, ora lo Spirito si dilata in tutto l’universo, parlando nella molteplicità delle lingue umane. Bisogna credere a questa unità nell’amore, che lo Spirito ci comunica e che non deve mai essere uniformità. Gli uomini e le donne dello Spirito devono impegnarsi ad essere testimoni di questa unità nella reciproca accoglienza della diversità. È qui l’alba della nuova possibilità, di fronte a quelle che appaiono come impossibilità culturali, politiche, economiche, sociali. Lo Spirito rende possibile il superamento di ogni impossibilità. Non solo perché, come scrisse a Diogneto un autore anonimo, all’inizio della nostra era, i Cristiani “amano la patria altrui come la propria”, ma perché il miracolo della Parola ci induce a guardare la storia in maniera positiva.
Chiediamo allo Spirito la grazia di riuscire ad avere questo sguardo positivo, oggi. Me lo chiedevo proprio stamattina, quando ho incontrato una donna angosciata: la figlia trentenne, che vive in una città del Nord, aveva subito un tentativo di violenza ed era ricoverata in ospedale. Come è possibile, di fronte a tante violenze, avere uno sguardo positivo? Eppure c’è del positivo anche nel nostro tempo. A Stoccarda, l’8 maggio si sono radunati uomini e donne di ogni fede, appartenenti a tanti diversi movimenti e si sono collegati con tante città di Europa, per chiedere con forza un’anima comune per tutti gli Europei. La forza dello Spirito è come un magma infuocato che vuole perforare la crosta indurita della storia del nostro tempo. Non facciamo allo Spirito il torto di non credere alle sue possibilità. A Maria è stato possibile l’impossibile.
Chiediamo allo Spirito la grazia di far sì che la Parola di Dio diventi la beatitudine della nostra vita!
La solennità di Pentecoste fa memoria della nascita della comunità cristiana.
Il progetto di Dio Creatore è la vita del Figlio eterno comunicata agli uomini, ma questo può avvenire solo se l’umanità riceve lo Spirito. È quello che il Cristo glorioso opera guidando l’umanità e la storia in un divenire che abbia l’identità di quel progetto. È quello che san Paolo indica con le parole: “Ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef.1,10), il “compimento” proposto alla libertà di ogni uomo come una possibilità.
Lo Spirito rende presente il Signore ravvivandone la memoria che, altrimenti, resterebbe opaca e lontana. È lui – dice san Paolo – che mette in grado il credente di affermare: “Gesù è il Signore”(1 Cor.10,3). Così è il soggetto di un’opera di ricomposizione delle divisioni e delle incomprensioni che hanno il loro simbolo biblico nell’episodio della torre di Babele, dove l’illusione di poter prescindere da Dio provocò la disunità e la dispersione. Lo Spirito è l’autore della fraternità ritrovata: i diversi si riuniscono e si comprendono reciprocamente nell’accoglienza dello stesso messaggio. Le differenze di linguaggio non sono più un ostacolo, non esistono più. Da questo punto di vista il fenomeno della globalizzazione assume un aspetto positivo.
“Com’è che li sentiamo parlare la nostra lingua nativa?”. Lo Spirito si rivolge a quella scintilla che è in ciascuno e che viene prima di tutte le divisioni operate dall’uomo nei secoli nei riguardi di razze, di nazioni, di fedi religiose, di età, di culture. La lingua nativa di ogni uomo è l’amore. Lo Spirito non solo risana la ferita di Babele, ma mette in grado di parlare la lingua comune dell’amore nella gioia e nel dolore, nella festa e nel lutto, nella forza e nella stanchezza. La parola di Dio diventa la lingua di ciascuno. È così che la terra si riempie dello Spirito del Signore come canta oggi la liturgia: “ Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra” (dal Salmo103), anche se ai nostri occhi questa pienezza non è palese ancora, a motivo della negatività. Egli continua ad entrare per le fessure quasi invisibili delle porte chiuse, suscita scintille di bontà, di energia, di creatività. Così riunisce i molti in unità, trasforma la piccola creatura in corpo di Cristo, tiene connessa la Chiesa, spingendo ciascuno a porre la propria vita con i doni che la arricchiscono come contributo all’utilità comune.
Ricordando nell’intimo delle persone i gesti e le parole di Gesù, lo Spirito spinge alla imitazione di Lui, rendendo ognuno responsabile del proprio essere discepolo nella realtà concreta, non puntando ad una impossibile uniformità, ma facendo della propria esistenza un centro di irradiazione del vangelo, per la comunione profonda on Lui. Gesù si comportò veramente come un servo, per insegnare che solo il dono di sé per amore permette la pienezza di fede che si esprime nella forza di perdonare, di cancellare le offese. Si può seguire Lui in questa strada solo se c’è lo Spirito che è l’Amore. Da soli, anche con la migliore buona volontà, non è possibile. Perciò il vangelo di Giovanni farà dire a Gesù: “È bene per voi che io me ne vada” (Gv.16,7). Vuole che il cammino dei credenti e di ogni uomo sia dinamico come una incarnazione continua, non attento solo alla dimensione storica, ma primariamente alla dignità di figli di Dio, come è egli stesso nella Trinità e nella storia. E perciò il dono che il Risorto lascia è lo Spirito, colui che “trasforma” con il suo silenzioso lavoro nelle coscienze, conduce da una vita dispersa al “gusto” della interiorità, dall’ascolto alla capacità di comunicazione, dal vivere in pace alla convivenza nella pace, dalla rassegnazione alla morte alla certezza della vita oltre la morte. Chiediamo nella preghiera la gioia della vita, il piacere di sentirsi con Dio, figli di Dio. Così come dice san Paolo: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Rm.8,14).
La festa di Pentecoste ci richiama al principio assoluto della vita interiore, al suo primo soggetto che è lo Spirito, al suo essere il solo a poter entrare nella coscienza per dire la parola della verità e della libertà. Nessuno si può sostituire a Lui, e neppure prevenirlo con i propri concetti e le proprie paure. Viene il momento – tante volte appare chiaramente nella storia – in cui gli uomini e le donne dello Spirito, malgrado i tentativi di bloccarli per la paura della novità, vengono fuori e rivelano l’attualità del vangelo nelle opere nuove che fanno. In loro si rivelano dei cuori abitati dalla presenza stabile dello Spirito che, come scrive san Tommaso d’Aquino, “si manifesta nella fede ed opera attraverso l’amore”, nella vita vissuta in condizione di libertà interiore.
Allora si può capire quanto abbiamo meditato domenica scorsa nella celebrazione dell’Ascensione: il Signore che se ne va. Comprendiamo che “è bene” il suo andarsene, è per far crescere nella fede i discepoli, che altrimenti tenterebbero di imprigionarla per se stessi, in una regalità esterna che potrebbe condurre a deresponsabilizzarsi. Invece Gesù punta ad una presenza più intima, nel cuore. Questo è il senso più profondo dell’Eucarestia che celebriamo ogni domenica. E questa è l‘opera dello Spirito Santo.
Come se il Signore volesse dirci con chiarezza e fermezza insieme: “Non avete capito che il Regno di Dio non è qui né là, che non si può definire, che le nozioni e le esperienze sono provvisorie?”.
Ai discepoli di ogni tempo, invece, sono affidate la parola e la responsabilità da vivere nel mondo.
“Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal.5,22).