XX DOMENICA T.O.- Anno C
(Ger 38,4-6.8-10; Sal. 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53)
Alcuni “detti del Signore” chiudono il capitolo 12 del vangelo di Luca, pronunciati da Lui perché i discepoli e la “grande folla” che “si accalcava” (Lc.12,1) fossero in grado di parlarne direttamente e senza alcun timore, in qualsiasi condizione si trovassero a vivere, nella diversità delle situazioni, di stato di vita, di ambiente, di cultura.
Perciò, dopo le ripetute istruzioni, Gesù può dire loro apertamente quello che più gli sta a cuore, “il fuoco da far divampare” e “il battesimo nel quale sarò battezzato”, cioè il Vangelo da portare “fino ai confini della terra” (Atti 1,8) e la passione che lo attende a Gerusalemme e che lo accompagna come un’angoscia che non lo lascia, pur nel sì pieno che lo guida interiormente nel rapporto con il Padre.
Luca accosta le due immagini e ricorda ai credenti che la meta che orienta il Signore nel suo andare a Gerusalemme è i battesimo della passione, l’immersione nella morte come condizione preliminare per il divampare del fuoco del vangelo che proprio la croce dirà come un libro pienamente aperto e spiegato. L’amore che si dona fino alla fine dice e spiega il vangelo che si diffonde sulla terra non come un giudizio di condanna, ma come strada di Dio che comunica così il suo Spirito di fraternità e di pace.
Questo sentire intimo di Gesù dovrà essere condiviso dai discepoli che, perciò, devono essere pronti ad affrontare la sofferenza delle contraddizioni, a cominciare da quelle che si presentano negli interrogativi più personali ed intimi a ciascun credente: la missione dell’inviato di Dio non dovrebbe portare al superamento del male ed alla pace? E allora, perché le paure, i tentennamenti, gli insuccessi, l’incapacità di essere convincenti, l’incomprensione fino all’opposizione violenta delle persone che più sono care? La contemplazione del fuoco che divampa come conseguenza dell’immersione nel battesimo della passione dice al discepolo che il Maestro non anticipa l’ora dei frutti, che pure sono da Lui inaugurati e sperimentati come segni del Regno di Dio che viene con Lui. Ma questo richiede l’accoglienza onesta del messaggio, dello stile evangelico, della pace come frutto del pagare di persona la vittoria sull’inimicizia e sull’ingordigia, Il mondo guarda il Vangelo come un’utopia irrealizzabile e Gesù dice ai suoi che devono assumersi la fatica del sentirsi non capiti, derisi come lo “Ecce homo”, l’“Ecco l‘uomo” di Pilato, il rifiuto persino dei familiari e della stessa Chiesa, perché lo stile di Gesù non sta nel trasformare i cuori con la bacchetta magica dei prodigi. I discepoli devono sapere che seguire Gesù chiede di custodire la sua Parola, meditandola nel proprio cuore, come Maria, sconcertata nel non capire il Figlio dodicenne, in un processo graduale di libertà e di adesione, in atteggiamento di discernimento impegnativo (Lc.2,50).
Scrive papa Francesco nell’enciclica sulla fede, proponendo l’itinerario di Agostino di Ippona:
“Nella vita di sant’Agostino troviamo un esempio significativo di questo cammino in cui la ricerca della ragione, con il suo desiderio di verità e di chiarezza, è stata integrata nell’orizzonte della fede, da cui ha ricevuto nuova comprensione.
Da una parte egli accoglie la filosofia greca della luce con la sua insistenza sulla visione: in questo modo ha ben capito la trascendenza divina e ha scoperto che tutte le cose hanno in sé una trasparenza, che possono cioè riflettere la bontà di Dio, il Bene.
Capire che Dio è luce gli ha dato un orientamento nuovo nell’esistenza, la capacità di riconoscere il male di cui era consapevole e di volgersi verso il bene.
Dall’altra parte, il momento decisivo nel suo cammino di fede non è stato quello di una visione di Dio, oltre il mondo, ma piuttosto quello dell’ascolto della voce: “Prendi e leggi”.
Gli appariva così il Dio personale della Bibbia, capace di parlare all’uomo, di scendere e vivere con lui e di accompagnare il suo cammino nella storia”.
(“Il lume della fede” pag.33)